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Il trattamento sanzionatorio e le questioni giuridiche connesse

LA CRIMINALIZZAZIONE DELL’IMMIGRAZIONE

LA PREVISIONE DI CONSEGUENZE PENALISTICHE PER VIOLAZIONI DI DISPOSIZIONI CONNESSE ALL’IMMIGRAZIONE

1. Immigrazione, sicurezza e reati propri del migrante (ovvero: la criminalizzazione diretta in senso stretto)

3.4. Il trattamento sanzionatorio e le questioni giuridiche connesse

L’intervento del legislatore del 2009 ha riguardato anche il trattamento sanzionatorio della contravvenzione in quell’occasione inasprito e fissato (e mai più modificato) nella la pena detentiva dell’arresto, fino a un anno, congiunta alla pena dell’ammenda, fino a 2000 euro.

Già prima di tale intervento, quando la sanzione era quella dell’arresto fino a sei mesi e l’ammenda sino a 413 euro, si erano posti all’interprete alcuni dubbi di legittimità costituzionale con riferimento, in particolare, agli artt. 3, 27 e 97 della Costituzione. Con sentenza del 16 marzo 2001, n. 68, tuttavia, la Corte costituzionale, ha dichiarato manifestamente infondate tutte le questioni che le erano state proposte rilevando, in estrema sintesi, che l’asserito contrasto con gli articoli 27 e 97 Cost. per mancanza di efficacia deterrenze della contravvenzione52 e il contrasto con l’art. 3 Cost., per manifesta disparità di trattamento rispetto alle condotte di introduzione e trattenimento in condizioni di clandestinità (preliminari e più gravi rispetto alla contravvenzione in esame ma, ai tempi, prive di rilevanza penale) si risolvesse, in fin dei conti, in una ‘critica alla complessiva disciplina della materia’ e delle politiche del legislatore, come tali estranee al giudizio della Corte. In materia, nonostante l’inasprimento delle sanzioni apportato dalla legge 94/2009 e il contestuale ingresso nell’ordinamento dell’art. 10 bis t.u.imm., la Corte non si è più pronunciata, permangono però (e forse si infittiscono) i dubbi di legittimità e di generale coerenza della normativa sull’immigrazione. Anche in dottrina si era dubitato della legittimità costituzionale della pena – sia prima che dopo la riforma – per una possibile violazione dell’art. 3 Cost., dal momento che rispetto alle altre contravvenzioni che disciplinano la materia (i già citati articoli del TULPS e l’art. 651 c.p.) – tutte punite con pena alternativa – l’art. 6 co. 3 prevede sempre la pena congiunta dell’arresto e della ammenda53. Tale scelta, peraltro, sembra unicamente dettata dalla qualifica di ‘straniero’ del soggetto attivo, non per altre ragioni e, soprattutto, «senza che

52 Trib. Venezia 2.6.2000 in Dir. imm. citt. n. 4/2000, p. 188 53 G. BARBUTO, Inottemperanza, op. cit. p. 231

sussista alcun particolare rapporto col bene giuridico che giustifichi e renda legittimo il rivolgersi della norma nei soli confronti dello straniero extracomunitario»54.

Maggiori problemi desta la radicale svolta nell’interpretazione giurisprudenziale ad opera della Sezioni Unite del 2011 (sentenza Alacev) che ha chiamato dottrina e giurisprudenza a interrogarsi sull’applicabilità della nuova formulazione dell’art. 6 co. 3 (che, lo si ricorda, esclude dal novero dei soggetti attivi lo straniero irregolare) ai fatti commessi in precedenza, quando coperti dal giudicato. Le questioni sono, in realtà, due. La prima, riguarda l’art. 673 c.p.p. (revoca della sentenza per abolizione del reato) e la sua idoneità a ricomprendervi i casi di abolitio criminis determinati – come nel caso in esame – non da una successione di norme ma da un mutamento giurisprudenziale ad opera delle Sezioni Unite. La seconda, invece, mette in dubbio la stessa esistenza della abolitio

criminis, stante la presenza degli artt. 294 (reg. esec. t.u.l.p.s.) e 221 t.u.l.p.s.

3.5. Ulteriori questioni: art. 673 c.p.p. e overruling.

Proprio con riferimento all’art. 6 co. 3 t.u.imm., il Tribunale di Torino ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 673 c.p.p. nella parte in cui non prevede espressamente la revoca della sentenza di condanna in caso di ‘semplice’ mutamento giurisprudenziale. Sebbene possa a prima vista stridere con il comune senso di giustizia la situazione di colui che stia scontando una sentenza di condanna (senza possibilità di revoca ex art. 673 c.p.p.) per un reato che, poco dopo, le Sezioni Unite e una giurisprudenza uniforme – rimasto intatto il dato normativo – riconoscono essere penalmente lecito, i giudici costituzionali non hanno ravvisato alcuna violazione della Costituzione. Per contro, hanno rilevato come l’art. 673 c.p.p. – in modo simmetrico agli artt. 2, co. 2, c.p. e 30, co. 4, l. 11 marzo 1953, n. 87, nomini espressamente due eventi – l’abrogazione e la dichiarazione di illegittimità costituzionale – accumunati dall’effetto di rimuovere dall’ordinamento la norma incriminatrice in applicazione della quale è stata emessa la sentenza irrevocabile. In via interpretativa, la giurisprudenza di legittimità ha esteso il campo di applicazione dell’art. 673 c.p.p. anche alle dichiarazioni di incompatibilità (da parte della Corte di giustizia) con atti dell’Unione dotati di effetto diretto, trattandosi già di una pronuncia che impedisce, in via generale, ai giudici nazionali di continuare a fare applicazione della norma interna ritenuta incompatibile. Lo

stesso atteggiamento estensivo, però, non può essere condiviso – a giudizio della Corte costituzionale – con riguardo alle «dinamiche interpretative» di una norma incriminatrice (mutamenti di giurisprudenza, risoluzione di contrasti) anche quando provenienti dalle Sezioni Unite della Cassazione. Per tre ragioni: in primo luogo, tali decisioni, non hanno un’efficacia assimilabile all’abrogazione o alla dichiarazione di incostituzionalità (non vincolando, in sostanza, il giudice chiamato a decidere su situazioni simili); in secondo luogo, lo impedisce la riserva di legge presente nel nostro ordinamento che assegna al solo Parlamento il ruolo di legislatore in materia penale; in terzo luogo, perché stante il fondamentale principio di intangibilità della res iudicata, al legislatore non basta un

overruling per espellere definitivamente dal penalmente rilevante una condotta ma, al

contrario, richiede interventi più stabili e vincolanti quali l’abrogazione legislativa o la dichiarazione di incostituzionalità55.

Senza esitazione e – a dire il vero – senza ampi approfondimenti, le Sezioni Unite, nella citata sentenza Alacev, hanno ritenuto che nel caso sottoposto al loro giudizio fosse intervenuta «una modificazione legislativa che ha escluso dall’ambito della fattispecie la condotta dello straniero irregolare, con conseguente abolitio criminis per gli stranieri in posizione irregolare». Una parte della dottrina56, però, ha messo in dubbio questa lettura del Supremo collegio, partendo dalla constatazione che, sebbene la riduzione del novero dei soggetti attivi del reato rappresenti una tipica ipotesi di restrizione dell’area applicativa di una incriminazione preesistente, e dunque di abolizione parziale del reato, nella sentenza Alacev è mancato il fondamentale test che permette di distinguere un’abolitio criminis da una abrogatio sine abolitione57. Tale procedura richiedere di verificare, in sostanza, se i fatti riconducibili alla fattispecie legale che si assume abolita – in questo caso: la mancata esibizione dei documenti di identità da parte degli stranieri irregolari – ‘sopravvivano’ o no, come fattispecie generali, in altra fattispecie già presente nell’ordinamento, divenuta applicabile proprio in ragione della modifica legislativa. In una simile ipotesi, infatti – sostiene questa dottrina – le norme preesistenti «riespanderebbero la propria sfera di dominio, restituendo autonomia a quelle classi di fatti in precedenza assorbite dalla più ampia fattispecie legale abrogata, determinandosi

55 Per un approfondimento della sentenza: V. NAPOLEONI, Mutamento di giurisprudenza in bonam partem

e revoca del giudicato di condanna: altolà della Consulta a prospettive avanguardistiche di (supposto) adeguamento ai dicta della Corte di Strasburgo, in Riv. trim. dir. pen. cont., fasc. 3-4/2012.

56 G.L. GATTA,Inottemperanza del clandestino, op. cit.; G. BARBUTO, Inottemperanza, op. cit. 57 Che si ha quando la fattispecie soppressa è speciale rispetto ad una già vigente fattispecie generale.

così…una sostanziale ipotesi di successione di leggi»58, come tale disciplinata dall’art. 2 co. 4, c.p. (che prevede l’applicazione della pena più mite e l’intangibilità dei fatti coperti dal giudicato)59.

Proprio nel caso di specie, tale dottrina, applicando il sopracitato test, nota la preesistenza nell’ordinamento di una norma incriminatrice di carattere generale rispetto all’art. 6 co. 3 t.u.imm. risultante dal combinato disposto degli artt. 294 r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (reg. esec. t.u.l.p.s.) e 221 t.u.l.p.s. Proprio a tali norme, che stabiliscono il principio

generale – applicabile nei confronti di chiunque: cittadino o straniero – dell’obbligo di

esibizione della carta d’identità o di un documento equipollente, ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, sanzionato con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda fino a euro 103, dovrebbero dunque essere riconducibili i fatti commessi nel vigore della norma speciale abrogata, con la conseguenza però che l’abolitio criminis, affermata dalle S.U. nella sentenza Alacev, deve ritenersi esclusa.

Facendo, dunque, applicazione dell’art. 2 co. 4 c.p., prosegue tale interpretazione, «se in relazione a quei fatti non è ancora intervenuta sentenza irrevocabile di condanna dovrà trovare applicazione, previa riqualificazione del fatto, la disciplina, più favorevole prevista per la contravvenzione di cui al t.u.l.p.s. (per la quale è ammessa l’oblazione ex art. 162 bis c.p.); se, viceversa, è già intervenuta sentenza irrevocabile, il giudicato impedirà l’applicazione retroattiva della disciplina più favorevole al reo e la condanna per la contravvenzione di cui all’art. 6 co. 3, t.u. imm. dovrà continuare ad essere eseguita»60.

58 Cass. SS.UU. 26 febbraio 2009, n. 24468, Rizzoli, riportata in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, pp. 887 ss., con nota di G.L. GATTA, Abrogazione dell’amministrazione controllata e abolitio criminis della bancarotta

impropria ex art. 236, comma 2, n. 1 legge fallimentare.

59 Cfr. G.L. GATTA,Inottemperanza del clandestino, op. cit. pp. 1348 ss. Si legge ancora anella sentenza

Rizzoli che la legge posteriore ai sensi dell’art. 2 co. 4, c.p., «non è necessariamente quella introdotta dopo la commissione del fatto: può essere anche la disciplina divenuta applicabile al caso concreto a seguito di mutamenti normativi intervenuti dopo il fatto» (SS.UU, Rizzoli, 2009, cit.) con la conseguenza, prospettata in dottrina che potrà essere «posteriore anche una preesistente norma generale, divenuta applicabile solo dopo e per effetto dell’abrogazione di una norma speciale» così D. PULITANÒ, Legalità discontinua?

Paradigmi e problemi di diritto intertemporale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 1271; e sul punto anche

G.L. GATTA, Abolitio criminis e successione di norme ‘integratrici’: teoria e prassi, Milano, 2008, pp. 169 ss.

60 In questi termini, sempre G.L. GATTA, Inottemperanza del clandestino, op. cit. pp. 1348; Se tale soluzione fosse stata accolta, la Corte costituzionale avrebbe potuto ritenere inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 673 c.p.p., sollevata dal Tribunale di Torino, ritenendo errato il presupposto – peraltro autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite – da cui muove il giudice a quo e, cioè, che il fatto per il quale vi è stata condanna irrevocabile non è più previsto come reato.

4. Ingresso e reingresso in violazione del provvedimento di respingimento differito. (art. 10 co. 2 ter e 2 quater t.u.imm.)

Negli articoli da 10 a 14 del t.u.imm., raggruppati in un apposito Titolo dedicato al ‘Controllo delle frontiere, respingimento ed espulsione’ è custodito il cuore della disciplina in materia di immigrazione. Come già anticipato – e come avremo modo di ripetere con riferimento ad altre fattispecie penalmente rilevanti – l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato è il vero obiettivo che il legislatore mostra di perseguire e, per fare ciò, ha previsto una serie di strumenti funzionali.

Mirando questo capitolo all’individuazione delle fattispecie penali ad hoc predisposte dal legislatore in tema di immigrazione, ci soffermeremo in particolare sull’art. 10 co. 2 ter e 2 quater (che sanzionano l’ingresso (o il reingresso) in violazione di un provvedimento di respingimento, sull’art. 10 bis, la più esplicita forma di criminalizzazione dell’ingresso irregolare, sulle diverse forme di sanzione della violazione del divieto di espulsione previste all’art. 13 e, infine, sulle diverse e sfaccettate ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cui all’art. 12.

4.1. Espulsione, respingimento e respingimento differito: differenze e definizioni preliminari.

L’istituto del respingimento (o respingimento immediato), delineato dall’art. 8, l. 6 marzo 1998, n. 40 e successivamente confluito nell’art. 10 co. 1 t.u.imm. prevede che la polizia di frontiera possa respingere (ossia impedire l’ingresso nel territorio con la notifica di un provvedimento di respingimento) lo straniero presentatosi a un varco di frontiera privo dei titoli richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato.

In due particolari situazioni descritte dall’art. 10 co. 2 t.u.imm. il legislatore prevede che il questore possa ordinare un diverso tipo di respingimento: il cd. respingimento differito (o respingimento con accompagnamento alla frontiera). Si tratta dei casi in cui lo straniero, entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, viene fermato all’ingresso o subito dopo (lett. a), oppure dello straniero che, pur presentatosi alla frontiera privo dei documenti richiesti per l’ingresso, sia stato temporaneamente ammesso nel territorio per necessità di pubblico soccorso (lett. b).

Queste due ipotesi di respingimento si distinguono dal provvedimento di espulsione emesso dal prefetto ai sensi dell’art. 13 co. 2 lett. a che colpisce lo straniero che abbia fatto ingresso in Italia sottraendosi ai controlli di frontiere e non sia stato respinto ai sensi dell’art. 10. È il caso, quindi, dello straniero rintracciato in Italia a seguito di un ingresso irregolare61.

Quanto alle modalità di esecuzione, il respingimento ex art. 10 co. 1 viene eseguito direttamente dalla polizia di frontiera, il respingimento differito ex art. 10 co. 2 – prima dell’intervento del 2018 – veniva eseguito direttamente dal questore che procedeva con un proprio provvedimento al rimpatrio coattivo, senza necessità di chiederne la convalida al giudice di pace. Diversamente, invece, accadeva e accade per l’espulsione la cui eventuale esecuzione nelle forme dell’accompagnamento coattivo, in quanto misura incidente sulla libertà personale, è sottoposta a un particolare procedimento di convalida davanti all’autorità giudiziaria (il giudice di pace) secondo una procedura delineata dall’art. 13 co. 5 bis t.u.imm.62. Orbene, come si nota in dottrina, fino al 2018 il respingimento differito si trovava in una sorta di terra di mezzo63 tra l’ipotesi di respingimento classico e l’espulsione prefettizia: era in sostanza un caso speciale di espulsione (quanto ai presupposti) che veniva disciplinato con le forme del respingimento immediato.

Prima di procedere con l’analisi dell’importante intervento della Corte costituzionale del 2017 – che ha posto le basi dell’intervento legislativo del 2018 – è bene ricordare che tale istituto godeva di diffusa applicazione in particolare nei confronti degli stranieri che, giunti via mare sulle coste siciliane, venivano soccorsi e condotti nei centri di primo soccorso e accoglienza (i cd. hotspot su cui avremo modo di soffermarci ampiamente nel cap. IV). Da qui, se non veniva presentata richiesta di accesso alle forme protezione e non

61 In dottrina L. MASERA, La crimmigration nel decreto Salvini, in La legislazione penale, 24 luglio 2019, p. 10 ritiene che le due ipotesi di respingimento differito siano in realtà species della generale ipotesi di allontanamento dello straniero che ha fatto ingresso irregolarmente in Italia (ex art. 13 co. 2 lett. a): se lo straniero fa irregolarmente ingresso in Italia ma sussiste una delle una delle condizioni descritte all’art. 10 co. 2 (fermato all’ingresso o subito dopo, ovvero ammesso temporaneamente per ragioni di soccorso) trova applicazione l’art. 10 in luogo dell’art. 13.

62 Recita l’art. 13 co. 5 bis t.u.imm.: «Nei casi previsti al comma 4 (espulsione eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica) il questore comunica immediatamente e, comunque, entro le quarantotto ore dalla sua adozione al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera (...) Il giudice di pace provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive (...) Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto». 63 L. MASERA, La crimmigration nel decreto Salvini, op. cit. p. 10.

rientravano tra le categorie di soggetti protetti ai sensi dell’art. 19 co. 1 t.u.imm., gli stranieri divenivano destinatari di un provvedimento di respingimento differito disposto dal questore che consentiva di procedere – quando concretamente possibile – al rimpatrio immediato, senza necessità di passare per l’autorità giudiziaria.

4.1.1. La sentenza della Corte costituzionale del 20 dicembre 2017, n. 275

Nel 2016 la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel caso Khlaifia

c. Italia, affronta proprio la vicenda di alcuni cittadini tunisini trattenuti in un centro di

accoglienza e rimpatriati sulla base di un provvedimento di respingimento differito ai sensi dell’art. 10 co. 2 lett. b. Come vedremo, la Corte condanna l’Italia per violazione dell’art. 5 CEDU ma concentra il proprio scrutinio sull’illegittimità del trattenimento senza però prendere in considerazione la disciplina italiana del respingimento differito che pure scopriva il fianco a censure in particolar modo laddove rendeva possibile un rimpatrio coattivo (che è indubbiamente un provvedimento incidente sulla libertà personale, lo conferma la procedura di espulsione ex art. 13 t.u.imm.) senza un previo vaglio dell’autorità giudiziaria, idoneo a sondarne i presupposti e la legittimità.

La prima vera censura alla disciplina del respingimento differito arriva con la sentenza della Corte costituzionale del 20 dicembre 2017, n. 27564. Il giudizio si risolve con una dichiarazione di inammissibilità (per difetto di rilevanza)65 della questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Palermo con riferimento alla presunta violazione dell’art. 13 Cost. ad opera proprio dell’art. 10 co. 2 t.u.imm. ma offre alla Corte un’occasione – subito colta – per esprimersi sull’istituto. Riportiamo le parole della Corte: «l’inammissibilità delle questioni non può esimere la Corte dal riconoscere la necessità che il legislatore intervenga sul regime giuridico del respingimento differito con accompagnamento alla frontiera, considerando che tale modalità esecutiva restringe la libertà personale (sentenze n. 222 del 2004 e n. 105 del 2001) e richiede di conseguenza di essere disciplinata in

64 Molte, tuttavia, erano le voci che già in precedenza avevano criticato i profili di incostituzionalità dello strumento del respingimento differito. Per una disamina dell’argomento: P.BONETTI, Il respingimento

differito disposto dal questore dopo la sentenza n. 275/2017 della Corte costituzionale, in Dir. imm. citt., n. 1/2018; V. CARLINO, Il respingimento differito dello straniero, tra profili di incostituzionalità e

occasioni mancate di rettifica, in Federalismi.it, n. 17/2018.

65 In merito la Corte osservava che nel caso a quo non si era verificata alcuna forma di restrizione della libertà personale – della cui legittimità costituzionale il rimettente dubitava – poiché il provvedimento di respingimento differito era stato eseguito nella forma dell’ordine, impartito dal questore, di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di sette giorni, e non con l’accompagnamento coattivo alla frontiera.

conformità all’art. 13, terzo comma, Cost.» (§ 4 del Considerato in diritto). In altri termini la Corte invita il legislatore a rivedere la disciplina del respingimento differito poiché, trattandosi di un provvedimento incidente sulla libertà personale, è imprescindibile un controllo dell’autorità giudiziaria, come prescritto dall’art. 13 co. 3 della Costituzione.