LA CRIMINALIZZAZIONE DELL’IMMIGRAZIONE
LA PREVISIONE DI CONSEGUENZE PENALISTICHE PER VIOLAZIONI DI DISPOSIZIONI CONNESSE ALL’IMMIGRAZIONE
7. Ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore
Nel disegno originario del testo unico del 1998, l’intenzione del legislatore era principalmente quella di colpire con la sanzione penale le sole ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione illegale (art. 12 t.u.imm.). La condizione di irregolarità, invece, costituiva unicamente – anche nelle ipotesi di violazione di un ordine di allontanamento – un illecito amministrativo, sanzionato con un provvedimento coattivo di espulsione (o, in alternativa, con l’intimazione a lasciare il territorio). Solo l’art. 13 co. 13 – già nella sua versione originaria – interveniva con una sanzione penale (mutuata dall’art. 151 t.u.l.p.s.: l’arresto da due a sei mesi) a punire lo straniero che rientrava in Italia prima della scadenza del divieto di rimpatrio.
In questo scenario, dapprima nel 2002, interviene la legge Bossi-Fini, che per la prima volta qualifica in termini di illiceità penale l’inottemperanza all’ordine di allontanamento (sanzionandola, al nuovo art. 14 co. 5 ter, con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno) e innalza la pena (già prevista) per il trattamento per i casi di violazione del divieto di reingresso. Due anni più tardi, il legislatore del 2004, inasprisce ulteriormente le pene (sia dell’inottemperanza all’ordine di allontanamento che della violazione del divieto di reingresso) prevedendo la reclusione da uno a quattro anni. Questi due interventi finiscono per conferire massima centralità allo strumento dell’art. 14 co. 5 ter e 5 quater
nella gestione del fenomeno migratorio, in termini sia di efficacia che di effettiva applicazione della fattispecie, tanto che in dottrina vi è chi parla di una vera e propria ‘criminalizzazione di massa degli stranieri irregolari’261 con pesanti (e forse insostenibili) ricadute sul sistema giudiziario e penitenziario italiano262. Quando la più volte nominata sentenza El Dridi del 2011 ne ha dichiarato l’incompatibilità con la direttiva rimpatri – per contrasto della pena detentiva con l’effetto utile della direttiva, ossia la rapida ed effettiva espulsione dello straniero – il sistema subisce un duro colpo e si vede costretto a ripiegare sulla pena pecuniaria (non sembrando vacillare la volontà di mantenere la rilevanza penale della fattispecie). Vengono così riformulati i delitti di cui agli artt. 14 co. 5 ter e quater, prevedendo la sanzione (giunta sino ai giorni nostri) della (sola) pena pecuniaria. Nonostante la mitigazione, non sono mancate in dottrina perplessità circa la legittimità comunitaria delle nuove sanzioni: prevedendosi infatti – come già per la ben più lieve ammenda di cui all’art. 10 bis t.u.imm., – una diffusa ed inevitabile impossibilità di eseguire le pene pecuniarie, diventerebbe pressoché scontata una loro conversione nella sanzione della permanenza domiciliare che, seppur in maniera più blanda, è uno strumento che incide sulla libertà personale dello straniero in modo incompatibile con i precetti fissati dalla direttiva e con il contenuto della sentenza El Dridi263.
Dal 2011 ad oggi non sono mancati altri interventi della Corte di Giustizia dell’Unione europea che hanno continuato a incidere sulla disciplina dell’inottemperanza all’ordine di espulsione prevista dai diversi Stati membri. Con riferimento alle fattispecie che ci accingiamo ad esaminare ricordiamo, in particolare il caso Filev e Osmani264 del 2013. Grazie ad una questione sollevata da un giudice tedesco, la Corte torna ad occuparsi degli effetti della direttiva rimpatri sul diritto penale dell’immigrazione degli Stati membri e, in particolare, sul divieto di reingresso. La Corte affronta con riferimento al diritto tedesco – ma con scarse ricadute sulla disciplina italiana265 – i temi della non conformità al diritto
261 In termini L.MASERA, Il delitto di illecito reingresso, op. cit. p. 243
262 In questo senso, critici sulla politica-criminale in materia di immigrazione, cfr. ex multis M. DONINI, Il
cittadino extra-comunitario da oggetto materiale a tipo d’autore, op. cit. p. 105 ss. e F. PALAZZO, Sicurezza
urbana ed immigrazione, op. cit. p. 24 ss.
263 La medesima questione, oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE con riferimento all’art. 10 bis, è approfondita supra parr. 5.6 ss
264 Corte Giustizia UE, IV sezione, sent. 19 settembre 2013, C-297/12, Filev e Osmani
265 L.MASERA, Illecito reingresso dello straniero e direttiva rimpatri al vaglio della Corte UE, in Dir. pen.
europeo: di provvedimenti di espulsione contenenti un divieto di reingresso di durata indeterminata (salva la possibilità per l’interessato di presentare una domanda volta ad ottenere una limitazione temporale)266, della previsione di una sanzione penale detentiva a carico dello straniero che abbia violato il divieto di reingresso a distanza di più di cinque anni dall’emissione del provvedimento contenente il divieto, anche se tale provvedimento sia stato adottato prima che sorgesse per lo Stato l’obbligo di recepire la direttiva267; infine la Corte si sofferma sull’esatta interpretazione dell’eccezione prevista dall’art. 2 § 2 lett. b (che esonera gli Stati dall’applicazione della direttiva nei confronti di stranieri «sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale».
7.1. Le fattispecie di cui all’art. 14 co. 5 ter t.u.imm.
La fattispecie incriminatrice in esame ha natura di reato omissivo proprio, posto che posto un obbligo giuridico per lo straniero di agire (ossia di abbandonare il territorio italiano entro sette giorni in forza di un legittimo provvedimento amministrativo) il reato si realizza con l’omessa esecuzione del comportamento dovuto, ossia con la permanenza in Italia. Come per le altre fattispecie sopra esaminate, si prospetta una discussa interpretazione della sua natura in termini di reato istantaneo o permanente: un primo orientamento muove dall’identificazione del momento consumativo del reato omissivo proprio nel verificarsi del «non evento», coincidente dunque con la scadenza del termine concesso per abbandonare il territorio nazionale, e si ricollega alla dottrina che afferma «se l’azione comandata ha natura permanente, la condotta omissiva tipica avrà natura
266 Secondo la Corte: «il fatto di subordinare, nel diritto nazionale, il beneficio di una simile limitazione delle durata di un divieto d'ingresso alla presentazione di una domanda del cittadino interessato di un paese terzo, non è sufficiente al conseguimento dell’obiettivo di cui all’art. 11 § 2 della direttiva» (§ 31) e, dunque, nel ragionamento della Corte «l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale, quale l’articolo 11, paragrafo 1, dell’Aufenthaltsgesetz, che subordini la limitazione della durata di un divieto d’ingresso alla presentazione da parte del cittadino interessato di un paese terzo di una domanda volta a ottenere il beneficio di una siffatta limitazione».
267 In assenza di ogni disposizione contenente un regime transitorio per le decisioni adottate prima della sua entrata in vigore, dovrà trovare applicazione il principio consolidato per cui «una nuova norma si applica immediatamente, salvo deroghe, agli effetti futuri delle situazioni sorte sotto l’impero della vecchia legge» (§ 40): con la conseguenza che il limite dei cinque anni fissato dalla direttiva dovrà essere applicato anche nei casi di divieti emessi prima che la direttiva fosse applicabile. In Italia questo tema era già stato affrontato dalla giurisprudenza e ampiamente commentato in dottrina, a cui si rinvia: L.MASERA, Illecito reingresso, op. cit.
permanente; se l’azione comandata ha natura istantanea, la condotta omissiva tipica avrà natura istantanea»268. Da qui concludeva che, dato che la condotta prescritta dall’art. 14 co. 5 ter, ha natura istantanea, lo stesso deve dirsi per il relativo reato. Nel senso opposto sembrava invece orientarsi la giurisprudenza di legittimità269, che valorizzava il dato testuale introdotto dal legislatore del 2009 il quale aveva sostituito il verbo «trattenersi» con «permanere». Il dibattito viene meno con gli ulteriori interventi del 2011 che modificano il fatto tipico eliminando il riferimento alla permanenza e concentrando l’attenzione sulla violazione dell’ordine di allontanamento, che, pacificamente, si consuma con il mancato allontanamento alla scadenza del termine, accordando preferenza alla tesi del reato istantaneo270.
7.1.1. Elemento oggettivo e soggettivo
Data la complessità della fattispecie, una pur sintetica analisi dell’elemento soggettivo non può prescindere dal prendere in considerazione tre diversi aspetti: la sindacabilità giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi presupposti, le condotte tipiche descritte dalla norma e la clausola «senza giustificato motivo271.
Data l’estrema complessità e l’importanza del primo profilo – che da solo meriterebbe un’autonoma trattazione – ci limitiamo a riportarne i due principali snodi: il primo attiene alla idoneità – confermata – del provvedimento di espulsione disposto ai sensi dell’art. 13 co. 4 t.u.imm. (così come risultante dopo l’intervento di riforma del 2011) a descrivere la tipicità delle diverse fattispecie di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore e, dunque, a rientrare tra gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 14 co. 5 ter t.u.imm; il secondo – ben noto in dottrina e giurisprudenza anche fuori dal tema in esame – riguarda i rapporti tra giurisdizione penale e attività amministrativa e, in particolare, la vexata quaestio della disapplicabilità dell’atto amministrativo la cui violazione è penalmente sanzionata272.
268 A. CADOPPI, Il reato omissivo proprio. Profili dogmatici, comparatistici e de lege ferenda, Padova, 1988, p. 894
269 Cfr. ex multis Cass. sez. I, 7 novembre 2003, Ben Rhouma; Cass. sez. I, 28 novembre 2007, Brimi, CED 47460
270 Riporta il dibattito A.CAPUTO, I reati collegati all’espulsione, op. cit. p. 161.
271 Adotta questa tripartizione A. CAPUTO, I reati collegati all’espulsione, op. cit. pp. 162 ss. cui rimandiamo per ogni ulteriore approfondimento e indicazione bibliografica.
Passando al secondo profilo – ovvero l’esatta individuazione delle condotte tipiche descritte dalla norma – le difficoltà di coordinamento e di esatta individuazione delle condotte rilevanti emergono dalla semplice lettura del comma 5 ter che delinea due fattispecie incriminatrici distinte, non senza qualche difficoltà, sulla base del tipo di espulsione che era conseguenza dell’originaria violazione del divieto di reingresso di cui al comma 5 bis. Nella prima fattispecie, in assenza di giustificato motivo, è punita con la multa da 10.000 a 20.000 euro, la violazione dell’ordine di reingresso ai sensi del comma 5 bis, in caso di respingimento o espulsione disposta ai sensi dell’art. 13 co. 4, o se lo straniero, ammesso ai programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all'articolo 14 ter, vi si sia sottratto. Nella seconda fattispecie, invece, si prevede l’applicazione della multa da 6.000 a 15.000 euro se, stante sempre la violazione del divieto di cui al comma 5 bis, l’espulsione è stata disposta in base all’art.13 co. 5273.
Il terzo profilo – che abbiamo già in parte analizzato supra trattando dell’art. 10
bis – riguarda il ruolo giocato dalla clausola «senza giustificato motivo». Notiamo
innanzitutto che la sua presenza non è stata oggetto di revisioni nel corso dei molteplici interventi di riforma della fattispecie benché il suo carattere elastico avesse fatto sorgere dubbi di legittimità costituzionale in merito al principio di tassatività/determinatezza. La Corte, tuttavia, con la nota sentenza n. 5/2004, ha ritenuto infondata la questione, sposando la tesi della natura di «valvole di sicurezza» di siffatte clausole e precisando che «la clausola in questione, se pure non può essere ritenuta evocativa delle sole cause di giustificazione in senso tecnico — lettura che la renderebbe pleonastica, posto che le scriminanti opererebbero comunque, in quanto istituti di ordine generale — ha tuttavia riguardo a situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; non anche ad esigenze che riflettano la condizione tipica del “migrante economico”, sebbene espressive di istanze in sé e per sé pienamente legittime, sempre che — come è ovvio — non ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti previste dall’ordinamento»274. Non solo, la clausola è utile e necessaria anche in un’ottica di coordinamento dell’art. 14 co. 5 ter con le altre norme incriminatrici, in particolare: «i motivi che a mente dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998
273 A.CAPUTO, I reati collegati all’espulsione, op. cit. p. 165. 274 Cfr. C. cost. 5/2004, § 2.2. del Considerato in diritto
legittimano la pubblica amministrazione a non procedere, in deroga al drastico imperativo di cui all’art. 13, comma 4 («l’espulsione è sempre eseguita …»), all’accompagnamento coattivo dello straniero alla frontiera — necessità di soccorso; difficoltà nell’ottenimento dei documenti per il viaggio; indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo (non, però, ovviamente, la mera difficoltà di accertare l’identità o la nazionalità dello straniero, che debbono presumersi a lui ben note) — non possono non costituire sicuri indici di riconoscimento di situazioni nelle quali può ravvisarsi, per lo straniero, la sussistenza di «giustificati motivi» per non ottemperare all’ordine del questore. E ciò in specie (ad impossibilia nemo tenetur) quando l’inadempienza dipenda dalla condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera (in particolare aerea o marittima) e di acquistare il biglietto di viaggio; ovvero dipenda dal mancato rilascio, da parte della competente autorità diplomatica o consolare, dei documenti necessari, pure sollecitamente e diligentemente richiesti (conclusioni, queste, sulle quali concorda, in effetti, la giurisprudenza di merito largamente maggioritaria)».
Dal 2009, il carattere delittuoso della fattispecie richiede la presenza del dolo che, in particolare, nel suo momento rappresentativo deve investire anche i presupposti della condotta, ossia il provvedimento espulsione o di respingimento e l’ordine di allontanamento del questore. Si ripresentano anche in questo caso i dubbi visti supra in merito alla completezza e chiarezza delle traduzioni dei provvedimenti indicati (o, meglio della loro idoneità a rendere il destinatario pienamente consapevole dei contenuti del provvedimento e delle conseguenze della sua eventuale inottemperanza) e della eventuale rilevanza in termini di errore sul fatto determinato da errore su legge penale ai sensi dell’art. 47 co. 3 c.p.
7.2. La fattispecie di cui all’art. 14 co. 5 quater t.u.imm.
La fattispecie di cui al comma 5 quater prevede che «La violazione dell’ordine disposto ai sensi del comma 5 ter, terzo periodo, è punita, salvo giustificato motivo, con la multa da 15.000 a 30.000 euro». La formulazione è frutto delle modifiche operate dal legislatore
del pacchetto sicurezza del 2009 (e sostanzialmente confermate dalla l. 129/2011)275. Con l’introduzione di una nuova incriminazione della violazione del secondo ordine di allontanamento emesso nel caso in cui la vicenda relativa al primo non avesse condotto all’effettivo allontanamento dello straniero, il legislatore ha sostanzialmente trasformato la fattispecie di cui al comma 5 quater – da reato di illecito reingresso dello straniero espulso – in reato di permanenza illegale, con una struttura pressoché assimilabile nella fisionomia a quella del comma 5 ter (alla cui analisi rimandiamo).
Permanevano, tuttavia, delle differenze di cui era simbolo la mancata previsione della clausola dell’assenza del giustificato motivo, limitandosi la formulazione del 2009 a fare riferimento alla illegalità della permanenza. Nel 2010, la Corte costituzionale – con la sentenza n. 359/2010 – è tuttavia intervenuta dichiarando la incostituzionalità di tale mancanza posto che non ravvisava la presenza di particolari differenze tra il comma 5 ter e il 5 quater, idonee a giustificare tale diverso trattamento. In particolare, la Corte ha riconosciuto che l’unico elemento di differenziazione consiste nella «reiterazione dell’ordine di allontanamento rimasto inosservato da parte dello straniero, che lascia intatte tutte le motivazioni che hanno indotto il legislatore ad attenuare, in presenza di date situazioni, il rigore della norma penale che punisce la trasgressione dell’ordine medesimo».
Il legislatore del 2011 quindi, stabilendo che la violazione dell’ordine disposto ai sensi del comma 5 ter, terzo periodo, è punita «salvo giustificato motivo» ha recepito l’insegnamento della Corte.
Sotto un altro aspetto, così come nell’analisi dell’art. 13 ci siamo interrogati sul significato del termine «denuncia», in questa sede occorre soffermarsi sulla «violazione dell’ordine di allontanamento» al fine di comprendere quando l’art. 14 co. 5 quater possa dirsi configurabile. In altri termini, occorre comprendere se il reato delineato dal comma 5 ter debba essere stato oggetto di un accertamento giurisdizionale o meno. In dottrina si ritiene che il riferimento alla «violazione» nel corpo della disposizione che delinea la fattispecie incriminatrice dell’ingiustificata inosservanza del primo ordine di allontanamento, non può che essere intesa come violazione di tale norma, con la conseguenza che l’attribuibilità allo straniero del reato di ingiustificata inosservanza del
275 Per un’analisi della precedente formulazione: A.CAPUTO, I reati collegati all’espulsione, op. cit. pp. 183 ss.
primo ordine di allontanamento diviene presupposto dell’adozione del secondo. Attribuibilità che, dunque, non potrà che essere sinonimo di condanna per tale reato, a seguito di un accertamento giudiziale in via definitiva276.
8. La violazione di misure disposte in caso di concessione del termine per la partenza volontaria (art. 13 co. 5.2. t.u.imm) e delle misure disposte in alternativa al trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione (art. 14 co. 1 bis t.u.imm.)
L’art. 13 co. 5.2 prevede che quando viene concesso allo straniero un termine per la partenza volontaria277, il questore oltre a chiedere allo straniero di dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti, può disporre una o più delle seguenti misure: a) consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; b) obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato; c) obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente. Ai sensi dell’art. 14 co. 1 bis t.u.imm. le stesse misure, tuttavia, possono essere disposte dal questore quale misure alternative al trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione, al ricorrere di due requisiti: lo straniero deve essere in possesso di un passaporto (o altro documento equipollente in corso di validità) e l’espulsione non deve essere stata disposta ai sensi dell’articolo 13 co. 1 e 2, lett. c) t.u.imm. ovvero ai sensi dell’art.3 co. 1, del d.l. 27 luglio 2005, n. 144, conv., con modif., in l. 31 luglio 2005, n. 155.
276 A.CAPUTO, I reati collegati all’espulsione, op. cit. pp. 183 ss.
277 A seguito dell’intervento del legislatore del 2011 – che come abbiamo già più volte ricordato, ha provveduto ad adeguare la disciplina italiana in materia di immigrazione alla direttiva rimpatri – la modalità ordinaria per l’esecuzione del provvedimento di espulsione è rappresentata dalla concessione di un periodo per la partenza volontaria. Il combinato disposto dell’art. 13 co. 4 e 5, infatti, prevede che Lo straniero, destinatario di un provvedimento d'espulsione, qualora non ricorrano le condizioni per l'accompagnamento immediato alla frontiera di cui al comma 4, può chiedere al prefetto, ai fini dell’esecuzione dell'espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all'articolo 14 ter. Il prefetto, valutato il singolo caso, con lo stesso provvedimento di espulsione, intima lo straniero a lasciare volontariamente il territorio nazionale, entro un termine compreso tra 7 e 30 giorni. Tale termine può essere prorogato, ove necessario, per un periodo congruo, commisurato alle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno nel territorio nazionale, l’esistenza di minori che frequentano la scuola ovvero di altri legami familiari e sociali, nonché l’ammissione a programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all’articolo 14 ter.
Orbene, a presidio di entrambe le previsioni il legislatore del 2011 il legislatore ha posto per il trasgressore (anche di una sola delle misure) la pena della multa da 3.000 a 18.000 euro278.
Si tratta di un reato proprio (del destinatario di un provvedimento attributivo di una delle misure nominate) a natura istantanea che punisce la mera trasgressione delle misure questorili, estrinsecatasi in condotte diverse a seconda della misura interessata.
278 In realtà, le misure sono accumunate anche dal processo di convalida davanti al giudice di pace cui deve essere sottoposto entro 48 ore dalla notifica il provvedimento motivato di applicazione delle misure. Il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore. Le misure, su istanza dell’interessato, sentito il questore, possono essere modificate o revocate dal giudice di pace. In tali ipotesi, ai fini dell’espulsione dello straniero, non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all’art. 13 comma 3 da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato.
S
EZIONEII
L
A CRIMINALIZZAZIONE INDIRETTA IN SENSO STRETTO9. L’incriminazione di soggetti che, a diverso titolo, gravitano intorno ai migranti