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3. La cooperazione in Marx e nel Novecento

3.2 Le forze produttive sociali nel Capitolo VI inedito

Come risulta dalla lettura logica di Fineschi, la sezione IV del Capitale sull’estrazione di plusvalore relativo è anche la spiegazione del passaggio dalla sussunzione (del lavoro sotto il capitale) formale alla sussunzione reale. L’esposizione marxiana più approfondita del tema si trova nel cosiddetto Capitolo VI inedito.221 Non è questa la sede dove chiedersi perché Marx non abbia rielaborato e pubblicato il capitolo, né tantomeno capire perché Engels non ne tenne conto quando ricostruì il secondo e il terzo libro del Capitale. In ogni caso, il manoscritto «dormì i suoi sonni fino al 1933, quando l’Istituto Marx-Engels-Lenin di Mosca […] lo rese pubblico».222 Da quel momento in poi, il Capitolo VI venne studiato

principalmente come strumento utile per comprendere alcune peculiarità del processo produttivo capitalistico, con particolare riferimento ai rapporti sociali tra gli uomini. Come sottolinea Bruno Maffi nella presentazione dell’edizione del Capitolo VI che ha curato, Marx ha definito la produzione capitalistica non soltanto come produzione di merci e di plusvalore, ma anche come insieme dei rapporti sociali (tra i quali, in primis, il lavoro salariato), «senza i quali non sarebbero possibili né lo stesso processo di produzione del capitale, né il prodigioso sviluppo delle forze produttive ad esso collegato».223 Questo è uno dei motivi per cui risulta fondamentale trattare lo scritto in questione: viene messo in luce il fatto che nel capitalismo i rapporti tra i soggetti e tra le classi «rappresentano insieme il suo punto di partenza e il suo costante punto di arrivo».224 Marx, in queste pagine, pone ancor più l’accento sulla novità presente all’interno del processo lavorativo di tipo capitalistico: i mezzi di lavoro utilizzano il lavoratore. Non è più il lavoro vivo a far rinascere il lavoro morto, ma è il lavoro morto a succhiare il lavoro vivo e a usarlo come accessorio.

220 R. Fineschi, Un nuovo Marx. Filologia e interpretazione dopo la nuova edizione storico-critica (MEGA2), p. 156. 221 K. Marx, Il capitale: libro I, capitolo VI inedito. Risultati del processo di produzione immediato, a cura di B. Maffi, La Nuova Italia, Firenze 1969.

222 Ivi, p. VII. 223 Ivi, p. X. 224 Ivi, p. XI.

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Per Marx, seguendo l’argomentazione del Capitolo VI, la genesi del capitale ha le sue radici in due momenti: nella «compra-vendita di capacità lavorativa»225 e nel «vero e

proprio processo produttivo».226 La prima, se pur rientri nella sfera della circolazione, diventa, all’interno del processo di produzione capitalistico, momento, presupposto e costante risultato: è dalla compra-vendita della capacità lavorativa che deriva la separazione della forza-lavoro dai suoi mezzi di sussistenza e dai mezzi di produzione.

Questa separazione si spinge fino al punto che le condizioni oggettive del lavoro si ergono di fronte all’operaio come persone autonome, perché il capitalista, in quanto ne è proprietario, non ne rappresenta che la personificazione in contrapposto all’operaio come semplice possessore di capacità lavorativa.227

La separazione dai mezzi di sussistenza e di produzione, così come l’autonomizzazione degli operai, sono le premesse della compravendita della forza- lavoro: senza lo scambio di capitale variabile contro la forza-lavoro non si avrebbe l’autovalorizzazione del capitale e il lavoro morto non si trasformerebbe in vivo. Nel secondo momento, ovvero nel processo produttivo, si realizza il vero consumo della forza-lavoro. Qui le condizioni oggettive del lavoro non solo servono ad oggettivare il lavoro vivo, ma a oggettivarne ancora di più di quanto non ne sia già contenuto nel capitale variabile. In questo secondo passaggio, dunque, i mezzi di produzione diventano un modo per estorcere più lavoro vivo. I due momenti insieme formano:

un processo che si svolge fra lavoro oggettivato e lavoro vivo, e che converte non soltanto il lavoro vivo in lavoro oggettivato, ma altresì il lavoro oggettivato in capitale, e quindi anche il lavoro vivo in capitale.228

Da ciò Marx ricava il fatto che i mezzi di produzione non siano solamente mezzi per lavorare e produrre merci, ma mezzi di sfruttamento di lavoro altrui. Con queste brevi premesse, Marx è giunto a comprendere che il processo lavorativo sia sottoposto al capitale, motivo per cui tratta, in due paragrafi dedicati, il tema della sussunzione formale del lavoro al capitale prima, e quella reale poi.229

225 Ivi, p. 49. Marx utilizza il termine Arbeitsvermögen (capacità lavorativa) sia qui che nei Grundrisse, per indicare, per così dire, l’energia lavorativa potenziale del lavoratore.

226 Ivi, p. 50. 227 Ibidem. 228 Ivi, p. 51. 229 Ivi, pp. 51-84.

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Il processo lavorativo è sottoposto al capitale (è il suo proprio processo) e il capitalista vi entra in qualità di dirigente […] è questo che io chiamo sottomissione formale del lavoro al capitale – forma generale di qualunque processo di produzione capitalistico, ma nello stesso tempo forma particolare accanto al modo di produzione

specificamente capitalistico nella sua forma sviluppata, giacché la seconda forma

ingloba la prima, mentre la prima non ingloba necessariamente la seconda.230

Si può parlare di sussunzione formale, concetto tradotto da Maffi con sottomissione231, poiché il processo lavorativo è diventato lo strumento proprio del capitale: diretto, voluto e indirizzato dal capitale per produrre plusvalore. A partire da ciò, si possono già indicare alcuni cambiamenti nei rapporti sociali: prima della sussunzione formale i soggetti sono tutti possessori di merci e intrattengono rapporti monetari, mentre nel processo di produzione capitalistica diventano «funzionari personificati dei fattori di questo processo, il capitalista come “capitale” e il produttore immediato come “lavoro”; e il loro rapporto è determinato dal lavoro come semplice fattore del capitale autovalorizzantesi».232 Questo produce perlomeno due risultati:

- si ottiene un aumento della continuità del lavoro, poiché il capitalista compra in modo permanente;

- la forza-lavoro diviene la fonte ufficiale di autoconservazione del capitale. Nonostante ciò, il processo lavorativo resta simile a quello precedente. Infatti, il capitale utilizza ancora il lavoro artigianale o agricolo: il processo lavorativo che è sottomesso al capitale è lo stesso che si era sviluppato prima del rapporto capitalistico. La produzione di plusvalore che corrisponde alla sottomissione formale del lavoro al capitale è quella riguardante il prolungamento della durata del tempo di lavoro, ovvero la produzione di plusvalore assoluto. Il cambiamento fondamentale che avviene via via, pur mantenendo il processo lavorativo tradizionale, è la scala su cui viene eseguito: aumentano il numero degli operai, dunque l’utilizzo della cooperazione, e il volume dei mezzi di produzione, entrambi sotto lo stretto controllo del capitalista.

230 Ivi, p. 52.

231 Maffi preferisce l’utilizzo del termine “sottomissione” «per non dare apparenza astratta e puramente concettuale nella nostra lingua a un processo che è storico e dialettico» (Ivi, nota 2, p. 51).

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Il cambiamento reale si dà quando sorge il modo di produzione specificamente capitalistico, accompagnato dall’estrazione di plusvalore relativo. È soltanto con la sottomissione reale del lavoro al capitale che nasce un nuovo modo di produzione e si sviluppano i suoi rapporti. Si è così arrivati al cuore del ragionamento marxiano sul quale si voleva porre l’accento: con la sussunzione reale, rispetto al lavoro del singolo isolato, avviene un incremento delle forze produttive sociali del lavoro233 per mezzo della cooperazione, della divisione del lavoro e dell’utilizzo delle macchine. Marx sottolinea, in modo particolare, l’impiego della scienza e della tecnologia: «solo questo lavoro socializzato è infatti in grado di applicare i prodotti generali dell’evoluzione umana, per esempio le matematiche, al processo di produzione immediato».234 La novità è data dal fatto che si presentino come nuove forze produttive del capitale la forza produttiva del lavoro socializzato e l’applicazione della scienza: quest’ultima è intesa da Marx come «prodotto generale dello sviluppo sociale».235 Ciò significa che le forze produttive non possono più essere considerate del lavoratore, sia esso isolato o cooperante con altri, ma come proprietà del capitale. È con la sussunzione reale che si completa la trasformazione del processo di produzione, avviene lo sviluppo delle forze produttive sociali del lavoro e ha inizio il modo di produzione specificamente capitalistico, che diviene nuovo paradigma capace di modificare i rapporti socioeconomici. È così avvenuta la rivoluzione completa. Marx ribadisce che:

non solo nella “rappresentazione” ma nella “realtà”, l’aspetto sociale, la “socialità” ecc., del lavoro si erge di fronte all’operaio come elemento non soltanto estraneo ma ostile e antagonistico, apparendo oggettivato e personificato nel capitale.236

Il capitale si è qui spogliato «di ogni veste individuale»237, per lasciar spazio a quella sociale. Non è possibile che una serie di parametri quali la produttività, la popolazione e la massa di produzione che il modo di produzione capitalistico determina, funzionino e siano adeguati se non su scala sociale. Il capitale si impadronisce, così, di tutti i settori della produzione e dei vari rami dell’industria portando le sue nuove tecniche, specie il macchinismo.

233 Chiamate da Marx anche «forze produttive del lavoro direttamente sociale, socializzato (reso collettivo)» (Ivi, p. 57).

234 Ibidem. 235 Ibidem. 236 Ivi, p. 58. 237 Ivi, p. 69.

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In ultimo, si ritiene importante accennare alla distinzione che Marx pone all’interno del Capitolo VI inedito tra il lavoro produttivo e quello improduttivo. Egli dichiara che era sembrato produttivo soltanto il lavoro che veniva consumato all’interno del processo di produzione e che serviva per realizzare una merce. In realtà, «solo l’angusto orizzonte mentale borghese, che nella produzione capitalistica vede la forma assoluta della produzione, la sua unica forma naturale»238 può limitarsi a pensare che soltanto il lavoro produttivo, e dunque, il lavoratore produttivo, generi valore. Infatti, per Marx, è produttivo il processo lavorativo della forza-lavoro tutta, socialmente combinata, ovvero «le diverse forze-lavoro cooperanti che formano la macchina produttiva totale»239, le quali collaborano diversamente al processo immediato di produzione «chi lavorando piuttosto con la mano e chi piuttosto con il cervello, chi come direttore, ingegnere, tecnico ecc., chi come sorvegliante, chi come manovale o come semplice aiuto».240 Con questa

riflessione, Marx lascia intendere che qualsiasi tipo di lavoro, anche quello intellettuale, può essere un lavoro produttivo. La differenza tra lavoro produttivo e improduttivo non è data dal tipo di mansione svolta, ma da quale tipo di valore questa produce. Quando la capacità lavorativa dell’operaio è acquistata e il lavoro è comprato:

per consumarlo in quanto valore d’uso, in quanto servizio, anziché per sostituirlo come fattore vivente al valore del capitale variabile e incorporarlo al processo di produzione capitalistico, il lavoro non è lavoro produttivo e il salariato non è lavoratore produttivo.241

Si tratta, dunque, di lavoro e salariato improduttivo. Quando, invece, il lavoro è consumato per il valore di scambio, e il capitalista che guida il processo è il rappresentante del capitale che scambia con lavoro il denaro come capitale, allora il lavoro in questione è produttivo. Nel primo caso, ovvero nel lavoro improduttivo, il consumo della forza-lavoro pone la formula M-D-M; nel secondo, riguardante il lavoro produttivo, la formula è D-M-D¹, dove il denaro è diventato capitale. In sintesi, il lavoro produttivo è lavoro socialmente determinato, il quale prevede un rapporto preciso tra il compratore e il venditore della capacità lavorativa: questo si scambia contro denaro che è capitale e si oppone alla forza-lavoro in quanto capitale. Pertanto, è lavoro produttivo il lavoro che riproduce il valore della capacità lavorativa dell’operaio e che, creando valore

238 Ivi, p. 74. 239 Ibidem. 240 Ibidem. 241 Ivi, p. 75.

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attraverso una qualche attività creatrice, valorizza il capitale ponendosi, con ciò che ha creato, di fronte all’operaio come capitale. Marx giunge alla seguente conclusione: «il prodotto specifico del processo di produzione capitalistico – il plusvalore – è creato solo mediante lo scambio con lavoro produttivo».242 Per facilitare il lettore e sottolineare la dimensione della concretezza insita nei suoi ragionamenti, Marx propone, come di consueto, degli esempi:

Una prima-donna che canta come un uccello è una lavoratrice improduttiva; nella misura in cui vende per denaro il suo canto, si trasforma in salariata o in trafficante in merci. Ma la stessa cantante che impresario ingaggia perché lei canti e lui ci guadagni sopra, è una lavoratrice produttiva, perché conduce direttamente capitale. Un insegnante che impartisce lezioni a scolari non è un lavoro produttivo; ma se viene assunto come salariato, insieme ad altri, da un istituto trafficante in sapere, per valorizzare col proprio lavoro il denaro del suo proprietario è lavoratore produttivo.243

Marx vuole affermare, dunque, che un lavoro dello stesso contenuto può essere sia produttivo che improduttivo; per quanto riguarda la forma invece, sostiene che lavori creativi ed intellettuali non siano ancora formalmente subordinati al capitale, ma questo è uno dei passaggi di transizione al modo di produzione capitalistico.

Per concludere l’analisi, non di certo esaustiva, del Capitolo VI inedito è opportuno sottolineare ancora le seguenti considerazioni contenutevi:

a) I lavoratori, necessari a un certo stadio di sviluppo della produzione, possono diventare superflui in uno più avanzato;

b) Il lavoro come capacità lavorativa appartiene al singolo lavoratore. Al contrario, nel momento in cui si crea una combinazione sociale di forze-lavoro che agiscono come organi particolari della forza-lavoro collettiva, questa non solo non appartiene più ai singoli, ma vi si impone come ordinamento capitalistico.

c) Le forze produttive sociali si sviluppano solo con l’avvento del modo di produzione capitalistico. Con esso cambiano anche le condizioni oggettive del lavoro: i mezzi di

242 Ivi, p. 78. 243 Ivi, p. 79.

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produzione sono più concentrati e rappresentano la ricchezza sociale, poiché sono resi efficienti dalle condizioni produttive del lavoro socialmente combinato.

d) Le nuove condizioni sociali di lavoro, comprese le macchine e il capitale fisso, diventano autonome e separate dall’operaio: sono un modo di essere del capitale.

e) Senza la cooperazione e l’utilizzo collettivo dei mezzi di lavoro, non si potrebbe dare il modo di produzione capitalistico.

f) Anche la scienza «come prodotto intellettuale generale dell’evoluzione sociale»244 è incorporata al capitale: la sua applicazione al processo produttivo capitalistico è diversa dal sapere del singolo lavoratore.

g) Lo sviluppo della società è usato dal capitale: diventa una delle sue forze produttive e quindi appare come suo proprio sviluppo.

h) La cooperazione, la divisione del lavoro, l’impiego delle macchine e del sapere scientifico, appaiono ai lavoratori come «qualcosa di straniero, di oggettivo, di

preesistente, senza e spesso contro il loro contributo attivo»245, quando sono merito della

loro forza collettiva e sociale che è stata capitalizzata. Il carattere sociale dell’operaio e la scienza appaiono ai lavoratori non come prodotti del loro lavoro, ma come potenze del

capitale, incorporate ad esso.

i) Queste potenze del capitale sono diventate anch’esso mezzo di sfruttamento del

lavoro, forza del capitale. «È così che lo sviluppo delle forze produttive sociali del lavoro

e le condizioni di questo sviluppo prendono l’aspetto di un’opera del capitale, e l’operaio singolo si trova nei loro confronti in un rapporto non solo passivo ma antagonistico».246

244 Ivi, p. 89. 245 Ivi, p. 90. 246 Ivi, p. 91.

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