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La cooperazione come sviluppo delle facoltà della specie

2. La cooperazione: il punto di partenza e la forma fondamentale del modo di produzione capitalistico

2.6 La cooperazione come sviluppo delle facoltà della specie

La messa in gioco del concetto di facoltà di specie (Gattungsvermögen), da parte di Marx, apre ad una serie di interrogativi che riguardano, tra i tanti, anche questioni antropologiche.

La citazione, riportata in coda al precedente paragrafo, è per Harvey:

uno dei punti in cui Marx riutilizza la nozione universale di “specie”, che fu un tema importante dei Manoscritti economico-filosofici del 1844. A questo punto è difficile interpretare questa discussione sulla cooperazione in chiave negativa. Ci spoglieremo dei nostri limiti individuali e svilupperemo le nostre facoltà di specie, rimaste finora unicamente potenziali.155

Nei manoscritti parigini156, il lavoro è considerato da Marx come un processo delle forze essenziali che riguardano l’uomo e che si confrontano con la natura animale e vegetale. Le due nature non sono il mezzo della riproduzione dell’uomo ma del suo autoriconoscimento:

154 Ivi, p. 454.

155 D. Harvey, Introduzione al Capitale. 12 lezioni sul primo libro, p. 166.

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È un Marx dunque che, provocatoriamente, si può definire spiritualista perché fa della specie umana un soggetto comunitario e generico che riduce la materialità del resto del mondo naturale a mera oggettualità speculare della propria soggettività.157

Con queste parole, Finelli sostiene che Marx, seguendo Feuerbach, cade nel medesimo errore che lui stesso ha imputato a Hegel: la realtà dell’oggetto e del mondo oggettivo è ridotta all’essere un termine, dipendente, di un processo di oggettivazione. Nel pensiero del giovane Marx, ritroviamo, infatti, l’influenza dell’antropologia feuerbachiana, in cui secondo Finelli, semplificando, la comunità è vista come buona e l’individualità come cattiva. Partendo da questa considerazione, il Marx dei Manoscritti in questione, considera il lavoro come oggettivazione della forza creativa del genere

alienata, sia quando è funzionale agli altri, sia quando è orientata all’interesse biologico

del corpo del singolo, ovvero quando l’esistenza individuale prevale sull’essenza libera dell’umano. Sembra dunque esservi un principio antropologico, ontologico e morale, che porta all’instaurazione del comunismo come via d’emancipazione. Per Finelli, il collegamento tra la prassi lavorativa, vista come spiritualistica, e quella politico- emancipativa, è stata erroneamente accettata e sostenuta da studiosi come Della Volpe e Colletti, i quali hanno letto il Capitale in continuità con i Manoscritti del ‘44. I concetti di lavoro delle due opere di Marx, invece, non sono sovrapponibili. Basti pensare, ad esempio, all’Ideologia Tedesca158, in cui il tema della specie ritorna nuovamente, ma con significato diverso rispetto a quello dei Manoscritti. Il processo lavorativo produce, nel Marx maturo, l’unità del genere per mezzo del processo di produzione. «Il genere cioè non è più un presupposto perché è invece un posto, un prodotto dello stesso processo lavorativo».159 Se il lavoro è, nel giovane Marx, l’attività con cui l’uomo può essere definito storico, nel Capitale è, invece, una forma storicamente specifica: si passa dunque dal lavoro come punto di partenza al lavoro come punto di arrivo. Marx, riarticolando l’universale, e dunque anche le caratteristiche delle facoltà umane, a partire dalla particolarità della forma, giunge al nuovo concetto di lavoro assunto nel modo di produzione capitalistico. Egli rifiuta quindi l’antropologia essenzialistica di matrice feuerbachiana da cui era partito nei Manoscritti.

157 R. Finelli, Le tre teorie del lavoro di Karl Marx. Repliche ai miei critici, in «Etica & Politica / Ethics & Politics», XVIII (2016), n. 1, p. 397.

158 K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, trad. it. F. Codino, Editori Riuniti, Roma 1975. 159 Ivi, p. 399.

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Anche Basso si concentra sul tema in questione, sostenendo che vada mossa una critica all’astratta antropologia filosofica che alcuni leggono nel pensiero di Marx. È opportuno invece, riconoscere, e salvare, alcuni elementi antropologici che Marx concepisce all’interno della cornice della produzione, i quali non sono rappresentativi di studi astratti, lontani dalle circostanze materiali. Come esempio di elemento antropologico nel pensiero di Marx, Basso riporta proprio la Gattungsvermögen, che analizza prima dal punto di vista filologico:

We must note, other than the fact that the term Gattung reappears here (having been very much present in the young Marx, often associated with Wesen), the importance of the noun Vermögen, with its double meaning – on the one hand capacity/faculty, on the other hand patrimony/goods.160

Egli continua, poi, il ragionamento sostenendo che se prendiamo il primo significato di facoltà e lo mettiamo vicino a quello greco di dynamis, ritroviamo la sua componente di «potential»161 e di «present state of things».162 Ciò comporta non solo conseguenze terribili per i lavoratori, ma allo stesso tempo scenari in cui la realizzazione delle loro capacità di specie sono possibili. Sembra, dunque, che proprio ammettendo la realizzazione delle facoltà della specie umana grazie alla cooperazione, si renda autoevidente l’ambivalenza che questa comporta.163

Date queste brevi premesse di carattere teoretico, sembra necessario sottolineare, più nello specifico, in cosa consista il concetto di facoltà della specie umana nell’elaborazione marxiana dell’idea di cooperazione. Come scrive Iacono in Studi su Karl Marx:

La facoltà della specie umana consiste nella capacità che hanno gli operai riuniti insieme e combinati secondo le figure della cooperazione di produrre una quantità di oggetti superiore a quella che lo stesso numero di operai sarebbe in grado di produrre se ciascuno di essi lavorasse isolatamente.164

Seguendo la ricostruzione di Iacono, questa idea era già presente in Adam Smith165

quando, parlando della fabbricazione degli spilli, esaltava il modo di produzione

160 L. Basso, Marx and the Common. From Capital to the Late Writings, Brill, Boston 2015, p. 123. 161 Ibidem.

162 Ibidem.

163 La teoria riguardante l’ambivalenza della cooperazione sarà sviluppata e commentata nel prossimo capitolo. 164 A. M. Iacono, Studi su Karl Marx, p. 13.

165 Cfr. A. Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, trad. it. F. Bartoli, C. Camporesi, S. Caruso, Isedi, Milano 1973. A. Smith, La ricchezza delle nazioni, trad. it. V. Parlato, Editori Riuniti, Roma 1969.

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capitalistico e i vantaggi della specializzazione del lavoro. Nell’Indagine sulla natura però, Smith descrive la perdita della facoltà dei singoli operai, poiché manovrati dalla divisione del lavoro: è ciò che li rende inferiori ai popoli selvaggi. Per Marx, è proprio la cooperazione la prima forma in cui le facoltà dei singoli lavoratori vengono trasferite nei mezzi di lavoro, processo che si completerà poi con le macchine. Iacono sottolinea il passaggio dalla cooperazione alle macchine (passando per la manifattura) come la storia della perdita delle facoltà lavorative del singolo a causa della tecnica formatasi nel processo di produzione capitalistico. Siamo, dunque, di fronte ad un cambiamento che prevede la divisione del lavoro manuale da quello intellettuale e la distinzione tra il lavoro non qualificato e quello qualificato. Non possiamo considerare l’automazione e lo sviluppo tecnico come una soluzione rivoluzionaria, se la scelta è il risultato di rapporti di classe che si formano per mezzo della funzione dispotica del capitale, che verrà affrontata in seguito. Infatti:

L’automazione […], piuttosto che rendere superfluo il lavoro e aprire le condizioni per una società senza sfruttamento, ha permesso da un lato la disseminazione della divisione del lavoro e dei processi produttivi in vari angoli del mondo, dall’altro l’espulsione e la dispersione degli operai che hanno perso la loro forza collettiva e sono diventati, in gran parte imprenditori di se stessi, il che vuol dire precari e sottopagati. La disseminazione dei processi produttivi ha soltanto mutato la forma della cooperazione che è fatta da individui i quali non stanno fisicamente più insieme se non in una misura sempre più piccola, ma non l’ha eliminata, perché non può eliminarla. Il lavoro produttivo resta lavoro sociale e cooperativo.166

È in questa riflessione che emerge, a mio avviso, una delle più grandi riflessioni marxiane: è proprio nel processo lavorativo del modo di produzione capitalistico, caratterizzato dal più becero sfruttamento, che i lavoratori riscoprono la loro forza collettiva e la capacità di cooperare. Qui si genera l’ambivalenza contenuta nell’idea di cooperazione: se da un lato gli operai si spogliano dei loro limiti individuali, dall’altro sono subordinati e sfruttati dalla tirannia del capitale. Il tipo di cooperazione che emerge è una cooperazione pianificata dal capitale. Marx utilizza per ben due volte la parola

piano:

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- «la connessione reciproca fra le loro operazioni si erge di fronte agli operai salariati idealmente come piano»167;

- «La forma del lavoro di molte persone operanti secondo un piano […] si chiama

cooperazione».168

Si potrebbe notare anche l’ambivalenza del termine piano: se da un lato è il progetto, dettato dalla forza di comando e di controllo, che il capitalista deve necessariamente esercitare perché si dia la cooperazione, da un altro punto di vista, può evocare l’idea di pianificazione presente in un tipo di economia diversa da quella capitalistica.