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La tecnica della sostituzione di norme imperative.

Nel documento Poteri del giudice e nullità di protezione. (pagine 179-191)

Nullità di protezione e tecniche di intervento integrativo e/o correttivo sul contratto privato di una clausola abusiva essenziale.

2. La tecnica della sostituzione di norme imperative.

Un'orientamento molto cauto nell'affrontare il problema di costruire un nuovo sistema di integrazione del contratto asimmetrico è quello che ammette interventi integrativi nei limiti in cui essi siano consentiti dalla classica tecnica della sostituzione automatica con norme imperative, secondo la regola di cui agli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c..

In linea con l'evoluzione interpretativa subita dall'art. 1339 c.c., la sostituzione automatica di clausole, oggi, non è più un'ipotesi eccezionale, circoscritta ai casi in cui sia espressamente richiamata; al contrario, tale meccanismo trova applicazione in via generale, a meno che non sia escluso dalla norma sostitutiva295.

In questa prospettiva, secondo parte della dottrina, per colmare la lacuna sopravvenuta che compromette la sussistenza del contratto, sarebbe sufficiente correggere il regolamento attraverso regole legali, e, segnatamente, attraverso le discipline inderogabili dettate dal legislatore, come quelle relative a clausole o a prezzi imposti296.

Così ragionando, un problema relativamente nuovo, quello dell'integrazione del regolamento contrattuale recante una clausola abusiva, sarebbe risolvibile in forza dell'ordinario meccanismo della sostituzione automatica con la disciplina inderogabile violata

295 In giurisprudenza si vedano: Cass., Sez. Un., 18 luglio 1989, n. 3363, in Foro it., 1989, I, p. 2740 ss.; Trib. Milano, 13 novembre 1995, in Giust. civ., 1996, I, p. 1820 ss.; Cass., 21 agosto 1997, n. 7822, in Arch. civ., 1997, p. 1206; Trib. Firenze, 10 giugno 1998, in Corr. giur., 1998, p. 805 ss.; Cass., 2 dicembre 2010, n. 24418, in Rass. dir. civ., 2010, 3, p. 968 ss., con nota di M. SEMERARO, Equilibrio del contratto e del

rapporto nel c.d. anatocismo bancario. In dottrina: P.M. PUTTI, La nullità parziale, cit., p. 167 ss.; M.

CASELLA, Nullità parziale e inserzione automatica di clausole, cit., p. 61 ss.; G. DE NOVA, Nullità

relativa, nullità parziale e clausole vessatorie non specificamente approvate per iscritto, cit., p. 486 ss..

296 Un classico esempio di questo meccanismo di sostituzione è rappresentato dall'art. 1501 c.c., in materia di riscatto convenzionale. Laddove le parti stabiliscano un termine per il riscatto superiore a quello previsto dal codice, la clausola pattizia verrebbe sostituita automaticamente dalla disposizione codicistica, con la conseguenza che il termina si considera ridotto a quello previsto dall'art. 1501 c.c.. Altrettanto rilevante è, in materia di legislazione speciale, la disciplina delle locazioni immobiliari. In particolare, la legge n. 392/1978, la c.d. legge sull'equo canone, dettava in termini imperativi le clausole che nel loro insieme dovevano costituire il contenuto minimo del contratto di locazione. Significative erano le previsioni relative alla durata del rapporto e alla misura del canone. A riguardo, l'art. 79 sanciva, esplicitamente, la nullita di «ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto e ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti». Si trattava di un classico esempio di nullita parziale ex art. 1419, comma 2, c.c.. In questi casi, dunque, le prescrizioni in materia di canone e di durata del rapporto, fissando imperativamente i contenuti del contratto, si sostituivano, in modo automatico, alle pattuizioni contrarie; di conseguenza, il contratto risultava integrato ab externo dalle norme imperative violate. Tramite il meccanismo della sostituzione automatica, la legge sull'equo canone mirava, così, a consentire un generale intervento dello Stato nell'economica, diretto a calmierare il mercato delle locazioni, a tutela dei contraenti economicamente più deboli. In tema si vedano, ex multis: G. MIRABELLI, La locazione, in Tratt. dir. civ., diretto da F. Vassalli, Torino, 1972, p. 8 ss.; M. TAMPONI, “Equo canone”. Disciplina delle locazioni di

immobili urbani. Commentario, a cura di C.M. Bianca, N. Irti, N. Lipari, A. Proto Pisani, G. Tarzia, Padova,

1980, p. 761 ss.; V. CUFFARO, Patti contrari alla legge (contratto di locazione e nullità speciali), in Riv.

delle parti. Attraverso la inserzione della regola legale, verrebbero assicurati, al massimo grado, sia l'esigenza di salvare il contratto dalla nullita totale, sia il riequilibrio dello stesso e, dunque, una tutela effettiva per la parte debole.

In tal modo, in tanto potrebbe spingersi l'opera integrativa del giudice, in quanto ripristini la disciplina indebitamente derogata, poiché solo quella avrebbe potuto regolare il rapporto, se la parte forte non avesse abusato del suo potere negoziale. Si rimarrebbe, per tale via, nei confini rassicuranti di una tecnica di modifica del regolamento divenuto lacunoso avente fonte prettamente legale.

Per la verita, le cose non sono così piane come possono apparire.

A riguardo, giova approfondire il meccanismo di operativita degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c..

Si ricorda, innanzitutto, che, tra gli interpreti, non vi è uniformita di vedute circa la necessita che la norma imperativa preveda espressamente la sostituzione legale. Secondo l'orientamento più restrittivo, questa norma, oltre a sancire la nullita di una certa clausola contrattuale, dovrebbe anche contemplare il meccanismo sostitutivo con una apposita disposizione di legge297.

La giurisprudenza più recente, tuttavia - come accennato - ammette la sostituzione anche in mancanza di una espressa previsione, sull'assunto che «la locuzione codicistica “sono sostituite di diritto” va interpretata non nel senso dell'esigenza di una previsione espressa della sostituzione, ma in quello dell'automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del contratto o di aspetti tipici del rapporto cui la legge ha apprestato una propria inderogabile disciplina»298. Ai fini dell'operativita del meccanismo sostitutivo, sarebbe,

dunque, sufficiente la sola indicazione, da parte del legislatore, dell'elemento da sostituire alla clausola negoziale nulla299.

Nonostante la lettura evolutiva a cui la dottrina e la giurisprudenza più recenti hanno sottoposto il combinato disposto degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c., l'applicazione del rimedio in esame alle fattispecie di nullita parziale necessaria presenta, tuttavia, degli aspetti di criticita, sotto il profilo dell'effettivita della tutela, per due ragioni fondamentali.

In primo luogo, un forte limite al meccanismo della sostituzione automatica è rappresentato dalla possibilita che manchino norme imperative o inderogabili da inserire nel regolamento contrattuale. Il che accade molto di frequente, ove si consideri che il legislatore, sempre più spesso, si astiene dal dettare discipline inderogabili, lasciando all'interprete il

297 Cfr. Cass., 25 giugno 1979, n. 3551, in Mass giur. it., 1979, p. 768 ss.; Cass., 11 giugno 1981, n. 3783, in

Giust. civ. mass., 1981, p. 6 ss..

298 Cass., 21 agosto 1997, n. 7822, in Arch. Civ., 1997, p. 1206 ss..

compito di trovare la soluzione più idonea, nel caso concreto, a colmare la lacuna contrattuale. La circostanza che la tecnica sostitutiva in esame richieda, invece, la previsione, in positivo, della disciplina che i contraenti avrebbero dovuto osservare potrebbe costituire, quindi, un ostacolo alla sua operativita anche nell'ambito della nullita di protezione; e ciò pur aderendo all'idea che l'art. 1339 c.c. non richieda, per la sua applicazione, la previsione, da parte della singola norma inderogabile, della sua sostituibilita300.

A riguardo, coloro che sostengono l'operativita del solo strumento di sostituzione automatica nella materia in esame, ritengono di poter superare l'esposto limite prospettando una lettura estensiva della disposizione, suscettibile di ampliare il suo ambito di applicabilita. Come detto, infatti, vi è chi sostiene di poter invocare il predetto meccanismo anche in assenza di una disciplina inderogabile dettata dalla legge o, addirittura, in assenza di una qualunque disciplina predeterminata301.

Ma è altrettanto vero che - come è stato obiettato - così ragionando, si finisce per sottoporre l'art. 1339 c.c. a una interpretazione contra legem non consentita. Difatti, la previsione testuale della inserzione di clausole “imposte dalla legge” e dal contenuto predeterminato esprime una precisa scelta di politica del diritto compiuta dal legislatore del 1942, quella, cioè, di trovare un punto di equilibro tra due interessi i conflitto: l'autonomia privata e il controllo ordinamentale sui contenuti economici del contratto per scopi di giustizia. Tale scelta legislativa, allora, finirebbe per essere completamente pretermessa e contraddetta, se il giudice applicasse l'art. 1339 c.c. anche in mancanza di norme inderogabili302.

Ma questa riflessione dovra essere approfondita ancora.

In secondo luogo, un altro rilevante limite della soluzione rimediale in esame va colto nella presa d'atto che ben poche sono le disposizioni a carattere inderogabile che consentirebbero di rendere operativo il meccanismo sostitutivo descritto nella materia in esame. Sicché, ciò finisce per limitare fortemente l'ambito di applicazione dello strumento in esame. E ciò appare

300 Si rinvia all'indagine di A. D'ADDA, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, cit., p. 237- 248, secondo il quale l'illustrato meccanismo sostitutivo non può essere «di ausilio all'interprete chiamato ad indagare la sorte del contratto privato di una sua clausola essenziale da una norma meramente proibitiva, che non si preoccupa in alcun modo di dettare, neanche per relationem, una disciplina sostitutiva imposta alle parti».

301 Questa lettura è proposta da M.R. MAUGERI, Abuso di dipendenza economica ed autonomia privata, Milano, 2003, p. 196 ss.; M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale, Torino, 2006, p. 114 ss..

302 In tal senso cfr.: A. D'ANTONIO, La modificazione legislativa del regolamento negoziale, Padova, 1974, p. 178 ss.; A. PLAIA, Categorie civilistiche e diritti speciali: la nullità del contratto di lavoro a termine, in

Studium iuris, 2009, 11, p. 1189 ss.; A. D'ADDA, La correzione del “contratto abusivo”, cit., p. 379-380,

secondo il quale, il rischio sotteso a quella lettura sarebbe quello di legittimare occultamente l'inserzione di discipline solo apparentemente legali, ma che, in realta, sono il frutto dell'attivita discrezionale del giudice. In aggiunta, così ragionando, si finirebbe per consentire l'operativita della sostituzione quasi in ogni caso di disapprovazione legale del regolamento negoziale, in contrasto con la lettera della disposizione.

in contraddizione con l'esigenza di garantire una tutela effettiva e proporzionata, perché condurrebbe alla declaratoria di nullita totale della maggior parte dei contratti recanti clausole abusive, per mancanza del materiale normativo da sostituire alla pattuizione disapplicata.

In considerazione di quanto finora esposto, pur essendo, astrattamente, possibile invocare il meccanismo sostitutivo di norme imperative, i limiti concreti di questa soluzione rendono ora opportuno indagare se e in che termini sia consentita la sopravvivenza del contratto attraverso la sostituzione della clausola invalida anche con le regole dispositive indebitamente derogate.

3 . Ipotizzabilità di un meccanismo di sostituzione delle clausole abusive con la disciplina dispositiva.

L'analisi di questo secondo rimedio necessita di svolgere una premessa concettuale.

La possibilita di integrare la lacuna contrattuale sopravvenuta mediante regole di diritto dispositivo può apparire una contraddizione in termini, atteso che si tratta di regole suscettibili di essere derogate dall'autonomia privata303. In effetti, le norme dispositive si differenziano da

quelle a carattere imperativo o inderogabile304 proprio per la possibilita, lasciata ai privati, di

303 F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, Milano, 1957, p. 48 ss.; N. IRTI, Introduzione allo studio del diritto privato, Padova, 1990, p. 90-91; E. RUSSO,

L'interpretazione delle leggi civili, Torino, 2000, p. 181 ss..V. ROPPO, Il contratto, cit., p. 488 ss., secondo il

quale «le norme dispositive si chiamano anche “suppletive”: perché scattano solo in mancanza di determinazione volontaria, alle cui lacune appunto suppliscono. Si chiamano anche “derogabili”: perché le parti sono libere di concordare una regola diversa da quella posta dalla norma dispositiva. Sotto questo profilo si contrappongono alle norme imperative o inderogabili»; A. GAMBARO, Contratto e regole

dispositive, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 1 ss..

304 Giova ricordare che la norma imperativa è una norma proibitiva che «sulla base dell'esigenza di protezione di valori morali e sociali e di quelli fondamentali della comunita giuridica, tende non solo a negare efficacia giuridica alla programmazione negoziale ad essa contraria, ma tende più radicalmente a proibire l'azione programmata» (Cfr. C.M. BIANCA, G. PATTI, S. PATTI, Lessico di diritto civile, Milano, 1995, p. 393 ss.; E. RUSSO, Norma imperativa, norma cogente, norma inderogabile, norma indisponibile, norma dispositiva,

norma suppletiva, in Riv. dir. civ., 2001, p. 585 ss.). In particolare, la dottrina tende a operare poi una

distinzione tra norme in senso stretto non derogabili, che si limitano a stabilire le modalita dell'operazione negoziale, cosicché la loro osservanza attribuisca rilevanza giuridica all'atto; e norme imperative, che dettano regole idonee a entrare nel merito dell'operazione negoziale, fissando i limiti esterni in cui l'autonomia privata può esplicarsi o addirittura dettando il contenuto di determinati contratti. Sui rapporti tra norme imperative e norme inderogabili si rinvia anche a: R. MOSCHELLA, Il negozio contrario a norme

imperative, in Legislazione Economica 1978-79, Milano, 1981, p. 279 ss.; A. ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, cit., p. 244 ss.. Cfr. anche G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, cit.,

p. 224 ss., il quale evidenzia come, la stessa partizione tra jus cogens, inteso come insieme di norme inderogabili, e diritto dispositivo, pur svolgendo una importante funzione costruttiva, non possa, tuttavia, essere assunta in modo assoluto e ontologico. L'Autore osserva, infatti, come all'interno del c.d. jus congens, si riscontrino norme molto eterogenee tra loro: norme imperative derogabili; norme inderogabili, ma non imperative; norme imperative precettive e proibitive. Simili sfumature sarebbero poi ravvisabili anche nelle norme imperative, in particolare, anch'esse possono “essere espressione di un principio di struttura dell'ordinamento”, tanto che, persino la loro violazione, in relazione alle caratteristiche del caso concreto, potrebbe realizzare “una violazione dell'ordine pubblico”. Sul punto, si rinvia anche a: G.B. FERRI, Ordine

discostarsi dall'indicazione legislativa e di concordare una regola differente, affinché il regolamento contrattuale risulti il più corrispondente possibile alle loro intenzioni.

La maggior parte delle norme, nel diritto privato, differentemente dal diritto pubblico (costituzionale e, soprattutto, penale), presenta carattere dispositivo e proprio la derogabilita conduceva la dottrina tradizionale a escludere la configurabilita, in questi casi, di un meccanismo di integrazione cogente assimilabile a quello prospettato, ex artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c., per la violazione di norme imperative. In siffatte ipotesi - si osservava - mancherebbe il presupposto stesso per l'operativita del predetto meccanismo, non essendovi una lacuna sopravvenuta alla dichiarazione di nullita di una clausola contrattuale.

La riferita contraddizione, in realta, è solo apparente. Vediamo in che senso.

Costituisce acquisizione più recente l'idea che anche la violazione di una norma di diritto dispositivo possa dare luogo alla patologia della nullita. Il fenomeno ha iniziato a prospettarsi all'inizio degli anni Settanta, quando una parte della dottrina si è posta il problema di come assicurare una tutela effettiva al contraente debole nella disciplina delle condizioni generali di contratto, nella consapevolezza dell'insufficienza della tutela formale della “doppia firma”305.

Sempre più spesso, infatti, la prassi mostrava come le imprese tendessero a derogare, sistematicamente, la disciplina di diritto dispositivo dettata dall'art. 1341 c.c.. Da qui, gli sforzi di superare la tutela meramente formale prospettata dal codice in favore di soluzioni di tutela più efficaci e sostanziali. L'utilizzo abusivo dello strumento delle condizioni generali di contratto ha indotto alcuni studiosi a ipotizzare di “sanzionare” il contraente forte con il rimedio della nullita della pattuizione unilateralmente predisposta, ancorché, magari, approvata per iscritto dalla controparte, ritenendo di ravvisare in quella deroga sistematica del diritto dispositivo una violazione dell'ordine pubblico economico306.

Da qui nasce l'idea originaria della possibile nullita di clausole contrattuali che contrastino in modo abusivo con le norme di diritto dispositivo. Questa intuizione ha trovato, poi, un più ampio consenso nel momento in cui, a partire dagli anni Novanta, è stata introdotta una specifica tutela per il consumatore, in attuazione della Direttiva comunitaria.

norme imperative, cit., p. 438 ss.; M. NUZZO, Negozio illecito, in Enc. giur. Treccani, XX, Roma, 1990, p. 6

ss..

305 Sul tema, tra i numerosi studi, si ricordano: A. GENOVESE, Le condizioni generali di contratto, Padova, 1954; G. GORLA, Condizioni generali di contratto e contratti conclusi mediante moduli o formulari nel

diritto italiano, cit., p. 608 ss.; P. PERLINGIERI, Appunti sull'inquadramento della disciplina delle c.d. condizioni generali di contratti, in Dir. giur., 1969, p. 482 ss.; V. RIZZO, Condizioni generali di contratto e predisposizione normativa, Napoli, 1983; C.M. BIANCA, Condizioni generali di contratto (tutela dell'aderente), in Dig. disc. Priv., sez. civ., III, Torino, 1988, p. 3 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, Condizioni generarli di contratto nei rapporti tra imprenditori e la tutela del “contraente debole”, in Riv. dir. comm.,

1987, II, p. 418 ss..

306 Si vedano gli studi di: G.B. FERRI, Condizioni generali di contratto, diritto dispositivo e ordine pubblico, in

Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole (Atti della Tavola Rotonda svoltasi a Catania

il 17-18 maggio 1969), Milano, 1970; A. DI MAJO, Condizioni generali di contratto e diritto dispositivo, ivi; S. RODOTÀ, Condizioni generali di contratto, buona fede e poteri del giudice, ivi.

La tutela contro le clausole abusive è concepita come una forma di protezione che non passa, necessariamente, attraverso norme imperative, le quali pongano obblighi o divieti, bensì si realizza anche attraverso il controllo dell'esercizio della liberta contrattuale e, dunque, tramite la verifica circa l'abusivita delle deroghe al diritto dispositivo.

Difatti, il presupposto indefettibile in virtù del quale sono consentite siffatte deroghe è che esse siano concordate da parti poste in posizione di eguaglianza tra loro. Laddove, invece, uno dei contraenti abbia sfruttato la propria condizione di forza per imporre all'altro una clausola contrattuale difforme dalle regole di diritto dispositivo, pur astrattamente derogabili, si sarebbe alla presenza di una deroga non legittima ,né giustificata, poiché idonea a generare un significativo squilibrio contrario a buona fede.

Dunque, la bilateralita della deroga al diritto dispositivo costituisce la condizione indispensabile per la sua ammissibilita della stessa e, quindi, per la validita della relativa clausola contrattuale. Il diritto dispositivo, in sé, resta liberamente derogabile, ma solo se questo non avvenga mediante l'abuso della liberta contrattuale, poiché, in tal caso, la deroga è disapprovata dall'ordinamento e perseguita con la nullita.

Se le premesse delineate sono corrette, se ne deve desumere che l'esercizio della liberta contrattuale, anche quando si esprime in una regola difforme dal diritto dispositivo derogabile, non è mai illimitato; al contrario, soprattutto nell'ambito delle contrattazioni asimmetriche, la predisposizione di un regolamento contrattuale frutto di condotte abusive costituisce sintomo della vessatorieta delle singole clausole, suscettibile di essere sindacata. Da qui, il connesso tema della possibilita di colmare la lacuna derivante dalla nullita di quelle clausole proprio con il rinvio alla regola di diritto dispositivo abusivamente derogata.

Alla luce delle esposte considerazioni, appare ragionevole chiedersi se sia possibile invocare l'applicazione della regola di diritto dispositivo, in luogo della clausola contrattuale con la quale il professionista abbia abusivamente derogato alla prima. Tale interrogativo si impone in coerenza con l'acquisita «consapevolezza della necessità di estendere la verifica sui movimenti della libertà contrattuale da una prospettiva esclusivamente verticale (compatibilità del programma contrattuale con i valori superiori dell'ordinamento assicurati nella legislazione imperativa soprattutto proibitiva, ma anche ordinativa e in tal caso pure sostitutiva) a una prospettiva anche orizzontale (compatibilità dell'esercizio della libertà contrattuale con la tutela di quella stessa libertà in capo alla controparte)»307.

307 Cfr. F. DI MARZIO, Deroga abusiva al diritto dispositivo, nullità e sostituzione di clausole nei contratti del

consumatore, cit., p. 680, il quale ritiene che tale interrogativo ha ragione di porsi per varie ragioni. In primo

luogo, viene in considerazione la connessione istituita dal legislatore nel nuovo diritto dei contratti tra deroga abusiva al diritto dispositivo e nullita: essa costituirebbe, infatti, espressione «della nuova sensibilita con cui è affrontato il problema del controllo dell'esercizio della liberta contrattuale: non più limitato, tale controllo, nello schematismo della aprioristica liceita di ciò che non è vietato, ma esteso alla verifica della non abusivita in concreto dell'esercizio permesso in astratto». In secondo luogo, l'Autore pone l'accento sulla nuova

Per le riflessioni sopra svolte, ci appare preferibile ammettere l'integrazione della lacuna contrattuale sopravvenuta mediante il diritto dispositivo indebitamente derogato. Occorre, tuttavia, soffermarsi sul fondamento di siffatta operazione integrativa, stante la sussistenza di posizioni diversificate in dottrina.

Secondo una prima posizione, il referente normativo da invocare sarebbe l'art. 1374 c.c., norma che consente di colmare le lacune del contenuto contrattuale mediante la legge, gli usi e l'equita308. I sostenitori di questa tesi, nel sottoporre l'art. 1374 c.c. a una interpretazione

evolutiva309, osservano che, poiché non opera una distinzione tra il caso dell'integrazione

mediante regole di diritto dispositivo e il caso dell'integrazione mediante norme imperative, questa norma ben si presterebbe a consentire al giudice di intervenire sul contratto richiamando le norme dispositive indebitamente derogate. In quest'ottica, la disposizione in commento consentirebbe tanto il fenomeno dell'integrazione suppletiva, cioè quella realizzata attraverso il diritto dispositivo per colmare lacune originarie; quanto il fenomeno

Nel documento Poteri del giudice e nullità di protezione. (pagine 179-191)

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