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Il lavoro combinato: il tutto è maggiore della somma delle sue part

2. La cooperazione: il punto di partenza e la forma fondamentale del modo di produzione capitalistico

2.2 Il lavoro combinato: il tutto è maggiore della somma delle sue part

La prima fondamentale questione teorica che pone Marx è la differenza tra la forza dei molti paragonata a quella del singolo. L’esempio che egli utilizza, e che riprenderà anche per sottolineare la funzione di comando del capitale, è di natura militare. La forza che dimostra uno squadrone di cavalleria o un reggimento di fanteria è diversa dalla somma delle forze date dai singoli cavalieri o fanti. Lo stesso si può dire degli operai: quando essi lavorano per svolgere uno stesso compito, nello stesso arco temporale, sviluppano una «potenza sociale»90 che è diversa dalla somma delle singole forze degli stessi operai

isolati. Vi sono infatti, spiega Marx, dei compiti che non si potrebbero svolgere senza quella potenza sociale composta da un numero considerevole di braccia che lavorano insieme: «qui l’effetto del lavoro combinato non potrebb’essere prodotto dal lavoro di un singolo; o lo potrebbe solo in un tempo molto più lungo o su scala infinitesima».91 Questo non significa soltanto che, grazie alla cooperazione, aumenta la forza produttiva del singolo, ma che si crea un vero e proprio tipo di forza produttiva nuova, definita da Marx,

forza di massa.92 È grazie a questa forza collettiva che diventa possibile sollevare un peso, girare un argano, rimuovere un imponente ostacolo dal proprio cammino.93 Come scrive Iacono:

Qui Marx mette in rilievo l’effetto che deriva dalla fusione di molte forze individuali in una forza complessiva: la cooperazione sembra funzionare secondo le modalità di un sistema in cui il tutto è maggiore della somma delle sue parti, perché fa sì che un certo numero di persone messe insieme a lavorare producono molto di più delle stesse persone che lavorano isolatamente.94

Non sappiamo con esattezza quali riferimenti, filosofici e non, Marx avesse in mente quando affrontava la delicata e discussa questione del rapporto tra l’uno e i molti. Si potrebbe dire lo stesso del problema affine, che risalta ancor più in queste pagine, del

tutto maggiore della somma delle parti. Ritengo sia possibile affermare che i due temi,

all’epoca di Marx, fossero diffusi e conosciuti dai più, vale a dire assodati nello spirito filosofico del tempo. Per questo motivo, si potrebbe sostenere che Marx non si rifaccia esplicitamente ad una genealogia ben precisa. Infatti, le due questioni accompagnano la

90 Ibidem. 91 Ibidem. 92 Ivi, p. 450. 93 Ivi, p. 449.

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riflessione filosofica sin dall’antichità, in modo particolare a partire da Platone e Aristotele. Per tale ragione, sarebbe necessaria una trattazione a parte: mi limiterò, dunque, a fornire qualche breve cenno a riguardo. Si tenga in considerazione che Marx conosceva la filosofia platonica e quella aristotelica: sebbene i due autori siano citati pochissime volte, il rapporto che intercorre tra Marx e i filosofi antichi è implicitamente forte non solo se analizzato alla luce di criteri filologici, ma specialmente se si tengono in considerazione le loro riflessioni politico-filosofiche.95

Le riflessioni di Platone, riguardo al tema in questione, le troviamo nel Fedone96, nella

Repubblica97 e nel Parmenide98. È in queste opere che Platone ha teorizzato il rapporto tra l’unità dell’idea e la molteplicità delle cose. Con il Parmenide, egli approfondisce il rapporto Uno-molti, chiedendosi se sia possibile coniugare appunto l’unità con la molteplicità. La soluzione platonica va nella direzione di considerare l’Uno come un tutto di parti, che però non è una loro somma, ma è il loro fine. In questo modo, non solo è incluso il concetto di parte nel tutto, ma si può pensare ad un concetto di parte come parte. L’unità è però il criterio fondante che ci permette di pensare anche alla parte come ad un tutto. Ciò che emerge dal Parmenide è certamente un’elaborazione del tema ontologica e logica. Nella Repubblica invece, citata esplicitamente da Marx nel primo libro del

Capitale a proposito della divisione dei mestieri99, il discorso platonico, dal fine politico, è più simile all’idea che il tutto sia maggiore alla semplice somma delle parti. Il bene della

polis è l’unità: quando il cittadino diventa uno di molti e contribuisce alla vita della città

facendo ciò di cui è capace, allora si crea quel tutto necessario, un modello utopico e ideale per vivere nella giustizia.

Aristotele scrive riguardo alla nostra questione in diversi testi: nella Politica100, nell’Etica Nicomachea101 e nella Metafisica102. Nelle prime due opere il rapporto tra le

parti e il tutto è affrontato dal punto di vista politico, nell’ultima, invece, la questione è vista in chiave ontologica ed epistemologica. Diversamente da Platone, per Aristotele la politica è una scienza pratica, che ha come fine quello di raggiungere la felicità,

95 Cfr. L. Grecchi, C. Preve, Marx e gli antichi Greci, Editrice Petite Plaisance, Pistoia 2005. 96 Platone, Fedone, trad. it. N. Marziano, Garzanti, Milano 2008.

97 Id., La Repubblica, 2 voll., trad. it. F. Gabrielli, Fabbri Editore, Milano 1996. 98 Id., Parmenide, a cura di F. Ferrari, Rizzoli, Milano 2016.

99 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, pp. 496-498. 100 Aristotele, Politica, a cura di C. A. Viano, Rizzoli, Milano 2002. 101 Id., Etica Nicomachea, a cura di C. Mazzarelli, Bompiani, Milano 2009. 102 Id., Metafisica, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1973.

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realizzabile nella polis grazie alla cooperazione delle virtù dei singoli cittadini liberi. Questi, però, sono soltanto gli uomini adulti che, avendo il comando sul loro oikos, formato da donne, bambini e schiavi, sono gli uomini razionali e sociali103 di cui è composta la polis. Ecco che la polis risulta essere un organismo, composto da uomini diversi tra loro, che rappresentano le sue molteplici parti. È nella Metafisica104 invece, che troviamo la riflessione ontologica: il tutto non si può paragonare ad un mucchio e, dunque, l’interezza si distingue dall’insieme delle parti.

In ultimo, un altro autore che si è espresso in merito, e potremmo considerare fondamentale per Marx, è certamente Rousseau105. È noto, infatti, che Marx avesse una buona conoscenza degli autori del pensiero illuminista francese, molto probabilmente influenzato dagli interessi del padre in materia e dallo studio sulla Rivoluzione francese. È ne Il contratto sociale106 che Rousseau affronta il problema del rapporto tra il

particolare e l’universale, tematizzando il concetto di volontà generale, distinto da quello di volontà di tutti. La volontà generale non è la somma delle volontà particolari, ma la volontà unica della comunità politica nel suo insieme che ne mantiene e assicura l’unione: è il fondamento della società politica. Il cittadino, quindi, non sarà un singolo isolato, ma grazie alla volontà generale, si sentirà parte del tutto. Inoltre, nel capitolo VII, dove viene descritta la figura del legislatore, Rousseau afferma che il cittadino non possa fare nulla senza tutti gli altri: la forza acquisita dal tutto è uguale, o addirittura superiore, alla somma delle forze di tutti i singoli, motivo per il quale la legislazione raggiunge il più alto grado di perfezione. Anche a partire da queste riflessioni di Rousseau, sono molti gli studi che hanno cercato di avvicinare il suo pensiero a quello di Marx.107 Non entreremo nel merito del dibattito, ma si consideri che Marx studiò alcune delle opere rousseauiane, così come quelle platoniche e aristoteliche, di cui si saranno notati certamente alcuni echi e richiami.

103 È in questo contesto che Aristotele utilizza il termine zòon politikón che affronteremo tra due paragrafi.

104 «Infatti, per tutte le cose che hanno una pluralità di parti e il cui tutto non è paragonabile a un mucchio e la cui interezza è qualcosa che si distingue dalle parti, è indispensabile presupporre una certa causa» (Aristotele, Metafisica, VIII, 1045a 9-10, p. 246).

105 Cfr. K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, nota a, p. 933. 106 J. J. Rousseau, Il contratto sociale, trad. it. V. Gerratana, Einaudi, Torino 2005.

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2.3 Animal spirits

Anche a prescindere dal nuovo “potenziale energetico” che viene sprigionato, tramite la cooperazione, dalla fusione di molte forze in una forza collettiva, nella maggioranza dei lavori produttivi il puro e semplice contatto sociale genera un’emulazione e peculiare eccitazione degli spiriti vitali (animal spirits), che elevano la capacità individuale di rendimento dei singoli. Infatti, per Marx, una dozzina di lavoratori, cooperanti durante la stessa giornata lavorativa di 144 ore, fornisce un prodotto globale maggiore che quello di 12 operai isolati (ognuno dei quali lavori 12 ore giornaliere), o di un operaio il quale lavori per 12 giorni consecutivi.108 È tramite questa constatazione che Marx sembra

fornire una spiegazione del perché il singolo operaio, posto vicino ad altri, operi maggiormente in termini produttivi. Condividere lo stesso spazio, lo stesso tempo e lo stesso lavoro, crea le condizioni per l’emulazione e l’eccitazione degli spiriti animali, considerati qui da Marx come uno dei motori della spinta produttiva.

Ci si è chiesto perché Marx abbia utilizzato proprio il termine inglese animal spirits, da dove abbia appreso il suo utilizzo e, quindi, quale sia l’origine del termine stesso. Innanzitutto, si tenga in considerazione che l’indagine riguardante gli animal spirits non è stata condotta soltanto in ambito economico e filosofico, ma bensì anche in quello medico, psicologico e spirituale, sin dall’antichità. Il primo a parlarne sembra essere stato il medico-filosofo Galeno. Egli riprende la teoria umorale di Ippocrate e la tripartizione platonica dell’anima per fonderle insieme, dando vita a quattro modelli di temperamento umani: essi sono il risultato dell’attività di tre tipi di spiriti (naturali, vitali e animali, rispettivamente preposti alle facoltà appetitiva, passionale e razionale) sui quattro umori ippocratici.109 Gli spiriti animali, per Galeno, ricoprono una funzione mentale e risiedono nel cervello; proprio a partire da questa riflessione si potrebbe analizzare il significato degli spiriti animali in tutta la storia della filosofia. Non si tratta, però, di ricostruire qui l’indice storiografico completo del termine o delle riflessioni ad esso concernenti, ma di ricordare alcuni celebri pensatori che ne hanno fatto uso, per poi provare ad indagare il possibile nesso tra questi e Marx. Occorre ricordare che il concetto di animal spirits ha trovato grande fortuna, in ambito economico, grazie alla nota formulazione di J.M. Keynes. Egli richiama il tema nel Treatise on Probability, ma è nell’opera The General

108 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, p. 450.

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Theory of Employment, Interest and Money (1936), dove nasce la riflessione

macroeconomica, che ne fornisce una vera e propria spiegazione.110 In estrema sintesi, gli animal spirits sono, per Keynes, delle disposizioni istintive che spingono gli uomini a compiere scelte. Infatti, quando un essere umano deve intraprendere un’iniziativa imprenditoriale, si fa spesso guidare da aspetti psicologici ed emotivi. Questi non forniscono all’imprenditore alcuna certezza razionale sulla possibile buona riuscita del tentativo; non valutano, appunto, la scelta da prendere secondo analisi e valutazioni economiche, ma permettono semplicemente di agire, rigettando l’immobilismo e sbloccando in qualche modo la situazione. Aldilà del significato del termine e delle sue conseguenze in campo economico, ciò che più ci interessa è tentare di ricostruire quali siano stati gli autori di riferimento di Keynes, dai quali avrebbe preso in prestito il concetto (pur stravolgendone il significato). Il tentativo è, dunque, quello di tracciare una breve genealogia del concetto e del termine animal spirits che, se pur incompleta, può darci alcuni indizi per cercare di individuare quale siano state le fonti di Marx a riguardo. Si è scelta questa via perché, in termini quantitativi, gli studi condotti sugli animal spirits in Keynes sono decisamente superiori.

Secondo uno studio di Barens111, le fonti da cui Keynes avrebbe attinto per riproporre il termine animal spirits sono molteplici. Seguendo l’ordine cronologico della storia della filosofia, la prima di queste sembra essere Descartes: ne Le Passioni dell’anima, egli descrive gli esprits animaux come delle parti sottili e mobili, di natura corporea, capaci di mettere in moto diversi organi e membra del corpo umano, anche senza l’intervento della volontà.112 Un’altra fonte di Keynes sembra essere l’opera di Hume Trattato sulla

natura umana, in cui gli spiriti animali sono fra i responsabili dell’insorgere delle

impressioni di sensazione, ovvero le percezioni dei sensi e dei dolori-piaceri corporei.113 Ancora, Keynes si sarebbe lasciato influenzare da due celebri romanzi: The Life and

Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe114 di Daniel Defoe e Pride and

110 «Most, probably, of our decisions to do something positive, the full consequences of which will be drawn out over many days to come, can only be taken as the result of animal spirits – a spontaneous urge to action rather than inaction, and not as the outcome of a weighted average of quantitative benefits multiplied by quantitative probabilities» (J. M. Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money, Macmillan, London 1936, pp. 161-162).

111 I. Barens, "Animal spirits" in John Maynard Keynes's general theory of employment, interest and money. Some short and sceptical remarks, in «Darmstadt Discussion Papers in Economics», 2011, n. 201, pp. 1-16.

112 R. Descartes, Le Passioni dell'anima, a cura di B. Widmar, UTET, Novara 2016, pp. 30-35. 113 D. Hume, Trattato sulla natura umana, a cura di P. Guglielmoni, Bompiani, Milano 2010, p. 551.

114 «I say, I do not wonder, that they bring a surgeon with it, to let him blood that very moment they tell him of it, that the surprise may not drive the animal spirits from the heart, and overwhelm him» (D. Defoe, The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe, J. F. and C. Rivington, London 1791, pp. 45-46).

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prejudice115 di Jane Austen. Infine, è noto che Keynes, nato nel 1883, pochi mesi dopo la morte di Marx, avesse letto il Capitale. Per questo motivo, Ozawa116 ritiene fondamentale, per la tematizzazione keynesiana degli spiriti animali, anche Marx, nonostante siano diversi i modi con cui i due utilizzano il concetto. Date queste considerazioni sulle fonti di Keynes, possiamo provare ad avanzare delle ipotesi anche su quelle di Marx. Le fonti utilizzate sicuramente da Keynes (Descartes, Hume, Defoe, Austen) potrebbero essere le stesse da cui Marx ha preso in prestito il termine. Nel VI capitolo de La Sacra Famiglia117 Marx, scrivendo a proposito al materialismo francese, cita Descartes e lo considera uno dei suoi iniziatori. Seguendo l’analisi di Marx, Descartes aveva dato alla materia una forza creatrice, concependo il movimento meccanico come una manifestazione vitale. Questo ci riporta inevitabilmente alla riflessione cartesiana sugli esprits animaux e a ipotizzare che, appunto, Marx la conoscesse. Nelle stesse pagine de La Sacra Famiglia, Marx riflettendo sul materialismo e provando ad analizzarne il dibattito, cita una serie di autori che vanno dall’antichità sino alla modernità (Democrito118, Epicuro, Bacone, Hobbes, Spinoza, Locke, Malebranche, Leibniz, Condillac, Helvetius). Il concetto di animal spirits è certamente presente in Bacone, Hobbes, Spinoza, Locke e Malebranche. Quest’ultimo sembrerebbe essere stato una delle fonti principali di Hume.119 Inoltre, come scrive Musto, siamo certi che Marx abbia letto Hume durante gli studi per la redazione della sua tesi di dottorato: «Marx compilò, coadiuvato da un copista calligrafo, sei quaderni di estratti, in cui raccolse citazioni (…) da diverse opere di Gottfried Leibniz, dal Trattato sulla natura umana di David Hume».120 In ultimo, non possiamo non considerare la passione che Marx ebbe per la letteratura.121 Egli aveva certamente letto il romanzo The Life and Strange Surprising

Adventures of Robinson Crusoe di Daniel Defoe: sono molti i riferimenti riportati da

115 «She had high animal spirits, and a sort of natural self-consequence, which the attention of the officers, to whom her uncle's good dinners, and her own easy manners recommended her, had increased into assurance» (J. Austen, Pride and Prejudice, Icon Group International, San Diego 2005, cap. 9, p. 53).

116 T. Ozawa, Correspondence, in «Journal of Economic Perspectives», III (1992), n. 6, pp. 210-211.

117 F. Engels, K. Marx, La Sacra Famiglia, ossia Critica della Critica critica. Contro Bruno Bauer e consorti, a cura di A. Zanardo, Editori Riuniti, Roma 1972.

118 Si tenga in considerazione che la tesi di dottorato di Marx, conseguita a Jena nel 1841, si intitola La Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro.

119 «The terminology Hume uses for his descriptions of the sentiments characterizing belief – the force, vivacity and steadiness of conception – is derived from the contemporary physiology of animal spirits and brain traces in the style of Malebranche» (M. Frasca-Spada, Belief and Animal Spirits in Hume’s Treatise, in «Eighteenth-Century Thought», 2003, n. 1, p. 1).

120 M. Musto, Sul giovane Marx. Formazione intellettuale e scritti giovanili alla luce della MEGA 2, in «Il Contributo», I (2010), n. 3, p. 40.

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Marx, che commenteremo in seguito, nel Capitale122, nei Grundrisse123 e nell’Introduzione del ’57.

Dalla ricostruzione svolta sin qui possiamo dedurre che Marx avesse una conoscenza, in taluni casi approfondita, degli autori che, prima di lui, hanno parlato di animal spirits. A partire da ciò, si può anche spiegare il motivo per il quale Marx ha scelto di utilizzare il termine inglese, che rimanda appunto al dibattito precedente. Nonostante egli abbia utilizzato il termine in un contesto ben preciso e sino a lui ancora inesplorato, ovvero all’interno del processo lavorativo, il significato che gli conferisce non sembra essere così lontano da alcune riflessioni precedenti. Infatti, egli ha inteso come spiriti animali delle forze vitali insite nell’uomo: ha ripristinato, dunque, il concetto, evitando possibili spiegazioni medico-scientifiche e mettendo in luce, piuttosto, una sorta di istintività umana che, indipendentemente dalla ragione, determina certi tipi di comportamenti. Questi istinti sembrano essere stimolati ed eccitati proprio dal contatto sociale, che, nondimeno, genera anche una certa emulazione. Ciò significa che, grazie al lavorare insieme e alla vicinanza, gli operai non solo si stimolano vicendevolmente, ma sono in grado di rendere di più nei rispettivi compiti, poichè i loro animal spirits sono stati risvegliati. Il ragionamento di Marx rispetto agli spiriti animali, però, non finisce qui: «La causa di ciò risiede nel fatto che l’uomo è per natura se non un animale politico, come vuole Aristotele, comunque un animale sociale».124

122 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, pp. 154-155, 157 (riguardo a Robinson). Ivi, p. 229, 785 (rispetto a D. Defoe).

123 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, vol. I, pp. 3-4. 124 K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, p. 450.

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2.4 Zòon politikón

Si è giunti ad un’altra questione saliente che scaturisce dalle pagine sulla cooperazione: il concetto di uomo come animale politico, spesso contrapposta a quella di homo

economicus. Il termine zòon politikón nasce con Aristotele, ma è stato utilizzato nella

storia filosofia da molti autori che, partendo da Seneca125, passando per Tommaso d’Aquino126 fino a giungere ad Hanna Arendt127, l’hanno trasformato, tradotto e adattato

a nuovi contesti.

L’immagine aristotelica originale è descritta in alcuni celebri passi della Politica128 e

dell’Etica Nicomachea129.Sappiamo che i testi di Aristotele utilizzati dal Marx maturo si

riducono proprio alle due suddette opere, in modo particolare per quanto riguarda i «brani sull'economia e la crematística, sulla distinzione tra oikos e polis, sulla schiavitù, e sulla giustizia negli scambi commerciali. Questi brani sono utilizzati varie volte nelle varie fasi di elaborazione del testo marxiano».130

È bene puntualizzare, sin da subito, che l’utilizzo del concetto aristotelico è diverso da quello marxiano. Infatti:

In Aristotele […] la determinazione “animale sociale” ha due significati: uno generico, che si riferisce a tutta una serie di animali, dalle api, alle formiche, all'uomo, e che indica un insieme di individui i quali collaborano in un érgon comune all'interno di un territorio dato, e uno specifico […] (che) sta ad indicare che l'uomo raggiunge la propria piena realizzazione solo nella polis, cioè che solo nella vita della

125 «Se in quanto essere sociale e generato per la vita associata (l’uomo) guarda il mondo come un’unica casa abitata da tutti e ha aperto agli dèi il fondo della sua anima e vive come se si trovasse sempre in pubblico, avendo timore più di se stesso che degli altri» (Seneca, Sui benefici, a cura di M. Menghi, Laterza, Roma-Bari 2008, VII, I, p. 194). 126 «Primo, perchè l'uomo è per natura un animale socievole: quindi gli uomini nello stato di innocenza avrebbero