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Dall’educazione al lavoro: riscatto e fallimenti

2. Fantasmi della gioventù, tra inquietudini e anomia sociale

2.10 Dall’educazione al lavoro: riscatto e fallimenti

Trattare la disoccupazione giovanile non concerne solo un aspetto socio- economico o demografico ma morale: la cronica disoccupazione della popolazione giovanile tunisina ha infatti messo in discussione a partire

36 Da questo punto di vista, il campo dei sentimenti appare congeniale a sondare disposizioni e pratiche che trascendano tanto «l’obbedienza a delle regole» strutturali quanto l’esclusiva «intenzione cosciente (Bourdieu 2003: 207)».

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dagli anni Novanta dello scorso secolo i fondamenti stessi del modello sociale perseguito dalla classe dirigente (Romdhane, 2011).

L’assenza di lavoro comporta la perdita di un solido e definito statuto sociale per i disoccupati che sono obbligati a fare affidamento alle loro famiglie. Questa morte sociale tocca in particolar misura i giovani diplomati, categoria estremamente vulnerabile in quanto prodotto di un investimento familiare nell’educazione a cui tuttavia non segue l’occupazione agognata (Bousnina, 2013).

La disoccupazione dei giovani diplomati sancisce l’incapacità del sistema educativo a garantire la promozione sociale, obiettivo, questo, che determinava sin dalla stagione post-indipendenza solide e chiare aspettative da parte di ampi strati sociali della popolazione tunisina. All’indomani dell’indipendenza, l’obiettivo della classe dirigente tunisina è stato l’apertura del sistema educativo al contesto socio-economico nazionale. In questa stagione vennero introdotte ore di lavoro manuale nella scuola primaria (nell’anno scolastico 1971-1972): pesca, agricoltura, industria e artigianato.

Il V e il VI Piano Educativo, adottati dalla Tunisia negli anni Settanta, sottolineavano l’esigenza di adeguare i programmi scolastici alle necessità dello sviluppo. Prendeva così forma l’insegnamento professionale: dal 1984, sarebbe stato possibile seguire questo tipo di formazione a partire dal secondo ciclo di studi.

La fiducia nel sistema dell’istruzione nazionale rientra nella centralità che l’intero sistema educativo ha ricoperto negli ultimi decenni in tutta l’area MENA, dove la crescita e l’investimento nell’istruzione e nella scolarizzazione della popolazione hanno conosciuto il tasso di sviluppo più alto del mondo (World Bank, 2008).

Tuttavia, a fronte di alti livelli di investimento nel settore, la qualità del comparto educativo non è cresciuta, specie in rapporto al successivo inserimento nel mercato del lavoro (Galal, 2002; Salehi-Isfahani, Dhillon, 2008).

Non è questa la sede per esaminare dettagliatamente i punti di debolezza del sistema educativo del panorama nordafricano e mediorientale (Salehi- Isfahani, Dhillon, 2008). Certamente il fenomeno dei jeunes chômeurs, i

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giovani disoccupati, aspira a rappresentare in maniera assai esemplificativa sincopi e contrazioni di una dissestata transizione dall’educazione al lavoro e dall’età dell’apprendimento a quella della piena responsabilità.

I dati di Bousnina (2013), sebbene risalente ad alcuni anni fa, certificano il problema: sul totale dei giovani disoccupati tunisini, il 37% è costituito da diplomati. A salire sul banco degli imputati, l’incongruenza tra realtà e aspettative salariali; l’assenza di accurate informazioni sul mercato del lavoro tra i giovani; l’incompatibilità dei profili dei neodiplomati rispetto alle esigenze delle imprese del settore pubblico e privato (ITCEQ, 2012; Azaiez, 2000).

Questa tipologia di disoccupazione pare essersi cronicizzata nel ferito corpo sociale tunisino: le statistiche riportano che nel 2011 il 50% dei disoccupati versa in una condizione di non-lavoro da più di due anni. L’esclusione dal mercato del lavoro appare dunque perdere carattere temporaneo. Inoltre, un altro dato illuminante riporta che la quota di disoccupati senza titolo di studio o analfabeti è sempre più ridotta, mentre quelli diplomati e qualificati crescono sempre di più (+863% in 12 anni).

Adel Bousnina individua alcune cause strutturali che hanno concorso alla produzione di una mole talmente vasta di giovani disoccupati diplomati. Accanto ai fattori demografici (la maggiore pressione sulla domanda di ingresso del mercato del lavoro), ritroviamo la massificazione dell’istruzione e l’inflazione dei titoli scolastici, che hanno svalutato il valore in sé dei diplomi, subordinandone la validità alla classe sociale del detentore. Di fronte all’accresciuta quantità degli studenti, la qualità dell’insegnamento superiore ne ha risentito fortemente, innescando un meccanismo di forte selettività interna al percorso scolastico, responsabile della fuoriuscita di migliaia di allievi ogni anno (quantificati in 3800 negli anni Novanta) (Ben Yahmed, 1998).

Un fattore strutturale è senz’altro quello della predominanza di filiere educative generaliste e non professionalizzanti, responsabili di produrre giovani formati ma non richiesti dal mercato del lavoro, entro un sistema formativo accusato di inculcare negli studenti un generico sapere piuttosto che un saper-fare, inadatto all’integrazione nel sistema produttivo

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(Abdennadheur, Beji, Plassard, 1998).

Tuttavia, questa critica neoliberale, al centro di molteplici report redatti da agenzie di sviluppo e istituti internazionali, va quanto meno controbilanciata. L’auspicato adattamento del sistema educativo tunisino alle esigenze del mercato del lavoro nazionale e internazionale non è destinato inesorabilmente al miglioramento delle condizioni dei giovani diplomati e/o laureati. Le competenze richieste dal mercato del lavoro non immunizzano dalla proletarizzazione quegli strati di lavoratori qualificati la cui conoscenza viene così rapidamente superata dalle nuove esigenze della produzione tanto da risultare, nel giro di pochi anni, incapace di generare vantaggi salariali per il lavoratore (Dessì, 2019).

Le difficoltà di inserimento dei giovani diplomati nella filiera lavorativa si spiega anche in ragione della svalutazione dei diplomi, perseguita da quei datori di lavoro che privilegiano sempre di più l’esperienza professionale dei giovani ‘candidati’ più che il loro titolo. Una dinamica ben conosciuta da parte dei giovani tunisini iscritti ai corsi di formazione professionale di Tunisi e Ben Arous, di cui riporto le testimonianze ricavate da due focus group introduttivi e a cui ho dedicato una parte iniziale del lavoro di ricerca in quanto ritengo condensino ed esemplifichino parte delle inquietudini di una gioventù ‘fuori posto’. Nel motivare la loro scelta di iscrizione ai centri di formazione professionale, lasciavano intendere che la decisione era stata dettata dall’assenza di valide alternative.

Come hai scelto questo percorso?

Non l'ho scelto. Ho provato a passare il BAC tre volte ma senza riuscirci. Oggi in Tunisia per poter avere una vita normale devi avere un mestiere. Meglio di avere un diploma universitario.

Pensi che l'università non sia utile?

Può offrire delle opportunità ma devi essere eccellente per costruire un futuro così... Ho degli amici che hanno preso il BAC [Baccalauréat] e hanno fatto l'università. Hanno preso il diploma di tecnico superiore e poi non hanno trovato un lavoro, e allora sono andati al centro di formazione professionale (Yakim, 11/11/2016).

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BAC il quarto anno. Ho ripetuto il BAC tre volte. Quindi ho scelto poi il centro di formazione. È meglio. Sicuramente meglio che ripetere il BAC. C'è molta disoccupazione, la formazione può aiutare...

Ho scelto la formazione perché avevo già lavorato prima... Ho fatto il CAP [Certificat d’Aptitude Professionnelle], poi il BTP [Brevet de Technicien Professionnel]. Ho lavorato per i pannelli dei frigoriferi. Non ho mai pensato di andare all'università. Non c'è differenza tra chi ci va e chi non ci va. Se hai il titolo di BTS [Brevet de Technicien Supérieur] è lo stesso livello universitario (Nabib, 11/11/2016)...

Non ho scelto io. Mio padre mi ha proposto di studiare climatizzazione o elettricità, perché molte delle persone della mia famiglia lavorano in questo campo, nell'industria della costruzione... Mio padre è tecnico in tipografia. Anche se andassi indietro alla secondaria scuola, lo risceglierei perché non è roba per me studiare (Hichem, 11/11/2016)…

Oggi molti giovani con diploma di scuola e università non trovano lavoro, e allora perché continuare? Non voglio fare il loro errore. Ho deciso di fare una formazione di due anni... Le imprese preferiscono quelli che hanno un diploma nella formazione professionale perché sono più inquadrati nella pratica mentre gli universitari non sanno niente. E poi un diplomato nella formazione professionale costa meno di un universitario, il cui salario dev'essere più alto, e il mio salario è meno alto ma al contempo sono più utile per l'impresa da un punto di vista pratico (Amin, 11/11/2016).

Le parole di Yakim, Nabib, Hichem e Amin testimoniano come la formazione professionale in Tunisia non sia esattamente una prima scelta nei percorsi formativi dei giovani tunisini. Esistono chiaramente dei casi in cui la formazione professionale viene scelta perché in famiglia un parente (generalmente il padre o uno zio) lavora o è a capo di un’azienda, in Tunisia o anche in Europa, per entrare nella quale sarebbe preferibile detenere il diploma.

Ma nella maggior parte dei casi che ho riscontrato, la formazione professionale è l’esito indesiderato eppure inesorabile di un fallimento nel percorso formativo: il mancato superamento dell’esame del BAC, senza il quale non è possibile intraprendere la carriera universitaria.

Come emerge nelle seguenti testimonianze, una quantità non trascurabile di giovani allievi della formazione professionale – che Ettalmoudi (2012)

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quantifica in più della metà degli iscritti – intraprende questo percorso in seguito a un fallimento scolastico, generalmente quello del BAC37. Ecco

in proposito cosa riferiscono Yakoub, ventitreenne originario di Tozeur, e Mohamed, suo coetaneo di Tunisi:

Ho provato a passare il BAC senza riuscirci... Siamo venuti a Tunisi, ho saputo che c'era una formazione professionale in climatizzazione e ho pensato potesse essere importante per noi. Pensavamo fosse solo pratica, ma ci siamo accorti che c'era solo teoria. Ma non possiamo più tornare indietro, certo. Non so cosa farò dopo, sicuramente non lavorerò in questo campo (Yakoub, 11/11/2016).

Io ho fatto economia. Mio padre lavora alla Coca Cola, e io ho lasciato la scuola dopo aver provato il BAC senza passarlo. Mio padre mi ha trovato un lavoretto alla Coca Cola, ma i colleghi di mio padre si sono lamentati del fatto che io, suo figlio, avessi trovato un posto come aiuto- magazziniere (Mohamed, 11/11/2016).

Il condizionamento del BAC non giunge solo in presenza di una bocciatura, ma anche nell’aver riportato un voto basso e non poter proseguire così gli studi superiori nella maniera in cui si sarebbe voluto, come rivela Souhaib, ventitreenne anche lui di Tozeur.

Il mio nome significa 'il cavaliere coraggioso'. Ho vissuto in Libia per tre anni a Bengasi con la mia famiglia, perché mio padre aveva trovato lavoro lì. Ho lasciato il liceo al primo anno secondario e poi sono andato a una scuola privata secondaria fino al quarto anno. Ho passato il BAC ma ho avuto 4/20 di media, molto debole. Io volevo fare belle arti all'università, perché io sono bravo a disegnare. Avevo molto talento ma non ho trovato appoggio... La moglie di mio zio, che vive in Francia, ha provato ad aiutarmi e mi ha detto di mandarle i miei disegni per venderli in Francia (Souhaib, 11/11/2016)…

Per Abdelaziz, invece, la difficile commutazione del percorso educativo

37 Secondo il Ministero dell’Educazione tunisino, il tasso globale di superamento dell’esame del BAC nella sessione principale del 2019 è stato del 30,09%, in linea con l’anno precedente ma tre punti di percentuale in meno rispetto al 2016. Inoltre, la statistica del tasso di successo all’esame è direttamente proporzionale al benessere socio-economico del governatorato di residenza degli studenti.

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in direzione della formazione professionale si accompagna alla percezione della stigmatizzazione che subisce chi intraprende questo percorso. Stigmatizzazione solo in parte mitigata dalla consapevolezza, comunque non granitica, che questo tipo di diploma è utile per trovare un lavoro.

Non ho scelto questo percorso ma ho fallito al BAC, per questo ho deciso di fare un lavoro manuale. In Tunisia per avere un buon lavoro e un po' di soldi devi avere un lavoro manuale. Ho lasciato la scuola per alleggerire la pressione che sentivo dalla mia famiglia; la mia famiglia voleva che lo prendevo subito il BAC mentre di solito la gente lo riprova tante volte. Hanno fatto pressione perché io andassi subito al centro di formazione professionale dopo il primo tentativo andato male. Pensavano fossi troppo grande per ripeterlo. Non ho ripetuto il BAC, dopo averlo 'cassato', perché non avevo più l'età, ero troppo adulto... Ora ho 24 anni. Avrei potuto ancora passarlo o non passarlo. Era un rischio, per il futuro.

[…] Andare al centro ti fa sentire 'demunito' (démuni). Io ho un amico che ha fatto il BAC. Mi chiede sempre perché non ho passato il BAC, perché sono al centro di formazione... Non è così prestigioso come andare all'università. In realtà esattamente il contrario. Abbiamo più possibilità di trovare lavoro. Ma specie un tempo, la percezione dei centri formazione era molto scadente (Tunisi, 18/11/2016)…

Arbi Ben Abdallah è un insegnante di inglese al centro di formazione professionale statale di el Mousina, a Ben Arous, grazie al quale ho potuto realizzare un primo incontro con i giovani iscritti ai corsi di formazione professionale. Ha cinquant’anni, è sposato e ha tre figli, e vive nel quartiere el Aouina, a connotazione medio-popolare.

L’insegnamento e la continua elaborazione di metodologie didattiche innovative, volte a stimolare l’attenzione e l’interesse dei suoi allievi, gli sottraggono tempo ed energie. Il suo orientamento pedagogico e politico è di stampo liberale, come vedremo: nel suo tentativo di ‘estrarre’ il meglio dagli studenti, privilegia ed enfatizza il lavoro sul Sé, al fine di consentire l’emergenza delle potenzialità e delle capacità che ogni giovane possiede.

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Anche la pedagogia che adotta è estremamente individualizzante: per ogni alunno elabora un programma didattico specifico all’interno di carriere formative elaborate ad hoc, secondo gli interessi e le capacità di ciascuno.

Lavoro in questi centri da ventidue anni: posso garantire che i centri non diventano per caso peggiori o migliori nella percezione delle persone... Sono le condizioni generali del Paese che determinano questo cambiamento nella percezione delle persone... Le persone non possono fare un concorso senza un livello-BAC; oggi non è più possibile, e non possono pagare per scuole private che costano molto (che ti garantiscono il passaggio del BAC), e anche quando lo passassero e andassero all’università non è detto che possano trovare un lavoro... è per questo che le persone hanno iniziato a venire in questi centri. Inizialmente era perché non avevi altra scelta, ma poi le persone hanno scoperto che non era una cosa triste, e oggi il numero di quelli che trovano lavoro con il nostro diploma cresce rispetto a quelli che vanno all’università, e se studi qui oggi sei rispettato. Quando ho iniziato a lavorare qui mi vergognavo di dire che lavoravo in un centro di formazione professionale. Se qualcuno mi chiedeva dove insegnassi, gli rispondevo che lavoravo a Ben Arous, non in un centro di formazione professionale. Se insistevano l'avrei detto con molto imbarazzo (Ben Arous, 11/11/2016).

In Tunisia, la formazione professionale è garantita da istituti pubblici (espressione dei ministeri tecnici) e privati. Questi ultimi sono posti sotto l’egida del Ministero della Formazione Professionale e dell’impiego. Si tratta di una rete di 136 centri di formazione, radicati in tutto il territorio tunisino38, al cui finanziamento partecipa in misura sempre maggiore fonti e risorse ‘esterne’ (doni e crediti emanati da fondi internazionali) e l’investimento privato.

Questa tendenza rivela un cambiamento profondo nel pensiero e nella pratica dello Stato tunisino, storicamente avverso alla preponderanza del settore privato nel comparto educativo e in particolare nel settore dell’insegnamento superiore (Mazzella, 2006).

38 Cfr. www.tunisie-competences.nat.tn/default.aspx?id=151&Lg=1 (consultato il 05/05/2019). Sul punto, cfr. anche (OIT-ONRQ, 2013).

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Non è questa la sede per avviare una riflessione sistematica sulla formazione professionale tunisina e sui suoi elementi di debolezza (la difficoltà e la lentezza nel reperire macchinari e attrezzature scientifiche; la politicizzazione delle nomine ai vertici del ministero e le pressioni sindacali nel reclutamento degli insegnanti dopo la Rivoluzione del 2011; le criticità dell’alternanza formativa tra centro di formazione e azienda, per realizzare la quale il centro ‘alleggerisce’ la presenza degli studenti nei centri e l’impresa ‘guadagna’ un abbattimento delle tasse versate allo Stato).

Ciò che qui mi interessa rilevare è che, nonostante l’attesa spendibilità professionale del titolo e l’assenza delle ingenti criticità rilevabili nei contesti scolastici tunisini (Moussa, 2015; Payet, 2006), la scelta di questo percorso da parte degli allievi si presenti come una decisione forzata, come è lo stesso Arbi ad ammettere:

Sono loro a dirlo. Non è una mia impressione. All'inizio, quando ho un nuovo gruppo, chiedo: “Come mai siete qui?”, e molti mi dicono: “Perché non più alcuna scelta, non voglio più andare al lycée, e ho ripetuto il BAC due volte senza riuscirci"... C'è una cesura profonda tra quelli che riescono nel BAC e quelli che non arrivano all'università. C'è una debole fiducia in se stessi. Io provo a discutere con loro, e loro iniziano a parlare perché si sentono a loro agio con me. Esce fuori questa ferita di non aver avuto accesso all'università, perché hanno dato una delusione alla famiglia; o penso a quelli che dicono di essere intelligenti ma che hanno avuto problemi disciplinari e hanno sprecato la loro vita. Dicono che le altre persone pensano che loro non sono intelligenti, hanno disagio nel comunicare agli altri che fanno la formazione professionale. E non hanno scelta, perché non hanno il denaro per andare in un lycée privato e prendere il BAC... Non hanno più la 'testa' per studiare. E c'è poi un altro fattore molto importante, ovvero il loro livello è molto basso, non hanno i prerequisiti necessari per riuscire al BAC. Hanno ragione a non volerlo ripetere, perché sanno che non lo ripasserebbero per altre tre o quattro volte, forse non riuscirebbero mai... E poi la formazione professionale con un diploma di tecnico è amministrativamente equivalente al BAC; dunque se poi trovano un lavoro alla funzione pubblica con un diploma di formazione professionale vengono pagati come quelli che hanno il BAC. [...]

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Principalmente non hanno scelta, ma hanno anche la pressione dei vicini, dei parenti... Perché si vedono che restano seduti al café a non fare nulla mentre gli amici rientrano a scuola o all'università... C'è anche un'altra cosa importante, una mancanza di pianificazione, di obiettivi per il futuro. La maggior parte non è stata educata secondo il principio: "Cosa farai nel futuro?"; sono stati maleducati dai genitori, dall'ambiente. Non riflettono su quale mestiere faranno, quale percorso può potenziare le loro capacità, cosa vogliono essere. Cosa devo apprendere o fare per raggiungere quell'obiettivo? Io faccio sempre queste domande quando ho nuovi allievi, e ti assicuro che mi rispondono sempre così: “Perché il centro è vicino alla mia casa”, “Ho un amico che ha fatto la formazione e mi ha detto che il centro è buono”, “Ho un amico che ha fatto la formazione in elettricità e lavora, e può fare del denaro da solo”... Molto raramente trovi qualcuno che dice di aver scelto la formazione perché voglio fare questo o questo... O ancora capita che qualcuno dica che un amico in Europa gli ha detto che se prende il diploma lui gli trova il lavoro in Europa. Ma almeno è un obiettivo chiaro. Negli altri non lo è... [...] Dunque alcune volte ti dicono di non avere scelta ma in realtà non hanno gli obiettivi. E se la loro fosse una scelta consapevole, sarebbero anche più esigenti nei nostri confronti, specie con quei formatori che non garantiscono un'adeguata formazione. [...]

A tuo avviso esistono delle differenze tra gli allievi di ieri e quelli di oggi? Prima non è che sapessero cosa fare nel futuro... Era la crisi del lavoro ad essere meno forte, faceva meno paura e c'era una percezione diversa... C'era molta più speranza di trovare un lavoro, specie negli anni Novanta. I giovani prendevano il diploma professionale e poi lavoravano. Non avevano chiari gli obiettivi, ma dopo il diploma trovavano il lavoro o col padre o con un parente o con qualcun altro… E poi lo trovavano. Oggi non è per niente sicuro trovarlo. Anche se il tasso di assunzione dei giovani con diplomi nella formazione professionale è migliore di quelli che hanno l'università (Tunisi, 18/07/2018).