Nullità di protezione e tecniche di intervento integrativo e/o correttivo sul contratto privato di una clausola abusiva essenziale.
4. La valorizzazione della buona fede e la possibile rinegoziazione della clausola abusiva.
Quand'anche si ritengano ammissibili le tecniche integrative finora illustrate, non si può non prendere atto del limite comune alle stesse. Il problema della sopravvivenza del contratto asimmetrico privato di una clausola abusiva essenziale è destinato a riproporsi quante volte non sia dato rinvenire una regola integrativa imperativa o inderogabile oppure una regola integrativa di diritto dispositivo oppure, ancora, quando la regola di diritto dispositivo non
322 Osserva C. CASTRONOVO, Profili della disciplina nuova della clausole c.d. vessatorie, cioè abusive, cit., p. 39 che sarebbe proprio la ratio della nullita e, dunque, l'esigenza di tutela del consumatore, a giustificare che il giudice persegua l'obiettivo della conservazione del resto del contratto attraverso la supplenza di norme dispositive.
323 Corte di Giustizia, 30 aprile 2014, causa C-26/13, Kàsler, cit..
324 Così S. PAGLIANTINI, Vecchio e nuovo sull'integrazione del contratto abusivo nel prisma armonizzato
delle fonti (partendo da un caso recente), con una postilla sulla sistematica attuale dell'integrazione, in
risulti adeguata a regolare il singolo rapporto, in quanto eccessivamente premiale per la parte forte.
In tutte queste evenienze, il tentativo di salvataggio del regolamento contrattuale non può realizzarsi, evidentemente, attraverso i meccanismi sostitutivi o integrativi sopra esposti. Da qui, gli sforzi degli interpreti nel tentativo di individuare rimedi manutentivi alternativi, idonei ad assicurare, comunque, la conservazione del contratto, ovviando alla lacuna sopravvenuta.
Le soluzioni astrattamente prospettabili sono due: ipotizzare un intervento correttivo del giudice oppure valorizzare la clausola generale di buona fede in funzione di un rafforzamento dei doveri dei contraenti. La prima alternativa, la più discussa e discutibile, verra trattata ampiamente nel prosieguo. Giova ora soffermarsi, innanzitutto, sul ruolo della buona fede quale fonte di doveri contrattuali per le parti.
Come si è visto, la buona fede assurge a principio centrale nel sistema eurounitario, in cui è calata la disciplina della tutela del consumatore. Tanto è vero che, trattandosi di criterio attraverso il quale effettuare il giudizio di vessatorieta, è possibile riconoscere a tale clausola generale la funzione di attribuire al giudice il potere di attuare la c.d. giustizia commutativa nel contratto.
In quest'ottica, se la nullita di protezione mira a eliminare la singola clausola vessatoria (effetto demolitivo), cioè la clausola contrastante con la buona fede contrattuale, in nome anche di una esigenza di giustizia contrattuale, l'effetto conservativo connesso a quel rimedio potrebbe essere realizzato, secondo alcuni autori, ipotizzando una rinegoziazione del suo contenuto325.
Si tratta, allora, di valutare se la sussistenza di un generale dovere di rinegoziazione, legato alla buona fede contrattuale, possa essere invocata al di fuori della disciplina della gestione delle sopravvenienze nei contratti di durata, ove tale strumento è stato originariamente teorizzato. In particolare, occorre chiedersi se la logica sottesa agli strumenti di manutenzione del contratto contro le sopravvenienze atipiche elaborati dalla dottrina possa applicarsi anche a una lacuna sopravvenuta a seguito della declaratoria di nullita di una clausola vessatoria essenziale.
Come noto, la teoria della rinegoziazione, in generale, è stata elaborata nell'ambito del dibattito relativo all'adeguamento delle condizioni contrattuali nei negozio di durata in presenza di fattori sopravvenuti alla loro conclusione, ove questi ne abbiano alterato
325 Cfr. E. NAVARRETTA, I contratti d'impresa e il principio della buona fede, i n Il diritto europeo dei
contratti d'impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione del mercato, a cura di P. Sirena, Milano,
2006, p. 528, secondo la quale « proprio la centralita del ruolo della buona fede oggettiva, con la quale contrasta la stipulazione di un contratto squilibrato frutto di un abuso, suggerisce di attingere dalla stessa clausola generale la possibilita di un rimedio correttivo, la rinegoziazione in conformita con la buona fede oggettiva, coerente con il modello proposto dai PECL e dai Principi Unidroit e che, a sua volta, ispira la possibile ricostruzione di un principio implicito nel nostro sistema».
l'equilibrio. Tale teoria mira, infatti, a fornire uno strumento attraverso il quale risolvere il problema delle sopravvenienze atipiche, cioè dell'incidenza, sulle condizioni contrattuali, di fattori sopravvenuti che non sono previsti né dalla legge, né dal contratto326.
Un problema di rimedi manutentivi non si pone quando viene in considerazione una sopravvenienza tipica, essendo questa gestibile attraverso rimedi legali.
Due sono le specifiche vicende perturbatrici del sinallagma contemplate dal codice civile, benché molto diverse tra loro: da un lato, l'impossibilita sopravvenuta della prestazione, che può essere gestita solo attraverso il rimedio caducatorio della risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1463 c.c.; dall'altro, l'eccessiva onerosita sopravvenuta della prestazione, che, invece, può essere superata non solo con la risoluzione del contratto, ma anche attraverso un rimedio manutentivo, quale l'offerta di modifica del contratto, ai sensi dell'art. 1467, comma 3, c.c.327.
Benché il legislatore abbia tipizzato unicamente le predette ipotesi di sopravvenienze, contemplando solo per una di esse un rimedio manutentivo, il problema della loro gestione non si pone neanche quando, pur non ricorrendo l'ambito di operativita di quelle, siano le parti ad aver previsto le circostanze che possono incidere sul contratto, individuando anche i relativi rimedi. Ciò avviene attraverso la pattuizione di clausole di adeguamento automatico
326 Sul tema generale si vedano, ex multis: R. TOMMASINI, Revisione del rapporto (diritto privato), in Enc.
dir., Milano, 1989, p. 104 ss.; P. GALLO, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto,
Milano, 1992; F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; M. BARCELLONA, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziare e gestione delle sopravvenienze, in Eu. dir.
priv., 2003, p. 467 ss.; G. SICCHIERO, Rinegoziazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., agg. II, Torino, 2003, p.
1200 ss.; F. GAMBINO, Rinegoziazione (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 2006, p. 1 ss.; M.C. NANNA, Eterointegrazione del contratto e potere correttivo del giudice, cit., p. 155 ss.; F. PIRAINO,
La buona fede in senso oggettivo, p. 585 ss..
327 Cfr. C.G. TERRANOVA, L'eccessiva onerosità nei contratti, in Il codice civile. Commentario, diretto da P. Schelsinger, artt. 1467-1469, Milano, 1995; F. MACARIO, La risoluzione per eccessiva onerosità. Principi
e regole generali, in Tratt. contr., diretto da V. Roppo, V, Rimedi, 2, a cura di V. Roppo, Milano, 2006, p.
615 ss.; P. GALLO, Eccessiva onerosità sopravvenuta e problema di gestione del contratto, in Dig. disc.
priv., sez. civ., agg. VII, Torino, 2012, p. 470 ss.. Si ricorda che, all'esito della riforma del code civil francese
del 2016, è stato riformato l'art. 1195 code civil, con l'introduzione della révision pour imprévision, cioè di una nuova disciplina dell'eccessiva onerosita sopravvenuta. Ciò che più colpisce è il sistema rimediale approntato dal legislatore francese a fronte di cambiamenti di circostanze imprevedibili, tali da rendere l'esecuzione del rapporto eccessivamente onerosa. La parte svantaggiata dalla sopravvenienza ha la possibilita, in prima battuta, di chiedere la rinegoziazione dell'accordo originario, affinché venga raggiunto l'obiettivo della conservazione del vincolo contrattuale. Ove, però, la controparte rifiuti il consenso all'accordo di rinegoziazione ovvero questa fallisca, le parti possono accordarsi nel senso di determinare le condizioni dello scioglimento del contratto o, in alternativa, possono chiedere al giudice di adeguare il contratto, indicando i criteri ai quali questi deve attenersi. Laddove le parti non raggiungano un accordo neanche in tal senso, il giudice, su domanda di una di esse, può procedere allo scioglimento o addirittura all'adeguamento del contratto. È evidente come la riforma attribuisca al giudice un potere di intervento sul contratto molto incisivo e profondo, potendo provvedere ad adeguarlo in nome dell'esigenza di assicurarne la conservazione il più possibile. Le novita influenzera, sicuramente, le riflessioni anche del nostro ordinamento su questo tema, essendo espressiva della tendenza ad ampliare il sindacato giudiziale sul contratto, al fine di garantire l'equilibrio dello stesso. Per un primo commento su questo profilo della riforma si rinvia a E. TUCCARI, Prime considerazioni sulla “révision pour imprévision”, in Persona e mercato, 2018, 1, p. 130 ss.; P. ABAS, La riforma del diritto delle obbligazioni in Francia con particolare riferimento alla
del contratto alla sopravvenienza. Tra queste, sono molto diffuse nella prassi, soprattutto dei traffici internazionali, le clausole c.d. di rinegoziazione (note come hardship clauses), per effetto delle quali, le parti si vincolano a esprimere una nuova manifestazione di volonta a contenuto non predeterminato328. La rinegoziazione mira, dunque, al raggiungimento di un
accordo di revisione contrattuale tra i contraenti, in modo da consentire la conservazione del contratto alla luce, però, del mutamento delle circostanze in cui si svolge l'affare.
Come è stato correttamente osservato, «la rinegoziazione consente, in definitiva, di superare la secca “logica binaria” che ruota attorno ai poli dell'esecuzione del contratto nonostante le alterazioni intervenute oppure dello scioglimento dello stesso, suggerendo che la fase di esecuzione del contratto conosca ragioni sue proprie, diverse ma correlate rispetto a quelle che hanno animato la fase di definizione dell'atto negoziale e del suo perfezionamento»329.
In mancanza di un rimedio tipico o convenzionale, parte della dottrina ritiene di poter invocare la sussistenza di un generale obbligo di rinegoziazione del contratto, che scaturisce dal principio di buona fede contrattuale. In forza di quest'ultimo, dunque, sussisterebbe un obbligo di rinegoziazione di stampo legale e ordinamentale, idoneo a consentire la conservazione del contratto rebus sic stantibus, anche a fronte di sopravvenienze c.d. atipiche330: si tratterebbe di un rimedio legale, in quanto derivante dal dovere di buona fede ex
art. 1375 c.c.; nel contempo, sarebbe qualificabile anche come ordinamentale, in quanto connesso al dovere generale di solidarieta sociale di cui all'art. 2 Cost., che informa l'intero ordinamento.
L'invocazione della clausola di solidarieta sociale ex art. 2 Cost., intesa in senso immediatamente precettivo, consente, in particolare, di ipotizzare la sussistenza, in capo ai contraenti, di un dovere di comportarsi in modo solidale davanti alle sopravvenienze che
328 A. FRIGNANI, Hardship clause, in Dig. disc. Priv., sez. comm., VI, Torino, 1991, p. 446 ss.; S.E. CIRIELLI, Clausola di hardship e adattamento nel contratto commerciale internazionale, in Contr. e impr.-
Europa, 1998, p. 733 ss.; E. GUERINONI, A. MANIACI, Clausola di hardship e compatibilità con l'ordinamento italiano, in Dir. e pratica societaria, 1999, 24, p. 25 ss..
329 Così F. PIRAINO, La buona fede in senso oggettivo, cit., p. 587.
330 In realta, giova precisare che la valorizzazione della buona fede, in sede di esecuzione del contratto, consente di ipotizzare due rimedi contro le sopravvenienze atipiche. Oltre alla rinegoziazione, la buona fede può dare la stura al rimedio della inesigibilita della prestazione divenuta sproporzionata. In questo caso, non si è alla presenza di un vero e proprio rimedio manutentivo, perché la prestazione, in effetti, non viene adeguata, ma soltanto paralizzata: il contratto continua a produrre i suoi effetti, mentre la prestazione squilibrata o non viene eseguita e resta sospesa o viene eseguita solo per la parte in cui rispetta l'equilibrio del contratto. L'inesigibilita costituisce, dunque, uno strumento di gestione della sopravvenienza atipica che si identifica nel rimedio generale contro le ipotesi di abuso del diritto. Esso, però, pone il problema dell'estensione del sindacato del giudice, poiché, nel caso di inesigibilita parziale, implica il potere del giudice di valutare l'adeguatezza della prestazione parziale in rapporto all'equilibrio originario del contratto e alla sopravvenienza. Sul tema, si vedano: M. BESSONE, Impossibilità “economica” della prestazione, clausola
generale di buona fede e giudizio di equità, in Foro it., 1979, V, p. 49 ss.; G.M. UDA, La buona fede nell'esecuzione del contratto, Torino, 2004; M. AZZALINI, Impossibilità ed inesigibilità nel debito di genere, Milano, 2011; O. CLARIZIA, Sopravvenienze non patrimoniali e inesigibilità nelle obbligazioni,
alterano l'originario equilibrio del contratto, in nome dell'esigenza di assicurare, il più possibile, la conservazione del regolamento pattuito.
D'altra parte, l'ammissibilita di un generale dovere di rivedere l'accordo raggiunto dalle parti trova, oggi, riconoscimento anche a livello sovranazionale331.
I Principi Unidroit, innanzitutto, prevedono, espressamente, che la parte svantaggiata dalla sopravvenienza abbia il diritto di chiedere la rinegoziazione del contratto, a fronte del quale sussiste, quindi, un correlativo obbligo a carico della controparte. In particolare, si prevede che, in caso di mancato raggiungimento di un accordo di revisione, il giudice possa disporre la risoluzione del contratto o, addirittura, la modifica dello stesso, al fine di ripristinare l'originario equilibrio (cfr. sezione II, art. 6.2.1, 6.2.2., 6.2.3).
A n c h e i Principles of European Contract Law contemplano il fenomeno della sopravvenienza e danno attenzione al rimedio manutentivo della revisione del contratto. L'art. 6:111 prevede che il mutamento delle circostanze in cui il contratto è stato concluso fa sorgere un obbligo di revisione su entrambe le parti, ove quel contratto risulti eccessivamente oneroso e squilibrato a vantaggio di una sola. In tal modo, ai contraenti è data la possibilita di decidere di modificare il rapporto contrattuale, in deroga al principio pacta sunt servanda; solo in caso di disaccordo, essi possono rivolgersi al giudice, al quale è attribuito il potere di intervenire sul contratto modificandolo in sostituzione delle parti.
Il codice europeo dei contratti, infine, contempla un obbligo di rinegoziazione, la cui violazione fa scattare o lo scioglimento del contratto o la modifica giudiziale dello stesso, in modo da distribuire equamente tra le parti i vantaggi e le perdite derivanti dalla sopravvenienza (cfr. art. 157, comma 5).
Come confermato anche dal dato europeo, la valorizzazione della buona fede in sede di esecuzione del contratto consente, dunque, di sanzionare l'illegittima pretesa di una parte di ottenere l'attuazione di una prestazione i cui presupposti siano, nel frattempo, mutati. Rivedendo l'accordo, i contraenti possono, invece, gestirne la fisiologica incompletezza, al fine di evitare una caducazione del vincolo contrattuale, che pregiudicherebbe maggiormente gli stessi. Tale strumento, inoltre, essendo rimesso alla autonomia negoziale dei privati e, svolgendo, quindi, una funzione di sussidio a questa332, è idoneo a contemperare due opposte
331 Cfr. F. GRANDE STEVENS, Obbligo di rinegoziazione nei contratti di durata, in Diritto privato europeo e
categorie civilistiche, a cura di N. Lipari, Napoli, 1998; C. CASTRONOVO, “I principi di diritto europeo dei contratti” come ipotesi di codificazione possibile, in Vita not., 2002, p. 1202 ss.; G. BENEDETTI, La formazione del contratto e l'inizio dell'esecuzione - Dal codice civile ai principi di diritto europeo dei contratti, in Eu. dir. priv., 2005, p. 309 ss.; M. BARCELLONA, M.R. MAUGERI, Il mutamento delle circostanze e l'obbligo di rinegoziare, in Manuale di diritto privato europeo, II, a cura di C. Castronovo-S.
Mazzamuto, Milano, 2007, p. 521 ss..
332 Osserva F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 319 che «la rinegoziazione tende, non a comprimere, bensì a realizzare la volonta delle parti così come si esprime nell'atto di autonomia». Gli fa eco F. PIRAINO, La buona fede in senso oggettivo, cit., p. 590, secondo il quale, «la rinegoziazione esalta l'autonomia privata più che mortificarla o comprometterla, poiché poggia su
esigenze: da un lato, il principio pacta sunt servanda, dall'altro, il principio rebus sic stantibus.
Se quella brevemente illustrata è la logica sottesa allo strumento della rinegoziazione, si tratta di stabilire se essa possa essere invocata anche per quelle ipotesi in cui il mutamento delle circostanze esistenti al momento della stipulazione consista nel sopravvenire di una lacuna contrattuale, a seguito della invalidazione di una clausola vessatoria essenziale. Occorre, dunque, chiedersi, se la declaratoria di nullita della clausola vessatoria possa essere equiparata, sotto il profilo del trattamento, a una sopravvenienza e se, quindi, la rinegoziazione possa costituire un rimedio percorribile anche in quest'ultimo contesto.
L'ammissibilita della rinegoziazione, in caso di nullita (parziale necessaria) del contratto, è un tema che si intreccia, come accennato, con il ruolo riconosciuto alla buona fede anche nell'ambito del sistema eurounitario.
Nel caso in cui venga riscontrata la vessatorieta di una clausola inserita in un contratto di consumo, apparirebbe contrario alla buona fede e, dunque, al dovere di solidarieta sociale consentire che questo continui a essere eseguito in pregiudizio della parte debole. Da qui deriva, certamente, la nullita di quella pattuizione, ma, in conseguenza della stessa, e per effetto delle predette clausole generali, si potrebbe ipotizzare anche la possibilita, per le parti, di rivedere l'accordo originario sulla stessa, sì da colmare la lacuna.
In questa prospettiva, l'accertamento della vessatorieta e il conseguente vuoto contrattuale potrebbe essere equiparato ad una sopravvenienza atipica, idonea far scattare l'obbligo di rinegoziarne il contenuto. In tal modo, la gestione di quella lacuna verrebbe rimessa all'autonomia privata, eventualmente sotto il controllo del giudice, così da consentire di modificare il regolamento nei termini più utili ed equi per entrambe le parti. E questa soluzione sarebbe tanto più significativa quanto più la clausola da rivedere sia essenziale per la sopravvivenza stessa del contratto.
Parte della dottrina ritiene che non si frappongano particolari ostacoli alla possibilita di ipotizzare una riformulazione spontanea della clausola nulla333. Anzi, tale rimedio viene visto
come particolarmente utile, soprattuto quando non sia possibile invocare l'impiego di meccanismi sostitutivi/integrativi per mancanza del materiale normativo da inserire nel contratto334.
una concezione del contratto destinato a protrarsi nel tempo come un congegno “vitale” nel quale il potere delle parti di porre regole reciproche non si esaurisce nell'atto di perfezionamento dell'accordo».
333 Cfr. L. VALLE, L'inefficacia delle clausole vessatorie, cit., p. 273 ss..
334 A riguardo, si ricorda che, in dottrina, S. MAIORCA, Tutela dell'aderente e regole di mercato nella
disciplina generale dei “contratti del consumatore”, Torino, 1998, p.148-149, con riferimento al testo
dell'art. 1469-quinquies c.c., prospettava la possibilita che, ove non sia praticabile l'integrazione del contratto con parametri legislativi, la rinegoziazione venga considerata un obbligo di contrattare a carico del professionista, sì da pervenire a un nuovo incontro di volonta tra le parti. E tanto nell'idea che la rimanente parte del contratto, una volta eliminata la clausola vessatoria, andrebbe considerata alla stregua di un
Ma l'effetto finale della rinegoziazione, a ben vedere, sarebbe il medesimo conseguibile con i predetti strumenti modificativi, ossia consentire la conservazione del contratto nel rispetto delle norme che disciplinano la materia, nonché in conformita alla stessa buona fede. La differenza è che questo effetto manutentivo viene conseguito non tramite l'intervento del giudice, volto a richiamare nel contratto le regole violate, ma, esclusivamente, in virtù della cooperazione tra le parti che, in nome della buona fede in precedenza violata, si accordano diversamente – stavolta nel rispetto della legge e della buona fede - su certi termini del regolamento.
Per effetto della rinegoziazione, dunque, è l'accordo tra le parti a integrare e modificare il regolamento contrattuale mal funzionante per effetto della sopravvenienza. E tanto sarebbe coerente con l'idea che si tratti di uno strumento volto a reagire a una forma di abuso del diritto (cioè della liberta contrattuale), da parte del professionista. Poiché tale abuso impedisce la normale negoziazione del contenuto del contratto, sarebbe possibile invocare, come sanzione per quest'ultimo, proprio l'obbligo di sottoporre a negoziazione quella pattuizione.
Non a caso, a sostegno della ammissibilita della rinegoziazione, viene da taluni evidenziato come tale soluzione sia la più efficace rispetto a quelle sinora prospettate, in quanto sarebbe quella maggiormente rispondente all'esigenza di tutela del consumatore. Difatti quest'ultimo verrebbe posto nella condizione di esercitare pienamente quella liberta contrattuale che, per effetto del contegno abusivo del professionista, non si era potuta estrinsecare in modo corretto, così da partecipare alla determinazione del contenuto della clausola essenziale per la sopravvivenza del contratto335.
In effetti, la revisione dei termini dell'accordo costituirebbe una soluzione di compromesso tra esigenze contrapposte. Per un verso, essa consente di sanzionare il professionista che ha abusato del potere contrattuale, vincolandolo a modificare il contenuto della clausola in senso non abusivo, per evitare di veder sfumare l'affare; per altro verso, si garantisce al consumatore la possibilita di estrinsecare la propria autonomia negoziale, in precedenza compressa, prendendo parte attiva alla formulazione del contenuto di quella clausola così importante per la sopravvivenza del contratto.
Questa impostazione, tuttavia, non trova pacifico accoglimento in dottrina. Vi è chi osserva
contratto in via di formazione. Poiché l'inefficacia colpisce clausole o elementi negoziali non sostituibili con i comuni criteri di integrazione, l'efficacia della parte restante del contratto equivarrebbe alla efficacia di una proposta solo parzialmente accettata, o meglio, all'accettazione integrale di una proposta parziale, in quanto originariamente priva di elementi essenziali per la conclusione del contratto. Nonostante le perplessita che