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LA CRIMINALIZZAZIONE DELL’IMMIGRAZIONE

LA PREVISIONE DI CONSEGUENZE PENALISTICHE PER VIOLAZIONI DI DISPOSIZIONI CONNESSE ALL’IMMIGRAZIONE

1. Immigrazione, sicurezza e reati propri del migrante (ovvero: la criminalizzazione diretta in senso stretto)

6.1. I reati collegati all’espulsione: una premessa

I reati connessi all’espulsione (o al respingimento), così come il reato di ingresso e soggiorno illegale, sono la dimostrazione più chiara della stretta connessione esistente in materia di immigrazione tra diritto penale e diritto amministrativo.

In queste fattispecie, in particolare, il reato (o meglio la sanzione penale) diviene un vero e proprio strumento a difesa di un provvedimento amministrativo quale quello che allontana lo straniero dal territorio dello Stato. La pena – prima la reclusione e poi la sanzione pecuniaria – assume in questi casi il ruolo di baluardo di un divieto di reingresso fissato dalla legge quale conseguenza di un’espulsione già eseguita (così nei reati di illecito reingresso ex art. 13 co. 13 e 13 bis) oppure di un provvedimento espulsivo ancora da eseguirsi (così nei reati di inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore ex art. 14 co. 5 ter e 5 quater, ovvero nei reati di violazione delle misure disposte in caso di previsione di un termine di partenza volontaria ex art. 13 co. 5.2 o de una misura alternativa al trattenimento amministrativo ex art. 14 co. 1 bis).

Nei prossimi paragrafi ci occuperemo da vicino di ciascuna di queste fattispecie, ricordandone l’evoluzione normativa, la portata sanzionatoria e i principali profili oggetto di discussione in dottrina e giurisprudenza. In questa breve parte introduttiva generale, invece, ci preme ricordare l’origine comune di queste figure e gli interventi – del legislatore e del giudice – che, al di là delle singole peculiarità di ciascun reato, hanno interessato la materia.

Ricordiamo, innanzitutto, che fino al 1990, erano gli artt. 142, 152 e 151 t.u.l.p.s. a regolare le fattispecie penalmente rilevanti in materia di espulsione226. Nel 1990,

“incostituzionale”, in Dir. pen. cont., 17 ottobre 2014; S. RUGGERI, Giudicato costituzionale, processo

penale, diritti della persona. Una breve riflessione su norma, giudicato e ordinamento a margine di Cass. pen., sez.un., sent. 29 maggio 2014 (dep. 14 ottobre 2014), n. 42858, Pres. Santacroce, Est. Ippolito, ric. P.G. Napoli in proc. Gatto, in Dir. pen. cont., 22 dicembre 2014.

226 L’art. 142 t.u.l.p.s incriminava solo indirettamente l’ingresso irregolare dello straniero, sanzionando a titolo di contravvenzione la condotta dello straniero che ometteva di presentarsi all’autorità di polizia entro tre giorni dal suo ingresso in Italia; l’art. 152 t.u.l.p.s puniva lo straniero che non seguiva le indicazioni contenute nel «foglio di via obbligatorio» consegnatogli dal prefetto; l’art. 151 t.u.l.p.s, infine, faceva

l’approvazione della legge Martelli (d.l. 30 dicembre 1989, n, 416 conv. con modif. in l. 28 febbraio 1990, n. 39) abroga gli artt. 142 e 152 – di fatto depenalizzando l’indiretta violazione dell’ingresso illegale – limitando così alla sola ipotesi di violazione del reingresso (art. 151 t.u.l.p.s.) l’area del penalmente rilevante. Nel 1998, dopo le travagliate esperienze del decreto Conso e del decreto Dini – la legge Turco-Napolitano (l. 6 marzo 1998, n. 40, poi confluita nella l. 25 luglio 1998, n. 286) abroga l’art. 151 t.u.l.p.s e sostituisce la relativa figura di reato con l’art. 13 co. 13 t.u.imm.: l’incriminazione è circoscritta al solo comportamento non collaborativo227 dello straniero destinatario di un provvedimento di espulsione ma compaiono nuove misure amministrative di sostegno all’esecuzione dell’espulsioni, primo fra tutti il trattenimento nei centri di permanenza temporanea e assistenza (v. infra, Cap. IV). Quattro anni più tardi, la legge Bossi-Fini (l. 30 luglio 2002, n. 189) – rinsaldando il legame tra diritto penale e amministrativo – riforma in chiave restrittiva l’intero assetto della disciplina tracciando un sistema di ‘coppie contravvenzione/delitto’228 agli artt. 13 commi 13 e 13

bis, e 14 commi 5 ter e 5 quater t.u.imm.229. Di nuovo nel 2004 il legislatore imprime un giro di vite (con il d.l. n. 241/2004, conv. con modif. in l. 271/2004): trasforma tutte le contravvenzioni previste sino ad allora dagli artt. 13 e 14 (ad eccezione dell’art. 14 co. 5

ter seconda parte) in delitti, puniti con la reclusione da uno a quattro anni, e per le

fattispecie già previste come reato, inasprisce la pena detentiva già prevista. In meno di un decennio si erano dunque susseguite tre riforme i cui contenuti, non sempre tra loro coordinati, avevano dato origine a un quadro normativo in materia di sanzioni penali per l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale che la stessa Corte costituzionale nel 2007 – chiamata ad esprimersi sul trattamento sanzionatorio introdotto dalla l. 271/2004 – non aveva esitato a definire sconnesso e carico di «squilibri, sproporzioni e disarmonie tali sa rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità

divieto allo straniero espulso far ritorno in Italia se non in presenza di una «speciale autorizzazione» del Ministro dell’interno sanzionando l’eventuale violazione dii tale divieto con l’arresto da due a sei mesi. 227 Così A. CAPUTO, I reati collegati all’espulsione, in A.CAPUTO, G.FIDELBO, Reati in materia di

immigrazione e di stupefacenti, op. cit., p. 136.

228 Così A.CAPUTO, I reati collegati all’espulsione, op. cit. p. 137

229 Come vedremo meglio nel prosieguo: l’art. 14 co. 5 ter puniva l’ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore; le altre norme prevedevano, invece, diverse fattispecie incriminatrici della violazione del divieto di reingresso dello straniero espulso (al tempo anche l’art. 14 co. 5 quater puniva il reingresso illegale dello straniero già espulso e non l’ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento da parte dello straniero ancora da espellere).

rieducativa della stessa», evidenziando «l’opportunità di un sollecito intervento del legislatore»230. Ed effettivamente nel 2009 il legislatore riforma nuovamente la materia – con il noto pacchetto sicurezza del 2009 (l. 15 luglio 2009, n. 94) – disattendendo, però, tutte le richieste della Corte: completa l’opera di trasformazione delle contravvenzioni in delitti coinvolgendo anche l’art. 14 co. 5 ter secondo periodo e riformula la fattispecie di cui all’art. 14 co. 5 quater trasformandola da fattispecie di violazione del divieto di reingresso dello straniero espulso in una nuova figura di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore.

In questo quadro di continui inasprimenti sanzionatori nel segno di un sempre più diffuso utilizzo della pena detentiva, giunge a scadenza il termine previsto per l’adeguamento dell’ordinamento italiano (il 24 dicembre 2010) alla direttiva rimpatri (direttiva 115/2008/CE) e in Italia si apre un ampio dibattito circa la compatibilità con suddetta direttiva dei reati previsti dall’art. 14 co. 5 ter e 5 quater: se, infatti, la direttiva imponeva la concessione di un termine di tempo congruo per la partenza volontaria dello straniero colpito da un provvedimento di rimpatrio, al giudice italiano si presentavano due possibilità: «rilevare in via incidentale l’illegittimità, al metro dell’art. 7 della direttiva, di tutti i provvedimenti amministrativi presupposto emanati successivamente alla scadenza del termine di attuazione della direttiva nei quali non sia stato concesso un congruo termine, pari almeno a 7 giorni, per la partenza volontaria, salva la ricorrenza delle ragioni che giustificano la deroga ai sensi della direttiva medesima»231 oppure sospendere il relativo procedimento e rivolgersi alla Corte con un ricorso pregiudiziale di interpretazione ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Queste erano le soluzioni che si prospettavano a una situazione di chiara incompatibilità della disciplina in vigore con gli obiettivi della direttiva dal momento che, si osservava in dottrina, «le incriminazioni di cui ai commi 5 ter e quater configurano un vero e proprio intervento incidentale del diritto penale nell’ambito di una procedura di espulsione amministrativa, in chiave sanzionatoria rispetto all’inosservanza di una decisione (amministrativa) di rimpatrio; e un intervento idoneo a produrre consistenti privazioni della libertà personale (in conseguenza della sequenza arresto/misura cautelare/reclusione) diverse e comunque ulteriori rispetto alla detenzione amministrativa

230 Cfr. C. cost. 22/2007

231 F.VIGANÒ,L.MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili

(“trattenimento”) disciplinata dalla direttiva UE […] Comminando per le varie ipotesi delittuose in esame una pena detentiva – sino a un massimo di cinque anni di reclusione! –, il legislatore italiano prevede la possibilità che lo straniero venga privato della propria libertà personale in esito a una condanna penale che interviene nel bel mezzo di un procedimento di espulsione amministrativa, per periodi che di per sé potrebbero risultare superiori al limite complessivo di diciotto mesi fissato dall’articolo 5 § 6 della direttiva»232 .

Di lì a poco la sentenza El Dridi della Corte di Giustizia233 dichiara expressis

verbis l’incompatibilità con la direttiva 2008/115/CE dei delitti di inosservanza

dell’ordine di allontanamento previsti dall’art. 14 co. 5 ter e quater t.u. imm. (peraltro, estendendo il proprio giudizio critico all’intero sistema procedimentale di esecuzione dei provvedimenti espulsivi all’epoca vigente in Italia). In estrema sintesi, la Corte afferma che gli artt. 15 e 16 della direttiva 2008/115/CE ostano ad una normativa di uno Stato membro – e nel caso in esame alla disciplina italiana contenuta nel testo unico sull’immigrazione – che preveda la pena della reclusione per lo straniero irregolare «per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo»234. Ciò non perché la direttiva escluda a priori la facoltà per gli Stati membri di adottare disposizioni penali per la disciplina delle situazioni in cui le misure coercitive non hanno consentito di realizzare l’allontanamento dello straniero irregolare, bensì perché una pena come quella prevista all’art. 14 co. 5 ter t.u.imm. «in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare»235, e dunque ritardare l’esecuzione della decisione di rimpatrio. Ad avviso della Corte, dunque, gli Stati membri, nemmeno al fine di al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente, non possono adottare una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5‑ter, «essi

232 F.VIGANÒ,L.MASERA, Illegittimità comunitaria, op. cit. p. 577 233 Cfr. sent. 28 aprile 2011, El Dridi, causa C-61/11 PPU

234 Cfr. sent. El Dridi, cit. §62 235 Cfr. sent. El Dridi, cit. §59

devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti»236.

Quanto al giudice di merito, egli dovrà «disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5 ter».

Diversa sorte interessa invece l’art. 13 t.u.imm. A tal riguardo, infatti, la Corte opera una distinzione e afferma che con riferimento alle misure coercitive che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’art. 8, n. 4, della direttiva 2008/115 (di cui in Italia è un esempio l’art. 13 co. 4 t.u.imm.) «è giocoforza constatare che, in una situazione in cui tali misure non abbiano consentito di raggiungere il risultato perseguito, ossia l’allontanamento del cittadino di un paese terzo contro il quale sono state disposte, gli Stati membri restano liberi di adottare misure, anche penali, atte segnatamente a dissuadere tali cittadini dal soggiornare illegalmente nel territorio di detti Stati»237. Non si tratta, però, di una libertà totale poiché se è bene vero che la legislazione penale rientra nella competenza degli Stati, «su tale ambito giuridico può nondimeno incidere il diritto dell’Unione» e dunque gli Stati sono tenuti «a fare in modo che la propria legislazione in materia rispetti il diritto dell’Unione». In altre parole, come già detto, «non potranno applicare una normativa, sia pure di diritto penale, tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e da privare così quest’ultima del suo effetto utile»238.

Dopo queste parole della Corte di Giustizia – e sei mesi di ritardo rispetto al termine fissato dalla Direttiva – l’intervento di adeguamento del sistema italiano non poteva più essere rinviato e dunque il legislatore è intervento con il d.l. 23 giugno 2011, n. 89 conv. con modif. in l. 2 agosto 2011, n. 129. La riforma, innanzitutto, ha riformulato i delitti di cui agli artt. 14 co. 5 ter e quater conservando il rilievo penalistico della fattispecie ed intervenendo unicamente sul quadro sanzionatorio: esclusa la reclusione, dal 2011 le medesime fattispecie sono state assoggettate alla sola pena pecuniaria, l’unica che alla luce della sentenza El Dridi risultava idonea a non intaccare l’effetto utile della direttiva. In particolare: la multa da 10.000 a 20.000 euro quando l’ordine violato sia stato emanato senza previa concessione del termine per la partenza volontaria o quando lo straniero si

236 Cfr. sent. El Dridi, cit. §58 237 Cfr. sent. El Dridi, cit. §52 238 Cfr. sent. El Dridi, cit. §55

sia sottratto ad un programma di rimpatrio volontario ed assistito (co. 5 ter primo periodo); la multa da 6.000 a 15.000 euro quando lo straniero non abbia rispettato il termine per la partenza volontaria (co. 5 ter secondo periodo); la multa da 15.000 a 30.000 nelle ipotesi di comportamento “recidivo” ai sensi del co. 5 quater.

La riforma non ha interessato la contravvenzione di ingresso e soggiorno irregolare di cui all’art. 10 bis (che come abbiamo visto era già punita con la sola ammenda) ma ha introdotto due nuove figure di delitto, punite entrambe con la pena della multa da 3.000 a 18.000 euro. La prima, collocata nell’art. 13 co. 5.2, sanziona la condotta dello straniero che violi una delle nuove misure (si tratta di: consegna del passaporto, obbligo di dimora e obbligo di presentazione alla polizia) disposte per evitare la fuga in caso di concessione del termine per la partenza volontaria239. La seconda, posta nell’art. 14 co. 1 bis, sanziona invece lo straniero che violi il contenuto delle misure disposte in alternativa al trattenimento amministrativo in un CIE.

Ricollegandoci al tema con cui abbiamo iniziato questo paragrafo – ossia il ruolo del diritto penale e il suo rapporto con la misura amministrativa dell’espulsione – possiamo osservare, alla luce di questo percorso evolutivo delle fattispecie interessate, che il

239 Ricordiamo altresì che è stato la riforma del 2011 ha modificato anche l’art. 13 co. 4 prevedendo che, a differenza del passato in cui la modalità ordinaria di esecuzione del provvedimento espulsivo era l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, dal 2011 l’esecuzione coattiva dell’espulsione diventi eccezionale e riconducibile solo a determinati casi elencati al co. 4, e che, in via ordinaria, lo straniero abbia diritto, ai sensi del nuovo art. 13 co. 5, a chiedere la concessione di un termine per la partenza volontaria compreso tra i 7 ed i 30 giorni. Anche questa modifica, tuttavia, è stata oggetto di critiche da parti di chi, pur riconoscendo l’avvicinamento dell’ordinamento italiano agli standard europei, riscontrava ancora ‘profili di frizione’ con la normativa europea, in primis con riferimento alla limitazione dell’accesso alla partenza volontaria ed alle misure meno coercitive del trattenimento ai soli stranieri forniti di passaporto. Cfr. MASERA, Il riformato art. 14 co. 5 ter d.lgs. 286/98 e la sua applicabilità nei

procedimenti per fatti antecedenti all’entrata in vigore del d.l. 89/2011, in Dir. pen. cont., 15 luglio 2011,

p. 3, nota 2: «Limitazione derivante dal fatto che il nuovo art. 13 co. 4 prevede che non venga concesso il termine per la partenza volontaria quando ricorra “il rischio di fuga”, ed il comma 4 bis, che fornisce l’elenco delle circostanze dalle quali il Prefetto può inferire tal rischio, prevede tra queste proprio il “mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, in corso di validità”; quanto poi all’accesso a misure meno afflittive del trattenimento, il nuovo art. 14 co. 1 bis ne limita l’applicabilità ai “casi in cui lo straniero è in possesso di passaporto o altro documento equipollente in corso di validità”». Affrontano da vicino l’argomento anche: A. NATALE, La direttiva 2008/115/CE ed il decreto-legge di

attuazione – Prime riflessioni a caldo, in Dir. pen. cont, 16 giugno 2011; C. FAVILLI, L’attuazione della

direttiva rimpatri in Italia: dall’inerzia all’urgenza con scarsa leale cooperazione, testo aggiornato della

relazione all’incontro di studio del CSM del 16-18.5.2011 dal titolo ‘La condizione giuridica dello straniero e la tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali tra diritto interno e normativa sovranazionale’; M.T. COLLICA, Gli effetti della direttiva rimpatri sul diritto vigente – Dalla difficile compatibilità col d.lgs. n.

286/1998 al necessario intervento correttivo: un percorso davvero concluso?, in Dir. pen. cont., 24 giugno

2011, pp. 12 ss.; L.PISTORELLI –G.ANDREAZZA, Ancora sul d.l. 23 giugno 2011, n. 89 (modifiche al t.u. immigrazione), Rel. n. III/08/2011 Ufficio massimario della Corte di Cassazione pubblicata in Dir. pen.

legislatore non abbia mai abbandonato la strada della sanzione penale quale strumento di contrasto all’immigrazione irregolare. L’intervento del 2011, infatti, si è limitato ad eliminare le pene detentive ritenute incompatibili con la direttiva rimpatri, conservando però la natura di delitto, ora sanzionato solo con la multa, a tutte le forme di inottemperanza a provvedimenti amministrativi connessi all’espulsione. La pena detentiva, inoltre, rimane applicabile alle ipotesi di illecito reingresso di cui all’art. 13 co. 13 e 13 bis t.u.imm.240, nonché, per effetto del decreto sicurezza del 2018 anche alle ipotesi di violazione del divieto di reingresso (art. 10 co. 2 ter e 2 quater) emanato a seguito di un provvedimento di respingimento ex art. 10 co. 2 t.u.imm.

Con questo quadro di interventi in mente, ci accingiamo ora ad esaminare più da vicino le singole fattispecie penalmente rilevanti presenti nel testo unico sull’immigrazione.

Tutto ciò premesso, possiamo affermare che il delitto di violazione del divieto di reingresso, sanzionato ai commi 13 e 13 bis dell’art. 13 t.u.imm. dopo la riforma del 2011 (e fino all’introduzione dei commi 2 ter e 2 quater dell’art. 10 t.u.imm. ad opera del decreto sicurezza del 2018) rappresentava l’unico esempio di reato punito con la pena detentiva in materia di irregolarità del soggiorno dello straniero. Prima del 2011, invece, la punizione (con pena detentiva) del trattenimento irregolare conseguente alla violazione dell’ordine di rimpatrio, aveva determinato una diffusa criminalizzazione dei migranti, con pesanti ricadute sul sistema giudiziario e carcerario italiano241. In quel contesto era dunque certamente non eccezionale o sorprendente la previsione della reclusione ai sensi dell’art. 13 co. 13 e co. 13 bis per lo straniero che, una volta rimpatriato, avesse fatto ritorno in Italia prima del termine fissato nel decreto di espulsione (anzi, la pena era esattamente la stessa prevista dall’art. 14: reclusione da uno a quattro anni per i casi di prima violazione dell’ordine di allontanamento o del divieto di rimpatrio (art. 14 co. 5 ter

240 I delitti di cui all’art. 13 co. 13 e 13 bis t.u. imm. sono rimasti pressoché indenni dagli interventi della riforma del 2011, quantomeno sotto il profilo del fatto tipico e della sanzione comminata. Il legislatore, infatti, ha apportato delle modifiche alle modalità di rimpatrio e al divieto di rimpatrio (portando la sua durata da dieci a cinque anni) ma non ha intaccato la pena della reclusione. Nella sentenza Celaj del 1° ottobre 2015, la Corte di Giustizia europea ha ‘salvato’ le fattispecie di cui agli art. 13 co. 13 e 13 bis, escludendo ogni profilo di incompatibilità con la direttiva rimpatri; cfr. A. ROMANO, “Circumstances... are clearly distinct”: la detenzione dello straniero per il delitto di illecito reingresso nella sentenza Celaj della

Corte di giustizia, in Dir. imm. citt., 2/2015, pp. 109 ss.

241 L. MASERA, Addio articolo 14. Considerazioni sulla sentenza della Corte di giustizia UE, 28 aprile

2011, El Dridi (C-61/11 PPU) e sul suo impatto nell'ordinamento italiano in Dir. pen. cont., 4 maggio

e 13 co. 13) e reclusione da uno a cinque anni in caso di ‘reiterazione’ della violazione (art. 14 co. 5 quater e 13 co. 13 bis, ult. per.).

Maggiori stupori, invece, ha destato il mancato coinvolgimento dell’art. 13 co. 13 e 13

bis nel processo di riforma innescatosi nel 2011. Il risultato, se apparentemente

inattaccabile da un punto di vista di compatibilità con il diritto europeo e con il margine di scelta attribuito al legislatore nazionale in materia242, crea oggi indubbiamente una ‘radicale divaricazione’243 nel trattamento sanzionatorio di due condotte che, fino al 2011, erano punite con la medesima sanzione (detentiva).

Con riferimento alla legittimità comunitaria delle fattispecie penali di cui all’art. 13, prima di procedere con l’analisi dei profili più tecnici della fattispecie, ci sembra opportuno richiamare un’importante sentenza della Corte di Giustizia europea che ha – in sostanza – confermato la compatibilità con la direttiva rimpatri del delitto di illecito reingresso nel territorio dello stato (art. 13 co. 13 t.u. imm.). Ripercorrendo brevemente il percorso giudiziario, ricordiamo che il giudice del rinvio (ossia il Tribunale di Firenze) aveva rivolto alla Corte la richiesta di verificare «se le disposizioni della direttiva 2008/115 ostino all'esistenza di norme nazionali degli Stati membri che prevedano la pena della reclusione sino a quattro anni per un cittadino di un paese terzo che, dopo essere stato rimpatriato non a titolo di sanzione penale né in conseguenza di una sanzione penale, abbia fatto nuovamente ingresso nel territorio dello Stato, in violazione di un legittimo divieto di reingresso, senza che tale cittadino sia stato previamente sottoposto alle misure

242 Anche sotto questo profilo non mancano dubbi in dottrina. Riportiamo, quantomeno, le perplessità