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2. Fantasmi della gioventù, tra inquietudini e anomia sociale

2.8 Il tempo vuoto dell’attesa

La disoccupazione continua comporta una frantumazione delle ordinarie scansioni temporali. Boubakar, trentaduenne diplomato precedentemente incontrato e disoccupato da ormai qualche anno, descriveva in questi termini la sua giornata tipo:

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dormo il giorno... Resto al quartiere… Io vorrei trovare un buon lavoro, preferisco non lavorare e cercarne uno buono. Il denaro che spendo nel tempo da disoccupato è maggiore di quello che spenderei qualora lavorassi... Mio padre mi dà denaro, anche i miei amici mi danno dei soldi perché sanno che sono disoccupato... Anche mio cugino che è in Francia mi manda del denaro...

Cosa fai col denaro?

Caffé, sigarette, birra, molta birra per dimenticare... Tra i tuoi amici ci sono disoccupati?

Moltissimi...

Parlate di questa situazione?

Nessuno vuole restare disoccupato... Non avere come prendere il caffè, come vivere... Se avessi un lavoro spenderei correttamente, senza chiedere alla famiglia (El Mourouj 4, 24/06/2018)...

Anche Hossem, trentatreenne di Ben Arous da poco laureato in ingegneria, mi raccontava del lungo periodo in cui, in seguito a un’incomprensione col suo tutor universitario circa la validità dello stage industriale da lui realizzato, interruppe gli studi per alcuni anni.

La mia famiglia non voleva che restassi a casa a non far nulla. Non era una vita. In quell'anno passavo le giornate a non fare nulla, pensavo, cercavo qualche lavoro per avere un po' di denaro giornaliero [argent de poche], facevo il conduttore di veicoli, l’animatore... Ho trovato qualcosa, ma non sempre. Qualche volta. Facevo meditazione, riflettevo sulla vita, sul futuro, su cosa fare. Tutto era difficile. Vedevo tutto nero, non avevo più interesse a finire il progetto [di studio], ogni giorno era uguale al precedente (Tunisi, 14/04/2017).

Il tempo indistinto scandito da giorni sempre uguali a se stessi è un’esperienza sociale centrale in gran parte dei vissuti dei giovani tunisini delle classi medio-popolari coi quali mi sono confrontato nel corso della ricerca. La traiettoria circolare della temporalità che pare non recuperare più la sua linearità teleologica imprigiona tanti giovani uomini, alienandoli da ogni barlume di agentività sociale.

La protratta inoccupazione comporta la rimodulazione della propria percezione temporale, alterando la consueta distinzione tra tempo del lavoro e tempo del riposo (India, 2017). La perdita di linearità del tempo

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sospende il presente in cui gli attori sociali vivono in una durata priva di avvenimenti e profondità storica (Sennett, 2001).

Nella sua ricerca nella cittadina di Redeyef, Stefano Pontiggia (2017) riflette sulla liceità e sulla traducibilità etnografica dell’esperienza di condivisione della noia tra ricercatore e suoi interlocutori. Il tempo che non passa, in effetti, non è solo una proiezione del ricercatore, immerso in una vita altra da quella che abitualmente trascorre, ma è un’esperienza sociale comune a vari contesti (Mains, 2007).

Qualsiasi interlocutore tunisino da me sollecitato sul tema dei giovani lamentava la quantità sproporzionata di tempo che questi trascorrono seduti al caffè a non far nulla. Al di là dello stereotipo stigmatizzante, in molte testimonianze riguardanti l’harqa, la migrazione clandestina, i miei giovani interlocutori tematizzavano l’attesa pluriennale di un evento capace di modificare con decisione la traiettoria di vita. Un evento che può essere atteso a lungo per poi non verificarsi, come ricorda Ezzedine, ventitreenne iscritto a un centro di formazione professionale di Ben Arous e residente nella medina di Tunisi:

Io ero un bravo studente a scuola primaria. Poi al Collége ho deragliato completamente. Ho delle esperienze da raccontare che non fanno piacere... Anche se ho solo 21 anni ho un'esperienza molto larga e ho visto cose differenti dai miei coetanei... […]

L'ambiente era diverso al collège, ci si interessava al divertimento, alle ragazze, ho iniziato a saltare i corsi... a marinare la scuola. Ho fatto lo sport della lotta per otto anni. Dalla mia infanzia io volevo abbandonare la Tunisia e andare in Francia, dalla mia zia... Allora ho iniziato a passare la notte fuori, in strada con gli amici... Io abito a Bab Bhar a Tunisi, nella rue El Jazira. Io insistevo per andare all'estero. Mia zia non era ancora sposata, e mi diceva di andare da lei, io le volevo molto bene. I miei parenti dicevano che ero ancora giovane e non potevo andare all'estero, andavo al collège, dovevo concentrarmi sugli studi. E allora sono scappato da casa e passavo le notte fuori... I miei genitori poi hanno convinto mia zia a dirmi di restare in Tunisia e di finire gli studi per poi raggiungerla in Francia... Sono arrivato al liceo e mi sono convinto ancora di più che l'educazione del liceo o dell'università non avrebbe portato a niente. La gente che li ha frequentati sono disoccupati, allora perché frequentarli? Nelle vacanze estive lavoravo con mio padre: così come i giovani occidentali a 18 diventano indipendenti, io a 17 anni avevo già il mio stipendio e potevo

158 lavorare e avere soldi miei.

[...] Non ho deciso di fare la formazione, a quell'età ho deciso di abbandonare il liceo e andare all'estero. A 18 anni mia zia mi ha detto che non potevo andare in Francia: se ero studente del collège potevo inserirmi e studiare e continuare lì; se avevo un diploma potevo andare, ma senza qualificazione a 18 anni non poteva aiutarmi, allora mi ha detto di restare in Tunisia, ché in Francia in quelle condizioni avrei fatto brutte cose. Io continuavo a lavorare da mio padre, avevo un piccolo stipendio e allora ho risparmiato soldi e ho dato i soldi per fare l'harqa. Ho dato la somma e aspettavo l'organizzazione del viaggio per l'Italia per poi andare in Francia...

Aspettavo la chiamata, il periodo non era propizio, perché bisognava aspettare tre giorni di bel tempo, il mare non doveva essere agitato per partire. Io aspettavo, aspettavo, aspettavo fino a quando era diventato un periodo insopportabilmente lungo di attesa. Allora ho richiesto indietro i miei soldi, ho litigato con il passeur, che doveva assicurare il viaggio e ho ripreso i soldi. Ma dopo tre giorni sono partiti. Ho perso l'occasione. Forse Dio non voleva che facessi quel viaggio. All'epoca avevo pagato 2000 dinari, quattro anni fa. […]

Ora non ho più questa grinta [di provare a emigrare], se passo passo, sennò pazienza. I soldi che ho preso indietro dal passeur li ho usati per trafficare tutti i documenti del visto all’ambasciata d'Italia. Solo per uno, originale, del liceo, che attesta che sono studente, solo per quel documento originale mi hanno rifiutato il visto. Mi hanno chiesto: “Come mai a 17 anni, che dovresti essere al BAC, sei al secondo ciclo di studi? Vuol dire che sei un pessimo studente e vai in Italia per emigrare”. E hanno stampato il rifiuto. Quando stampano il rifiuto sul passaporto vuol dire che non puoi mai avere il visto, mai, perché sei stato rifiutato. Non puoi provare un'altra volta, se provi un'altra volta anche con tutti i documenti del mondo, se vedono quel rifiuto stampato... Non è scritto esattamente 'rifiutato', c'è scritto che hai fatto una domanda e non è andata a buon fine. E poi attaccano sul passaporto un documento dell'ambasciata d'Italia che è un ammonimento: spiegano perché non ti hanno dato il visto, spiegano il perché. Nel documento scrivono che hanno capito che lui vuole scappare (Ben Arous, 11/11/2016).

Se questa testimonianza riveste un indubbio interesse per via delle informazioni ricavabili in merito all’organizzazione della migrazione non regolare, alle dinamiche di rottura pre-migratoria in seno alla famiglia e alla discrezionalità con cui le istituzioni preposte accordano il permesso

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di recarsi all’estero, è il tema dell’attesa – inutile, irrisolta – a colpire ora la nostra attenzione.

Hamza Meddeb ha scritto che l’attesa è una forma di governamentalità (2015). Governare attraverso l’attesa è un espediente perseguito dalla classe dirigente per inglobare con maggior facilità le masse di giovani disoccupati nei suoi apparati e dispositivi corporativi, ove l’accesso al lavoro è mediato dall’adesione a strutture e reti clientelari.

Il rapporto tra temporalità e rito del matrimonio è evidente. Il rinvio del matrimonio (Dhillon, Youssef, 2007) e la procrastinazione dell’adolescenza sono scelte consapevoli dei giovani attori sociali o sono il frutto di condizioni sociali ed economiche esterne?

Nelle parole di Abdelaziz, il peso delle difficoltà materiali fa il paio con la ricorrente critica delle ragazze.

Qual è l'età in cui sposarsi secondo te?

In Tunisia circa 30 anni. È legato al bisogno finanziario. Questa epoca in cui ci si sposava presto e facilmente è finita. Oggi le donne esigono una casa e un'autovettura. Vogliono che tu abbia i mezzi per comprarle. E poi lavorano pure, oggi, quindi sono più esigenti. Possono scegliere il marito. Pensi in futuro di sposarti, o ancora no?

Perché no… Ma come ho detto, ancora studio... Vorresti essere indipendente dalla tua famiglia?

Certo, tutti lo vogliono, è normale. Ma non posso prevedere il futuro. Mi piacerebbe avere una casa, sposarmi, ma ancora è presto.

Tu hai degli amici più grandi di te che si sono sposati o no perché non avevano la possibilità?

Sì, ma generalmente in Tunisia è l'uomo che supera l'età in cui ci si deve sposare. Ho un amico che sta costruendo la sua casa, e mi ha detto che quando la terminerà e sarà stabile economicamente si sposerà. E altri sono sposati. È un po' difficile. Il problema è sia per gli uomini che per le donne. È la mia idea. Direi che le donne sono più esigenti degli uomini. Vogliono vivere come le storie dei film, un uomo ricco, bello, e che le ami. Tutto in una volta. Io cerco una donna che sia pronta a tutte le situazioni, perché non si può essere sempre felici, stabili finanziariamente, di buon umore… Oggi è più difficile che in passato. Non ci sono molti posti di lavoro, e i salari - come ti ho detto - non sono di alto livello (Tunisi, 18/11/2016)...

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Queste difficoltà erano al centro delle preoccupazioni di Hossem, che da me sollecitato sui suoi piani per il futuro si esprimeva nei seguenti termini:

Pensi al tuo futuro?

Sì, ma è molto difficile... è un investimento. Per fare una casa, il foyer... Se vuoi avere un foyer da affittare, sul lungo tempo… Dopo vent'anni di affitto, paghi la somma di due case! E non hai nulla! Sei sempre locatario, non hai una proprietà. La tua casa, la macchina... Ora è veramente difficile, ci vogliono molti, molti soldi... Il dinaro è troppo basso...

Vorresti abitare in casa da solo, senza una famiglia?

Dipende. Di solito tu prepari il foyer prima di sposarti, per essere sulla buona strada...

Vorresti abitare a Ben Arous?

No, a Tunisi... A un quartiere più confortevole di Ben Arous... Perché lì hanno tutti la mia stessa situazione. E io ho passato una grande depressione in quel posto lì. Perché mi vedo in quel posto in una cattiva situazione... Lì vedo le cose difficili, nere...

In che senso tutto nero?

Perché vorrei sposarmi, avere il mio proprio foyer, una bella vita, con delle vacanze, all'estero, turismo... Bisogna avere un buon lavoro, un tuo proprio progetto, per finanziarlo...

Le difficoltà sono di tipo economico?

Sì. Se avessi già il mio proprio foyer tutto sarebbe già più facile.

Bisognerebbe solo trovare una ragazza da sposare... Preferirei farlo solo. Altrimenti... Ci sono sempre problemi! (Tunisi, 14/04/2017).

Le difficoltà economiche che gravano sul perseguimento di progetti di autonomia e indipendenza sociali sono in realtà parte ineliminabile di un immaginario in cui i vari livelli del ‘qui’ (il quartiere (Hay Lesken), la città (Ben Arous), la Tunisia) vengono rappresentati come un ostacolo alla realizzazione di un’esistenza in cui l’altrove – mediato da vacanze, soggiorni all’estero – acquisisce una pregnanza solo in parte limitata dalla preferenza per una moglie di religione musulmana.

Eppure, non tutti gli attori sociali tematizzano allo stesso modo il rinvio del matrimonio. Emna e Karim sono una coppia che progetta il matrimonio, sebbene intendano raggiungere maggiori garanzie di stabilità economica prima di intraprendere quel passo.

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Non più giovanissimi (hanno entrambi superato i trent’anni) il rinvio della maturità sociale cambia di segno nelle loro parole e rivela i suoi caratteri benefici. I due frequentano un istituto privato di formazione professionale in pasticceria a Tunisi dove da quasi due anni convivono. Hanno pertanto già raggiunto un certo grado di autonomia, dopo aver respinto le resistenze delle rispettive famiglie, contrarie a quell’inconsueta coabitazione prematrimoniale. La loro storia testimonia come il rapporto tra habitus e

agency possa propendere decisamente per quest’ultima, sebbene la

generalizzazione di questa osservazione debba essere sottoposta a più di una cautela.

Voi pensate che uomo o donna debbano avere delle qualità per arrivare al matrimonio?

E: In Tunisia la vita è difficile, non c'è lavoro e non ci si sposa. Si ritarda questa tappa; [le persone] vivono la loro vita, si sposano a 32, 33 anni, questa è la media. E c'è anche un altro problema: le ragazze sono più numerose dei ragazzi, qui è esagerata la sproporzione.

K: Sono una minorità e non hanno i mezzi. 40% di ragazzi, di cui il 20% non ha i mezzi, non lavora, non ha una casa...

E: E scegliere il marito non è facile, devi sceglierne uno con cui poter parlare, dello stesso livello culturale, non solo sociale, ma soprattutto culturale. Una persona con cui intendersi. Se non hai lo stesso livello culturale non puoi intenderti con lui, è difficile trovare il giusto uomo. Io mi considero fortunata, ho avuto la chance di trovare Karim.

K: Io ho scelto Emna perchè è matura. È raro trovare una donna matura, anche in Europa, perché ne ho conosciute di ragazze europee... La maggioranza delle ragazze cerca la moda, guarda l'uomo come se fosse una carta bancaria. E gli uomini oggi guardano le donne solo come oggetto sessuale. Io cerco qualcosa di diverso, una personalità, una madre per i miei figli. Qualcuno di intelligente, onesto, di cui fidarti. Se avrò un giorno dei problemi devo essere sicuro che lei sarà al mio fianco. Ma la maggior parte delle ragazze di questa generazione non rispetta la famiglia. Cercano solo un uomo da sposare che soddisfi tutti i loro bisogni. Se non ha più soldi, lavoro, ecc... vanno a cercare un altro uomo. Io sono figlio unico di una famiglia di un certo livello sociale, non ricca, ma mio padre sta bene. Ma io cerco una vita da solo, senza cercare denaro ai miei, voglio costruire il mio futuro da solo. Faccio sempre quello che voglio. Non so se in Europa è così, ma se tuo padre ti dà i soldi sei obbligato a sottometterti alle sue

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decisioni. Io cerco la libertà. Cerco di essere indipendente. Ho la mia propria visione del mondo, le mie idee. Mio padre ha 62 anni, è un po' all'antica, non ha la mia stessa visione. Io preferisco fare la mia vita da solo, senza essere sottomesso.

Pensate di essere in ritardo per formare una famiglia?

K: Un tempo le persone si sposavano a 14 anni. Mia madre aveva 11, 12 anni...

E: Anche oggi ci sono delle persone che si sposano a 18 anni, ma è un amore da adolescenti, non è una buona scelta.

K: L'amore di un ragazzino non è amore. Bisogna essere maturi. Io ho un amico che è più giovane di me di un anno. Ha già 3 figli, e aspetta il quarto. Ne ho un altro che è sposato e ha due figli. Si è sposato a 22 anni. Mio padre voleva che mi sposassi a 19 anni ma mi sono rifiutato. Ho scelto di vivere la vita come volevo io. Voleva mi sposassi con una cugina. Di solito ci si sposa nella famiglia. La figlia della cugina di tuo padre... Mia madre aveva trovato dieci ragazze nella famiglia! I genitori delle ragazze non erano interessati a me, ma al denaro di mio padre. Volevano assicurare alle figlie un certo livello. Generalmente in Tunisia i ricchi si sposano con i ricchi, i poveri con i poveri. Ma io preferisco scegliere la mia partner. Non sono i miei genitori a scegliere. Non mi sposerei con una ragazza che dopo due-tre anni non amerei più. [...] Di solito gli uomini scelgono delle ragazze più giovani. Ma questo è sbagliato, perché le ragazze così si sposano quando non sono mature, quando non sanno cosa sia una famiglia. Per questo si divorzia.

E: Io ho una cugina che si è sposata a 22 anni, si è sposata con un uomo, un cugino lontano, che ha 37 anni. È troppo ampio lo scarto, sono generazioni diverse, non so come facciano a intendersi, ma sono sposati da tre anni, e esteriormente tutto va bene, ma non so veramente.

Adesso nella tua famiglia, Karim, sono contenti della tua relazione con Emna?

K: Sono contenti. E: Sua nonna no...!

K: Mia nonna stava per morire, e mi ha detto: "Non ti sposare con una donna che non è della famiglia!". Ma il mondo è aperto, ci si può conoscere, non ci sono problemi.

E: Anche nella mia famiglia. La mia famiglia è originaria di Tunisi da diverse generazioni. E volevano che ci si sposasse tra di noi. Non volevano che mi sposassi con uno 'straniero' di un'altra parte. Non è vietato sposarsi con uno straniero, ma loro preferivano questo. Karim è di Sousse, una città di mare, è lo stesso...

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K: Le tre grandi città della Tunisia (Tunisi, Sousse, Sfax) sono più o meno lo stesso livello, le famiglie hanno lo stesso modo di pensare. Gli altri all'interno sono contadini. Hanno un'altra mentalità. Le persone lì sono più attaccate alle loro tradizioni, alle origini. Noi qui siamo più aperti (Tunisi, 16/02/2017).

L’abitazione rappresenta un problema difficilmente eludibile qualora ci si intenda sposare. Preparare il ‘foyer’ rappresenta, agli occhi della totalità dei miei interlocutori, il passaggio apicale della transizione all’età adulta. Acquistare casa o avviare i lavori di ristrutturazione di un’abitazione di proprietà non ancora abitata sancisce l’indipendenza economica dal nucleo familiare e l’assunzione di responsabilità in quanto maschi e adulti. Senza una casa, il matrimonio non può compiersi. È stato calcolato che in Paesi come l’Egitto, i costi della casa costituiscono un terzo delle spese complessive del matrimonio (Assaad, Ramadan, 2008).

Significativo è allora che i pochi miei interlocutori che, nel bacino dei miei contatti, si sono sposati durante la stagione del lavoro etnografico l’abbiano fatto perché sono riusciti a ricavare una casa dall’immobile di proprietà familiare, generalmente il piano superiore a quello dei genitori. È il caso di Oussama, ad esempio, trentenne di Ben Arous che lavora in un’azienda di servizi vicino casa sua, nella Grand Tunis. Originario di Sousse, è un giovane recentemente convertito a forme di religiosità più pronunciate. Nel quartiere di Hay Lesken, gli amici lo chiamano ‘il salafita’, insieme a Rached, che presenterò oltre.

Anni fa suonava la chitarra, poi ha smesso per assumere una condotta di vita maggiormente rispettosa delle prescrizioni religiose – coerentemente con l’anti-fun fondamentalism (Bayat, 2010) delle retoriche fondamentaliste contemporanee30; si è fatto crescere la barba e cammina per il quartiere indossando il qamîṩ di origine saudita.

30 Nel Corano non trova posto il termine ‘musica’. Nell’elaborazione concettuale salafita, si fa riferimento a qualche

‘aḥâdîthe ad altre fonti (come Ibn Taymiyya) interpretabili come un ammonimento a non cadere nei vizi prodotti dall’ascolto protratto di ritmi e melodie musicali. La musica, al pari dell’alcool e del fumo, allontana dall’adozione di uno stile di vita austero, rigoroso e volto a una pratica religiosa corretta. L’atteggiamento nei confronti della musica, ben diverso, ad esempio, nella tradizione sufi, riflette l’ossessione rituale e normativa del fondamentalismo contemporaneo.

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Quando gli chiedevo se la sua vita fosse cambiata dopo il matrimonio, Oussama mi rispondeva che è certamente migliorata, dato che adesso è più libero. In particolare, la domenica può stare tranquillo grazie al lavoro domestico della moglie e all’ordine che regna in casa.

La loro nuova abitazione è costruita sul piano superiore dell’appartamento in cui Oussama viveva con i suoi genitori prima del matrimonio: non ha