LA CRIMINALIZZAZIONE DELL’IMMIGRAZIONE
LA PREVISIONE DI CONSEGUENZE PENALISTICHE PER VIOLAZIONI DI DISPOSIZIONI CONNESSE ALL’IMMIGRAZIONE
1. Immigrazione, sicurezza e reati propri del migrante (ovvero: la criminalizzazione diretta in senso stretto)
5.4. La sentenza della Corte costituzionale 8 luglio 2010, n. 250
5.4.1. Le questioni di legittimità costituzionale
Il Giudice di pace di Lecco ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 10 bis per violazione degli artt. 3, 27 e 117 Cost.
Implementation of Entry Bans in Belgian Migration Policy Since 1980, pp. 171 ss.; J. A. BRANDARIZ
GARCÌA, Crimmigration Policies and the Great Recession: Analysis of the Spanish Case, pp. 185 ss. Oppure ancora, con riferimento alla Spagna: M.GONZÀLEZ BEILFUSS, Detention for the purpose of removal in
Spain. Empirical aand socio-legal approach to its functioning, in Materiali per una storia della cultura giuridica, fasc. 2/2017, il Mulino. Con riguardo al Regno Unito: M. BOSWORTH, Inside immigration
detention, Oxford University Press, 2014; D. WILSHER, Immigration Detention. Laaw, History, Politics, Cambridge University Press, 2012; E. KAUFMAN, Hubs and Spokes: The transformation of the British
Prison, in K.FRANKO,M.BOSWORTH, The Borders of Punishment, Oxford University Press.
138 Sia con riferimento alla scelta politico-criminale di trasformare in reato la condizione di irregolarità dello straniero, sia in merito ad aspetti precipui della disciplina v. P.L. DI BARI, La difficile tenuta
costituzionale del nuovo reato di cd. clandestinità alla prova della giurisprudenza, in Dir. imm. citt.,
1/2010, p. 116.
139 Per un’analisi si veda: A. CAPUTO, La contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale davanti alla
Corte Costituzionale, in Dir. pen. proc., 2010, pp. 1187 ss; L. MASERA, Corte costituzionale e
immigrazione: le ragioni di una scelta compromissoria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 1373; F. VIGANÒ,
Diritto penale e immigrazione: qualche riflessione sui limiti alla discrezionalità del legislatore, in Quest. Giust. 3/2010.
140 Meritano di essere ricordate, però, anche le ordinanze del Giudice di pace di Agrigento (15 dicembre 2009) e del Tribunale di Pesaro (31 agosto 2009). Con l’ord. 252/2010, la Corte costituzionale respinge come inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Pesaro rilevando il palese difetto di competenza del rimettente, essendo la fattispecie oggetto di censura devoluta al giudice di pace.
Con riferimento agli artt. 3 e 27, in primis, la mancata previsione, tra gli elementi costitutivi del reato, di un «giustificato motivo» da un lato, renderebbe punibili, in contrasto con i principi di colpevolezza e di proporzionalità, anche condotte di illecito trattenimento non «rimproverabili» all’agente per valide ragioni oggettive o soggettive; dall’altro, sarebbe fonte di una irrazionale disparità di trattamento rispetto all’analoga fattispecie criminosa di cui all’art. 14 co. 5 ter t.u.imm. (inosservanza, «senza giustificato motivo», dell’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale). Gli artt. 3 e 27 Cost., però, ad avviso del giudice rimettente, sarebbero lesi anche dalla previsione di cui all’art. 10 bis co. 5, ai sensi della quale il giudice deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere nel caso di avvenuta espulsione dell’autore del fatto o di suo respingimento ai sensi dell’art. 10, comma 2, così di fatto facendo dipendere l’applicazione della sanzione penale dalla circostanza, del tutto indipendente dalla volontà dello straniero, che l’autorità amministrativa sia (o meno) riuscita ad espellere o respingere lo straniero prima della condanna.
Con riguardo all’art. 117 Cost., invece, il Giudice di pace di Lecco ha lamentato una lesione di suddetta norma ad opera dell’art. 10 bis ravvisando un contrasto tra la configurazione come reato di ogni ingresso o soggiorno illegale nello Stato e le previsioni della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008, in forza della quale il provvedimento di espulsione deve essere di regola eseguito nella forma del rimpatrio volontario. A giudizio del rimettente, l’art. 10 bis sarebbe volto ad eludere le disposizioni europee, rendendo di fatto sempre operante la deroga prevista dall’art. 2, paragrafo 2, lett. b), della direttiva stessa che consente di non applicare le disposizioni della direttiva ai cittadini di paesi terzi sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione.
Il Giudice di pace di Torino ha prospettato il contrasto dell’art. 10 bis t.u.imm. con gli art. 2, 3, 24 co. 2, 25 co. 2 e 97 co. 1 della Costituzione.
Con riferimento all’art. 3 Cost., il giudice rimettente ravvisa una triplice violazione. In
primo luogo, laddove, punendo indiscriminatamente lo straniero che sia entrato o si sia
trattenuto illegalmente nel territorio dello Stato, l’art. 10 bis equipara situazioni di fatto ben diverse e soggetti di differente pericolosità sociale. In secondo luogo, per l’irrazionalità del trattamento sanzionatorio che, accanto alla comminatoria
dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, prevede il divieto di concessione della sospensione condizionale della pena e la facoltà del giudice di sostituire la pena pecuniaria con la ben più afflittiva sanzione dell’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni141. In
terzo luogo – come già evidenziato dal Giudice di pace di Lecco – perché a differenza di
quel che il legislatore ha previsto per il più grave reato di cui all’art. 14 co. 5 ter t.u.imm., l’art. 10 bis non subordina la punibilità dell’illegale permanenza nel territorio dello Stato alla condizione che la violazione sia commessa «senza giustificato motivo».
Vi sarebbe, altresì, duplice una violazione del diritto di difesa sancito dall’art. 24 co. 2 Cost. In primo luogo, perché, mancando una disciplina transitoria, la nuova incriminazione costringerebbe tutti gli stranieri irregolarmente presenti in Italia al momento dell’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009 ad uscire clandestinamente dall’Italia per non autodenunciarsi, in violazione del principio nemo tenetur se detegere, espressione del diritto di difesa. In secondo luogo, perché lo straniero irregolare che volesse adempiere all’obbligo di iscrivere a scuola i propri figli minori (art. 38 del d.lgs. n. 286 del 1998) – obbligo presidiato da sanzione penale (art. 731 c.p.) – pur non dovendo esibire il permesso (ex art. 6 co. 2 t.u.imm.), finirebbe comunque per autodenunciarsi «sia per la facilità con la quale la sua condizione di irregolarità può emergere nel corso dell’attività didattica, sia per la sussistenza di un obbligo di denuncia di tale condizione da parte del personale scolastico che rivesta le qualifiche di cui agli artt. 361 e 362 c.p.». Ancora, sia l’art. 3 che l’art. 24 Cost. sarebbero compromessi dalla circostanza che l’art. 10 bis t.u.imm. non prevede, per lo straniero clandestino che intenda proporre istanza di permanenza nel territorio dello Stato “per gravi motivi” “connessi con lo sviluppo psicofisico” di un familiare minore (art. 31 t.u.imm.), garanzie analoghe a quelle accordate allo straniero che presenti domanda di protezione internazionale, vale a dire: la sospensione del procedimento penale, con declaratoria di non luogo a procedere in caso di accoglimento. Ne consegue che, in contrasto con il principio di uguaglianza e del nemo
tenetur se detegere, al momento della presentazione dell’istanza in questione, lo straniero
finirebbe per «certificare» la propria posizione di irregolarità in violazione del principio.
141 Ad avviso del Giudice di Pace di Torino tale previsione sarebbe «fonte di una irragionevole sperequazione rispetto agli altri soggetti nei cui confronti la sostituzione può essere disposta in base all’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 (condannati a pena detentiva non superiore a due anni, quando non sussistano le condizioni per la sospensione condizionale)».
Sempre ad avviso del giudice rimettente, il reato di nuovo conio violerebbe, inoltre, i principi di ragionevolezza e di buon andamento dei pubblici uffici (ricavabili dagli artt. 3 e 97 co. 1 Cost.), poiché la finalità perseguita dalla norma – ossia l’allontanamento dello straniero irregolarmente presente in Italia – sarebbe già realizzabile con la procedura di espulsione amministrativa che, peraltro, prende comunque avvio parallelamente al procedimento penale con pregiudizio alla ragionevole durata dei processi e un inutile incremento dei costi.
Risulterebbe, altresì, una violazione del principio di offensività del reato fissato dall’art. 25 co. 2 Cost poiché – ad avviso del giudice a quo – la disposizione censurata sanzionerebbe penalmente «una particolare condizione personale e sociale – quella di straniero «clandestino», derivante dalla mera violazione delle norme che disciplinano l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato – e non già la commissione di un fatto offensivo di un bene costituzionalmente protetto».
Da ultimo, l’art. 10 bis si porrebbe in contrasto con la garanzia di rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo e il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost, posto che andrebbe a colpire persone che versano, per la quasi totalità, in stato di estrema indigenza142.
142 Le motivazioni, invece, avanzate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a supporto della richiesta di inammissibilità e infondatezza delle questioni sollevate, erano riconducibili a tre argomenti: l’ampia discrezionalità legislativa in ordine all’individuazione delle condotte punibili e delle relative sanzioni, il cui esercizio non potrebbe ritenersi irragionevole per il solo fatto che la misura dell’espulsione, conseguente all’applicazione della sanzione penale, fosse già in precedenza prevista come sanzione amministrativa; la generale possibilità di applicare alla fattispecie criminosa in questione una causa di non punibilità (tra cui l’incolpevole ignoranza della norma incriminatrice, l’inesigibilità del comportamento lecito e la «buona fede»), che renderebbe di fatto irrilevante l’assenza della clausola del “giustificato motivo” nell’art. 10 bis; e, infine, il rispetto del principio di uguaglianza nel momento applicativo della norma impugnata che – senza generare discriminazioni – non dà peso alla circostanza che l’autore del fatto possa identificarsi tanto in una persona onesta che in un delinquente, essendo la sanzione comminata nei confronti di chi – onesto o delinquente – si trovi illecitamente nel territorio dello Stato. Con riferimento agli altri punti, l’Avvocatura dello Stato affermava che: «inammissibile sarebbe la censura di violazione dell’art. 3 Cost., riferita alla possibilità di sostituzione della pena con la misura dell’espulsione, in quanto l’applicabilità di quest’ultima viene prospettata come meramente eventuale. Altrettanto dovrebbe dirsi per la censura di violazione dell’art. 2 Cost., giacché dalla stessa ordinanza di rimessione risulta che l’imputato [nel caso concreto sottoposto allo scrutinio della Corte] non versa in condizioni di indigenza, svolgendo un’attività lavorativa; come pure per la censura di violazione dell’art. 25, secondo comma, Cost., che apparirebbe priva di ‘attinenza con il processo a quo’ […]. Quanto all’assenza di disciplina transitoria, la disposizione censurata ha natura sostanziale, onde troverebbe applicazione il principio previsto dall’art. 2 del codice penale. Inconferente sarebbe, altresì, il riferimento all’art. 97 Cost., trattandosi di disposizione inapplicabile all’amministrazione della giustizia. Quanto, infine, alla denunciata violazione del principio di solidarietà, la norma è inserita nel corpo del d.lgs. n. 286 del 1998, onde rimarrebbero garantiti i rifugiati politici e coloro che presentano domanda di protezione internazionale, come, del resto, espressamente prevede il comma 6 dello stesso art. 10 bis».
Orbene, la Corte costituzionale ha disatteso tutti i profili di sospetta illegittimità costituzionale sollevati dai giudici di pace remittenti, pronunciandosi con sentenza n. 250/2010 nello stesso giorno in cui – come si vedrà più avanti – ha pronunciato anche la sentenza n. 249/250 con cui è stata dichiarata costituzionalmente illegittima la cd. aggravante di clandestinità, sempre introdotta dal legislatore del 2009.
Nell’esporre le argomentazioni contenute nella sentenza n. 250/2020, anche noi seguiremo la suddivisione tracciata Corte tra questioni relative alla legittimità costituzionale della stessa incriminazione e aspetti di incostituzionalità di specifiche articolazioni della disciplina sostanziale e processuale dell’art. 10 bis t.u.imm.
5.4.2. La prospettata illegittimità costituzionale della scelta di penalizzazione dell’ingresso e del soggiorno irregolari.
Il primo gruppo di questioni affrontate dalla Corte costituzionale attengono alla stessa legittimità costituzionale della scelta di penalizzazione operata dal legislatore. Le doglianze evidenziate dai giudici rimettenti, se accolte, avrebbero inevitabilmente condotto alla integrale ablazione del reato di clandestinità ma, come vedremo, i giudici costituzionali hanno rigettato tutte le questioni sollevate facendo leva sul principio, affermato dalla costante giurisprudenza costituzionale, in forza del quale «l’individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalità del legislatore: discrezionalità il cui esercizio può formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimità costituzionale, solo ove si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie»143.
5.4.2.1. Il rispetto dei principi di materialità e necessaria offensività del reato (art. 25 co. 2 Cost.): lo ‘sfuggente’ bene giuridico tutelato dalla norma.
A prescindere dalle considerazioni – più o meno condivise – sul reale bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice in esame, possiamo affermare che l’incriminazione
143 Così il testo della sentenza in commento, che richiama altresì, ex plurimis, le sentenze n. 47 del 2010, n. 161, n. 41 e n. 23 del 2009, n. 225 del 2008.
del mero ingresso irregolare dello straniero ha avuto l’effetto di attribuire a quest’ultimo uno status di criminale in ragione della sola presenza sul territorio nazionale144, a prescindere da una concreta manifestazione di pericolosità per uno dei beni giuridici normalmente presidiati dal diritto penale. Posto che il diritto penale, in uno stato sociale di diritto, è lo strumento cui è affidata la difesa di valori offendibili e tutelabili145, inevitabilmente è emersa l’oggettiva difficoltà nell’individuare il bene giuridico tutelato dall’art. 10 bis t.u.imm. Dubbi e difficolta che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 250/2010, ha dipanato con una soluzione che, a distanza di oltre dieci anni, è tutt’altro che pacifica.
In senso opposto a quanto aveva sostenuto il giudice rimettente, la Corte, expressis verbis, esclude che la contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato incrimini una mera condizione personale o sociale – vale a dire quella di straniero clandestino – o un modo di essere della persona. Al contrario, ad avviso della Corte, l’oggetto dell’incriminazione penale è uno specifico comportamento trasgressivo (descritto dalle condotte di «fare ingresso» o «trattenersi») di norme vigenti nell’ordinamento. La clandestinità, superato ogni apriorismo, diviene così una conseguenza della condotta penalmente sanzionata in modo simile – sostiene la Corte – a come la condizione di pregiudicato per determinati reati deriva, salvo il successivo accertamento giudiziale, dall’avere commesso i reati stessi.
La Corte respinge altresì la linea del cd. diritto penale d’autore146, sull’onda della quale i giudici remittenti ravvisavano nella contravvenzione in esame, un illecito «di mera
144 M.TORIELLO, Il reato di clandestinità, in S. CENTONZE (a cura di), Diritto penale dell’immigrazione.
Aspetti sostanziali e procedurali, Giappichelli, 2010, p. 72
145 Così in S. MOCCIA, Il diritto penale tra essere e valore. Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli, 1992, ove parla di «impossibilità di individuare una situazione di valore offendibile e tutelabile la cui difesa si pone come compito fondamentale del diritto penale dello stato sociale di diritto».
146La teoria del diritto penale d’autore, intesa come individuazione nell’ordinamento penale di una serie di strumenti speciali riservati a un gruppo di individui, con precipuo intento punitivo degli stessi è spesso affiancata anche alla teoria del diritto penale del nemico, elaborata dal giurista tedesco Günther Jakobs e presentata per la prima volta nel 1985 alle Giornate dei penalisti tedeschi a Francoforte sul Meno [G. JAKOBS, Kriminalisierung im Vorfeld einer Rechtsgutverletzung, in “ZstW” 97/1985; e successivamente in G.JAKOBS, Das Selbverstandnis der Strafrechtwissenschaft vor den Herausforderungen der Gegenwart, in A. ESER, W. HASSEMER, B. BURKHARDT (a cura di), Die Deutsche Strafrechtswissenschaft vor der
Jahrtausendwende, München, 2000, pp. 47 e ss.]. Per un approfondimento di entrambe le teorie nella
dottrina italiana: F. VIGANÒ, La neutralizzazione del delinquente pericoloso nell’ordinamento italiano, in
Riv. it. dir. proc. pen., 2012, pp. 1334 ss; M. DONINI, Il cittadino extracomunitario da oggetto materiale a
tipo d’autore nel controllo penale dell’immigrazione, in Quest. giust., 2009; AA.VV. Diritto penale del
nemico. Un dibattito internazionale, a cura di M.DONINI,M.PAPA, Milano, Giuffrè, 2007; M. DONINI, Il
diritto penale di fronte al nemico, in Cass. pen., 2006; L. FERRAJOLI, Il diritto penale del nemico e la
disobbedienza», come tale non offensivo – nemmeno nella forma del reato di pericolo – di alcun bene giuridico meritevole di tutela, ovvero una «presunzione assoluta di pericolosità sociale dell’immigrato irregolare»147. Orbene, usando le parole della Corte tale « bene giuridico […] è, in realtà, agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non può considerarsi irrazionale ed arbitraria – trattandosi, del resto, del bene giuridico ‘di categoria’, che accomuna buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998 – e che risulta, altresì, offendibile dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero». Un bene giuridico, in verità, strumentale alla tutela di (altri) beni pubblici finali di interesse costituzionale – la sentenza richiama la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico nonché i vincoli di carattere internazionale – che sarebbero aggrediti da fenomeni di immigrazione incontrollata148. Si delinea così, da un lato, un incontestabile potere di disciplina del fenomeno migratorio quale essenziale espressione della sovranità dello Stato (a sua volta espressione del controllo del territorio)149. Dall’altro lato, proprio il
del nemico e principi fondamentali, in Quest. giust., 2006; P. PISA, La repressione dell’immigrazione
irregolare: un’espansione incontrollata della normativa penale, in Dir. pen. proc., Speciale immigrazione,
2009; A.DAL LAGO, Non persone. L’esclusione dei migranti da una società globale, Milano, Feltrinelli, 1999; L. FERRAJOLI, Il “diritto penale del nemico”: un’abdicazione della ragione, in Legalità penale e
crisi del diritto, oggi. Un percorso interdisciplinare, a cura di A.BERNARDI A,B.PASTORE,A.PUGIOTTO, Giuffrè, Milano, 2008, p. 161. Oppure, più recentemente, si vedano gli Atti del VIII Convegno Nazionale dell’AIPDP tenutosi a Siracusa il 25-26 ottobre 2019, dal titolo: “Il diritto penale ‘dei nemici’. Verso un
nuovo diritto penale dell’autore?”
147 A tal proposito la Corte afferma che, in modo speculare a quanto avviene per il reato di inosservanza dell’ordine di allontanamento (ex art. 14 co. 5 ter t.uimm.) «la norma impugnata non sancisce alcuna presunzione di tal fatta, ma si limita – similmente alla generalità delle norme incriminatrici – a reprimere la commissione di un fatto oggettivamente (e comunque) antigiuridico, offensivo di un interesse reputato meritevole di tutela […] indipendentemente dalla personalità dell’autore, la quale potrà rilevare, semmai, solo sul piano della commisurazione della pena da parte del giudice, secondo i criteri dettati dall’art. 133, secondo comma, cod. pen.».
148 La medesima logica è del resto sottesa anche ad altri rami dell’ordinamento «in particolare nel diritto penale complementare, ove la sanzione penale – specie contravvenzionale – accede alla violazione di discipline amministrative afferenti a funzioni di regolazione e controllo su determinate attività, finalizzate a salvaguardare in via preventiva i beni, specie sovraindividuali, esposti a pericolo dallo svolgimento indiscriminato delle attività stesse (basti pensare, ad esempio, al diritto penale urbanistico, dell’ambiente, dei mercati finanziari, della sicurezza del lavoro). Caratteristica, questa, che, nel caso in esame, viene peraltro a riflettersi nell’esiguo spessore della risposta punitiva prefigurata dalla norma impugnata, di tipo meramente pecuniario» (così, C. cost. 250/2010).
149 La Corte lo aveva già affermato in precedenza nella sentenza n. 5/2004; ancor prima (sent. n. 353/1997), invece, aveva detto che: «lo Stato non può […] abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le proprie frontiere: le regole stabilite in funzione d’un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza vanno dunque rispettate, e non eluse […], essendo poste a difesa della collettività nazionale e, insieme, a tutela di coloro che le hanno osservate e che potrebbero ricevere danno dalla tolleranza di situazioni illegali». La regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato è, difatti, «collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine
controllo giuridico dell’immigrazione impone al legislatore di sanzionare – in quanto fatti illeciti – le violazioni di quelle regole in cui il controllo si esprime. Rientra poi tra le scelte discrezionali del legislatore la decisione circa lo strumento più idoneo per la risposta sanzionatoria all’illecito – la creazione di un reato oppure la sola sanzione amministrativa, come peraltro accadeva per le condotte in questione sino al 2009 – sulla base di considerazioni sostanziali «in rapporto» afferma la Corte «alle mutevoli caratteristiche e dimensioni del fenomeno migratorio e alla differente pregnanza delle esigenze ad esso connesse – la qualità e il livello dell’intervento repressivo in materia».
5.4.2.2. Il rispetto del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.)
Alla luce delle questioni sollevate dal Giudice di pace di Torino – che, lo ricordiamo, lamentava l’indiscriminata punizione di fattispecie marcatamente eterogenee e di soggetti di differente pericolosità sociale – la Corte non ravvisa alcuna violazione del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
Con argomenti sovrapponibili a quelli appena visti con riferimento al bene giuridico tutelato, si ribadisce che la norma incriminatrice in esame «non è diretta a sanzionare la “condotta di vita” e i propositi del migrante irregolare (i quali, ove assumano connotazioni