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4. Forme di cooperazione: prospettive e ipotes

4.2 La prospettiva ecologista

Rispetto ai problemi ambientali che affliggono la nostra epoca è possibile trovare nuove soluzioni costruendo alternative che si organizzano in forme cooperative. Si è deciso di privilegiare alcuni esempi che hanno un approccio critico e oppositivo nei confronti del capitale, poiché anch’essi ritengono che sia proprio il paradigma capitalistico la causa dello sfruttamento dell’ambiente e la sua conseguente distruzione. Questo non significa che siano necessariamente da scartare altri esempi concreti che vanno nella direzione della sostenibilità omettendo la critica dell’economia politica, ma non ci si può illudere certamente che siano risolutivi. Infatti, senza una critica al modello

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e alla logica capitalistica non è possibile ripensare in nuovi termini il rapporto che l’uomo crea con la natura e le sue risorse. È evidente che il capitale riesca a strumentalizzare le campagne riguardanti il cambiamento climatico e la minaccia dell’esaurimento delle risorse come mezzi di marketing e pubblicità per i suoi propri profitti, così come è in grado di convertire la produzione da inquinante a sostenibile, per meri fini commerciali e di valorizzazione. Se l’opinione pubblica diventa ecologista, il capitale è pronto a cambiare forma e a sposare la green economy: l’importante è che si continui a estrarre plusvalore. Come sostiene Harvey, il capitale usa i problemi ambientali a suo vantaggio: approfittando della crisi ecologica modifica le sue tecniche e si reinventa; supera ogni crisi che tenta di metterlo in discussione, tramite un meccanismo in cui alla base c’è un’idea di distruzione creatrice, di continuo movimento, che prende la forma di una

spirale. 388 In perfetta sintonia con il Marx del Capitale e con la metafora dei Grundrisse,

Harvey utilizza l’immagine della spirale per descrivere il moto del capitale: momenti di crisi e di espansione si alternano continuamente, alimentandosi gli uni con gli altri e generando una lunga catena crescente.389 Se la green economy va nella direzione di un impiego delle energie rinnovabili, del riciclaggio dei rifiuti, dell’utilizzo di sostanze meno inquinanti, di una diminuzione dei consumi di risorse naturali, ma mantiene lo stesso sistema economico, non può esserci nessun cambiamento strutturale, poiché la logica resta quella del profitto senza misura. La nuova configurazione adottata si può definire green capitalism. La modalità utilizzata è sempre quella dell’oscuramento, ma ad un’analisi più attenta non è possibile non leggere la contraddizione: il mercato non può risolvere uno dei problemi che ha generato. Secondo Fisher:

La relazione tra capitalismo e disastro ecologico non è né casuale né accidentale: la necessità di espandere costantemente il mercato e il feticcio della crescita stanno lì a significare che il capitalismo è, per sua natura, contrario a qualsiasi nozione di sostenibilità.390

Non resta, infatti, problematico e contraddittorio il fatto che vengano abbattuti alberi in Amazzonia per far spazio alla coltivazione di soia in modo da produrre hamburger vegani e diminuire le emissioni di metano date dal consumo della carne bovina? Il capitale si riorganizza, si riconfigura, cambia la forma ma non la sostanza. Come in Fisher, il

388 D. Harvey, Contraddizione 16. La relazione del capitale con la natura in Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, Feltrinelli, Milano 2014, pp. 245-261.

389 D. Harvey, Marx, Capital and the Madness of Economic Reason, pp. XI-23. 390 M. Fisher, Realismo Capitalista, p. 54.

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capitale è la Cosa del film di John Carpenter, «un’entità mostruosa, plastica e infinita capace di metabolizzare e assorbire qualsiasi oggetto con cui entra in contatto»391, comprese le istanze ecologiste. Il tutto è accompagnato da una retorica che accusa il singolo individuo di essere la causa del problema. Secondo questa visione, non è la produzione capitalistica ad essere maggiormente responsabile della crisi ambientale, ma ciascun individuo. Infatti, attraverso campagne pubblicitarie e una serie di imposizioni, la colpa viene fatta ricadere sul singolo: è lui che deve rispettare l’ambiente, utilizzare l’automobile il meno possibile, fare la raccolta differenziata, quando, al centro di numerose inchieste che vengono continuamente rinviate a giudizio, vi sono le grandi multinazionali che privatizzano le risorse naturali, gettano rifiuti tossici nelle acque pubbliche, gareggiano a chi riesce a produrre il prodotto più ecofriendly e bio possibile. Come poter ripensare ad un sistema economico alternativo che rispetti l’uomo e l’ambiente, seguendo una direzione diversa da quella della mera valorizzazione? Anche in questo caso la soluzione non è preconfezionata, ma è possibile guardare ad alcune forme cooperative esistenti.

In California, a due ore circa da Los Angeles, nella San Bernardino National Forest, vi erano diverse sorgenti d’acqua, tra le quali quella di uno dei principali fiumi del paese, lo Strawberry Creek. Da quando la multinazionale svizzera Nestlé ha iniziato ad utilizzare le sue acque per imbottigliarle resta poco più del letto del fiume. Secondo l’associazione

no-profit Food and Water Watch, Nestlé, per non dichiarare la sua attività, ha estratto

l’acqua attraverso il servizio forestale californiano. Lo stato sta indagando sulla vicenda, ma il servizio forestale ha approvato nel 2018 l’utilizzo dei terreni federali per continuare ad estrarre. Sempre secondo la ONG, Nestlé, che non estrae solo in California, ha donato ingenti somme di dollari ai politici del Maine, così come ha effettuato donazioni alle comunità e alle associazioni residenti in quei territori, per fiere, eventi e attrezzature, ottenendo così il permesso di prosciugare anche quelle sorgenti. Anche in Michigan la multinazionale ha operato in modo simile, donando ambulanze ai paesi che vivono intorno ai corsi d’acqua. Il problema è sotto gli occhi di tutti: estrarre acqua senza limiti distrugge gli ecosistemi, prosciuga i pozzi e le falde acquifere, priva le popolazioni che vivono in quelle terre di un bene pubblico e delle attività ad esso collegate, quali la pesca e il turismo. Il furto dell’acqua ha alimentato nelle popolazioni la consapevolezza

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dell’importanza delle loro sorgenti: alcuni residenti si sono uniti per sfidare la multinazionale in tribunale e sul territorio.392 Come scrive Food and Water Watch:

As the world’s water supply dwindles, communities in the United States and all over the world are organizing to take public control of their water systems and defend their human right to safe, affordable and accessible water.393

Nestlé non è ancora stata sconfitta: compromessi e ricorsi sono all’ordine del giorno, ma le comunità, riunite in forme cooperative, continuano la loro lotta. Queste vere e proprie enclosures, a danno degli abitanti che vivono vicino ai corsi d’acqua privatizzati, hanno reso evidente l’esistenza di beni comuni e di rapporti sociali che sino ad allora erano considerati scontati. La conseguenza è stata l’organizzazione di collettivi per la salvaguardia del territorio e delle attività ad esso collegate.

Un altro esempio di cooperazione in opposizione al capitale possiamo ritrovarlo nell’Internationalist Commune of Rojava. L’esperienza degli uomini e delle donne del Rojava è una storia di oppressione e liberazione, privazione e riappropriazione, guerra e cooperazione. Si tenga presente che l’intento con il quale si è scelto questo modello non è quello di ridurre il caso alla questione ecologica: non si darebbe giustizia ad un movimento politico libero, autogestito e rivoluzionario. Al contrario, proprio a partire da queste motivazioni il loro modello è ancora più calzante e paradigmatico: in Rojava si è lottato, e si continua a lottare, per un sistema sociopolitico diverso, il cui obiettivo è anche – ma non solo – quello di modificare il rapporto con il territorio in cui si vive. Nel libro intitolato Make Rojava Green Again, come la campagna di rivoluzione ecologica che stanno portando avanti, si legge:

Beginning with the heroic resistance of Kobani, the YPG/YPJ have pushed the reactionary gangs of ISIS back again and again. At the same time, the people of Rojava have successfully resisted all hegemonical attempts to corrupt the revolution. Inspired and shaped by the ideas of Abdullah Öcalan and the struggle of the Kurdish freedom movement, Rojava is a revolutionary project with the aim of challenging capitalist modernity through women's liberation, ecology, and radical democracy.

392 Cfr. Food and Water Watch, Nestlé’s move to bottle Community Water, in “Food and Water Watch”, Washington 2019, https://www.foodandwaterwatch.org/sites/default/files/nestle_bottle_community_water_fs_july_2009_1.pdf, consultato il 6/4/2020.

393 Cfr. Food and Water Watch, Nestlé’s pursuit of Community Water, in “Food and Water Watch”, Washington 2019, p. 15, https://www.bark-out.org/sites/default/files/bark-docs/Nestle_-_All_Bottled_Up.pdf, consultato il 6/4/2020.

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[…] It is our aim to organize a new generation of internationalists to challenge capitalist modernity.394

Uno dei pilastri del movimento, insieme alla liberazione delle donne e alla democratizzazione di tutte le parti della vita sociale, è un’idea di ecologia che si schiera contro quella della distruzione, dell’oppressione e dello sfruttamento dell’ambiente per mano del capitale, una concausa dello sfruttamento degli uomini e di conseguenze quali la guerra, la fame e la crisi sociale. Il fine non è soltanto espresso in termini di protezione della natura dai danni che ha prodotto il capitalismo, ma anche quella di rifondare un equilibrio tra gli esseri umani e il territorio in cui essi vivono, nel breve e nel lungo periodo. La massiccia deforestazione praticata per adibire il terreno a sole monoculture, come quelle del grano in Jazira, delle olive ad Afrin o di entrambe a Kobani, hanno alterato e modificato profondamento il paesaggio del Rojava. È stato proibito piantare altre verdure o alberi da frutto, costringendo le popolazioni del territorio a migrare in città quali Aleppo, Raqqa e Homs, alla ricerca di occupazione, poiché private della loro fonte principale di reddito, l’agricoltura. L’utilizzo di fertilizzanti e prodotti chimici per le monoculture, la produzione di energia a partire dall’estrazione di combustibili fossili e un’inesistente politica di smaltimento dei rifiuti hanno contaminato la terra, l’aria e l’acqua di quei territori. La guerra, l’invasione e l’embargo economico da parte dei regimi turco e siriano hanno contribuito al disastro ecologico, ma non hanno fermato la comunità curda dai suoi principali intenti: essa si è organizzata per mettere in atto una serie di interventi di riforestazione, creazione di riserve naturali, bonifica e sminamento delle terre, costruzione di nuovi pozzi e di un sistema di irrigazione. I numerosi progetti sono il risultato del lavoro sociale di cooperative che creano occupazione e redistribuiscono i proventi, in modo da ricostruire l’economia locale e il patrimonio agricolo composto da una grande varietà di cereali, legumi e alberi da frutto. Il centro di coordinamento e approfondimento dei progetti è affidato all’Internationalist Academy, che attraverso seminari, letture collettive e discussioni, alla quale partecipano esperti, scienziati, attivisti, educatori, getta le basi teoriche e pratiche per un lavoro comunitario e cooperativo. Si tratta, dunque, di un modello dinamico e senza gerarchie, dove la cooperazione è certamente pianificata, ma secondo regole condivise e ruoli definiti dalla

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comunità intera, dove uomini, donne e ambiente sono al centro di un continuo scambio interattivo.