LA CRIMINALIZZAZIONE DELL’IMMIGRAZIONE
LA PREVISIONE DI CONSEGUENZE PENALISTICHE PER VIOLAZIONI DI DISPOSIZIONI CONNESSE ALL’IMMIGRAZIONE
1. Immigrazione, sicurezza e reati propri del migrante (ovvero: la criminalizzazione diretta in senso stretto)
5.4. La sentenza della Corte costituzionale 8 luglio 2010, n. 250
5.6.3. La sentenza Sagor (2012)
La prima sentenza della Corte di Giustizia europea che interessa direttamente l’art. 10 bis t.u.imm. è quella riguardante il caso Sagor in cui il Tribunale di Rovigo (sez. dist. di Adria) ha rimesso alla Corte una questione pregiudiziale circa la compatibilità con la Direttiva rimpatri della contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale introdotta dal Pacchetto sicurezza del 2009189. Sono due i principali argomenti su cui si fonda l’ordinanza del giudice di Rovigo.
In primo luogo, il Tribunale si interroga sulla compatibilità con i principi di leale cooperazione e di effetto utile, nonché con le disposizioni stessa della direttiva rimpatri190, della legge italiana che, pur comminando per il reato di clandestinità la sola pena pecuniaria, prevede che questa sia sostituibile con la permanenza domiciliare (fino a 45 giorni)191, ai sensi degli artt. 53 e 55, co. 5 d.lgs. n. 274/2000, nel caso – non remoto – di insolvibilità del condannato. In tale scenario, prospetta il giudice italiano, potrebbe infatti accadere che la sostituzione della pena pecuniaria ineseguita intervenga nel corso del procedimento di rimpatrio192, con la conseguenza che la previsione della pena limitativa della libertà personale si porrebbe in contrasto con l’effetto utile della Direttiva: l’efficace rimpatrio193. Il ritardo, infatti, tenendo conto che la permanenza domiciliare,
un procedimento penale con possibilità di reclusione nel corso del procedimento di rimpatrio, ne poteva ritardare e pregiudicare l’efficacia, secondo un’argomentazione sovrapponibile a quella formulata nella sentenza El Dridi con riferimento al nostro art. 14, co. 5 ter t.u. imm. Sul punto: G.L. GATTA, Il ‘reato di
clandestinità’ (art. 10 bis t.u. imm.) e la ‘direttiva rimpatri’, op. cit., p. 4
189 Già diversi giudici di merito italiani avevano disapplicato la norma incriminatrice sul presupposto della sua incompatibilità (v. ad es. G.d.P. Roma, 16.6.2011 e G.d.P. di Torino, 22.2.2011). Altre ordinanze di rimessione sono state inoltre pronunciate dai giudici di pace di Mestre e di Lecce).
190 In particolare, gli artt. 2, 4, 6, 7, 8 della direttiva 2008/115
191 Si tratta di una pena limitativa della libertà personale (da eseguirsi presso l’abitazione o “in altro luogo di privata dimora, ovvero in un luogo di cura, assistenza o accoglienza”).
192 Si tratta, per vero, di un’eventualità molto rara dato che, nel nostro ordinamento, il grave stato di ineffettività della pena pecuniaria, che di regola “non viene mai eseguita né convertita” (così E. DOLCINI,
La pena in Italia, oggi, tra diritto scritto e prassi applicativa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol.
II, p. 1099). Nel 2004, ad esempio (dati ISTAT), i casi in cui si è approdati alla conversione rappresentano solo il 2,4% del totale delle condanne a pena pecuniaria. Cfr. L. GOISIS, La pena pecuniaria. Un’indagine
storica e comparata, Milano, 2008, p. 131.
193 Specifica ulteriormente G.L. GATTA, Il ‘reato di clandestinità’ (art. 10 bis t.u. imm.) e la ‘direttiva
rimpatri’, op. cit., p. 7: «In tal senso si potrebbe invocare il principio generale secondo cui una sanzione
penale, quale la permanenza domiciliare, va eseguita per intero prima dell’espulsione: l’espulsione non può essere eseguita durante l’esecuzione della permanenza domiciliare poiché la legge non lo prevede. Di qui il possibile ritardo nell’esecuzione del rimpatrio dello straniero». A tal riguardo la Difesa di Sagor (Avv. Luca Masera), nell’udienza del 13.09.2012 afferma: «Il Governo italiano sostiene poi che comunque il reato in esame non costituisca un ostacolo alla procedura di rimpatrio, come si desumerebbe dal fatto che l’art. 10 bis co. 5 prevede l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere per tale reato quando al
normalmente, trova esecuzione solo nel fine settimana (art. 53 d.lgs. n. 274/2000), potrebbe arrivare a raggiungere un periodo di tempo di 22/23 settimane, ossia 5 mesi194. In secondo luogo, il Tribunale di Rovigo chiede se, alla luce dei principi di leale cooperazione e di effetto utile delle direttive, gli articoli 2, 15 e 16 della direttiva rimpatri ostino alla possibilità che uno Stato membro possa con legge prevedere che un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno è irregolare per lo Stato membro, venga sanzionato con una pena pecuniaria sostituita dall’espulsione immediatamente eseguibile come sanzione penale senza il rispetto della procedura e dei diritti dello straniero previsti da detta direttiva. Il Tribunale, infatti, si premura di evidenziare che, secondo quanto previsto dagli artt. 16 t.u.imm. e 62 bis d.lgs. n. 274/2000, in caso di sostituzione della pena dell’ammenda con l’espulsione, per espresso rimando all’art. 13 co. 4, lett. f) t.u.imm., quest’ultima troverà esecuzione secondo la procedura di accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, in contrasto con le previsioni della Direttiva195.
Come pragmaticamente riassume la Corte di Giustizia, quindi, «con la sua prima e seconda questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la direttiva 2008/115 debba essere interpretata nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che sanziona il soggiorno irregolare di cittadini di paesi terzi con una pena pecuniaria sostituibile con la pena dell’espulsione o con l’obbligo di permanenza domiciliare».
giudice sia comunicata l’esecuzione del rimpatrio (par. 50 ss.). L’argomentazione del Governo, in realtà, travisa la realtà normativa, per le ragioni già correttamente poste in luce nella memoria scritta della Commissione. La norma cui il Governo si riferisce attiene, infatti, alla fase in cui il procedimento penale sia aperto, e prevede appunto che tale processo si concluda con sentenza di non luogo a procedere quando pervenga notizia del rimpatrio. Tale norma però non è in alcun modo applicabile nella diversa situazione in cui il processo penale si sia concluso, e sia stata inflitta una pena pecuniaria, sostituita con la pena della permanenza domiciliare. In questa ipotesi, ed in mancanza di alcuna norma ad hoc, vale il principio generale dell’ordinamento per cui le sanzioni penali disposte dal giudice devono essere espiate dal condannato, e dunque non vi sono dubbi che, per tutta la durata della permanenza domiciliare, lo straniero non possa essere rimpatriato» (punti 7-8-9; la trascrizione integrale è consultabile in F. VIGANÒ, La Corte di Giustizia
UE su articolo 10 bis t.u. immigrazione e direttiva rimpatri, in Dir. pen. cont., 7 dicembre 2012).
194 G.L. GATTA, Il ‘reato di clandestinità’ (art. 10 bis t.u. imm.) e la ‘direttiva rimpatri’, op. cit., p. 7 195 L’art. 13 co. 4 lett. f) t.u. imm., infatti, prevede espressamente tra i casi di espulsione con accompagnamento alla frontiera quella disposta ai sensi dell’art. 16 t.u. imm. a titolo di sanzione sostitutiva per il reato di cui all’art. 10 bis t.u. imm. (oltre che per «altre ipotesi in cui sia stata disposta l’espulsione dello straniero come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale»), così richiamando a chiare lettere proprio l’eccezione prevista dall’art. 2 co. 2 lett. b della Direttiva, sulla cui esatta interpretazione si era espressa la sentenza Achughbabian.
Orbene, i giudici europei respingono le argomentazioni del Governo italiano circa la irricevibilità della prima e della seconda questione196 e poi passano a trattare il merito delle questioni presentate. Come abbiamo potuto vedere, queste riguardano aspetti specifici dell’art. 10 bis t.u.imm. e non la sua stessa esistenza, la cui compatibilità con il diritto europeo, anzi, viene subito ribadita dai giudici con un richiamo ai principi espressi nelle precedenti sentenze (El Dridi e Achughbabian) in forza dei quali la direttiva non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare alla stregua di reato197.
La Corte inizia il proprio esame dalla compatibilità con la direttiva della sostituzione dell’ammenda con un provvedimento di espulsione e ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, il contenuto della direttiva «sarebbe compromesso se lo Stato membro interessato, dopo aver accertato il soggiorno irregolare del cittadino di un paese terzo, anteponesse all’esecuzione della decisione di rimpatrio, o addirittura alla sua stessa adozione, un procedimento penale idoneo a condurre alla reclusione nel corso della procedura di rimpatrio. Tale modo di procedere rischierebbe infatti di ritardare l’allontanamento»198. Nel caso di una disciplina come quella delineata dall’art. 10 bis t.u.imm., però – osserva la Corte con sollievo del Governo italiano – che prevede un procedimento penale che può sfociare nell’applicazione di un’ammenda cui può sostituirsi la pena dell’espulsione, gli effetti sono sensibilmente diversi da quelli di una normativa che prevede l’avvio di un procedimento penale, che può condurre alla reclusione nel corso della procedura di rimpatrio. E infatti, l’adozione e l’esecuzione delle misure di rimpatrio nominate dalla Direttiva «non vengono ritardate o in altro modo ostacolate dalla circostanza che è pendente un’azione penale», posto che, per espressa previsione dell’art. 10 bis co. 5 t.u.imm. «il rimpatrio previsto agli articoli 13 e 14 di detto decreto legislativo può essere realizzato indipendentemente da tale azione penale e senza
196 Il governo italiano ritiene che tali questioni abbiano mera natura teorica nel procedimento principale e siano, di conseguenza, irricevibili.
197 La direttiva 2008/115 verte unicamente sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare e, pertanto, non si prefigge l’obiettivo di armonizzare integralmente le norme degli Stati membri sul soggiorno degli stranieri. Tale direttiva, quindi, non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare alla stregua di reato e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione (sentenza Achughbabian, cit., punto 28). (§31). Tuttavia, uno Stato non può applicare una disciplina penale idonea a compromettere l’applicazione delle norme e delle procedure comuni sancite dalla direttiva 2008/115, privando così quest’ultima del suo effetto utile (v. sentenze del 28 aprile 2011, El Dridi, C-61/11 PPU, Racc. pag. I-3015, punto 55, e Achughbabian, cit., punto 39) (cfr. §32).
che quest’ultima debba essere stata accolta, tanto che il giudice deve, qualora prenda conoscenza del rimpatrio dell’interessato, chiudere il procedimento penale con una sentenza di non luogo a procedere»199. Ma non solo, nemmeno la possibilità che detta azione penale conduca all’applicazione della pena di un’ammenda è idonea ad ostacolare la procedura di rimpatrio posto che l’applicazione di una pena pecuniaria «non impedisce in nessun modo che una decisione di rimpatrio sia adottata ed attuata nella piena osservanza delle condizioni enunciate agli articoli 6-8 della direttiva 2008/115 e non pregiudica neppure le norme comuni in materia di adozione di provvedimenti restrittivi della libertà enunciate agli articoli 15 e 16 di tale direttiva».
Con riguardo, poi, alla possibilità (ex art. 16 co. 1 t.u.imm.) di sostituire la pena dell’ammenda con la pena dell’espulsione (accompagnata da un divieto d’ingresso di almeno cinque anni) nei soli casi in cui l’allontanamento sia immediatamente eseguibile, non ricorrendo le condizioni ostative di cui all’art. 14 co. 1 t.u.imm., la Corte osserva che – in linea di principio – la direttiva rimpatri non osta a che il provvedimento di espulsione venga adottato con la forma di una pronuncia giudiziaria di carattere penale200. In un secondo passaggio201, però, la Corte, osserva che l’espulsione delineata dalla disciplina in esame è caratterizzata dall’assenza di qualsiasi possibilità per l’interessato di vedersi concedere un periodo di tempo per la partenza volontaria, mentre in base all’art. 7 della direttiva, di regola, tale termine deve essere concesso allo straniero. A tale regola, però, lo Stato può derogare al ricorrere delle ipotesi eccezionali previste dal § 4 dell’art. 7, tra le quali si annovera il rischio che l’interessato fugga per sottrarsi alla procedura di rimpatrio.
Data questa disciplina, il giudice italiano – alla luce di un esame individuale della fattispecie in cui è coinvolto l’interessato – potrà avvalersi della facoltà di sostituire la
199 Cfr. §35
200 Si legge nella sentenza, infatti, che proprio dalla «definizione elastica della nozione di ‘decisione di rimpatrio’ che compare all’articolo 3, punto 4» si ricava che «quest’ultima non osta a che la decisione che impone l’obbligo di rimpatrio sia, in talune ipotesi determinate dallo Stato membro interessato, adottata sotto forma di una pronuncia giudiziaria di carattere penale. Allo stesso modo, nella direttiva 2008/115 nulla osta a che l’allontanamento previsto all’articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva sia realizzato nel contesto di un procedimento penale. Del resto, la circostanza che una pena d’espulsione, come quella prevista dalla disciplina di cui trattasi nel procedimento principale, comporti un obbligo di rimpatrio immediatamente esecutivo e non esiga quindi l’adozione ulteriore di una separata decisione recante allontanamento dell’interessato non è in contrasto neppure con le norme e con le procedure comuni sancite dalla direttiva 2008/115, come attestato dalla formulazione dell’articolo 6, paragrafo 6, di detta direttiva e dal termine «possono» impiegato all’articolo 8, paragrafo 3, della medesima» (§39).
pena pecuniaria con la misura dell'espulsione ai sensi dell'art. 16 d.lgs. 286/2012 solo quando il caso rientri tra quelli eccezionali elencati dall'art. 7 § 4 della direttiva, e vi sia, in particolare, pericolo di fuga dello straniero.
In ogni caso, chiosa sul punto la Corte, l’espulsione disposta dal giudice ai sensi dell’art. 16 t.u. imm. dovrà conformarsi all’art. 11 §2 della Direttiva che pone quale limite massimo di durata al divieto di reingresso il termine di cinque anni.
Passando all’esame della rimanente questione – attinente alla possibilità di convertire l’ammenda non eseguita con l’obbligo di permanenza domiciliare – alla Corte sembra evidente che «irrogare ed eseguire una pena di permanenza domiciliare nel corso della procedura di rimpatrio […] non contribuisce alla realizzazione dell’allontanamento che detta procedura persegue» e che dunque tale misura «è idonea a ritardare e, quindi, ad ostacolare […] l’accompagnamento alla frontiera e il rimpatrio forzato per via aerea, che contribuiscono, invece, alla realizzazione dell’allontanamento»202. Il rischio pare concretizzarsi, in particolare, quando la disciplina nazionale applicabile non preveda che l’esecuzione dell’obbligo di permanenza domiciliare debba avere fine a partire dal momento in cui sia possibile realizzare l’allontanamento dello straniero irregolare203. La Corte rinvia al giudice nazionale il compito, quindi, di verificare se nell’ordinamento italiano esista un meccanismo idoneo a far prevalere l’esecuzione dell’allontanamento sull’obbligo di permanenza: condizione indispensabile per la compatibilità della disciplina italiana contenuta negli artt. 53 e 55 d.lgs. 274/2000 con la direttiva rimpatri. La Corte di Giustizia dell’Unione europea sembrerebbe così aver, da un alto, ‘salvato’ l’espulsione quale pena sostituiva dell’ammenda mentre, dall’altro lato, ravvisato una potenziale incompatibilità con la direttiva 2008/115/CE della trasformazione – in caso di insolvenza – della pena pecuniaria in un obbligo di permanenza domiciliare.
La più attenta dottrina ha però sin da subito osservato che si trattasse, in realtà, di un ‘apparente salvataggio’204 del reato di clandestinità, il quale ha invece subito un nuovo duro colpo ad opera della Corte di Lussemburgo.
202 Cfr. §§ 43-45. Infatti, in base al tasso di conversione stabilito dall’art. 55 co. 6 d.lgs. 274/2000 (pari a un giorno per ogni 25 euro di pena pecuniaria), e tenendo conto della misura minima dell’ammenda irrogabile per la contravvenzione in parola (ossia 5.000 euro), risulta necessariamente pari al massimo legale stabilito dallo stesso art. 55 co. 6, e cioè a 45 giorni, pari a 23 fine settimana)
203 Cfr. §45
Se da un lato è restata intatta (ma davvero difficilmente eseguibile in concreto) la pena dell’ammenda da 5000 a 10000 euro, dall’altro lato, la ‘vera sanzione’ pensata dal legislatore italiano (ossia l’espulsione) ha subito una forte limitazione. Dopo Sagor, infatti, la sostituzione dell’ammenda con l’espulsione ai sensi dell’art. 16 co. 1 t.u.imm e 62 bis d.lgs. 274/2000 viene sottoposta a una duplice condizione: la possibilità di una esecuzione immediata dell'espulsione, non sussistendo alcuna delle condizioni ostative previste dall’art. 14 co. 1 t.u. imm; e l’esistenza di un concreto rischio di fuga da parte dello straniero, valutato dal giudice caso per caso. Ebbene, qui si coglie la portata fortemente limitante della sentenza: in assenza di suddetto rischio di fuga, lo straniero destinatario di un provvedimento di rimpatrio, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva, dovrebbe vedersi riconoscere un termine per la partenza volontaria…che però né l’art. 16 t.u.imm. né l’art. 62 bis d.lgs. 274/200 prevedono. L’unica possibile conseguenza, dunque – disattendendo ogni speranza del Governo di eludere la Direttiva usufruendo dell’eccezione di cui all’art. 2 § 2 – sarà l’impossibilità, in tali ipotesi, di sostituire la pena pecuniaria con la misura dell’espulsione205.
205 In questo senso, F.VIGANÒ, La Corte di Giustizia UE su articolo 10 bis t.u. immigrazione e direttiva
rimpatri, op cit. che rinvia alle assai dettagliate conclusioni della Difesa (Avv. Masera) sul punto
(§§19-25): «Sino al giugno 2011, la legge italiana prevedeva, contrariamente a quanto richiesto dalla direttiva all’art. 7, che la modalità ordinaria di esecuzione dell’espulsione fosse l’accompagnamento coattivo alla frontiera a mezzo della forza pubblica, e si concedesse un termine per la partenza volontaria solo qualora non fosse possibile procedere all’accompagnamento immediato. Dopo la sentenza El Dridi, e le censure ivi contenute a tale sistema (par. 50 e 51), il legislatore italiano è intervenuto con il d.l. n. 89/2011, prevedendo all’art. 13 co. 5 t.u. imm. che lo straniero abbia diritto a richiedere un termine per la partenza volontaria, qualora non ricorrano le condizioni ostative di cui al co. 4. In verità vi sono fondate ragioni per ritenere che anche l’attuale disciplina della partenza volontaria presenti profili di incompatibilità con la direttiva […] il reato di cui all’art. 10 bis rappresenta lo strumento per negare allo straniero anche questa remota possibilità di avere accesso alle garanzie della direttiva. Il meccanismo è molto semplice. Ogni straniero irregolare, in ragione del suo status, è responsabile del reato previsto all’art. 10bis; per questo reato il giudice può disporre il rimpatrio coattivo ed immediato, anche in mancanza delle condizioni ostative alla partenza volontaria di cui all’art. 13 co. 4: di conseguenza lo straniero può essere sempre e comunque privato del termine per la partenza volontaria, in frontale contrasto con quanto previsto dall’art. 7 della direttiva. […] Gli argomenti addotti dal Governo italiano per negare questa evidente violazione delle garanzie riconosciute dalla direttiva ci paiono davvero inconsistenti […]. Nelle osservazioni del Governo ai quesiti formulati dalla Corte è poi presente un vero e proprio travisamento del dato normativo, quando il Governo afferma al par. 18 che «allo straniero è sempre riconosciuto il diritto di ottenere un termine per la partenza volontaria». In realtà è vero esattamente il contrario: il meccanismo dell’art. 10 bis e dell’art. 16 serve proprio per negare allo straniero la concessione del termine, e per procedere immediatamente all’accompagnamento coattivo alla frontiera, senza neppure concedere allo straniero la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa, visto che l’espulsione può essere disposta anche nei confronti dello straniero contumace. Del resto, l’introduzione nel 2009 del reato in esame era stata motivata proprio dalla volontà del Governo italiano di non adeguare il sistema interno alla direttiva, continuando a prevedere il rimpatrio coattivo come strumento ordinario di esecuzione delle espulsioni […]. Tale argomentazione, riproposta ancora dal Governo nella sua memoria (par. 61), è già stata confutata dalla sentenza El Dridi, ed in maniera ancora più nitida dalla sentenza Achughbabian, che ha definitivamente chiarito come una tale interpretazione “priverebbe la direttiva della sua ratio e del suo effetto vincolante” (par. 41), e la clausola
Non solo. Di fatto – mancando nell’ordinamento italiano una disposizione in grado di coordinare l’esecuzione della permanenza domiciliare e la procedura di espulsione, garantendo la prevalenza di quest’ultima – il giudice non avrebbe potuto nemmeno convertire l’ammenda in obbligo di permanenza domiciliare dato che quest’ultima avrebbe finito col paralizzare, per oltre cinque mesi, l’esecuzione dell’espulsione206. Solo nel 2014, però, il legislatore ha posto rimedio a questa situazione. Intervenuto con la l. n. 163/2014 (legge europea 2013 bis), ha introdotto all’art. 13 t.u.imm. il nuovo comma 3
septies ai sensi del quale «Nei confronti dello straniero sottoposto alle pene della
permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità per i reati di cui all’articolo 10 bis o all’art. 14 co. 5 ter e 5 quater, l’espulsione prevista dal presente articolo è eseguita in ogni caso e i giorni residui di permanenza domiciliare o di lavoro di pubblica utilità non eseguiti si convertono nella corrispondente pena pecuniaria secondo i criteri di ragguaglio indicati nei commi 2 e 6 dell’articolo 55 del d.lgs. 274/2000».
5.7. L’aggravante della clandestinità (art. 61 n. 11 bis c.p.)
La breve vita della cosiddetta ‘aggravante della clandestinità’ inizia con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in l. 24 luglio 2008, n. 125 e si conclude con la sentenza della Corte costituzionale 8 luglio 2010, n. 249 che ne ha dichiarato il contrasto con gli artt. 3 co. 1 e 25 co. 2 della Costituzione. Nel pur breve periodo della sua vigenza (tra la fine del