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2. Fantasmi della gioventù, tra inquietudini e anomia sociale

2.9 L’amore e l’harem

In un testo fondamentale per la storia dell’antropologia, Lila Abu-Lughod (2007) scrive dei ‘sentimenti velati’ delle donne beduine dell’Egitto presso cui condusse un’etnografia capace di cogliere l’espressività poetica grazie alla quale, sebbene in forme ‘velate’, le donne contestavano e resistevano al potere maschile e alla rigida segregazione di genere, accentuatasi negli anni successivi alla sedentarizzazione. Il testo è di grande rilievo nella storia degli studi perché inaugura una politica e un’epistemologia etnografiche dal taglio riflessivo, con cui viene esaminata con estremo rigore la legittimità delle rappresentazioni culturali così come emergono nell’incontro etnografico e nella scrittura antropologica (Id., 1991). L’originalità di Sentimenti Velati risiede nella capacità di individuare spazi di libertà e di resistenza entro e, anzi, oltre le gabbie concettuali e i topoi su donne, onore, harem dell’orientalismo classico.

L’antropologia appare particolarmente adatta alla comprensione dei codici e dei contesti in cui viene a maturare l’intimità culturale (Herzfeld,

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2003), relazionale e sentimentale. Soprattutto, è il «valore euristico dell’antropologia nel decostruire le categorie di senso comune (Fortier, Kreil, Maffi, 2018:10)» che presiedono alla definizione di sentimenti e istituzioni (matrimonio combinato e matrimonio ‘disinteressato’) a dover essere messo in risalto.

Se in passato l’interesse precipuo dell’antropologia risiedeva nelle specificità di sistemi di parentela (di cui il matrimonio tra cugini paralleli patrilaterali costituisce un esempio archetipico in area mediorientale) da ricondurre a schemi esplicativi non privi di relazione con esigenze di dominio e amministrazione coloniali, i linguaggi delle emozioni e dei sentimenti possono oggi riacquistare il giusto peso. A concorrere a questa rimodulazione epistemologica vi è certo la proliferazione di quella cultura di massa di cui si sono appropriate le classi urbane (Armbrust, 1996) e la diffusione di immaginari legati a contesti transnazionali di consumo ed esperienze culturali condivise.

Sebbene non al centro della mia ricerca, non ho potuto fare a meno di rivolgere attenzione alla grammatica dei rapporti di genere. Lo spettro delle variabilità riscontrabili è estremamente ampio.

Ci sono certamente tanti giovani urbani che maturano le loro prime esperienze sessuali da adolescenti e in contesti di relativa libertà di scelta31.

A Tunisi e nella dorata banlieu nord ci sono tanti locali in cui, appena entrati, si assiste a una vera e propria inversione dei consueti rapporti di genere e delle interazioni sociali. Ho conosciuto ragazze universitarie che, ad esempio, prima di recarsi in discoteche o locali della media borghesia urbana32, fanno visita all’ḥammâm per sottoporsi a trattamenti estetici in vista di possibili rapporti con ragazzi, come mi fu detto da una giovane laureata in italianistica di Tunisi.

Il costo dell’ingresso e le spese del taxi da affrontare per chi abita fuori Tunisi rendono tuttavia altamente selettiva la frequentazione di tali spazi,

31 Sull’adolescenza – cui non è consacrata la presente ricerca, focalizzata piuttosto sui giovani adulti – cfr. il lavoro sociologico di Mahfoudh e Melliti (2006).

32 Ovviamente non intendo in alcun modo sostenere l’equazione borghesia – progressismo, specie religioso. Le élite urbane possono essere conservatrici, come può mostrare l’analisi del voto in occasione delle elezioni. Certo è però che maggiori sono le loro possibilità di diversificare le pratiche sociali e di non sottostare ai controlli sociali.

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al punto da essere facilmente identificati nello spettro delle stratificazioni sociali giovanili.

Al netto delle trasgressioni, per quanto ordinarie, la difficoltà di intrattenere un rapporto durevole e profondo con una ragazza fuori dal matrimonio è reale. E la controprova di questo assunto credo sia fornita dal dato dell’intervento cui si sottopongono tante giovani ragazze per la ricostruzione chirurgica dell’imene (Matri, 2012; Chebel, 2004)33.

Nel gergo giovanile, a Ben Arous, le giovani tunisine sono oggetto di una specifica rappresentazione cromatica: i miei conoscenti le chiamano le ‘pelle blu’, a sottolineare con scherno la colorazione peculiare che la pelle assume per via della combinazione tra accentuato maquillage e naturale sfumatura olivastra.

L’incontro prediletto delle giovani straniere è Sidi Bou Said, perla turistica a pochi chilometri da Tunisi. Sidi Bou Said è un luogo ‘moderno’, stando ai discorsi dei miei interlocutori, in cui le norme sociali consuetudinarie non godono dell’ordinaria solidità. Lo stesso può dirsi per La Marsa, banlieu nord di Tunisi, prediletta dal turismo âgé europeo e in cui tutto è diverso: tipo di automobili, circolazione del denaro, colori. A La Marsa è tutto più bianco, come ebbe a dirmi un giovane ventunenne di Mohammedia. Una bianchezza che è quella delle basse abitazioni in calce che si stagliano sul mare blu scuro, ma che è anche quella dei suoi abitanti non tunisini. È significativo che i ragazzi delle periferie della Grand Tunis esprimano i differenziali economico-sociali mediante codici cromatici, il che non può non chiamare alla mente le considerazioni di Franz Fanon (2016) sull’ossessione per la bianchezza che marca relazioni e contesti (post)coloniali.

Passeggiare a Sidi Bou Said o La Marsa, bere alcolici, incontrare ragazze straniere, consumare droghe sintetiche nelle discoteche di Gammarth (dove il prezzo di una pillola di ecstasy – 25 dinari – viene diviso in due, come la dose) a differenza dell’erba, droga ‘povera’ per reperire la quale bisogna recarsi in quartieri malfamati, sono tutte azioni che segnano un tentativo di accesso alla modernità cosmopolita delle élites. Inoltre, la

33 Per Chebel (2004) il termine bikr, nella letteratura, indica l’avvio delle cose, ciò che ancora non è stato contaminato: un infante, un frutto incolto e di buona qualità, la giovane di cui l’imene è ancora integro.

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predilezione per le ragazze straniere risiede nel poter giocare sulla ‘estraneità’ dei profili, e uscire agevolmente dalle tassonomie del riconoscimento sociale che condividono con le coetanee tunisine, le quali riconoscono subito quali ragazzi hanno i soldi, quali no, quali sono di paese, quali di città, e così via. Con le straniere l’intimità culturale è senz’altro minore, e ciò rappresenta un vantaggio.

A Sidi Bou Said non ci si reca per incontrare le ragazze del proprio quartiere. In posti come questo ci si reca esplicitamente per incontrare altre persone, turisti e turiste, per fare nuove conoscenze. La grammatica dei rapporti di genere è più libera, sciolta, meno sorvegliata che nel quartiere, come ho potuto rilevare durante le passeggiate che talvolta i miei confidenti – specie di Ben Arous come Abdelaziz – ed io ci concedevamo nel fine settimana in alcuni luoghi turistici come Sidi Bou Said. Le turiste straniere venivano platealmente ammirate e regolarmente abbordate, con maldestri tentativi di avvio di conversazione in inglese. Questo è un elemento da considerare per uscire dalla mitologia del quartiere come esclusivo spazio di senso di giovani marcatamente ‘locali’. I ragazzi sanno bene quali carte giocare, come muoversi, dove andare, fino a quanto poter osare secondo spazi e persone.

La predilezione per le ragazze straniere è una spia di come i sentimenti amorosi si situino al crocevia tra emozioni individuali e immaginari transnazionali, non certo di esclusiva marca occidentale. L’esempio di Rached, giovane salafita del quale approfondiremo la conoscenza nel quarto capitolo, è esemplificativo.

Trentunenne di Ben Arous, da alcuni anni prima della Rivoluzione ha approfondito la sua conoscenza della materia religiosa. Si reca spesso in pellegrinaggio a La Mecca, in Arabia Saudita, dove ha provato a stabilire la sua residenza34. Lavora come tecnico informatico e cura la contabilità di un’azienda di trasporti locale. In più, coi soldi messi da parte ha aperto due piccole cartolerie, una a Ben Arous e un’altra a Megrine. Impeccabile,

34 Oltre al grande pellegrinaggio, l’Hajj, quello che il Corano prescrive di praticare almeno una volta nella vita per i credenti nelle condizioni fisiche ed economiche adeguate nel mese di Dhū l-Ḥijja, vi è il ‘piccolo’ pellegrinaggio, ‘umra, che può essere realizzato in qualsiasi momento dell’anno.

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colto ed educato, Rached è la perfetta incarnazione dei ceti medi urbani che si muovono tra islamismo e assiduo impegno lavorativo.

Come si constaterà nei prossimi capitoli, ho potuto costruire un rapporto estremamente affettuoso con Rached, al punto da aver avuto accesso a spazi intimi della sua religiosità e della sua vita quotidiana.

Di orientamento estremamente conservatore, dalle varie interlocuzioni che ho avuto di modo di imbastire con lui traspariva un atteggiamento misogino. Immerso nella ricerca di una giovane donna raffinata e ‘colta’, criticava le ragazze tunisine, secondo lui vestite sempre in modo esagerato e provocatorio. Sebbene non negasse di provare nei loro confronti una certa attrazione fisica, sosteneva di controllarsi e di ritenere fondamentale invece l’aspetto intellettuale delle ragazze.

Si tratta di conservatorismo morale e religioso: la ragazza ideale è per lui una donna-moglie-madre che rispetta le tradizioni religiose e le consuetudini comportamentali. Era solito chiedermi, tra il serio e il faceto, se conoscessi una donna musulmana europea da presentargli. Quelle tunisine non avrebbero infatti una buona ‘mentalità’ perché la religione non è stata loro inculcata bene, a differenza delle convertite europee, a suo dire più serie.

Anche l’istruzione costituisce un requisito fondamentale: per Rached la sua partner ideale deve aver frequentato almeno tre anni di università dopo il Baccalauréat. L’importanza del capitale culturale della compagna, tuttavia, poggia sugli assunti patriarcali della divisione dei ruoli e degli spazi sociali tra donna e uomo: “Non sarò io a educare i miei figli, sarò impegnato nel lavoro. Dev’essere lei a farlo, quindi dev’essere istruita”, sosteneva.

Raccontava, non senza qualche ritrosia, di aver conosciuto, anni fa, una ragazza algerina di Setif, nell’est del Paese, su Facebook, e di essere andato a trovarla con i suoi genitori per chiederla ufficialmente in sposa al padre. Il padre della giovane tuttavia non acconsentì all’accordo, per via della distanza tra Tunisi e Setif. Rached mi raccontò di aver provato fino all’ultimo a fare in modo che i genitori della ragazza trascorressero qualche giorno in Tunisia, così da certificare la bontà della sua famiglia. Ma così non avvenne.

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Sarà per questo che mi avrebbe confidato di preferire “il vecchio metodo” per la scelta della ragazza, quello in cui è la famiglia – in particolar modo la madre – del giovane celibe a interessarsi all’esplorazione delle potenziali partner.

Tra i due poli del matrimonio combinato e del matrimonio ‘romantico’ intercorrono comunque varie sfumature; le negoziazioni tra partner e famiglie sono complesse e stratificate, a dimostrazione di come l’amore possa essere considerato un campo dell’esperienza sociale e personale altamente ambivalente (Fortier, Kreil, Maffi, 2018; Springborg, 1982; Schielke, 2015).

Durante l’ultimo periodo della mia ricerca, Rached mi mise al corrente di essersi fidanzato ufficialmente con una ragazza di Nabeul, cugina della fidanzata di un collega di lavoro. Meriem, che ha ventiquattro anni e ha fatto studi linguistici, lo ha colpito per gentilezza e finezza dei tratti fisici e caratteriali. Ma in breve tempo è subentrato un inatteso momento di perturbazione: secondo Rached, mentre lui conserva un’attitudine scientifica nella vita quotidiana – ha studiato ingegneria informatica – lei pare coltivare una postura opposta.

A conferma di questa ipotesi adduceva il fatto che generalmente in Tunisia intraprende gli studi umanistici chi prende un punteggio basso all’esame del Baccalauréat, ed è dunque sospettato di non brillare particolarmente a livello intellettivo35.

Un mese dopo l’avvenuta conoscenza, hanno suggellato il fidanzamento ufficiale innanzi alle rispettive famiglie, e lui ha iniziato a costruire casa accanto alla sua, nel terreno di proprietà a Ben Arous, con l’aiuto degli amici del quartiere. Ancora una volta, il supporto delle reti sociali primarie (parenti e amici più stretti, generalmente del vicinato) riveste una grande importanza perché il matrimonio possa compiersi.

35 L’accesso selettivo all’istituzione universitaria, garantito in funzione del punteggio complessivo riportato agli esami del BAC e del voto minimo di ingresso per ogni corso di studi, comporta almeno due meccanismi perversi: il ripiego delle famiglie degli studenti per gli istituti privati; la scelta da parte degli studenti di non sostenere l’esame di recupero, che, quandanche superato, precludere la possibilità di iscriversi a un’università/facoltà di buon livello e nella disciplina desiderata. Di fatto, in Tunisia non è possibile scegliere liberamente il proprio corso di studi universitari. Cfr. L’orientation universitaire mine dangereusement l’enseignement tunisien, https://www.leaders.com.tn/article/18152-l-orientation-universitaire-mine-dangereusement-l-enseignement-

tunisien?fbclid=IwAR2FtsKqTdR_u0rb4G0yOudZOqdncu6GtKudbnnTfaEn5tuXCoUFUtrwyHw (consultato il 29/04/2019).

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Il fidanzamento, alla presenza dei genitori della ragazza, ha avuto luogo a Nabeul. In quell’occasione ci si scambia doni e anelli di fidanzamento. Per la famiglia di Rached a essere presente non era il padre ma lo zio, il fratello più grande del padre: ciò in ragione del fatto che, essendo più anziano questi può garantire con maggiore autorevolezza il rispetto degli accordi e la legittimità del fidanzamento.

La famiglia di Meriem gestisce un’impresa familiare, mentre il fratello fa il calciatore professionista a Dubai e guadagna molto. Per questo motivo Rached sostiene che in quella famiglia nessuno abbia mai lavorato e che vivano di rendita, a differenza sua che si districa faticosamente tra lavoro di impiegato e commerciante, alle prese con le sue cartolerie di proprietà. I problemi in seno alla giovane coppia sono sorti col passare del tempo. Meriem è sempre stata abituata a vivere in casa e, a detta di Rached, non fa altro che subire le decisioni del padre e del fratello. Il ragazzo, religioso e conservatore, ha apprezzato sin da subito la docilità domestica della fidanzata, improntata alla dedizione al proprio uomo. Tuttavia si è presto accorto che quella condizione non lo soddisfaceva fino in fondo. Mi ha infatti confidato di desiderare una donna più dinamica, capace di prendere l’iniziativa. In una coppia, diceva, da entrambe le parti ci si deve aiutare e devono provenire stimoli. Ad esempio, continuava, lavorare nel commercio comporta evidenti e numerosi rischi. Si può perdere tutto e diventare poveri da un momento all’altro. Per questo sosteneva che sarebbe stato necessario che Meriem facesse un lavoro, che si adoperasse per avviare un’attività.

Tramite sua sorella, le ha messo a disposizione dei contatti a cui proporsi per essere occupata nei cabinets di traduzione che consentono di lavorare da casa. Ma Meriem ha preso controvoglia in considerazione quell’eventualità, e pare non sia nemmeno riuscita a mettersi in contatto con quei possibili datori di lavoro. Per Rached, quell’episodio rappresenta il sintomo di non voler fare o decidere alcunché nella propria vita. A Meriem rimprovera di non aver spirito di iniziativa. Quando capitava che insieme parlassero del loro futuro, lei gli ha sempre detto che avrebbe fatto ciò che lui voleva, anche spostarsi di città e trasferirsi a Tunisi.

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Rached era veramente angosciato quando mi mise al corrente dei suoi dubbi, una sera, in macchina, prima di andare a cenare insieme. Avendo suggellato un fidanzamento ufficiale con la ragazza sarebbe stato sì possibile sciogliere il legame, ma sarebbe certo stato doloroso dal punto di vista dei rapporti interpersonali e inter-familiari.

Inoltre avrebbe dovuto decidere tutto e subito: avevano già pianificato il matrimonio per l’estate successiva, e non avrebbe certo potuto mandare tutto all’aria giusto a ridosso dell’appuntamento previsto. È poi un altro il cruccio di Rached: la consapevolezza di trovarsi nella ‘zona rossa’, ovvero la soglia d’età oltre la quale il celibato assume connotati quasi patologici, come mi aveva detto durante un’intervista.

C’è un’età in cui ci si deve sposare. Poi si invecchia. Con mio padre ne parliamo spesso, anche con mia madre, che infatti mi cerca una compagna. Per la cosa più importante nella vita è la famiglia. Io ora è come se non vivessi, perché non ne ho formata una mia (Ben Arous, 13/04/2017).

Sebbene coinvolto affettivamente nei dilemmi di Rached, mentre ne ascoltavo i patimenti non potevo che riflettere tra me e me su quella dinamica psico-culturale definita da Bourdieu (2002) come ‘isteresi dell’habitus’, e per la quale le disposizioni lungamente apprese e incorporate dagli attori sociali nell’ambito della prima socializzazione perdurano nel tempo e ‘nonostante’ le mutate condizioni sociali, storiche, politiche contestuali.

Eppure Rached, tradizionalista e conservatore, ha nel giro di un paio di anni mutato le proprie concezioni e preferenze sulla donna e sulla divisione dei ruoli all’interno della famiglia. Da angelo del focolare dedita all’espletamento del lavoro domestico, quando stava per ritrovarsene una accanto la donna giusta per Rached avrebbe dovuto invece proiettarsi oltre lo spazio della casa e delle mansioni di moglie e madre. Anzi, avrebbe dovuto assumere l’iniziativa in campo economico e professionale, sulla falsariga della coppia emancipata ambiguamente promossa dal modello della famiglia nucleare.

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L’esempio di Rached e Meriem, che si sono comunque sposati in un pomeriggio di giugno dell’anno scorso, testimonia ancora una volta come le aspettative più rispondenti a trame di normatività sociale possono coesistere, pur contraddittoriamente, con preferenze, desideri, scelte individuali e immaginari extra locali. Meriem, che è in un certo senso il prodotto del capitale sociale di Rached e alla quale quest’ultimo si è prontamente relazionato attraverso la mediazione familiare, appare poi una figura silenziosa, passiva, chiamata unicamente a soddisfare le ansie e le volontà del marito e della famiglia. Ma non si tratta forse di un limite epistemologico e metodologico della ricerca? Meriem non è stata oggetto né di interviste né di frequentazione etnografica. Che dietro la sua presunta e irritante (per Rached) docile assertività si nasconda una resistenza silenziosa, una timida ma solida esitazione ad assecondare i desiderata del suo nuovo compagno?

Concludo questo paragrafo con un ultimo esempio ricavato dal materiale etnografico.

Siamo sempre a Ben Arous, e a interessarci ora è Fakhreddine (conosciuto come Fakhri), amico di Abdelaziz e ventottenne appassionato di social network e di computer, e che dopo la scuola ha collezionato varie e precarie esperienze lavorative. Adesso lavora per una compagnia di telefonia mobile, per la quale gira in lungo e in largo la Tunisia per accaparrare clienti.

Quando lo incontrai per intervistarlo, dopo averlo conosciuto al caffè di Hay Lesken (Ben Arous) e averci giocato insieme a scacchi, era visibilmente eccitato dalla conoscenza virtuale di una ragazza giapponese, risalente a cinque mesi addietro. Non è la prima volta che stabilisce una relazione duratura a partire da Facebook: un paio di anni prima aveva conosciuto una ragazza francese, che tuttavia gli aveva nascosto a lungo di essere la madre di due piccoli gemelli. Di fronte a quella prolungata bugia, Fakhri ha ritenuto di non potersi più fidare di lei, e hanno interrotto ogni tipo di rapporto.

La sua nuova fiamma, Jamila, ha studiato negli Stati Uniti e ora lavora a Hong Kong come impiegata in un ufficio di polizia. Fakhri l’ha “scelta” in base ai suggerimenti di amicizia proposti ‘automaticamente’ da

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Facebook, a partire da un’amica in comune – originaria di Taiwan – condivisa tra i due contatti.

Secondo Fakhri il fatto che si siano conosciuti chiama in causa l’idea di destino: “Perché proprio lei tra milioni di ragazze tunisine?”. Un destino che “mi fabbrico io”, sostiene, “con le mie scelte”.

Nei primi scambi via chat sui social network, Fakhri le indirizzava complimenti in arabo e le insegnava alcune parole. Mi disse che erano soliti parlare per 5-6 ore al giorno via Skype.

Fakhri mi rivelò anche che di lì all’anno successivo si sarebbero sposati. Jamila sarebbe venuta in Tunisia senza parenti, perché il padre era molto anziano e la madre aveva una brutta malattia. Fakhri aveva in programma di recarsi successivamente con lei in Giappone, perché “il sogno di ogni tunisino”, mi diceva, “è andare via da questo Paese”.

Jamila – da jamāl (bellezza) – è il nome arabo che Fakhri ha impartito alla compagna, dopo averle chiesto di cambiare nome. Cosa che egli desidererebbe acquisisse ufficialità. Lui tuttavia confessava che non farebbe mai il contrario, perché il nucleo semantico di Fakhreddine rinvia alla ‘fierezza nell’appartenenza all’Islam’ e non è un nome molto diffuso. Dietro la richiesta di cambio del nome della compagna e la volontà di mantenimento del proprio, si cela la solidità di confini culturali che sanciscono l’appartenenza a una determinata collettività (Herzfeld, 2006).