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Analisi delle principali fattispecie interessate da fenomeni di integrazione o correzione: a livello normativo.

Prima di procedere nell'indagine sopra tratteggiata, ci pare necessario soffermare l'attenzione su quelle fattispecie rispetto alle quali il legislatore o i giudici abbiano affrontato il problema della integrazione o della correzione del contratto.

Escluso l'esito della nullita totale del contratto, in caso di caducazione di clausola abusiva essenziale, è opportuno soffermarsi, brevemente, sul dato normativo per verificare se, a fronte dell'operativita del rimedio della nullita parziale necessaria, sia possibile intervenire sulla lacuna contrattuale sopravvenuta, con l'obiettivo di colmarla.

La possibilita di integrare il contratto da cui sia stata eliminata la clausola nulla non è un tema del tutto nuovo, ma si è sempre posto all'attenzione dell'interprete in vari settori del

105 Si rinvia, nuovamente, in via adesiva, alle chiare osservazioni di V. ROPPO, voce Clausole vessatorie

diritto contrattuale. Anche perché esso si inserisce – giova ricordarlo – nel più ampio problema dei rapporti tra poteri del giudice e autonomia privata.

Come accennato in precedenza, molteplici sono le fattispecie normative in cui il legislatore sembra prevedere, in modo più o meno esplicito, un intervento del giudice sul contratto, al fine di assicurarne la conservazione, soprattutto quando, in mancanza di una singola clausola (essenziale), il regolamento non sia in grado di funzionare correttamente.

Diverse, tuttavia, sono le modalita e l'intensita con cui il sindacato giudiziale può estrinsecarsi. Anzi, proprio la varieta di soluzioni normative e interpretative prospettabili pone il problema di stabilire quale sia (e se vi sia) una regola (o più regole) idonea a garantire l'obiettivo di manutenzione del contratto.

Tale riflessione sara approfondita nei successivi paragrafi del presente lavoro e dovra essere condotta avendo riguardo non solo alle regole proprie del nostro sistema civilistico, ma anche e soprattutto ai principi di stampo eurounitario che, nella materia consumeristica, svolgono un ruolo centrale e imprescindibile.

Proprio nella consapevolezza di questo contesto normativo e assiologico di riferimento si ritiene vadano letti gli sforzi della dottrina e della giurisprudenza di comprendere come si configuri il rapporto tra potere del giudice e autonomia negoziale, soprattutto nelle ipotesi di nullita contrattuale in funzione protettiva, che costituiscono l'oggetto privilegiato della presente indagine.

Per tentare di sciogliere questo nodo interpretativo, occorre prendere atto della presenza di norme che, pur non riguardando necessariamente ipotesi di nullita protettive, tuttavia, gia prendono in considerazione il problema. La loro analisi sara, dunque, utile e necessaria per valutare se possono essere di aiuto nella prospettazione di una possibile soluzione rispetto alla questione oggetto di esame.

Invero, gia il codice civile sembra contemplare ipotesi di integrazione del contratto in funzione conservativo-correttiva. Vediamo, rapidamente, quali sono.

Si ricorda, innanzitutto, che nella versione originaria dell'art. 1815, comma 2, c.c., ante riforma del 1996, era prevista, in caso di nullita della pattuizione di interessi usurari, l'applicazione dei termini di pagamento legali, in luogo di quelli iniqui stabiliti dalle parti106.

106 Sul tema, si rinvia a una cospicua e autorevole dottrina: M FRAGALI, Sub art. 1815, in Comm. del codice

civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, artt. 1813-1822, Bologna-Roma, 2ª ed., 1966, p. 346 ss.; G.B.

FERRI, Interessi usurari e criterio di normalità, in Riv. dir. comm., 1975, I, p. 289 ss.; G. ALPA, Usura:

problema millenario, questioni attuali, in Nuova giur. civ. comm., 1996, II, p. 181 ss.; G. BONILINI, La sanzione dell'usura, in Contr., 1996, p. 759 ss.; E. QUADRI, La nuova legge sull'usura: profili civilistici, in Nuova giur. civ. comm., 1997, p. 1328 ss.; V. CARBONE, Il meccanismo di determinazione del tasso-medio e del tasso-soglia, in Corr. giur., 1998, p. 435 ss.; G. OPPO, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 533 ss.; A. GENTILI, I contratti usurari: tipologie e rimedi, in Riv.

Mentre, nel testo attuale, il legislatore esclude la debenza di qualsivoglia interesse, trasformando, sostanzialmente, il mutuo da oneroso in gratuito, in precedenza era, invece, prevista l'integrazione-correzione del contratto attraverso la sostituzione della pattuizione iniqua con la previsione legale della misura degli interessi dovuti.

È, invece, tutt'oggi, in vigore il testo originario dell'art. 1284, comma 3, c.c. che, in tema di obbligazioni pecuniarie, stabilisce, in via generale, la nullita del patto sugli interessi fissati in misura superiore alla soglia legale, ove privo di forma scritta. Anche in questo caso, si è in presenza di una ipotesi di nullita parziale del contratto, essendo travolta dalla declaratoria di invalidita la sola la pattuizione degli interessi sul capitale. Nel contempo, è lo stesso legislatore ad ammettere, a favore della conservazione del contratto, che il giudice dia diretta applicazione, in via sostitutiva, alla misura degli interessi fissata dalla legge. Questo significa che l'ordinamento reagisce alla lacuna contrattuale sopravvenuta riconoscendo l'operativita di un meccanismo di sostituzione-integrazione della clausola convenzionale nulla con una regola legale.

La ratio della disposizione appena esaminata pare, allora, coincidere con quella sottesa al previgente art. 1815, comma 2, e cioè garantire, il più possibile, la conservazione del contratto privato di una clausola essenziale nulla. In entrambi i casi, non solo l'integrazione della lacuna sopravvenuta è consentita, ma si realizza tramite la sostituzione della disciplina legale violata dalle parti e richiamata nel regolamento per mano del giudice, a tutela del debitore, considerato parte debole del rapporto giuridico.

Semmai, l'aspetto che si dovra approfondire e se, davvero, una norma di diritto dispositivo, anziché una norma imperativa, possa essere richiamata dal giudice all'interno del regolamento contrattuale, trattandosi di norma (tendenzialmente) derogabile dall'autonomia privata.

Parte della dottrina ravvisa, poi, sempre nell'ambito del codice civile, anche disposizioni che confermerebbero la possibilita, per il giudice, di esercitare, addirittura, poteri più propriamente correttivi sul negozio, all'esito di un controllo sull'equilibrio anche economico. In tali ipotesi, non si tratterebbe, semplicemente, di colmare la lacuna sopravvenuta con una norma imperativa o di diritto dispositivo, ma sarebbe possibile riconoscere al giudice un potere di intervento, in via equitativa o secondo buona fede, che, più che integrare, finisce per modificare sensibilmente il contenuto contrattuale iniquo.

dir. civ., 2001, I, p. 369 ss.; G. VETTORI, Squilibrio e usura nei contratti, a cura di G. Vettori, Padova,

2002; A. ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, cit.; G. PASSAGNOLI,

Contratto usurario e sopravvenienza normativa, Padova, 2005; ID., Ancora su regole e principi: l'usurarietà sopravvenuta, in Pers. e merc., 2015, 4, p. 103 ss.; A. DOLMETTA, Su usura e interessi di mora: questioni attuali, in Banca, borsa e tit. cred., 2013, 5, p. 501 ss.; F. GAMBINO, L'usura “sopravvenuta” e l'indigenza del dato positivo, in Giust. civ., 2014, 3, p. 885 ss..

In questa chiave, sono lette disposizioni come l'art. 1526, comma 2, in tema di vendita a rate, in cui si statuisce che il giudice può ridurre l'indennita convenuta tra le parti a favore del venditore che trattenga le rate pagate; oppure l'art. 1660, comma 1, c.c., che consente all'appaltatore di ottenere un'equa indennita, ove decida di recedere dal contratto recante, per le variazioni del progetto, un importo che supera il sesto del prezzo complessivo pattuito dalle parti; oppure, ancora, l'art. 1934, comma 2, c.c., in forza del quale il giudice può ridurre la domanda ove la posta pattuita per il gioco o la scommessa venga ritenuta eccessiva.

Secondo parte della dottrina, nelle richiamate fattispecie «sarebbe antieconomico porre nel nulla le determinazioni private laddove l'interesse principale dei contraenti resta prevalentemente quello di conservare il contratto»107.

Tale ultima argomentazione dovra essere adeguatamente sviluppata, ma, certo, si può osservare come, in questi casi, pur non venendo necessariamente in considerazione un problema di invalidita, la legge riconosce al giudice un sindacato particolarmente penetrante sull'equilibrio contrattuale.

Ancora più significative, ai fini della presente indagine, sono poi quelle disposizioni del codice, in materia di contratti di impresa, in cui viene riconosciuto al giudice finanche un potere di determinazione del prezzo, ove non sia pattuito dalle parti o non sia altrimenti determinabile.

Si pensi alle norme sul prezzo in tema di vendita (art. 1473 c.c.), o di appalto (art. 1657 c.c.), o di lavoro autonomo (art. 2225 c.c.), o di mandato e figure affini, come la commissione e la spedizione. In queste fattispecie, a difettare è, addirittura, un elemento essenziale del contratto, la cui fissazione viene rimessa, in ultima istanza, al giudice; il quale, presumibilmente, integra il regolamento secondo equita, incidendo in modo particolarmente rilevante sull'autonomia privata. Ma tali fattispecie sembrano accomunate da un aspetto: se la legge contempla questa possibilita, sembrerebbe che a muoverla sia l'esigenza di garantire la conservazione del contratto, finanche quando privo di una clausola essenziale per la sua stessa sopravvivenza, piuttosto che permettere la sua caducazione per nullita ex art. 1418 c.c..

La lettura di tutte le disposizioni fin qui indicate ci sembra chiami lo studioso a interrogarsi sull'estensione del sindacato giudiziale, soprattutto in una materia come quella consumeristica, ove il giudizio di nullita presuppone l'accertamento della sussistenza di uno squilibrio significativo nei diritti e negli obblighi delle parti. L'esigenza di conservazione del regolamento per il tramite di una integrazione/correzione dello stesso, in questi ultimi casi, si

107 M.C. NANNA, Eterointegrazione del contratto e poteri correttivi del giudice, Padova, 2010, p. 244, secondo la quale, siffatte ipotesi dovrebbero condurre ad ammettere la possibilita, per il giudice, di intervenire a correggere il contratto, superando l'idea dell'insanabile contrasto tra potere correttivo e autonomia privata.

intreccia strettamente con la funzione della nullita speciale, che è quella di proteggere il contraente debole.

Non a caso, è nell'ambito della legislazione speciale che il legislatore contempla, sempre più spesso, forme più o meno intense di sindacato giudiziale del contratto, suscettibile di tradursi anche nell'integrazione dello stesso.

Significativo, in tal senso, è l'art. 117, comma 6, del T.U.B., in materia di contratti bancari - ma analoghe considerazioni potrebbero essere svolte per per l'art. 123, commi 4 e 5 del T.U.B., in materia di contratti di credito al consumo - che, sanziona con la nullita e la non apposizione «le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati». Si deve ritenere che, anche in questo caso, la tutela del contraente debole contro clausole opache passi attraverso la conservazione del contratto a seguito della sostituzione delle stesse con la regola legale violata.

Ma i poteri spettanti al giudice nell'ottica della manutenzione del contratto appaiono ancora più incisivi quando si prospetta una vera e propria integrazione giudiziaria.

Si ricorda la versione originaria del comma 5 dell'art. 13 della legge n. 431/1998, in materia di locazioni immobiliari a uso abitativo, in cui si attribuiva al giudice il potere di determinare il canone dovuto dal conduttore nel caso in cui il contratto fosse privo della forma scritta richiesta dal comma 4; in ogni caso, la regola di fonte giudiziaria non avrebbe potuto eccedere quanto stabilito dagli accordi definiti in sede legale tra le organizzazioni della proprieta edilizia e le organizzazioni dei conduttori.

Simile sorte ha subito anche – come gia accennato - l'art. 7 del d.lgs. n. 231/2002 che, prima della modifica intervenuta nel 2012, prevedeva espressamente il potere del giudice di ricondurre a equita l'accordo delle parti sulla data del pagamento o sulle conseguenze del mancato pagamento che fosse gravemente iniquo in danno del creditore108.

108 La disposizione è stata lungamente studiata in dottrina. Si vedano, tra gli altri, i contributi di: A. ZACCARIA, La direttiva 2000/35/Ce relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento delle transazioni

commerciali, in Sutdium iuris, 2001, p. 259 ss.; G. FAUCEGLIA, Direttiva 2000/35/Ce in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Contr., 2001, p. 307 ss.; G. DE NOVA, S.

DE NOVA, I ritardi di pagamento nei contratti commerciali, Milano, 2003; E. MINERVINI, La nullità per

grave iniquità dell'accordo sulla data del pagamento e sulle conseguenze del ritardato pagamento, in Dir. banca merc. finanz., 2003, p. 189 ss.; F. GALLO, F. TERRIN, Nuova normativa sulle transazioni commerciali: gli interessi di mora, in Impr., 2003, p. 57 ss.; F. CARINGELLA, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (commento al d.leg. 9 ottobre 2002, n. 231), in Urb. e app., 2003, p. 147 ss.; A. LA

SPINA, La nullità relativa degli accordi in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in

Rass. dir. civ., 2003, p. 117 ss.; C.M. VENUTI, Nullità della clausola e tecniche di correzione del contratto. Profili della nuova disciplina dei ritardi di pagamento, Padova, 2004; G. ADAMO, Le nullità di cui all'art. 7 d.leg. 9 ottobre 2002, n. 231 in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Resp. comunic. impr., 2004, p. 145 ss.; S.G. SIMONE, Il pagamento tardivo, Napoli, 2005; C. CHESSA, Il potere

Oggi, invece, quella disposizione si limita a prevedere che il giudice possa soltanto dichiarare la nullita della clausola iniqua e applicare i termini legali. Ma, certo, tutt'ora, è consentito intervenire sul contratto a seguito della caducazione della clausola giudicata iniqua in danno di una delle parti, così da consentire l'applicazione della regola suppletiva idonea a conservare il contratto.

Quest'ultima disposizione è stata, sicuramente, la più discussa, poiché sembrava davvero aver introdotto un autentico potere di correzione giudiziale del contratto ispirato a equita. Benché la riforma abbia attenuato questo aspetto, il dibattito resta ancora aperto, soprattutto se si prendono in considerazione disposizioni che non contemplano espressamente quel potere, ma non sembrano neanche escluderlo.

A tal proposito, si ricorda l'art. 3, comma 1, della legge n. 129/2004, recante la disciplina del contratto di franchising. Può accadere che il termine triennale o il termine superiore pattuito dalle parti per l'ammortamento dell'investimento dell'affiliato non sia sufficiente a conseguire questo obiettivo. In tal caso, la dottrina dominante ritiene di poter colpire la pattuizione con una dichiarazione di nullita parziale, circoscritta solamente al profilo della durata del contratto.

Poiché, però, l'automatica riespansione del termine legale triennale potrebbe non essere utile per la tutela dell'affiliato, questo orientamento ritiene che, nel silenzio della legge, mancando una norma integrativa puntuale, al giudice sia consentito sostituire il termine pattuito dalle parti con un diverso termine, fissato in via equitativa, in modo da risultare idoneo allo scopo. Siffatto potere di interpolazione giudiziale, particolarmente incisivo, risponderebbe all'esigenza di evitare che la carenza di una previsione sostitutiva comporti il travolgimento dell'intero contratto privo di un aspetto essenziale.

Nelle fattispecie da ultimo richiamate, dunque, la legge espressamente o l'interpretazione prevalente della dottrina tendono a consentire l'adeguamento del contratto, addirittura per mano del giudice, nell'ottica non solo di tutelare la parte che subisce lo squilibrio, ma anche di garantire il ripristino dell'equilibrio del mercato.

Alla luce di questa analisi, una prima osservazione si rende opportuna. Si tratta, indubbiamente, di fattispecie tra loro molto diverse, non solo per fonte e ambito di applicazione, ma anche in relazione agli interessi ad esse sottesi. Il loro studio ci appare, tuttavia, necessario non solo per evidenziare il problema interpretativo-applicativo in esame, ma, soprattutto, per comprendere quale sia, più in generale, la latitudine del potere del giudice sul contratto invalido, in un contesto nel quale la tendenza al ridimensionamento del dogma

giudiziale di ristabilire l'equità contrattuale nelle transazioni commerciali, in Riv. dir. civ., 2006, p. 439 ss..

dell'autonomia privata impone di stabilire in che limiti questa possa esercitarsi e se vada contemperata con altri interessi e valori.

Quest'ultimo aspetto appare di particolare interesse per l'analisi delle conseguenze della caducazione di una clausola dichiarata abusiva. Anzi, le valutazioni accennate per le predette fattispecie dovranno essere riportate proprio sul piano della disciplina della nullita di protezione ex art. 36 cod. cons., allo scopo di valutare se possano costituire un valido argomento per ammettere una qualche forma di intervento sulla lacuna contrattuale conseguente alla nullita di una clausola essenziale.

6.1 (segue) A livello giurisprudenziale.

Se gia il dato normativo offre numerosi spunti di riflessione, ancora maggiori sono le considerazioni che possono essere svolte, ove si analizzi il problema sul piano più strettamente applicativo, passando in rassegna le soluzioni elaborate dalla giurisprudenza.

Nel concludere l'illustrata panoramica sulle questioni da approfondire, non si può non accennare alle posizioni ricostruttive prospettate dai giudici, i quali spesso, in vari settori, si trovano di fronte al problema di individuare il concreto strumento attraverso cui garantire la conservazione del contratto, a seguito della declaratoria di nullita di una clausola essenziale.

Stretta tra le contrapposte esigenze di tutelare il contraente debole e “sanzionare” la condotta abusiva del professionista, la giurisprudenza nazionale, differentemente da quella europea, privilegia, spesso, soluzioni favorevoli alla interpolazione del regolamento contrattuale.

Benché vi sia un orientamento piuttosto compatto nell'ammettere varie forme di intervento in funzione conservativa del negozio, diversificate sono, tuttavia, le modalita con cui quel risultato viene perseguito, essendo la giurisprudenza divisa circa lo strumento da impiegare.

In mancanza di indicazioni normative chiare ed equivoche, si coglie sempre più forte la necessita di criteri di orientamento per l'interprete. Da qui, lo sforzo a cui tende il presente lavoro di trovare un fondamento normativo al rimedio (di completamento) dell'integrazione del contratto, che si accompagna alla nullita parziale necessaria, ricercando gli strumenti più idonei a tale scopo.

Il problema si è posto in maniera particolarmente rilevante nei casi in cui i giudici si sono trovati nella condizione di non poter consentire l'operativita del meccanismo di sostituzione

automatica ex art. 1339 c.c. per sopravvenuta mancanza della regola legale da inserire.

Ciò è quanto è accaduto, ad esempio, a seguito della declaratoria di incostituzionalita dell'art. 9 della legge n. 203/1982, cioè della norma sull'equo canone109. A seguito della nullita

della clausola sul corrispettivo originario di un contratto agrario di affitto di un fondo rustico, il giudice si è trovato stretto nella contrapposta esigenza di eliminare la clausola nulla e di impedire la caducazione dell'intero contratto per mancanza di un elemento essenziale al fine di tutelare il conduttore.

È evidente che, in un caso come questo, se il giudice si arrestasse a dichiarare la nullita della clausola sul corrispettivo, l'intero contratto di affitto andrebbe incontro a invalidita, ledendo l'interesse del conduttore a continuare a godere del fondo. Nel contempo, anche il proprietario del fondo finirebbe per essere pregiudicato dalla nullita totale del contratto, in quanto perderebbe la possibilita di far valere l'eventuale inadempimento del conduttore moroso nel pagamento dei canoni. Né il meccanismo degli indennizzi reciproci fra le parti pare offrire una soluzione soddisfacente.

Da qui la soluzione prospettata dalla giurisprudenza di legittimita, che apre le porte a una integrazione giudiziale della lacuna contrattuale per mezzo dell'art. 1374 c.c., non essendo praticabile la sostituzione della clausola nulla con la norma di legge.

A conclusioni similari è pervenuto anche quel filone giurisprudenziale che ha affrontato l'annoso problema della determinazione del corrispettivo del diritto reale d'uso dello spazio per parcheggio. Secondo l'orientamento in esame, suffragato anche da parte della dottrina, in materia di vendita di unita abitative, a seguito della nullita della clausola di esclusione della destinazione di spazio a parcheggio, si pone un problema di integrazione del contratto110. Il

109 Il riferimento è al caso affrontato da Cass., 22 aprile 2013, n. 9735, in Giust. civ. Mass., 2013; in Guida al

diritto, 2013, 25, 49. A conclusioni simili i giudici sono arrivati anche nella sentenza Cass., 22 marzo 2013,

n. 7268, in Dir. e giurisp. agraria, 2013, 11, p. 681 ss., relativo al caso in cui i più coeredi non trovino un accordo sul corrispettivo da versare al coerede coltivatore diretto del fondo rustico del de cuius ovvero non ne convengano uno in natura. In questi casi, secondo la Cassazione, compete al giudice quantificare il canone dovuto dall'affittuario. Entrambe le sentenze vanno segnalate per la soluzione prospettata, favorevole all'integrazione giudiziale del contratto in mancanza di strumenti alternativi idonei a garantire la sopravvivenza dello stesso. Per un commento sul tema, si veda S. PAGLIANTINI, Appunti a margine di

Cass., n. 9735/2013: l'art. 1374 e la lacuna sopravvenuta, in G. D'Amico, S. Pagliantini, Nullità per abuso e integrazione del contratto, Torino, 2015, p. 183 ss..

110 Cfr. Cass., Sez. Un., 17 dicembre 1984, n. 6602, in Foro it., 1985, 3, p. 709 ss.; Cass., 27 dicembre 1994, n. 11188, in Giust. civ., 1995, I, p. 353 ss.; in Foro it., 1996, I, p. 2395 ss., con nota di E. SCODITTI, Spazio

per parcheggio e giusta causa dell'attribuzione; Cass., Sez. Un., 5 novembre 1996, n. 9631, in Giust. civ.

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