LA CRIMINALIZZAZIONE DELL’IMMIGRAZIONE
2. Una definizione di crimmigration
2.3. La ricerca delle cause della crimmigration
2.3.2. La crimmigration alla luce della Membership Theory
Abbiamo visto che una sempre più sottile linea di confine separa criminal law e
immigration law, ormai giunte a fondersi anche nominalmente in un’unica parola
(crimmigration law)29. Un’altra possibile spiegazione di questa confluenza, nonché del sostanziale parallelismo tra deportation e criminal punishment, può esser rinvenuta nella cd. Membership theory30 (o teoria dell’appartenenza) formulata e proposta da Juliet Stumpf che, dopo aver coniato lo stesso termine crimmigration, ha scandagliato le ragioni della convergenza dei due rami del diritto, interrogandosi sulle ragioni di tale fenomeno. In estrema sintesi, questa lettura ravvisa nella membership theory – ossia nella tendenza a riservare ai soli ‘appartenenti al gruppo’ (ci soffermeremo nel prosieguo su questo concetto) il godimento e il rispetto di importanti diritti individuali – la causa del ravvicinamento tra diritto penale e il diritto amministrativo, ossia di due strumenti che, pur nati per scopi diversi, si trovano oggi a perseguire il medesimo fine: la definizione dei confini della società.
Essenzialmente la membership theory si basa sull’assunto che i diritti dell’individuo derivano dalla stipula di un patto (o contratto sociale) tra il governo e la popolazione: chi non fa parte del contratto o lo rompe non gode dei diritti e nei suoi confronti i governanti possono agire esulando dai limiti stabiliti dal contratto stesso, ossia senza assicurare il rispetto delle garanzie dei diritti. Il cuore della teoria risiede proprio nella estrema elasticità della categoria dei governati: è il legislatore stesso, infatti, a decidere i requisiti per essere membri del contratto sociale con la conseguenza che un eventuale irrigidimento o allentamento delle condizioni di accesso o di permanenza nel patto si traduce, rispettivamente, in una restrizione o in un ampliamento del novero dei destinatari dei diritti.
In questo quadro, il diritto penale e il diritto amministrativo si sono rivelati due settori chiave per la definizione della membership (ossia dell’appartenenza), finendo, infine, per confondersi e creare un nuovo, ibrido, strumento: la crimmigration law. Facciamo un passo indietro. Partendo dal presupposto che entrambi i sistemi esprimono valutazioni circa i requisiti e le azioni che, più o meno indirettamente, dimostrano la meritevolezza dell’ingresso nella società e della permanenza tra i consociati, è possibile dire che nel
29 J.STUMPF, The Crimmigration Crisis, op. cit. p. 376 30 J.STUMPF,The Crimmigration Crisis, op. cit., pp. 396 ss.
diritto dell’immigrazione l’appartenenza alla società viene chiarita in modo esplicito attraverso la definizione, con legge, dei requisiti per l’ottenimento di uno dei molteplici ‘gradi di cittadinanza’ (al vertice di un’ipotetica gerarchia degli status vi sono i cittadini, seguiti dai legal permanent residents, dai lawfully present non-residents e, al gradino più basso, gli undocumented migrants), ciascuno caratterizzato da un diverso bagaglio di garanzie costituzionalmente garantite31. Per l’ottenimento di uno di questi status lo straniero – unico vero destinatario della disciplina amministrativa in esame – deve vincere una presunzione di inammissibilità che, fino a prova contraria, lo ritiene ‘immeritevole’ dell’ingresso. Per quel che concerne il diritto penale, invece, deve anzitutto premettersi che il suo ruolo di ‘gatekeeper’ della società si esplica indifferentemente nei confronti di cittadini e stranieri: è solo con l’avvento della crimmigration, infatti, che il diritto penale assume toni particolarmente afflittivi per questi ultimi. In via generale, il diritto penale fissa i criteri di membership alla luce di determinate condotte che, se poste in essere, rivelano i sintomi di una scemata meritevolezza della vita in società cui segue un isolamento del reo. L’allontanamento dell’autore del fatto antisociale avviene normalmente con la reclusione, ossia la separazione dal resto della società per un determinato periodo di tempo. Sotto questo profilo non deve essere sottovalutata, secondo l’Autrice, l’importanza delle collateral sanctions (sanzioni accessorie) che, privando di alcuni vantaggi tipici della cittadinanza coloro che, commettendo un reato, hanno rotto il patto sociale, finiscono per escludere ulteriormente il reo dal contesto sociale. Con la condanna gli autori di reato vengono infatti privati della possibilità di associarsi, perdono i diritti politici (tra cui il diritto di voto), la possibilità di ricoprire cariche pubbliche e di godere dei benefici pubblici (in primis l’assistenza sociale). In sostanza, viene colpita la stessa appartenenza del reo alla società. Non stupisce, dunque, che nella dottrina statunitense vi sia chi parli di un vero e proprio processo di alienazione – nel senso
31 La protezione costituzionale è scandita su più livelli: i cittadini (quelli con il più alto livello di protezione), i lawful permanent residents (che non possono votare o ricoprire uffici pubblici, sono comunque soggetti a
deportation e nei cinque anni successivi all’ammissione soggiacciono a una speciale forma di probation
allo scadere dei quali, in assenza di ogni tipo di violazione di leggi penali, ottengono la naturalization; nei loro confronti, tuttavia, si esplicano le stesse garanzie processuali che spettano ai cittadini cfr. Landon v.
Plasencia, 459 U.S. 21 (1982), § 34), i lawfully present nonresidents, gli undocumented migrants (irregolari
a prescindere dalla durata della loro presenza sul territorio e dai legami sociali instaurati) e, infine, coloro che stanno provando a entrare (nei cui confronti non vi è alcuna protezione costituzionale), cfr. J.STUMPF,
letterale del termine – che fa dei criminali degli pseudo-stranieri o internal exile32.
Questa distinzione tra i due rami del diritto è durata per interi secoli, tanto che le eventuali violazioni della disciplina amministrativa dell’immigrazione, come abbiamo visto, hanno per lungo tempo costituito degli illeciti amministrativi o civili la cui principale conseguenza poteva sì essere l’espulsione ma non una condanna penale. Il criminal law, al contempo, si limitava a stabilire le regole e le procedure per l’accertamento dei reati e le conseguenze per i loro autori che, tuttavia, non contemplavano l’espulsione nemmeno quando il reo fosse uno straniero: al pari dei cittadini veniva condannato alla reclusione33. Fino agli anni ‘70, peraltro, le teorie della pena fatte proprie dal legislatore statunitense sembravano indirizzarsi verso una mitigazione della risposta sanzionatoria, sempre più di frequente orientata alla riabilitazione del reo e alla previsione di misure alternative alla detenzione, percorsi rieducativi e misure premiali di ‘accorciamento’ della durata iniziale della pena detentiva. In questo scenario, a partire dagli anni ’70 si è registrato un cambio di rotta. In primo luogo, forse per una diffusa sfiducia nella funzione riabilitativa della pena34, è tornata bruscamente in auge la teoria retributiva, con il suo carico di afflittività e protagonismo della pena detentiva, emblema della funzione interdittiva e deterrente della pena. Accanto alla sempre più diffusa scelta di incarcerazione anche per fatti minori, sono aumentate le collateral sanctions (perdita dei diritti politici e dei benefici pubblici quali il diritto all’alloggio, l’accesso all’istruzione e il diniego di licenze professionali) che, non bilanciate con la gravità del reato e direttamente incidenti sul membership status del condannato (cittadino o straniero), hanno finito per fare del reo un vero e proprio
outsider, sempre più isolato dal resto della società. In sostanza, questo nuovo approccio
32 N. V.DEMLEITNER, Preventing Internal Exile: The Need for Restrictions on Collateral Sentencing
Consequences, in Stanford Law & Policy Review, 11, 53, 1999.
33 A. D. SKLANSKY, Crime, Immigration, and Ad Hoc instrumentalism, op. cit. p. 158
34 La scelta del tipo di funzione da attribuire alla è espressione della sovranità dello Stato. Per un’analisi del cambiamento di funzione cui si è assistito negli anni ’70 negli USA si veda D.W.GARLAND,The culture of control. Crim e and Social Order in Contemporary Society, in University Chicago Press, 34/35, 2001.
L’Autore ravvisa tra le possibili cause una latente sfiducia nella funzione riabilitativa della pena che, pur in atto dal almeno un ventennio, non aveva portato a una diminuzione del tasso di criminalità; a tale cirocstanza lo Stato, chiamato a proteggere i cittadini, aveva ritenuto di intervenire con la previsione di pene più severe. Altre cause, tuttavia, vengono ravvisate: nella nuova conformazione della società le cui grandi dimensioni non consentivano di raggiungere un efficace effetto deterrente sul reo per mezzo della sola riprovazione sociale; nello ‘sfruttamento politico’ della funzione retributiva, più idonea nell’immeditato a dimostrare la capacità di far fronte al controllo della criminalità [sul punto anche J. STUMPF,The Crimmigration Crisis, cit., pp. 412-413]. A prescindere dalle ragioni che hanno animato il
cambiamento di direzione, non si registrano, tuttavia, studi sulla riscontrata efficacia deterrente di questo nuovo approccio, tanto nei confronti della criminalità comune che dell’immigrazione irregolare.
ha trasformato gli autori di reato da membri della società che necessitavano di essere riallineati ai suoi valori, a irrecuperabili outisders da neutralizzare, attraverso la pena e – forse soprattutto – la limitazione del loro status di cittadini e dei diritti che ne discendevano.
Per ciò che qui più da vicino interessa il nostro studio, la tendenza retributiva è stata fatta propria anche dal diritto dell’immigrazione. È un esempio di ciò la progressiva trasformazione, di cui abbiamo fatto cenno nei paragrafi precedenti, in illeciti penali dei già esistenti illeciti (amministrativi o civili) in materia di immigrazione35, nonché l’incrementato utilizzo dell’espulsione (o deportation). Quest’ultima, in particolare, è divenuta una peculiare forma di sanzione per la prima volta applicabile, oltre che alle violazioni di diritto dell’immigrazione, anche agli autori stranieri di reati comuni, a prescindere dal loro status di legal permanent residents. Da un punto di vista di tasso di recidiva, l’espulsione era forse il più efficace strumento nelle mani del legislatore per impedire la commissione di nuovi crimini negli USA.
È in questo momento che la convergenza tra i due rami del diritto ha avuto inizio. Se per i cittadini la svolta retribuzionista ha determinato un inasprimento della politica criminale – con inevitabili ripercussioni in termini di isolamento ed emarginazione sociale – per gli stranieri la medesima manovra ha determinato l’inizio della commistione tra penale e amministrativo e la nascita di un diritto ibrido ed estremamente più afflittivo di quello cui fino a quel momento erano stati sottoposti. In nome della retribuzione e della deterrenza, i due rami del diritto si sono progressivamente avvicinati, dapprima nelle finalità perseguite (vale a dire l’individuazione dei requisiti della membership e delle conseguenti cause esclusione individuate nella commissione di un reato o nella posizione di straniero irregolare) e successivamente nel contenuto delle misure, fortemente influenzate dalla nuova visione della politica criminale.
L’inasprimento dei requisiti richiesti per ottenere la cittadinanza o per essere ammessi negli USA, la previsione di pene severe per la violazione delle leggi in materia di immigrazione, l’irrigidimento del concetto di membership e, in definitiva, l’applicazione della membership theory, hanno finito per creare un gruppo sociale – identificabile sulla
35 Fino al 1980 la commissione della maggior parte dei reati non comportava conseguenze per i permanent
resident (eccezion fatta per i reati espressione di moral turpitude v. infra). La responsabilità penale, infatti,
base dell’appartenenza ad un’etnia diversa da quella dominante – escluso fisicamente, politicamente e socialmente dalla principale comunità.
Il principale risultato di questa politica è stata la creazione di una società estremamente frammentata in cui l’ispessimento della linea di demarcazione tra cittadini e non cittadini è sempre più radicato in una percezione – spesso falsata – di meritevolezza, dove i diritti – in un cortocircuito di potere – divengono appannaggio non più di ogni persona ma solamente dei cittadini ‘più integri’, dei più meritevoli.