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Inquadramento sistematico della disciplina delle clausole abusive Una premessa.

Dalla inefficacia parziale alla nullità parziale necessaria.

1. Inquadramento sistematico della disciplina delle clausole abusive Una premessa.

paradigma delle nullità di protezione. 2. Raffronto con altri ordinamenti europei: la nullitè

relative e la recente riforma del diritto contrattuale francese. 2.1 (segue) La nullità nel

sistema tedesco. 3. Il profilo funzionale della nullità di protezione: da rimedio di fattispecie a rimedio conformativo. 4. La parziarietà necessaria della nullità di cui all'art. 36 cod. cons.: riflessioni sui concetti di parzialità del rimedio e di conservazione del contratto. 5. Parzialità e integrazione del contratto. 6. La nullità di protezione come strumento di riequilibrio del contratto. 7. Squilibrio (economico) e indagine sul giudizio di meritevolezza della clausola.

1. Inquadramento sistematico della disciplina delle clausole abusive. Una premessa.

una clausola vessatoria essenziale richiede di muovere, preliminarmente, da una compiuta analisi del sistema di tutela contro le clausole abusive.

In particolare, giova chiarire quale sia la reazione che l'ordinamento riserva all'accertamento del contenuto vessatorio di una parte del contratto stipulato tra professionista e consumatore.

Come è noto, il rimedio approntato nel nostro ordinamento è rappresentato dalla peculiare e discussa figura della nullita e, segnatamente, della nullita in funzione protettiva119. Si tratta

di una fattispecie di invalidita del tutto diversa da quella contemplata dal codice civile, che sta conoscendo grande successo e diffusione in plurimi settori della materia contrattuale, caratterizzati da una intrinseca asimmetria di posizioni tra le parti. In tutti questi ambiti, però, la nullita c.d. di protezione mostra il proprio carattere camaleontico ed elastico, assumendo, a seconda dei casi, fisionomia e connotati parzialmente differenziati, che la rendono figura proteiforme e di difficile definizione dogmatica.

È ormai nota, in dottrina, l'espressione “frantumazione della nullità”120, che segnala come

sia in atto un processo di moltiplicazione delle fattispecie astrattamente ascrivibili al genus delle nullita in funzione di protezione, le quali si distanziano, anche notevolmente, dalla invalidita codicistica. Si registra, oggi, il passaggio dalla nullita tradizionalmente intesa, recante le caratteristiche cristallizzate dal codice civile, alle (plurime) nullita speciali in funzione di protezione della parte debole di contratti asimmetrici.

Nella impossibilita di passare in rassegna tutte le numerose nuove ipotesi di nullita, analisi che esorbiterebbe dal presente studio, giova concentrare l'attenzione sulla prima figura esplicitamente introdotta nel nostro ordinamento ascrivibile a questa categoria, ossia la nullita di protezione di cui all'attuale art. 36 del codice del consumo.

Si può solo accennare al fatto che la dottrina discute circa la possibilita di far assurgere proprio questa fattispecie a paradigma generale delle nuove nullita speciali, nella esigenza di prospettare una ricostruzione, in termini il più possibile unitari, del variegato panorama delle nullita extracodicistiche, che dalla nullita di protezione sembrano mutuare i caratteri

119 Sulla figura della nullita di protezione, si richiamano, ex multis, gli studi di: G. PASSAGNOLI, Nullità

speciali, cit.; G. FILANTI, Nullità (nullità speciali), cit.,; G. GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, cit.,, p. 241 ss.; S. POLIDORI, Discipline della nullità e interessi protetti, cit.,; P.M.

PUTTI, La nullità parziale. Diritto interno e comunitario, Napoli, 2002; A. GENTILI, Nullità, annullabilità,

inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in Contr., 2003, 2, p. 204 ss.; M. MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, cit.; V. MELE, La nullità di protezione, in G. Vettori (a cura di), Contratti e tutela dei consumatori, Torino, 2007; E. LA ROSA, La nullità di protezione dal sistema del codice alla normativa europea, in AA.VV., Autonomia privata e strumenti di controllo nel sistema dei contratti, a cura di R.

Tommasini, Torino, 2007; D. RUSSO, Profili evolutivi della nullità contrattuale, cit.,; F. DI MARZIO, La

nullità del contratto, cit.; G. D'AMICO, Nullità virtuale-Nullità di protezione – (Variazioni sulla nullità), cit.,

p. 737 ss.; A. LA SPINA, Destrutturazione della nullità e interessi protetti, cit..

120 Di “frantumazione” del paradigma della nullita ha parlato, tra i primi, V. SCALISI, Invalidità e inefficacia.

Modalità assiologiche della negozialità, in V. Scalisi, Categorie e istituti del diritto civile nella tradizione al postmoderno, Milano, 2005.

fondamentali121. Ma non facile appare una operazione di reductio ad uno, né forse necessaria.

Giova, invece, ricordare che la nullita di protezione, in materia consumeristica, costituisce il risultato della trasposizione, nell'ambito del diritto interno122, della disciplina di cui all'art. 6

della Direttiva n. 93/13/CE.

A riguardo, è opportuno svolgere un'ulteriore premessa, relativa alla ratio sottesa alla Direttiva in commento, poiché solo attraverso la spiegazione di quella è possibile comprendere la scelta rimediale del legislatore nazione e, più in generale, la disciplina di quella che è oggi la nullita di protezione.

Certamente, la tutela del consumatore è elemento centrale dell'intera Direttiva n. 93/13/CEE, in considerazione della posizione di debolezza di quello all'interno del mercato comune.

Ma, a ben guardare, questo non rappresenta l'unico obiettivo del legislatore comunitario, il quale muove, invece, dalla considerazione che le legislazioni nazionali in materia di contratti tra professionista e consumatore «presentano notevoli disparità». L'attenzione del legislatore appare rivolta, in prima battuta, ad assicurare l'armonizzazione normativa tra gli Stati membri, in vista della instaurazione del mercato unico e dello sviluppo dei traffici. È la tutela della concorrenza a costituire il vero obiettivo primario, mentre la protezione del consumatore viene in considerazione come riflesso della prima, poiché solo assicurando la concorrenza nel mercato unico è possibile offrire adeguata tutela ai soggetti deboli.

Ciò emerge, in modo plastico, dallo stesso preambolo della Direttiva, in cui si legge la volonta del legislatore comunitario di evitare il rischio che le divergenze tra le legislazioni nazionali determinino «distorsioni della concorrenza», precludendo «maggiori possibilità di scelta per i cittadini comunitari in quanto consumatori».

Quanto all'ambito oggettivo e soggettivo di applicazione, l'art. 11 della Direttiva chiarisce che, allo scopo dichiarato di assicurare l'avvicinamento delle normative degli Stati membri, essa intende disciplinare «le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore». Tali clausole sono quelle riportate nell'elenco allegato alla Direttiva, che lo stesso art. 3, comma 1, definisce come un «elenco indicativo e non esauriente di clausole che

121 Il riferimento è, in particolare, agli studi di: G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, cit.; G. VETTORI, La

disciplina del contratto nel tempo presente, cit., p. 277 ss.; S. POLIDORI, Nullità di protezione e interesse pubblico, in Rass. dir. civ., 2009, p. 1022 ss.; S. MAZZAMUTO, Il contratto di diritto europeo, Milano,

2012; R. ALESSI, “Nullità di protezione” e poteri del giudice tra Corte di Giustizia e Sezioni Unite della

Corte di Cassazione, cit., p. 1141 ss..

122 L'attuazione della Direttiva è avvenuta con l'art. 25 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, che ha aggiunto, dopo il capo XIV del titolo II del libro IV del codice civile, il nuovo capo XIV-bis, intitolato “Dei contratti dei

consumatori”, comprensivo degli artt. Dal 1469-bis al 1469-sexies. Per i primi commenti sulla novita

normativa si rinvia a: C.M. BIANCA, Le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.

L'attuazione della direttiva comunitaria del 5 aprile 1993, Padova 1996; G. ALPA, S. PATTI, Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, Milano, 1996; G. LENER, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro it., 1996, V, p. 145 ss..

possono essere dichiarate abusive».

L'innovativa locuzione “clausola abusiva” viene, poi, chiarita nel suo significato come quella clausola che non sia stata oggetto di “negoziato individuale” tra le parti contraenti. La mancata contrattazione costituisce, dunque, l'indice sintomatico dell'abuso della liberta contrattuale da parte del contraente forte, sull'assunto che solo un negoziato individuale possa garantire una equilibrata composizione degli interessi contrapposti in gioco. Di più, quand'anche siffatto negoziato vi sia stato, esso non vale, di per sé, a escludere sempre l'abusivita della pattuizione, dovendo il giudice effettuare una valutazione globale, dalla quale non risulti che, nonostante l'intervenuta contrattazione, si sia, comunque, addivenuti alla stipulazione di un contratto di adesione, cioè di un negozio rispetto al quale l'aderente non ha avuto alcuna possibilita di concorrere a determinarne il contenuto.

In questa prospettiva, dunque, l'interprete è chiamato a verificare «il grado di effettiva partecipazione del consumatore alla stipulazione contrattuale, in modo da giudicarne un eventuale ruolo passivo come sintomo dell'abusività delle clausole»123.

Con particolare riguardo al profilo dell'accertamento dell'abusivita, l'art. 3 della Direttiva qualifica come “abusiva” la clausola che non sia stata oggetto di negoziazione individuale «se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto»124.

Questo dato oggettivo necessita, poi, di essere integrato dal giudizio valutativo che l'art. 4, comma 1, affida al giudice, chiamato ad accertare il carattere abusivo della clausola «tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano la conclusione e a tutte le altre clausole del contratto da cui esso dipende».

In ogni caso, laddove la clausola dovesse risultare formulata in modo non chiaro, né comprensibile, al giudice è dato un potere di sindacato più pervasivo, potendo spingersi a operare un controllo esterno sulla convenienza e sulla adeguatezza dell'affare rispetto all'interesse della parte debole; controllo che, di regola, sarebbe precluso, ai sensi dell'art. 4, comma 2, della Direttiva, in nome del rispetto della liberta e dell'autonomia contrattuale.

Quanto alla sorte dei contratti contenenti clausole abusive, il sistema sanzionatorio concepito dalla Direttiva non è puntualmente definito, poiché si limita a prevedere che gli ordinamenti nazionali colpiscano la clausola contrattuale abusiva con il rimedio della sua inutilizzabilita a danno del consumatore, escludendone la vincolativita nei suoi confronti125.

123 In questi termini, M. SERIO, Profili comparatistici delle clausole vessatorie, in Eur. dir. priv., 1998, I, p. 83. 124 Come accennato nel primo capitolo, il testo dell'art. 3, comma 1, è stato recentemente modificato dal legislatore europeo, sostituendo la locuzione “malgrado il requisito della buona fede” con la locuzione “in contrasto con il requisito della buona fede. Il punto verra approfondito infra.

Tale sanzione lascia, comunque, in vita le residue parti del contratto, sempre che la loro sopravvivenza sia possibile, nonostante il venir meno della clausola abusiva.

Pertanto, la pattuizione abusiva così congegnata “vitiat, sed non vitiatur”, nel senso che il contratto resta vincolante per le parti secondo i termini originariamente pattuiti. In questo modo, il legislatore comunitario mira a contemperare due interessi concorrenti: da un lato, l'intento di sanzionare il professionista, dall'altro, l'esigenza di salvare le restanti parti del contratto che non siano logicamente inscindibili rispetto a quelle viziate. Tanto sull'assunto che la caducazione dell'intero contratto recante la clausola abusiva finirebbe per eccedere le finalita perseguite, in quanto priverebbe il consumatore del bene o servizio di cui aveva bisogno, ponendolo in una posizione addirittura deteriore rispetto a quella di restare vincolato a un contratto con un contenuto vessatorio a suo svantaggio.

1.1 (segue) Il paradigma delle nullità di protezione.

Tutto ciò premesso, si osserva che, in sede di recepimento della Direttiva, il rimedio contro le clausole vessatorie non è stato, immediatamente, inquadrato nella categoria della nullita, poiché, in un primo momento, il legislatore italiano ha preferito non prendere posizione in ordine alla qualificazione giuridica di tale figura, limitandosi a descrivere l'effetto dell'accertamento di una clausola abusiva.

Per questo motivo, fino alla introduzione del codice del consumo, la tutela contro le clausole abusive, da un lato, è stata inserita all'interno del codice civile, secondo una opzione di incorporazione della disciplina comunitaria nella normativa codicistica in linea con la scelta del legislatore tedesco; dall'altro lato, a dispetto di quanto previsto nei primi progetti di recepimento, si è preferito ragionare in termini di mera inefficacia del contratto, anziché di invalidita126.

reazione ordinamentale alla abusivita della clausola. Pertanto, oltre alla strada dell'inefficacia e a quella della nullita, parte della dottrina aveva suggerito di guardare all'opzione francese, che considera le clausole abusive come “non scritte”, in modo da consentire l'automatica conversione dell'originario contratto nel contratto da esso derivante, prescindendo dalla qualificazione della patologia. Un'altra strada astrattamente percorribile sarebbe stata quella di considerare il contratto inesistente, ma ciò avrebbe riaperto la questione della rilevanza di questo istituto tutt'oggi estremamente discusso. Cfr. G. ALPA, Per il recepimento della direttiva

comunitaria sui contratti dei consumatori, in Contr., 1994, p. 115 ss..

126 Nel primo progetto di recepimento della Direttiva, del 1993, infatti, non solo si ipotizzava l'inserimento della nuova normativa dopo l'art. 1341 c.c., ma si prevedeva anche il rimedio della nullita parziale, non dell'inefficacia, a legittimazione ristretta. In un secondo progetto, il legislatore proponeva di inserire il novum dopo l'art. 2062 c.c., ma continuando a prevedere una tutela mediante nullita parziale. Nell'ultima versione, poi recepita nel codice, invece, il legislatore, in coerenza con il testo definitivo della Direttiva, che pure, in un primo momento, aveva optato per la nullita, decideva di comminare la mera inefficacia delle clausole abusive. Per una ricostruzione storica delle vicende del recepimento della Direttiva si vedano: A. GENTILI,

La novella era inserita nel capo XIV-bis del codice civile, subito dopo le disposizioni dedicate alla nullita, alla annullabilita, alla rescissione e alla risoluzione del contratto, così da sottolineare il ruolo rimediale della nuova disciplina, quale strumento a disposizione del contraente debole per reagire contro contratti lesivi dei suoi interessi.

L'art. 1469-quinquies c.c. predicava la inefficacia delle «clausole considerate vessatorie», mentre «il contratto rimane efficace per il resto». Aggiungeva, poi, al terzo comma, che questa inefficacia operava «solo a vantaggio del consumatore» e che poteva «essere rilevata d'ufficio dal giudice». In tal modo, il legislatore italiano traduceva quasi alla lettera il dato normativo della Direttiva, che, pure, si esprimeva in termini del tutto generici, senza prendere posizione sulla precisa qualificazione della sanzione, lasciando, piuttosto, ai singoli Stati membri il relativo compito.

La scelta per la sanzione della inefficacia si è rivelata, invero, una non scelta, densa di problemi e dubbi interpretativi, poiché non consentiva di sciogliere la questione della disciplina applicabile alla tutela contro le clausole vessatorie nei contratti dei consumatori. Difatti, si è posto il problema di stabilire se le clausole in esame debbano considerarsi propriamente invalide o semplicemente inefficaci, considerando l'inefficacia come una figura autonoma e distinta dalla invalidita. E, ancora, anche a voler ragionare in termini di invalidita, si poneva l'ulteriore dubbio se essa assumesse la fisionomia dell'annullabilita o della nullita127.

L'inefficacia128, come è noto, è un concetto sfuggente e di difficile definizione, poiché

privo di una base legislativa che consenta di costruirlo compiutamente come categoria. Si ritiene che tale nozione, lungi dal costituire un rimedio autonomo e distinto dalla invalidita, andrebbe riguardata come una fattispecie c.d. di secondo grado, cioè come la conseguenza, sul piano effettuale, di un vizio che la origina.

L'inefficacia delle clausole abusive, cit., p. 412 ss; M. COSTANZA, Condizioni generali di contratto e contratti stipulati dai consumatori, in Giust. civ., 1994, II, p. 543 ss.; S. MAZZAMUTO, Brevi note in tema di conservazione o caducazione del contratto in dipendenza della nullità della clausola abusiva, cit., p. 1097

ss.; A. BARENGHI, Commento all'art. 1419-bis, in A. Barenghi (a cura di), La nuova disciplina delle

clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996, p. 7 ss..

127 Si ricorda che siffatto problema qualificatorio non era del tutto nuovo in dottrina, riecheggiando il più risalente dibattito in ordine alla disciplina delle clausole vessatorie di cui agli artt. 1341, comma secondo, e 1342 c.c.. Sul punto si vedano, ex multis: G. GORLA, Condizioni generali di contratto e contratti conclusi

mediante formulari nel diritto italiano, in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 121 ss.; G.B. FERRI, Nullità parziale e clausole vessatorie, in Riv. dir. comm., 1977, I, p. 1 ss.; M. NUZZO, Predisposizione di clausole e procedimento di formazione del contratto, in Studio in onore di Francesco Santoro-Passarelli, III, Napoli,

1972, p. 549 ss.; S. PATTI, in PATTI G. - PATTI S., Responsabilità contrattuale e contratti standard, Milano, 1993, p. 297 ss.; G. DE NOVA, Nullità relativa, nullità parziale e clausole vessatorie non

specificamente approvate per iscritto, in Riv. dir. civ., 1996, II, p. 482 ss..

128 Sul concetto di inefficacia si vedano: S. TONDO, Invalidità e inefficacia del negozio giuridico, in Noviss.

dig. it., VIII, 1962, p. 994 ss.; V. SCALISI, Inefficacia (dir. priv.), voce, in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, p.

322; V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2a ed., 2011, p. 688, il quale, nel distinguere la invalidita dalla inefficacia, definisce quest'ultima come «la qualita del contratto, in quanto non produttivo degli effetti che normalmente dovrebbe produrre», mentre «l'invalidita designa la qualita del contratto, in quanto affetto da un vizio che lo espone a determinati rimedi contrattuali (come la nullita e l'annullamento)». I rimedi invalidatori servono, dunque, a paralizzare gli effetti del contratto e a renderlo inefficace.

A riguardo, presso la dottrina prevalente, si ragiona in termini di inefficacia c.d. in senso lato, per sottolineare che essa costituisce la conseguenza della invalidita: un contratto può essere improduttivo di effetti in quanto nullo per il ricorrere delle cause di cui all'art. 1418 c.c. ovvero in quanto annullabile per la presenza dei vizi di cui agli artt. 1425 e 1427 c.c.129.

Ma anche quando l'inefficacia è intesa in senso stretto, cioè a prescindere dalla sussistenza di una ipotesi di invalidita, essa si atteggia, pur sempre, a conseguenza effettuale di una causa altra e diversa da se stessa. In tal caso, evidentemente, la inefficacia non mira a rimediare a situazioni che rendono impossibile la conservazione del contratto, è cioè priva di funzione rimediale e deriva dalla volonta delle parti, indicando la semplice improduttivita di effetti, ad esempio, a seguito della apposizione al contratto di un termine o di una condizione.

Si deve, dunque, ritenere che, nelle intenzioni del legislatore del 1996, l'inefficacia veniva in considerazione nella sua accezione rimediale, in senso lato, stante la ritenuta esistenza di «una connessione funzionale tra invalidità e inefficacia: l'invalidità persegue e produce l'inefficacia del contratto, perché è attraverso l'inefficacia che la invalidità può svolgere la sua funzione rimediale»130. Ma proprio da tale connessione funzionale tra i due concetti deriva

la impossibilita di considerare l'inefficacia una categoria autonoma e, dunque, la conseguente

129 D'altronde, che l'inefficacia sia un concetto giuridico c.d. “di secondo grado” si desume, altresì, dall'analisi del dato sistematico. Anche nel diritto amministrativo, infatti, l'inefficacia è concepita come conseguenza di una causa, come nel caso della inefficacia del contratto pubblico a seguito di annullamento dell'aggiudicazione della gara. Per gli atti procedimentali vige il principio della derivazione, in forza del quale l'annullamento dell'atto presupposto illegittimo si ripercuote sull'atto a valle della sequenza, cioè sul contratto pubblico, che può essere dichiarato inefficace dal giudice amministrativo a seguito della caducazione dell'atto di gara a monte (tra i primi studiosi del tema, si vedano: A.M. SANDULLI, Il

procedimento amministrativo, Milano, 1940; F. LUBRANO, L'atto amministrativo presupposto (spunti di una teorica), Roma, 1968). Gli artt. 121 e 122 del codice del processo amministrativo, al riguardo,

qualificano espressamente come inefficace la condizione giuridica di un contratto fondato su una aggiudicazione annullata, identificando nella paralisi degli effetti la conseguenza dell'invalidita del provvedimento presupposto. Peraltro, la peculiarita di questa fattispecie si ravvisa nella circostanza che l'inefficacia del contratto costituisce sì la conseguenza dell'annullamento dell'aggiudicazione illegittima a monte, ma tale conseguenza non opera automaticamente, poiché l'annullamento determina il sorgere del potere, in capo al giudice amministrativo, di decidere le sorti del contratto a seconda della maggiore o minore gravita delle violazioni a monte. Come osservato in dottrina, si tratta di una forma di inefficacia “a geometrie variabili”, che si allontana molto dal modello dell'invalidita civilistica. In particolare, è stato rilevato che difetterebbero i due presupposti fondamentali della nullita civilistica, cioè l'obbligatorieta dell'intervento giudiziale, attesa la discrezionalita riconosciuta al giudice amministrativo, e l'originarieta della inefficacia, visto che è possibile una dichiarazione di inefficacia non retroattiva (si veda F. CARINGELLA, I

nuovi contratti pubblici, in Il sistema del diritto amministrativo, Roma, 2017, p. 150 ss.). Ma tali peculiarita

si spiegano, evidentemente, in considerazione delle diverse finalita sottese al giudizio amministrativo sulla sorte del contratto pubblico, stante la pluralita di interessi coinvolti: quello del ricorrente a una tutela effettiva della propria posizione giuridica, ma anche quello generale alla stabilita dei rapporti, oltre all'interesse dell'aggiudicatario al mantenimento in vita del contratto in corso di esecuzione. Ciò che, comunque, preme

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