LA CRIMINALIZZAZIONE DELL’IMMIGRAZIONE
LA PREVISIONE DI CONSEGUENZE PENALISTICHE PER VIOLAZIONI DI DISPOSIZIONI CONNESSE ALL’IMMIGRAZIONE
1. Immigrazione, sicurezza e reati propri del migrante (ovvero: la criminalizzazione diretta in senso stretto)
5.4. La sentenza della Corte costituzionale 8 luglio 2010, n. 250
5.7.2. La sentenza della Corte costituzionale 8 luglio 2010, n. 249
Queste le premesse, tutt’altro che imprevedibile è stata la sottoposizione dell’aggravante della clandestinità a svariate questioni di legittimità costituzionale215, sollevate dai giudici di merito con riferimento a diversi parametri ma, in particolare, per il presunto (a ragione) contrasto ci il principio di uguaglianza e ragionevolezza contenuto nell’art. 3 della Costituzione. L’aggravante sembrava infatti contenere un’irragionevole discriminazione fondata unicamente su di uno status personale. La giustificazione dell’inasprimento sanzionatorio, infatti, non è ravvisabile nella maggiore gravità del reato o un più intenso grado di offesa al bene giuridico, nella maggiore colpevolezza o nella maggiore pericolosità del reo, venuta meno la presunzione di pericolosità ad opera di una serie di interventi della Corte costituzionale216.
La Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 61 n. 11 bis con la sentenza 8 luglio 2010, n. 249. La Corte, in particolare, ha risposto a due questioni di legittimità costituzionale: quella sollevata dal Tribunale di Livorno del 4 febbraio 2009 (con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost.) e quella del Tribunale di Ferrara del 26 gennaio 2010 (con riferimento agli artt. 3, 25 co. 2, 27 co. 1 e 3 Cost.).
Nello specifico, il giudice livornese ravvisava una parificazione indiscriminata tra situazioni fortemente eterogenee, non ritenendo giustificabile – alla luce dell’art. 3 Cost. – che la pericolosità criminale potesse essere desunta unicamente dalla carenza di un valido titolo di soggiorno. Parimenti denunciava la violazione del principio della personalità della responsabilità penale, in quanto l’aggravio della sanzione veniva fatto dipendere da un tipo di autore e non già dalla pericolosità concretamente manifestata dal reo.
Il Tribunale di Ferrara constatava, come una buona parte della dottrina, la presenza di un caso di ‘diritto penale d’autore’, essendo la circostanza collegata al solo status del reo, a prescindere dalla verifica di un qualsivoglia collegamento tra la condizione di irregolarità del reo e il fatto di reato. Con violazione del fatto materiale colpevole, ricavabile dagli
215 Ne ricordiamo alcune: Trib. Latina 1.7.2008, ord. Corr. Merito 2008, 1175, con nota di MASERA; Trib Livoro 9.7.2008, Corr. Merito 2009, 280, con nota di GATTA; Trib Ferrara, 15.7.2008 ord., Corr Merito 2008, 1283 con nota di GATTA; Trib Livorno 3.11.2008, ord. GU 25.3.2009, n. 12 Serie Cost.
216 C. cost, 27 luglio 1982, n. 139; C. cost. 28 luglio 1983, n. 249; seguite poi dall’intervento in materia della cd. Legge Gozzini (l. 10 ottobre 1986, n. 663, art. 10) che ha abrogato l’art. 204 c.p. e stabilito che «tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento – in concreto – che colui che ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa»
artt. 25 co. 2 e 27 co. 1, l’aumento di pena era dunque svincolato da una maggiore gravità del fatto o da una maggiore pericolosità del reo, come invece accade per la recidiva o la latitanza217. Quanto alla denunciata violazione dell’art. 3 Cost., poi, il giudice ne ravvisava un’evidenza ancor maggiore dopo l’interpretazione conforme ad opera della
217 In realtà la Corte, pur accogliendo le censure mosse dai giudici rimettenti, disattende le argomentazioni relative al paragone con la latitanza e la recidiva: «Non assumono rilievo, in senso contrario alle conclusioni fin qui esposte, le considerazioni relative alla presenza, nel sistema penale italiano, delle circostanze aggravanti relative allo stato di latitanza del reo (art. 61, numero 6, cod. pen.) ed alla recidiva (art. 99 cod. pen.). Nel caso della latitanza – la previsione relativa alla quale non è stata mai sottoposta alla valutazione di questa Corte – il soggetto che commette il reato non è genericamente caratterizzato da una qualità derivante da comportamenti pregressi, ma si trova in una situazione originata da un provvedimento restrittivo dell’autorità giudiziaria che lo riguarda individualmente. All’esecuzione di tale provvedimento il latitante si sottrae con scelta deliberata, tanto che non risponderebbe dell’aggravante se avesse pur colpevolmente ignorato l’esistenza del provvedimento in suo danno. Si discute insomma, ed in ogni caso, di una situazione non assimilabile a quella dell’immigrato in condizione di soggiorno irregolare, ove può mancare qualsiasi «individualizzazione» del precetto penale trasgredito. Nella previsione aggravante, infatti, vengono in astratto ed in modo generalizzato accomunate ipotesi molto diverse tra loro, fino a comprendere la situazione di soggetti in condizione di mera «irregolarità», anche per effetto di negligenza, e non attinti da alcun provvedimento che individualmente li riguardi.
V’è da aggiungere che il latitante si sottrae all’esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, che presuppone un reato punito con la reclusione o con l’arresto (e connotato da sicura gravità, visto che conduce ad una pena detentiva eseguibile, o implica un trattamento cautelare), mentre l’immigrazione irregolare era prima soltanto un illecito amministrativo ed attualmente è punita dalla legge con una mera sanzione pecuniaria. D’altra parte, nel sistema penale vigente la latitanza non è configurata come reato, con la conseguenza che non è ipotizzabile, a proposito dell’aggravante che vi si riferisce, la possibilità di un bis in idem sanzionatorio. Parimenti inconferente sarebbe il richiamo all’aggravante della recidiva. L’art. 99 cod. pen. prevede infatti che l’applicazione della suddetta circostanza è subordinata ad una sentenza definitiva di condanna per un delitto non colposo, intervenuta prima del fatto per il quale la pena deve essere aumentata. Inoltre, la recidiva aggrava unicamente la pena per i delitti non colposi. Sono pertanto esclusi dall’area di operatività della citata norma codicistica sia i reati contravvenzionali che quelli colposi, mentre, come s’è visto prima, il reato di immigrazione clandestina è una contravvenzione, punita, oltretutto, con una pena pecuniaria. Il recidivo è dunque un soggetto che delinque volontariamente pur dopo aver subito un processo ed una condanna per un delitto doloso, manifestando l’insufficienza, in chiave dissuasiva, dell’esperienza diretta e concreta del sistema sanzionatorio penale. Cionondimeno, con la sola eccezione dei reati di maggior gravità, l’applicazione della circostanza è subordinata all’accertamento in concreto, da parte del giudice, di una relazione qualificata tra i precedenti del reo ed il nuovo reato da questi commesso, che deve risultare sintomatico – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei fatti pregressi – sul piano della colpevolezza e della pericolosità sociale (da ultimo, ordinanza n. 171 del 2009).Ben diversa è la disciplina per l’aggravante oggetto di censura, che può attivarsi finanche quando lo straniero ignori (per colpa) la propria condizione di irregolarità nel soggiorno (art. 59, secondo comma, cod. pen.), che prescinde da ogni collegamento funzionale con il reato cui accede, e che il giudice di tale reato deve accertare in via incidentale (senza attendere, per inciso, neppure l’esito di eventuali ricorsi amministrativi dell’interessato). Si deve notare, a tale ultimo proposito, che il presupposto di una sentenza definitiva di condanna rende impossibile, nel caso della recidiva, quella formazione di giudicati ingiusti e contraddittori che potrebbe invece derivare, nella materia in esame, dalla accertata non irregolarità della presenza del soggetto nel territorio dello Stato, quando lo stesso sia già stato condannato per un altro reato, con l’applicazione dell’aggravante oggetto dell’odierna censura. Tale eventualità acquista speciale rilievo nell’ipotesi dello straniero che chieda il riconoscimento dello status di rifugiato e, nelle more della relativa procedura, si veda contestata la circostanza in un giudizio che, a differenza di quello concernente il reato di ingresso o soggiorno irregolare, non può essere sospeso (si veda, a tale ultimo proposito, il comma 6 dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998). Tali paradossi sono preclusi dal legislatore nel caso della recidiva, in coerenza peraltro con la presunzione di innocenza di cui all’art. 27, secondo comma, Cost., che non consente che si produca un effetto sanzionatorio ulteriore causato da un comportamento la cui illiceità penale deve essere ancora accertata in via definitiva».
legge del 2009 in quanto un’identica condotta materiale viene trattata diversamente sul solo presupposto della provenienza geografica degli stranieri.
Provando a riassumere i punti essenziali della sentenza, possiamo individuare nella decisione della Corte il seguente percorso argomentativo: dopo una premessa sui diritti inviolabili della persona («i diritti inviolabili […] spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani [sentenza n. 105 del 2001]. La condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie nell’ambito del diritto penale, che più direttamente è connesso alle libertà fondamentali della persona, salvaguardate dalla Costituzione […]. Il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti del tutto estranei al fatto-reato, introducendo così una responsabilità penale d’autore «in aperta violazione del principio di offensività [sentenza n. 354 del 2002]), la Corte riconosce che l’aggravante in questione «non rientra nella logica del maggior danno o del maggior pericolo per il bene giuridico tutelato dalle norme penali che prevedono e puniscono i singoli reati» non potendo ritenersi ragionevole e sufficiente la dichiarata finalità di contrasto all’immigrazione illegale, «giacché questo scopo non potrebbe essere perseguito in modo indiretto, ritenendo più gravi i comportamenti degli stranieri irregolari rispetto ad identiche condotte poste in essere da cittadini italiani o comunitari» se non con la inevitabile conseguenza di separare completamente la previsione punitiva dall’azione criminosa descritta dalla norma penale. La natura discriminatoria dell’aggravante – come peraltro evidenziava già il Tribunale di Ferrara – si fa ancor più evidente con l’introduzione del reato di clandestinità ad opera della l. n. 94/2009. Se al momento in cui la questione di legittimità era stata sollevata l’ingresso e il soggiorno illegali avevano una rilevanza meramente amministrativistica, nel momento in cui la Corte è chiamata a decidere gli stessi comportamenti sono divenuti fonte di responsabilità penale: «L’illegittimità del soggiorno viene dunque in rilievo in una duplice prospettiva, producendo una intensificazione del trattamento sanzionatorio che deve essere considerata in questa sede, giacché fa parte integrante della valutazione complessiva sulla compatibilità costituzionale della norma censurata […]».
L’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato – che, è bene ricordare, la Corte salva in toto con una contestuale pronuncia, la n. 250/2010 – non solo non eliminato la contraddizione derivante dalla eterogeneità tra la natura della condotta antecedente e quella dei comportamenti successivi, «ma ha esasperato la contraddizione medesima, in quanto ha posto le premesse per possibili duplicazioni o moltiplicazioni sanzionatorie, tutte originate dalla qualità acquisita con un’unica violazione delle leggi sull’immigrazione, ormai oggetto di autonoma penalizzazione, e tuttavia priva di qualsivoglia collegamento con i precetti penali in ipotesi violati dal soggetto interessato». L’illegittimità costituzionale dell’aggravante di clandestinità è quindi strettamente collegata alla creazione del reato di clandestinità218: in un sistema di ‘vasi comunicanti’, la circostanza aggravante e la fattispecie contravvenzionale sembrano ‘compensarsi e completarsi’ in una cornice in cui alla palese contrarietà a costituzione della prima sembra fare da contrappeso la – beninteso discussa219 – legittimità della
218 Già con l’ordinanza n. 277 del 19 ottobre 2009 la Corte aveva evidenziato la correlazione tra l’aggravante e la contravvenzione: «la normativa sopravvenuta attiene ad un profilo centrale dei percorsi argomentativi seguiti dai giudici a quibus nel motivare la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, posto che le condotte riconducibili alla previsione censurata costituiscono ormai l’oggetto di un’autonoma incriminazione, e non la mera espressione di un illecito amministrativo […] Spetta ai rimettenti la valutazione del rilievo che possono assumere le descritte variazioni del quadro normativo di riferimento, sia in relazione alla disciplina codicistica della successione nel tempo di leggi penali, sia, e comunque, in rapporto al mutato equilibrio tra i fattori che questa Corte è chiamata a prendere in considerazione ai fini della propria decisione (ordinanza n. 398 del 2005) […]in particolare è compito dei rimettenti, nel valutare la legittimità della previsione quale circostanza aggravante comune di ogni pregressa violazione delle norme in materia di immigrazione, procedere ad una nuova ponderazione del ruolo che, in tale prospettiva, deve assegnarsi al carattere amministrativo, o penalmente illecito, della violazione medesima a seguito delle modifiche nel frattempo apportate alla normativa concernente il controllo dell’immigrazione clandestina dalla l. n. 94/2009».
219 Così P.MOROZZO DELLA ROCCA, Gli effetti collaterali del reato di presenza irregolare, in Dir. Imm.
Citt., 4/2009, p. 129. Cfr., fra gli altri, P.BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o
permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rap- porti con la Direttiva comunitaria sui rimpatri, C.RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello
straniero nel territorio dello Stato, in Dir. Imm. Citt., 4/2009, rispettivamente pp. 38 ss. e 85 ss.; A.CAPUTO,
I nuovi reati di ingresso e soggiorno illegale dello straniero nello Stato, in S.CORBETTA –A.DELLA BELLA
–G.GATTA (a cura di), Sistema penale e “sicurezza pubblica”: le riforme del 2009, p. 235 ss.; F.FERRARO,
Le modifiche in tema di reati e sanzioni connessi al fenomeno dell’immigrazione, in F.RAMACCI –G. SPANGHER (a cura di), Il sistema della sicurezza pubblica, Milano, 2010, p. 99 ss.; G. FORTI, Fiat
experimentum legis in corpore vili. Le facili prede di un diritto penale “pauroso”, in Appunti di cultura e politica, 5/2009; M. DONINI, Il cittadino extracomunitario da oggetto materiale a tipo di autore nel
controllo penale dell’immigrazione, in Quest. Giust., 2008, p. 101 ss.; M.GAMBARDELLA, La condizione
giuridica dell’immigrato. Nor- mativa, dottrina, giurisprudenza, in Suppl. giust. Merito, 2009, p. 104 ss.;
G.L.GATTA, Il reato di clandestinità e la riformata disciplina penale dell’immigrazione, in Dir. Pen. Proc., 2009, p. 1326 ss.; L.MASERA, Terra bruciata, op. cit.; T.PADOVANI, L’ennesimo intervento legislativo
eterogeneo, op. cit.; P.PISA, La repressione dell’immigrazione irregolare: un’espansione incontrollata
della normativa penale, in Dir. Pen. Proc., 2009, p. 8 ss. Per i profili processuali e i dubbi di legittimità
seconda220. L’esito finale per lo straniero irregolare cambia di poco, ma in peggio: il suo trovarsi nel territorio dello Stato in condizione di irregolarità da circostanza aggravante – come tale sempre soggette al bilanciamento ex art. 69 c.p. – diviene una fattispecie autonoma, con le conseguenze che abbiamo visto supra.
La Corte, alla luce dell’art. 3 Cost., non può certo accettare che lo straniero irregolare, a parità di comportamenti penalmente rilevanti, non solo sia «punito più gravemente del cittadino italiano o dell’Unione europea» ma «riman[ga] esposto per tutto il tempo della sua successiva permanenza nel territorio nazionale, e per tutti i reati previsti dalle leggi italiane (tranne quelli aventi ad oggetto condotte illecite strettamente legate all’immigrazione irregolare), ad un trattamento penale più severo».
Alla Corte non resta che affermare l’inaccettabile volto discriminatorio di «una presunzione generale ed assoluta di maggiore pericolosità dell’immigrato irregolare, che si riflette sul trattamento sanzionatorio di qualunque violazione della legge penale da lui posta in essere», delineando un ‘tipo d’autore’.
La scelta (discrezionale e insindacabile) del legislatore di sanzionare la violazione delle disposizioni in materia controllo dei flussi migratori non può estendersi sino ad introdurre un giudizio di pericolosità automatico. Lo status di irregolarità dell’immigrato – sorto con l’ingresso illegale nel territorio italiano o per essersi trattenuto dopo la scadenza del titolo per il soggiorno (cd. overstayer) – non può diventare uno “stigma” – sono le parole della Corte – premessa di «un trattamento penalistico differenziato del soggetto, i cui comportamenti appaiono, in generale e senza riserve o distinzioni, caratterizzati da un accentuato antagonismo verso la legalità. Le qualità della singola persona da giudicare rifluiscono nella qualità generale preventivamente stabilita dalla legge, in base ad una presunzione assoluta, che identifica un «tipo di autore» assoggettato, sempre e comunque, ad un più severo trattamento».
Il meccanismo così introdotto dall’art. 61 n. 11 bis non può che essere in contrasto con il principio di offensività contenuto nell’art. 25 co. 2 Cost. che, sgombrando il campo da
220 Cfr. C. MAZZUCCATO, Il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, op. cit. pp. 121 ss. L’Autrice, in maniera ancora più netta, afferma che: «l’accoglimento delle eccezioni relative all’art. 61 n. 11 bis c.p. offre però paradossalmente il destro per fondare il ‘salvataggio’ della nuova contravvenzione, pure drasticamente avversata da una coralità di limpide, univoche, voci scientifiche che la ritengono “dannosa”. Non sorprende, quindi – anche se dispiace – che la Consulta, con la ‘contigua’ sentenza n. 250/2010, giunga a escludere la fondatezza di (e a dichiarare inammissibili) questioni di legittimità sollevate in ordine al reato previsto dall’art. 10 bis T.U.».
ogni presunzione, pone il fatto alla base della responsabilità penale, prescrivendo che un soggetto – cittadino o straniero – debba essere sanzionato per le condotte tenute e non per le sue qualità personali. «Né si potrebbe obiettare – prosegue la Corte – che la qualità di immigrato in condizione irregolare deriva pur sempre da un originario comportamento trasgressivo, utile a legittimare una presunzione legislativa a carattere assoluto circa la dimensione soggettiva dell’illecito o la capacità a delinquere del reo. Si è già visto infatti come tale condotta – sanzionata dal legislatore prima soltanto sul piano amministrativo, oggi anche su quello penale – non possa ripercuotersi su tutti i comportamenti successivi del soggetto, anche in assenza di ogni legame con la trasgressione originaria, differenziando in peius il trattamento del reo rispetto a quello previsto dalla legge per la generalità dei consociati».
5.7.2.1. Nuovi problemi: quale destino per le sentenze pronunciate?
La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 61 n. 11 bis ha fatto sorgere il problema degli effetti sulle sentenze, ormai divenute definitive, in cui era stata applicata l’aggravante in esame221.
Dottrina e giurisprudenza colgono subito la portata della questione visto che per la prima volta l’intervento demolitorio della Corte riguarda un’aggravante222 e non una fattispecie incriminatrice. In estrema sintesi – e rinviando a più autorevoli voci per la trattazione del merito della questione – il nodo da sciogliere aveva ad oggetto l’esatta individuazione degli strumenti con cui poter dichiarare non eseguibile la porzione di pena inflitta sulla base della circostanza aggravante poi dichiarata illegittima. Sul tavolo dell’interprete, infatti, vi erano: l’art. 673 c.p.p. (revoca della sentenza per abolizione del reato), che però consentiva la revoca della condanna in caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice con quest’ultima normalmente intendendo le norme incriminatrici in senso stretto e non le norme penali in senso lato che pure, però, possono incidere sulla punibilità del fatto o sul quantum sanzionatorio; l’art.
221 Per un approfondimento sulla dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge penale e sugli effetti sul giudicato v. nella manualistica G.MARINUCCI,E.DOLCINI,G.L.GATTA, Manuale di diritto
penale, op. cit., p. 152 ss.
222 S. ZIRULIA, Quale sorte per le sentenze che hanno applicato l’aggravante di clandestinità?, in Dir. pen.
2 c.p. che, al comma 2, sancisce che nessuno può esser punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali; al comma 4, invece scolpisce il principio di retroattività favorevole prevedendo che se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile; l’art. 136 Cost. che afferma il principio per cui quando la Corte dichiara la illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”; e, infine, l’art. 30 l. n. 83 del 1957 che, al comma 3, stabilisce le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione e, al comma 4, prevede che quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali.
Orbene, la questione per diversi anni ha impegnato dottrina e giurisprudenza223, sondando la effettiva capacità del giudicato di arginare la forza retroattiva della dichiarazione di incostituzionalità in tutti i casi diversi dalla abolitio criminis224 ed è poi giunta alla Cassazione a Sezioni Unite la quale, nella nota sentenza Gatto, ha messo un punto fermo, affermando che: «La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 61 n. 11 bis c.p. ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 249 del 2010, impedisce che sia eseguita la porzione di pena, irrogata con sentenza irrevocabile, corrispondente all’applicazione della circostanza aggravante prevista da tale norma, spettando al giudice