LA CRIMINALIZZAZIONE DELL’IMMIGRAZIONE
4. Il quadro europeo
4.4. Considerazioni finali: il diritto europeo come limite all’incriminazione?
Al termine di questa panoramica degli strumenti previsti a livello europeo in materia di immigrazione irregolare, ci sembra opportuno riflettere sul loro impatto sul diritto nazionale in termini di scelte di incriminazione. In altri termini, ci interrogheremo circa il ruolo giocato dal legislatore europeo rispetto alle scelte di incriminazione adottate a livello nazionale, provando a capire se le indicazioni europee in materia si atteggino a mo’ di incentivo o, piuttosto, di limite.
Con riguardo alle previsioni di livello europeo in materia di facilitazione dell’immigrazione irregolare (cd. favoreggiamento nella legislazione italiana), traffico, tratta, impiego di lavoratori stranieri irregolari ed espulsione è innegabile che gli Stati siano stati chiamati a conformarsi ad alcuni indirizzi comuni, in un’ottica di armonizzazione delle discipline. Tuttavia, con specifico riferimento al piano penale, gli obblighi sono decisamente marginali: in primo luogo perché, come abbiamo osservato, il settore delle scelte in materia penale resta di competenza degli Stati ma soprattutto perché,
in secondo luogo, gli unici stringenti vincoli di incriminazione riguardano le (sole) condotte di tratta e sfruttamento di esseri umani, ossia ambiti in cui in molti casi il legislatore era già intervenuto sulla spinta di altri strumenti internazionali. Per quanto riguarda gli altri settori nominati, invece, pur essendo presente una richiesta europea di sanzionare determinate condotte, le direttive nominate si sono limitate a richiedere agli Stati l’adozione di ‘misure effettive, proporzionate e dissuasive’. E se ciò, spesso, ha condotto all’utilizzo dello strumento penale non significa che l’Unione abbia imposto tale strumento quale unica possibilità ma, piuttosto, che gli Stati abbiano ritenuto il diritto penale lo strumento più idoneo – o efficace – per il raggiungimento degli obiettivi prospettati.
Anche la Direttiva rimpatri, pur ritenendo lo status di irregolare un presupposto per la sua stessa applicazione, non fa alcun riferimento alla necessità od opportunità di ricorrere all’incriminazione della condizione di irregolare del migrante, lasciando agli Stati membri massima libertà di decisione. Anzi, alla luce dell’indicazione per cui i migranti eventualmente trattenuti in un istituto penitenziario debbano essere separati dai detenuti, sembrerebbe emergere una presupposta differenziazione di status. Senza prendere una posizione netta, in sostanza, la Direttiva affida alla discrezionalità degli Stati Membri la decisione in merito al trattamento (penale, amministrativo o civile) dei migranti che hanno violato le disposizioni nazionali sull’ingresso e il soggiorno, salvo fare di questa condizione di irregolarità il presupposto di applicazione della Direttiva stessa. Sebbene poi, nella prassi, la detenzione amministrativa abbia assunto un ruolo centrale nel processo espulsivo e, più in generale, nella gestione del fenomeno migratorio79, confermano l’assenza di ogni volontà o suggerimento di incriminazione da parte del legislatore europeo le osservazioni inizialmente presentate dalla Commissione in merito alla disciplina stessa del trattenimento amministrativo, ove si legge che tale strumento avrebbe dovuto essere utilizzato come extrema ratio e piuttosto sostituito con misure alternative al fine di evitare «qualsiasi criminalizzazione»80.
79 Cfr. ampiamente Cap. IV
80 COM (2002), 175 def., Bruxelles, 2002. Più approfonditamente sul tema del trattenimento amministrativo e sui suoi aspetti ‘criminalizzanti’ v. infra, Cap. IV. Ci limitiamo qui a riportare l’illuminante riflessione di I. MAJCHER, Crimmigration in the European Union through the Lens of
Immigration Detention, Global Detention Project Working Paper n.6, September 2013: «The use of
administrative procedures for confining non-citizens is justified by the assumption that immigration detention is a non-punitive, preventive, and merely bureaucratic measure aimed to enforce immigration and asylum policy. Arguably, despite its formal categorization as administrative, immigration detention may
Il fatto che l’Unione non abbia richiesto l’incriminazione di determinate condotte inerenti al fenomeno migratorio non significa, tuttavia, che gli Stati non vi abbiano autonomamente provveduto. Anzi, il sempre più frequente punitive turn a livello nazionale ha posto sempre più spesso il Diritto europeo alla prova della giurisprudenza81. A titolo esemplificativo, l’applicazione della direttiva rimpatri in rapporto alla criminalizzazione nazionale del migrante irregolare è stata sviscerata nelle note sentenze
El Dridi e Achughbabian che si sono interrogate circa la possibilità per il diritto europeo
di porre dei limiti alle scelte nazionali in materia. Ci occuperemo da vicino di queste sentenze nei capitoli successivi, per ora ci sembra di precipuo interesse evidenziare, piuttosto, l’orientamento di massima della Corte sotto questo profilo. Già negli anni ’80 la Corte di Giustizia dell’Unione europea, pur consapevole dell’impossibilità per la Comunità europea di prevedere reati e sanzioni a livello europeo, in più occasioni aveva affermato che il diritto comunitario ben potesse porre dei limiti al diritto penale nazionale, in particolare quando quest’ultimo fosse finito con il limitare in maniera ingiustificata alcuni diritti sanciti dal diritto europeo82. Questo orientamento, peraltro, è stato confermato anche in successive pronunce – pur estranee al diritto dell’immigrazione – finendo per consolidare il ruolo del diritto dell’Unione quale baluardo contro le tendenze di overcriminalization degli Stati membri83. Con specifico riguardo al diritto dell’immigrazione, come anticipavamo, affrontano questo punto le sentenze El Dridi,
Achughbabian, Sagor e Filev e Osmani, in cui, in estrema sintesi, la Corte di Giustizia ha
ritenuto l’incompatibilità dell’effetto criminalizzante del diritto nazionale rispetto a
incorporate criminal justice techniques, priorities, and methodologies. This analysis draws on the criteria developed in the jurisprudence of the European Court to distinguish formally administrative proceedings from penal ones for the purpose of due process guarantees. The main elements of these criteria are then applied to immigration detention under EU law. The paper demonstrates that in some circumstances the functions and effects of pre-removal and asylum detention are in fact punitive, which reveals the criminal nature of many detention proceedings».
81 V. MITSILEGAS, The Criminalisation of Migration in Europe. Challanges for Human Rights and the Rule
of Law, Springer, 2015, pp. 57 ss.
82 In CGE, Casati, sent. 11.11.1981, Causa 203/80 si legge: «In via di principio, la legislazione penale e le norme di procedura penale restano di competenza degli Stati membri. Tuttavia, dalla costante giurisprudenza della Corte risulta che, anche in questo settore, il diritto comunitario pone dei limiti per quel che concerne le misure di controllo ch'esso consente agli Stati membri di mantenere in vigore nell'ambito della libera circolazione delle merci e delle persone. Le misure amministrative o repressive non devono esulare dai limiti di quanto è strettamente necessario, le modalità di controllo non devono essere concepite in modo da limitare la libertà voluta dal Trattato e non è lecito comminare in proposito sanzioni talmente sproporzionate rispetto alla gravità dell’infrazione da risolversi in un ostacolo a tale libertà».
83 Così V. MITSILEGAS, The Criminalization of Migration, op. cit. p. 59; le sentenze cui si fa riferimento, invece, riguardano il caso CGE, Skanavi e Chryssanthakopoulos, sent. 29 febbraio 1996, Causa C-193/94; CGE, Placanica, Palazzese, Sorricchio, sent. 6 marzo 2007, Cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04
disposizioni contenute nella Direttiva rimpatri, di fatto confermando ancora il ruolo di limite del diritto europeo nei confronti delle esuberanze del diritto penale nazionale. Il ruolo protettivo del diritto dell’Unione, come attentamente osservato in dottrina, si è espresso in questo contesto in due modi: da un lato ricordando agli Stati membri che anche lo stesso diritto europeo e le sue direttive devono essere interpretati alla luce dei principi fondamentali dell’Unione tra cui senza dubbio rientrano la protezione dei diritti umani e il principio di proporzionalità; dall’altro lato, ha posto in relazione la scelta di incriminare condotte di violazione di norme di diritto dell’immigrazione con la primaria finalità della direttiva rimpatri (ossia la rapida ed efficace espulsione degli stranieri irregolari) svelando il frequente valore simbolico di molte scelte di incriminazione a livello nazionale e il loro palese contrasto con l’effetto utile della Direttiva84.
Il ruolo di limite del diritto dell’Unione dinnanzi ad alcune scelte incriminatrici degli Stati in materia di immigrazione emerge, infine, dall’attenzione che l’Unione pone alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo sia attraverso, principalmente, l’art. 6 TUE che, grazie alle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona, fa ora richiamo sia alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unioneche alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sia ai diritti risultanti dalle tradizioni costituzionali degli Stati Membri, che rientrano tra i principi generali dell’Unione. L’art. 78 TFUE, ancora, rinvia ai diritti in materia di asilo sanciti dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato e agli altri «trattati pertinenti»85. Nel disciplinare l’espulsione, dunque, sia l’Unione che gli Stati devono prestare attenzione al principio di non refoulement, che vieta il rimpatrio qualora questi esponga lo straniero a un concreto pericolo per la sua vita o libertà, a un rischio di persecuzione o di trattamenti inumani o degradanti (ai sensi degli artt. 2 e 3 della CEDU)86. Ancora, in una rapida rassegna, con riguardo alle espulsioni vengono in luce
84 In termini V. MITSILEGAS, The Criminalization of Migration, op. cit. p.75. In questo senso anche la Commissione in MATRX, Evaluation on the application of the Return Directive, Luxembourg, 2013, p.135 in cui si legge che «The Court of Justice of the European Union (CJEU) has in its case law (El-Dridi (C 61/11), Sagor (C- 430/11), and Achoughbabian (C 329/11) stated that criminal law rules may not jeopardise the dual objective of the Return Directive: the establishment of an effective policy of removal and repatriation and observance of the fundamental rights of third-country nationals concerned. Hence, imprisonment of irregular migrants for the crime of having unlawfully entered or stayed on the territory of the Member State in question must not take precedence over applying the Return Directive, including its fundamental rights safeguards».
85 Art. 78§2 TFUE
86 Tra i casi decisi dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in materia di espulsione e rispetto degli articoli 2 e 3 si possono indicare: Bader and Kanbor v. Sweden, ECHR, 13284/04; Al-Moayad v. Germany, N. v.
come ‘limiti’ l’art. 8 CEDU (sulla tutela della vita familiare e privata)87, ma anche la previsione dell’articolo 4 del Protocollo 4 allegato alla CEDU che vieta espulsioni collettive88. Anche sotto un profilo procedurale, viene in luce l’art. 13 CEDU sul diritto a un ricorso effettivo (in questo caso particolare, contro le decisioni di rimpatrio e di trattenimento pre-espulsivo. O ancora, con riguardo proprio al trattenimento amministrativo sono importantissime le tutele offerte dall’art. 5 CEDU sul diritto alla libertà personale che, pur contemplando l’ipotesi di un trattenimento in vista dell’espulsione, esige che lo stesso sia corredato da un’idonea base giuridica che ne definisca i casi e le condizioni, proteggendo così lo straniero espellendo da ogni possibile forma di detenzione arbitraria. A livello di strumenti propri dell’Unione stessa, la già nominata Carta dei diritti fondamentali dell’Unione nomina il divieto di tortura e trattamenti disumani e degradanti (art. 4), il diritto alla libertà e sicurezza (art. 6), il rispetto della vita privata e familiare (art. 7), la protezione in caso di allontanamento e espulsione (art. 19), il diritto a un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale (art. 47) nonché una serie di diritti sociali ed economici (tra cui spiccano il diritto alla salute e all’istruzione). Tutti diritti che l’Unione e gli Stati membri sono chiamati a rispettare quando fanno applicazione del diritto europeo (e dunque delle direttive).
In conclusione, alla luce di queste considerazioni, ci sembra di poter dire che, in via generale, la presenza del diritto di matrice europea funge da importantissimo freno (o limite) ad alcune forme di incriminazione che, avanzate dai singoli Stati nell’ambito delle politiche nazionali di gestione del fenomeno migratorio, si pongono in contrasto con i diritti fondamentali dell’uomo sanciti e protetti a livello internazionale. Questo ruolo, tuttavia, non necessariamente fa del diritto dell’Unione in materia di immigrazione ‘il migliore dei diritti possibili’ posto che, come avremo modo di vedere più da vicino nei prossimi capitoli, vi sono profili incerti (spesso dovuti alla vaghezza delle disposizioni europee) o perfino di dubbio rispetto degli stessi principi europei, spesso sacrificati in nome di un approccio securitario: si pensi allo stesso ruolo-chiave rivestito
21878/06; Na v. the United Kingdom, ECHR, 25904/07; M.S.S. v. Belgium and Greece, ECHR, 30696/09;
Tarakehel v. Switzerland, ECHR, 29217/12. Con riferimento all’articolo 2 si deve inoltre ricordare che la
CEDU tuteli l’immigrato irregolare anche quanto c’è la possibilità di applicazione di una pena di morte in tempo di pace.
87 Si vedano, tra gli altri, i casi: Dalia v. France, ECHR, 26102/95 e Da Silva e Hoogkamer v Netherlands, ECHR, 50435/99.
dall’espulsione, all’implementazione del cd. approccio hotspot o al processo di esternalizzazione delle frontiere con Frontex89.
89 Particolarmente interessante sotto questo punto di vista è anche la posizione di A. BLUS, Beyond the
Walls of Paper. Undocumented Migrants, the Border and Human Rights, in European Journal of Migration
and Law, Vol. 15, Issue 4, 2013, pp. 413 ss. R. CHOLEWINSKI, European Union Policy on Irregular
Migration: Human Rights Lost?, in B. BOGUS, R. CHOLEWINSKI,A.CYGAN E E.SZYSZCZAK (a cura di),
Irregular Migration and Human Rights: Theoretical, European and International Perspectives, Martinus
Nijhoff Publishers, Leiden, 2004, p. 182; A. JÜNEMANN,N.FROMM,N.SCHERER (a cura di), Fortress
Capitolo II