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2. Fantasmi della gioventù, tra inquietudini e anomia sociale

2.12 Valori

Vedremo nel prossimo capitolo come questa invisibilità, in realtà, sia solo supposta e superficiale. Questi ‘invisibili’ sono in grado di articolare un sistema denso di relazioni e significati, prodromico all’elaborazione di soggettività politiche radicali. Significati cui pare sensibile l’insegnante di inglese Arbi, del quale abbiamo già fatto conoscenza:

Attraverso l’insegnamento della lingua inglese trovo nei ragazzi una grande sfiducia in se stessi; frustrazione estrema di ciò che accade nel Paese; un rifiuto totale di partecipare alla vita politica, pubblica, nelle associazioni, nei partiti... Un odio. Una posizione negativa, una percezione negativa degli adulti, che rappresentano il conformismo, l'incompetenza, la mancanza di credibilità... Vivono in un altro mondo. […] Per questo sono contro i miei colleghi che non vogliono capire le loro responsabilità, che non è il trasferimento di conoscenze o competenze, ma educare a ristrutturare l'interiore degli stagiares. Ti assicuro che è facile farlo. Se tocchi certe corde, ti fanno ricostruire il loro interiore rotto, frammentato. [...] Soprattutto con quelli che hanno un livello molto basso, che non sanno nemmeno scrivere il loro nome. Ci sono ragazzi che fanno confusione tra maiuscole e minuscole. Non posso parlare in francese perché non mi

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capiscono, in inglese faccio il minimo possibile di interazione, fino a quando si abituano a dare qualche risposta.... Ma parlo molto di valori. E ci sono sempre dei minuti, 15 minuti, in cui parlo in arabo e rimarco queste cose... Costruisco un discorso su piccoli gesti, e loro si sorprendono di come un piccolo gesto possa avere delle ripercussioni importanti. Una volta li ho ringraziati di aver scelto il centro, di aver scelto di fare la formazione professionale. Gli ho detto che sono dei giovani intelligenti perché hanno preso questa scelta, mentre ci sono dei loro amici che in questo momento sono rimasti al caffé o al quartiere, che non hanno preso questa decisione... E loro si mettono a ridere, perché penso che li prendo in giro visto che la gente normalmente li deplora per questa scelta. Poi gli spiego il motivo delle mie parole, e poco a poco vedo che anche la postura cambia. Dico che devono mettersi il blues, il camice, perché sono dei tecnici, avranno un diploma di Stato, perché sono riconosciuti dal popolo... E una volta un ragazzo, dal livello molto basso, mi ha guardato in silenzio (era uno che faceva molto casino in classe), e mi ha guardato con gli occhi aperti, e quando ho finito ha detto Yarham oualdik, Dio benedica i tuoi genitori, signore. E capisco che sono entrato nel suo cuore. Perché è molto intelligente, vivace ma non ha fatto niente nella sua vita. Lui va a vedere il calcio allo stadio, dice delle brutte parole, passa il tempo nel caffé, fuma anche hashish. E uno viene a dirgli: “Tu, malgrado la tua educazione, malgrado la tua povertà, malgrado che tutti i professori ti dicevano che eri cattivo e brutto; io vedo in te un grande potenziale. Tu avrai un diploma di Stato, potrai fare qualcosa… Normale che lui si senta salvato da me (Tunisi, 18/07/2018).

L’attenzione che Arbi pone al tema del ‘valore’ non è banale.

Ho assistito ad alcune sue ore di lezione. Le aule in cui egli presta insegnamento sono tappezzate di cartelloni su cui campeggiano slogan, scritti in inglese, che condensano le sue considerazioni appena citate: “Credi in te stesso”, “Il tuo futuro dipende da te”, “Coltiva le tue potenzialità e andrai lontano”, “Non aspettarti niente dagli altri”, e così via.

In effetti, Arbi stesso invitava i suoi allievi a prendere atto del fatto che i tempi sono irrimediabilmente cambiati: lo Stato non può più garantire il benessere della popolazione, e nessun’altro potrà salvarli se non loro stessi e il sacrificio e la dedizione che metteranno al lavoro in cui saranno impegnati.

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Il focus sui valori non è casuale: oltre alla ridefinizione del ruolo dello Stato nell’architettura economica nazionale e internazionale, ciò che caratterizza il neoliberismo rispetto alle precedenti configurazioni della relazione tra capitale e lavoro è proprio la sua specifica curvatura ideologica (Gledhill, 2008).

Se le agenzie neoliberali fabbricano relazioni sociali e rappresentazioni collettive che naturalizzano funzioni e imprescindibilità dei mercati, rendendoli non questionabili (Wacquant, 2012), la soggettività neoliberale è identificabile negli stili di vita, nelle aspirazione e nelle frustrazioni alimentate da modelli culturali proposti da svariate agenzie e istituzioni (McGuigan, 2014).

Bisognerebbe in effetti assegnare al neoliberismo statuto di ‘forma di vita’, la cui logica profonda risiede ben al di là di considerazioni meramente economiche. La razionalità di mercato è estesa a ogni meandro dell’esistenza umana, imponendosi come una nuova incontestabile ragione del mondo attraverso la produzione di un certo tipo di relazioni sociali, forme di vita e soggettività (Dardot, Laval, 2009). L’accumulo e la valorizzazione economica – il calcolo – assurgono in esso a principi morali della società.

Nel corso degli incontri etnografici con insegnanti e direttori di alcuni centri professionali della Grand Tunis, la formazione proposta agli allievi veniva presentata facendo sempre ricorso alle parole ‘merito’, ‘competizione’, ‘individualità’, ‘spirito imprenditoriale’: gli studenti debbono trovare dentro se stessi le loro migliori capacità.

Il direttore di un centro privato di formazione professionale in pasticceria a Tunisi sosteneva che quelle disposizioni assumono i tratti di una specifica configurazione culturale, non senza legami con i valori di specifiche stagioni politiche. Cercava dunque di instillare nei suoi allievi l’idea che non potessero fare affidamento su nessuno, compreso lo Stato, dal momento che oggi non c’è più lo Stato-provvidenza a vegliare sui bisogni di ognuno.

Benché il materiale etnografico non autorizzi generalizzazioni, le testualizzazioni di parte del personale prestante servizio nei centri di formazione professionale convergono nella valutazione preferenziale

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della responsabilizzazione e dell’auto-regolamentazione individuali (Wacquant, 2012) quali componenti di un ethos verso cui i giovani dovrebbero tendere.

È questa la morale emanata dalla razionalità neoliberale, un complesso culturale promotore di norme e valori; un’etica fondata sull’individualismo, la competizione e il primato del mercato come modello superiore a cui ogni relazione sociale dev’essere ricondotta (Amable, 2011). Si tratta di una morale che ritroviamo all’opera anche nelle agenzie e negli apparati afferenti allo Stato post-coloniale (Gupta, Sharma 2006).

E tuttavia, è possibile rintracciare più di un modello di economia morale, come lo stesso Foucault (2004) aveva previsto rispetto alla modernità, nella quale molteplici razionalità governamentali si sostengono, contestano e combattono vicendevolmente. Senza poi contare le variabili di età, genere e statuto a cui corrispondono, entro ogni insieme sociale, logiche culturali, politiche ed economiche differenti. Da qui la necessità di collocarsi, per il ricercatore, negli interstizi di questi differenti ma coesistenti sistemi normativi.

Vedremo ora di appurare se dalla strutturazione dei campi sociali abitati dai giovani tunisini dei contesti urbani medio-popolari possa germinare una postura capace di contestare l’economia morale dell’ordine politico e culturale neoliberale.

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In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta│struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte Antonio Gramsci, Quaderni del Carcere, 7 (16).