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I recenti orientamenti della Corte di Giustizia: criticità e questioni interpretative.

4. Il problema degli effetti della caducazione di clausole abusive essenziali: la gestione della lacuna contrattuale sopravvenuta.

4.1 I recenti orientamenti della Corte di Giustizia: criticità e questioni interpretative.

La questione della sopravvivenza del contratto successivamente alla caducazione della clausola abusiva è stata, di recente, affrontata dalla Corte di Giustizia in alcune significative

sentenze, dalle quali non è possibile prescindere per ricostruire il dibattito interno.

Queste pronunce costituiscono espressione della tendenza della giurisprudenza europea a limitare il più possibile lo spazio per interventi correttivi sul regolamento contrattuale, una volta depurato dalla clausola abusiva. L'eliminazione di quest'ultima è, in genere, ritenuta un rimedio sufficiente ad assicurare gli obiettivi di tutela del consumatore.

Alla base di questa impostazione, vi è, infatti, l'idea che solo il meccanismo di una nullita parziale necessaria possa effettivamente privare di “forza vincolante” la clausola vessatoria. Il contratto, in tal modo, può sopravvivere alla espunzione della clausola abusiva “senza altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive”.

In quest'ottica, la Corte di Giustizia ha dichiarato, più volte, il contrasto, con la normativa comunitaria, di una serie di norme nazionali degli Stati membri che, al contrario, contemplano tecniche di correzione del contratto, una volta accertata ed eliminata la clausola abusiva.

In particolare, con la sentenza sul caso Banco Espanol de Crèdito del 2012, la Corte di Giustizia ha chiaramente stigmatizzato, per contrasto con l'art 6 direttiva 93/13/CEE, la disciplina spagnola sulla nullita di clausole vessatorie concernenti l'entita degli interessi moratori nei rapporti bancari60. L'art 83 del Real decreto legislativo n. 1/2007 attribuisce,

infatti, al giudice il potere di integrare il contratto, rideterminando le clausole abusive secondo equita, non solo attraverso il richiamo a norme dispositive, ma anche con regole create dal giudice.

La criticita della predetta normativa - nella visione dei giudici europei - si compendia tutta nella idea che il potere di intervento del giudice sul regolamento contrattuale comprometterebbe «l'effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione, nei confronti del consumatore, di siffatte regole». La possibilita, per il giudice, di rivedere il contenuto della clausola abusiva non farebbe, quindi, venire meno l'interesse del professionista ad astenersi dall'inserire clausole pregiudizievoli per il consumatore all'interno del contratto.

Il principio di diritto enunciato dalla Corte di Giustizia muove da una interpretazione letterale dell'art 6 della direttiva 93/13/CEE, che riconoscerebbe ai giudici nazionali unicamente il potere di accertare l'abusivita di una clausola e di disapplicarla, affinché non produca effetti vincolanti per il consumatore, senza attribuire loro anche un potere di revisione del contenuto di quella clausola.

60 Corte di Giustizia, 14 giugno 2012, causa C-618/2010, Banco Espanol de Crèdito, in Contr., 2013, 1, 16 ss., con nota di A. D'ADDA, Giurisprudenza comunitaria e “massimo effetto utile per il consumatore”: nullità

(parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del contratto. Per un puntuale commento alla

sentenza, si veda anche S. PAGLIANTINI, L'integrazione del contratto tra Corte di Giustizia e nuova

Si legge nella sentenza: «L'art. 6, par. 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativo di uno Stato membro (…) che consente al giudice nazionale, qualora accerti la nullità di una clausola abusiva in un contratto stipulato tra professionista e un consumatore, di integrare detto contratto rivedendo il contenuto di tale clausola». Si sostiene che, «infatti, detto contratto deve sussistere, in linea di principio, senz'altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile». Questa soluzione, oltre che aderente al dato letterale della direttiva consumeristica, viene ritenuta anche conforme al principio di effettivita della tutela del contraente debole, poiché la sopravvivenza del contratto semplicemente privato della clausola abusiva si traduce in una sostanziale sanzione per il professionista, volta a anche inibire futuri contegni abusivi.

Questa impostazione è stata nuovamente sposata dalla Corte di Giustizia nella sentenza Asbeek del 201361, relativa alla questione della compatibilita con la direttiva comusmeristica

della norma olandese, che attribuisce al giudice il potere di ridurre equitativamente l'importo di una clausola penale ritenuta manifestamente eccessiva.

Anche in questo caso la Corte, richiamando l'interpretazione dell'art. 6 della direttiva prospettata nel precedente del 2012, esclude la possibilita, per i giudici, di procedere alla riduzione dell'importo previsto dalla clausola penale abusiva, in luogo della mera disapplicazione della stessa. Ai giudici compete, unicamente, disporre la caducazione della clausola abusiva «affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzati a rivedere il contenuto della medesima».

L'impostazione delineata dalla Corte di Giustizia rispetto al tema degli effetti della caducazione di clausole abusive ruota, dunque, attorno a due esigenze opposte, ma ritenute di eguale importanza: negare un recupero del contratto in sede giudiziaria realizzerebbe, da un lato, l'obiettivo di garantire, in via assoluta, una tutela effettiva del consumatore, dall'altro, il risultato di sanzionare la condotta del professionista in un'ottica dissuasiva.

La soluzione opposta, difatti, cioè riconoscere al giudice un potere di intervento finalizzato alla riduzione dell'abusivita del patto, non consentirebbe di inibire le condotte pregiudizievoli del professionista, il quale, se potesse contare su qualsivoglia meccanismo di adattamento del contratto, finirebbe per poter prevedere le conseguenze stesse dell'accertamento della vessatorieta. In entrambe le ipotesi, sia che operi la riduzione del patto al di sotto della soglia

61 Corte di Giustizia, 30 maggio 2013, causa C-488/11, Asbeek Brusse, in www.curia.europa.eu. Per un attento commento, si veda R. ALESSI, Clausole vessatorie, nullità di protezione e poteri del giudice: alcuni punti

fermi dopo le sentenze Joros e Asbeek Brusse, in Jus civile, 2013, 7, p. 388 ss..

di abusivita, sia che trovi applicazione la regola dispositiva, il professionista potrebbe, comunque, continuare a ritenere conveniente tentare la pattuizione di clausole vessatorie, conseguendo ugualmente la conservazione del contratto, sia pure riequilibrato.

Lo stesso principio viene ribadito ancora in una sentenza del 2015 sul caso Unicaja Banco, relativa sempre alla legislazione spagnola in tema di interessi moratori62. In tal caso, tuttavia,

differentemente dai citati precedenti, la normativa nazionale non prevede un potere giudiziale di riduzione ad equita della clausola abusiva, bensì la sua sostituzione, in sede giudiziaria, con la disposizione violata.

Il giudizio della Corte di Giustizia è ancora una volta netto. Neppure la sostituzione della clausola con un parametro normativo realizza gli obiettivi della direttiva: si ribadisce che solo la disapplicazione pura e semplice della clausola contrattuale costituisce lo strumento migliore per contrastare la prassi dell'inserimento di pattuizioni abusive da parte del professionista. Ciò al fine di evitare una riduzione conservativa ope iudicis, che è ritenuta non soddisfacente ai fini di una efficace tutela del consumatore, anche perché viziata dal difetto di minare la certezza del diritto e dei rapporti giuridico-economici, in quanto soluzione inevitabilmente legata alla multiformita e varieta dei casi concreti63.

La netta chiusura della giurisprudenza europea alla possibilita che possano operare tecniche di integrazione, anche solo legale, del contratto sembra esporsi, tuttavia, a plurimi rilievi critici. È stato acutamente osservato, in dottrina, che anche ove l'unico effetto dell'accertamento della vessatorieta sia la obliterazione della clausola, il destino del contratto sarebbe comunque quello di subire un processo correttivo. Il fatto che il contratto resti valido “per il resto” non esclude la sostituzione della disciplina pattizia con regole legali. Si tratterebbe, dunque, non di «conservazione secondo i “medesimi termini” contrapposta a tecniche integrative, allora, ma di vera e propria – ed anzi assai radicale – tecnica integrativa. Perché (…) la correzione di un regolamento negoziale può avvenire anche mediante “sottrazione”»64.

62 Corte di Giustizia, 21 gennaio 2015, causa C-482, 483, 485, 487/13, Unicaja Banco, in Nuova giur. civ.

comm., 2015, 423 ss., con nota di S. PAGLIANTINI, Il“restatement” della Corte di Giustizia sull'integrazione del contratto del consumatore nel prisma armonizzato delle fonti.

63 Secondo S. PAGLIANTINI, I l “restatement” della Corte di Giustizia sull'integrazione del contratto del

consumatore nel prisma armonizzato delle fonti, cit., p. 424, «il mitigare la clausola vessatoria, anziché

scartarla, questo il fermo convincimento della Corte, produrrebbe, infatti il perverso risultato di continuare ad esporre il consumatore agli effetti di questa: sicché rivedere giudizialmente il contratto, in quanto non protegge satisfattivamente il consumatore, visto come un modo che induce il professionista a non desistere dal vessare. (…) E' indubbio poi che la rettifica giudiziale viene poi percepita come una tecnica affetta dal vistoso contrappunto di uno svolgersi secondo un'episodicita operativa fisiologicamente idonea a compromettere la calcolabilita delle decisioni e la certezza dei traffici».

64 Così A. D'ADDA, Giurisprudenza comunitaria e “massimo effetto utile per il consumatore”: nullità

(parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del contratto, cit., p. 19, il quale, nell'evidenziare

In effetti, si può sin d'ora anticipare che – come si vedra nel prosieguo del lavoro – il vero problema non è tanto quello di eliminare la clausola vessatoria tout court per evitare il pericolo di una integrazione giudiziale, quanto, piuttosto, quello di spostare più avanti la riflessione, valutando se sia preferibile consentire la riespansione delle regole dispositive ovvero un intervento correttivo del giudice.

In questa prospettiva, a ben vedere, anche la nullita parziale necessaria comporta un effetto di correzione del regolamento negoziale, il cui contenuto non coincide più con quello originario.

Nonostante le criticita di questa impostazione, la Corte di Giustizia ha continuato a escludere interventi correttivi sul contratto, anche in materie diverse da quella della pattuizione di interessi moratori. Ma con una precisazione importante. Il riferimento è alla discussa sentenza sul caso Kásler65.

Si tratta di una vicenda significativa poiché, secondo la Corte, di per sé, l'art 6 della direttiva non osta alla possibilita che, nel caso in cui un contratto non possa sussistere dopo l'eliminazione di una clausola abusiva, una norma nazionale consenta al giudice “di ovviare alla nullità della suddetta clausola sostituendo a quest'ultima una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva”.

Così statuendo, la Corte di Giustizia, questa volta, sembra non escludere, categoricamente, un intervento, in via suppletiva, del giudice, qualora l'invalidazione della singola clausola rischi di travolgere l'intero contratto.

Tuttavia, la portata significativa di questa sentenza necessita di essere contestualizzata, non potendola considerare espressione di un vero e proprio cambio di rotta della giurisprudenza europa, ma dovendola inserire nel quadro delle peculiarita del caso di specie. Tanto è vero che

dispositiva derogata, sull'assunto che ciò costituisca l'effetto naturale ascrivibile alla caducazione di una clausola abusiva. Oltretutto, anche sotto il profilo degli interessi in gioco, non si può sostenere che la mera caducazione della clausola abusiva assicuri, sempre e comunque, la protezione del consumatore, atteso che l'alternativa tecnica della integrazione dispositiva non nasconde, necessariamente, il rischio di «una “iperprotezione” al consumatore, accordandogli un regolamento di interessi assai più vantaggioso di quello che sarebbe assicurato da una “ordinaria”, e non abusiva, pattuizione». Allo stesso modo, S. GUADAGNO,

Squilibrio contrattuale: profili rimediali e intervento correttivo del giudice, in Nuova giur. civ. comm., 2015,

12, p. 747.

65 Si tratta di Corte di Giustizia, 30 aprile 2014, causa C-26/13, Kásler, in www.curia.eu. Si veda il commento di A. D'ADDA, Il giudice nazionale può rideterminare il contenuto della clausola abusiva essenziale

applicando una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, in Dir. civ. cont., 2014, 1. In questa

sentenza, la Corte affronta la questione delle conseguenze derivanti dalla caducazione di una clausola in cui le parti avevano determinato l'ammontare della rata mensile dovuta dal mutuatario al finanziatore in quanto tale somma veniva fatta dipendere dal tasso di cambio della moneta, tra fiorino ungherese e franco svizzero, calcolato alla scadenza di ogni singola rata, pur non essendo stata pattuita nel contratto alcuna prestazione di servizi di cambio. Il finanziamento era stato corrisposto in fiorini ungheresi e la restituzione doveva avvenire sempre in fiorini ungheresi. Sicché, la clausola relativa alla prestazione di servizi di cambio appariva chiaramente finalizzata ad assicurare alla banca un lucro ulteriore, stante la corrente svalutazione del fiorino.

– come appena visto – la Corte di Giustizia, gia in occasione della sentenza Unicaja Banco dell'anno successivo, torna a ribadire un principio consolidato: si continua a escludere la sostituzione automatica delle clausole nulle con norme legislative di tipo dispositivo, nonché qualsiasi forma di eterocorrezione del regolamento negoziale mediante un provvedimento del giudice.

Nel caso Kàsler l'intervento del giudice è, invece, consentito qualora la declaratoria di abusivita colpisca una clausola essenziale del contratto, cioè una pattuizione tale per cui la sua caducazione condurrebbe alla invalidazione dell'intero regolamento contrattuale. In questo specifico contesto, la Corte ammette che «se (…) non fosse consentito sostituire a una clausola abusiva una disposizione di natura suppletiva, obbligando il giudice ad annullare il contratto nel suo insieme, il consumatore potrebbe essere esposto a conseguenze particolarmente dannose talché il carattere dissuasivo risultante dall'annullamento del contratto rischierebbe di essere compromesso».

Resta, invece, fermo il divieto, per il giudice, di rivedere il contenuto del contratto, quando la caducazione colpisca una clausola non essenziale, tale, cioè, da non determinare la nullita totale dell'intero regolamento contrattuale. Qui, l'obiettivo di tutela effettiva del consumatore viene, perseguito, di regola, attraverso la semplice disapplicazione della clausola abusiva, e non con un intervento giudiziale ulteriore in funzione di riequilibrio.

La sentenza Kasler, dunque, è particolarmente significativa ai fini della presente analisi, in quanto consente di evidenziare il differente trattamento che la Corte riserva alle ipotesi di caducazione di clausole essenziali rispetto a quelle accessorie.

Quando l'abusivita colpisce clausole accessorie, cioè pattuizioni che non incidono sulla struttura portante del regolamento contrattuale, queste – come visto - vengono meno, lasciando sopravvivere “per il resto” il contratto, che verra rimodulato automaticamente, secondo la disciplina dispositiva derogata dal professionista.

Ben diverso è il discorso quando – come nel caso Kasler – l'abusivita riguardi una clausola essenziale ai fini della sopravvivenza del contratto stesso. In tal caso, la mera oblitarazione della pattuizione rischia di compromettere gli interessi delle parti, in primis di quella protetta, la quale finirebbe per subire l'inevitabile caducazione dell'intero contratto, privato di quella pattuizione essenziale. In tal caso, è stato osservato che «integrazione ed effettivita della tutela, quando la lacuna per vessatorietà involga un essentiale negotii dispositivamente regolato, sono un binomio inscindibile».

In questa situazione, le soluzioni astrattamente prospettabili appaiono due: o si accede alla tesi del travolgimento dell'intero contratto, coerentemente con la lettera dell'art. 6 della

direttiva, che consente la salvezza “per il resto” del contratto, salvo che questo possa sussistere “senza le clausole abusive”; oppure si deve ammettere – come fa la Corte di Giustizia nel 2014 – che debba trovare applicazione la disciplina suppletiva, la quale, nel caso di specie, consente la rideterminazione del corrispettivo.

La giurisprudenza europea sembra, dunque, orientata a seguire, come regola generale, quella della sopravvivenza del contratto depurato della clausola abusiva, salvo che detta clausola non sia essenziale: nel qual caso, si ammette la possibilita che, al fine di evitare il venir meno dell'intero contratto, le normative nazionali possano riconoscere al giudice il potere di invocare la disciplina suppletiva violata dalla pattuizione abusiva.

Questa apertura dei giudici europei è sicuramente significativa. Ma, anche a voler accedere alla tesi favorevole all'innesto nel contratto della normativa derogata, si pone, tuttavia, un problema ulteriore e non di poco conto, ove si consideri che detto meccanismo non potrebbe funzionare in mancanza di una norma regolatrice per colmare la lacuna. Questa eventualita ripropone, in tutta la sua complessita, la questione di come tutelare l'interesse del consumatore alla conservazione del contratto, nonostante la caducazione di una clausola essenziale. Ed è soprattutto con riferimento a questi casi che si appunta la discussione, in seno alla dottrina e alla giurisprudenza, circa il possibile inserimento di una regola di creazione giudiziale.

È evidente che, ove si riconosca al giudice siffatto potere di intervento sul contratto, si instaura una situazione di forte tensione con il principio della autonomia negoziale dei privati, ma, non per questo, tale rimedio risulta del tutto privo di vantaggi nella prospettiva della manutenzione del contratto. Da qui, deriva, invece, secondo altra parte della dottrina, la necessita di una riflessione sulla individuazione di strumenti di tutela alternativi, più coerenti con il predetto principio, come quelli che valorizzano la liberta contrattuale attraverso il richiamo alla buona fede.

Tutto ciò premesso, si osserva che il problema della gestione della lacuna contrattuale a seguito di caducazione di clausola abusiva essenziale si pone in termini particolarmente rilevanti quando, anche a voler ammettere una soluzione che eviti la nullita totale del contratto, non sia dato, tuttavia, ravvisare, nella disciplina positiva, una disposizione idonea a colmare la lacuna. Occorre allora stabilire, in questi casi, quale sia la tecnica di intervento invocabile in mancanza di disciplina legale.

4.2 Indagine sulla essenzialità della clausola abusiva nella dottrina e nella

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