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La discutibile tesi della nullità totale del contratto e il problema della sua

91 La rettifica alla Direttiva n. 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, è stata pubblicata il 4 giugno 2015 nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea e, successivamente nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il 3 agosto 2015, ma sembra essere passata quasi inosservata dagli operatori del diritto nazionali.

compatibilità con la disciplina europea.

Le considerazioni sopra svolte in merito ai criteri da seguire nel giudizio di vessatorieta e alla individuazione delle clausole essenziali del contratto consentono di giungere a focalizzare la questione centrale del presente lavoro: quella delle conseguenze della pronuncia di vessatorieta di una clausola essenziale.

La possibilita della caducazione dell'intero contratto, a seguito della espunzione di una clausola vessatoria a carattere essenziale, è stata predicata da una parte della dottrina gia in sede di primo recepimento della Direttiva n. 93/13/CEE.

E' stato da taluni sostenuto che la sanzione della inefficacia parziale, comminata dall'art. 1469 quinquies c.c., avrebbe potuto condurre alla inefficacia totale in almeno tre situazioni particolarmente gravi: quando sono inefficaci numerose clausole tra loro funzionalmente collegate; quando sono inefficaci clausole attinenti all'oggetto del contratto o all'adeguatezza del corrispettivo; quando sia pregiudicato l'equilibrio tra prestazioni92.

Anche dopo l'entrata in vigore del codice del consumo, è rimasta immutata la tesi della nullita totale del contratto, quale conseguenza inevitabile della nullita che colpisca una clausola essenziale93. Secondo questa impostazione, quando l'abusivita riguarda una clausola

di rilevanza essenziale per la sopravvivenza del contratto, alla caducazione della stessa conseguirebbe, logicamente, il travolgimento dell'intero contratto. Ciò sull'assunto che, in queste ipotesi, e differentemente da quelle in cui la clausola nulla sia meramente accessoria, la nullita totale del contratto risponderebbe meglio e più efficacemente all'obiettivo di protezione del consumatore.

In realta, questa tesi, nella sua versione più radicale, non appare persuasiva poiché, a ben vedere, non sempre la nullita totale rappresenta davvero la soluzione preferibile per il consumatore, e pone, oltretutto, problemi di compatibilita con la disciplina europea.

Giova ricordare che la questione in esame si prospetta poiché, come rilevato, l'art. 6 parag. 1 della Direttiva n. 93/13 non si limita a prospettare la conservazione del contratto in caso di abusivita di una clausola, ma prevede anche una eccezione a questa regola, stabilendo che il contratto resti sì vincolante per le parti, ma “sempre che ciò sia possibile”. Questo significa che il legislatore comunitario, con questo inciso, ha ipotizzato la possibilita che dalla eliminazione della clausola abusiva possa discendere, eccezionalmente, la caducazione dell'intero contratto.

92 Si veda L. VALLE, La categoria dell'inefficacia del contratto, in Contr. e impr., 1998, I, p. 1206 ss.. 93 In tal senso, S. MONTICELLI, Dalla inefficacia della clausola vessatoria alla nullità del contratto (Nota a

margine dell'art. 1469 quinquies, commi 1 e 3, c.c.), cit., p. 568 ss..

Questa precisazione non si ritrova, invece, nella disposizione italiana di attuazione della Direttiva, cioè nell'art. 36 cod. cons., così come nel precedente art. 1469 quinquies c.c.: entrambe le disposizioni si limitano a prevedere la nullita relativa della singola clausola vessatoria e la conservazione del contratto “per il resto”.

A riguardo, i primi attenti commentatori della legge di attuazione hanno ravvisato, in questa scelta legislativa a favore della nullita (necessariamente) parziale, la volonta di dettare disposizioni più severe a favore del consumatore, secondo quanto permette l'art. 8 della Direttiva; tanto si giustificherebbe nell'ottica di consentire agli Stati membri di rafforzare la tutela minima garantita dalla Direttiva stessa.

Cionondimeno, la dottrina si è interrogata circa la possibilita che il contratto vada incontro a una sorte di nullita totale, ove la valutazione di vessatorieta riguardi una clausola relativa a un elemento essenziale oppure nel caso in cui tale valutazione abbia colpito un gran numero di clausole del contratto.

A riguardo, taluni hanno osservato che la previsione della nullita totale del contratto contenente clausole abusive sembrerebbe, in tali ipotesi, del tutto coerente con il principio di armonizzazione minima espresso dalla Direttiva 93/13/CEE, ove detta soluzione sia in grado di assicurare una miglior tutela per il contraente debole, rispetto alla conservazione del contratto depurato della clausola abusiva.

Ma il punto merita di essere approfondito per giungere a conclusioni diverse.

Imprescindibile, anche in questo caso, è l'analisi della giurisprudenza europea, che ha affrontato più volte la questione in esame.

In particolare, nella sentenza Pereničovà94 la Corte di Giustizia ha valutato la compatibilita

con la Direttiva della normativa slovena nella parte in cui prevede la nullita dell'intero contratto, anziché della singola clausola abusiva, ogniqualvolta siffatto rimedio sembri garantire una miglior tutela per il consumatore.

A riguardo, i giudici affermano che la nullita totale costituisce una ipotesi eventuale ed eccezionale, dal momento che la Direttiva ha di mira la sopravvivenza del contratto, non il

94 Corte di Giustizia, 25 marzo 2012, causa C-453/10, Pereničovà e Perenič , i n www.curia.europa.eu. La questione pregiudiziale prende le mosse da un caso di accertamento della nullita di un contratto di credito al consumo recante l'indicazione di un Taeg non trasparente. La Corte di Giustizia è stata chiamata da giudice slovacco a stabilire «se l'ambito della tutela del consumatore di cui all'art. 6.1 della dir. 93/13 sia tale da consentire, nel caso in cui siano individuate clausole contrattuali abusive, di considerare che il contratto nel suo complesso non vincola il consumatore qualora ciò sia più favorevole a quest'ultimo». I ricorrenti chiedevano, infatti, al giudice del rinvio di dichiarare la nullita dell'intero contratto di credito al consumo, sostenendo che una caducazione solo parziale delle singole clausole vessatorie non avrebbe assicurato adeguata tutela, in quanto non rispondente ai loro interessi. Per un commento alla sentenza si veda: M.G. FANELLI, La recente giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla direttiva n. 93/13/CEE in materia di

suo annullamento, nella prospettiva di ristabilire l'uguaglianza sostanziale tra i contraenti. Si precisa, tuttavia, che la possibilita che il negozio venga conservato deve essere valutata alla stregua di un criterio di tipo oggettivo, non soggettivo, cioè che tenga conto non esclusivamente del vantaggio derivante alla parte debole dalla caducazione dell'intero contratto, bensì anche delle esigenze riconducibili alla certezza giuridica delle attivita economiche. Difatti, se la ratio della normativa consumeristica è anche la tutela dello sviluppo del mercato, da realizzare per il tramite della protezione del consumatore, ne consegue, allora, che il rimedio contro le clausole abusive debba tenere in considerazione anche l'affidamento della controparte contrattuale.

In tal modo, la Corte di Giustizia ha chiarito che obiettivo primario della Direttiva non è la tutela del solo interesse del consumatore, ma anche di un interesse più generale, con il quale primo andrebbe contemperato. Tale finalita verrebbe, invece, inevitabilmente compromessa se il consumatore potesse chiedere sempre la nullita dell'intero contratto, ove per lui più favorevole. Tanto si sostiene al fine di evitare che il rimedio della nullita totale possa costituire un escamotage per consentire al consumatore di liberarsi di un vincolo contrattuale divenuto sgradito.

Il ragionamento fin qui svolto dalla Corte di Giustizia appare condivisibile. Sennonché, desta perplessita l'affermazione secondo cui resterebbe, comunque, fermo, anche in queste ipotesi, il principio per cui «la direttiva non osta a che uno Stato membro preveda, nel rispetto del diritto dell'Unione, che un contratto stipulato tra professionista e consumatore e contenente clausole abusive sia nullo nel suo complesso qualora ciò risulti garantire una migliore tutela del consumatore».

Quest'ultima considerazione suscita alcune perplessita, poiché sembra tradire il principio enunciato in premessa alla decisione. Se tanto il tenore letterale dell'art. 6 della Direttiva, quanto le esigenze relative alla certezza giuridica delle attivita economiche conducono a un “approccio obiettivo in sede di interpretazione di detta disposizione”, risulta difficile capire per quale motivo la Corte recuperi un criterio di ordine soggettivo quando lascia agli Stati la scelta di prevedere la nullita totale del contratto contenente clausole abusive, ove ciò assicuri una “miglior tutela del consumatore”95.

95 Attenta dottrina osserva, criticamente, che la Corte di Giustizia, nel reputare legittima la scelta dei legislatori interni di prevedere la nullita totale del contratto non in quanto il venire meno delle clausole vessatorie pregiudichi la possibilita di sopravvivenza del contratto, ma in quanto rispondente alla “miglior tutela del consumatore”, finisce per condurre a un esito non condivisibile: «per questa via il “naturale” connotato della nullita di protezione – l'essere nullita che in principio non pregiudica l'intero contratto – posto a tutela del consumatore ne risulta consegnato alla discrezionalita del giudice domestico, che dovra tornare a un parametro soggettivo, seppur riferito alla sola parte consumatore». Così R. ALESSI, Clausole vessatorie,

nullità di protezione e poteri del giudice: alcuni punti fermi dopo le sentenze Joros e Asbeek Brusse, cit. p.

Secondo una attenta dottrina, l'esigenza di garantire una effettiva tutela al consumatore può, eventualmente, condurre alla caducazione dell'intero contratto soltanto nei casi in cui questa soluzione risponda anche all'interesse più generale perseguito dalla Direttiva, secondo una prospettiva di bilanciamento tra interessi contrapposti, ma interdipendenti. In tal modo, l'interesse generale inscindibilmente connesso alla tutela delle istanze della parte debole «tornerebbe qui a prevalere nel senso che nell'alternativa tra conservazione e sopravvivenza del contratto tornerebbe a pesare un uso della nullità (questa volta totale) in funzione di contrasto alle cattive prassi dei professionisti in danno dei consumatori»96.

Tanto è vero che la stessa Corte di Giustizia sembra rivedere la portata del principio enunciato nel caso Periničova in una successiva sentenza, quella sul caso Jőrös del 201397.

In questa occasione, i giudici muovono esattamente dalle medesime premesse delineate nel precedente del 2012, ma pervengono a conclusioni parzialmente difformi.

Il giudice nazionale, una volta constatato il carattere abusivo di una clausola, deve adempiere due compiti: da un lato, deve «attendere che il consumatore presenti una domanda, e a tal fine, trarre tutte le conseguenze che derivano, secondo il diritto nazionale da tale accertamento affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da tale clausola»; dall'altro, è tenuto a «valutare, in linea di principio, sulla base di criteri oggettivi, se il contratto di cui trattasi possa sussistere anche senza detta clausola».

Secondo la Corte di Giustizia, dunque, in assenza di una espressa previsione della nullita totale, l'art. 6 della Direttiva implica che la valutazione circa la sopravvivenza del contratto depurato dalla clausola abusiva non può fondarsi solo sull'eventuale vantaggio per il contraente protetto, ma richiede anche l'impiego di criteri attinenti all'assetto oggettivo che le parti hanno dato ai loro interessi98.

La nullita totale del contratto in tanto può essere invocata dal consumatore, in quanto questo risultato costituisca la logica ed estrema conseguenza del venir meno di un requisito di validita del contratto. In tal modo, sarebbe possibile prospettare un punto di equilibrio tra la posizione del consumatore e quella del professionista.

Proprio in considerazione di ciò, parte della dottrina guarda con perplessita alla compatibilita con la Direttiva di norme nazionali che predicano la nullita totale del contratto

396.

96 Cfr. sempre R. ALESSI, Clausole vessatorie, nullità di protezione e poteri del giudice: alcuni punti fermi

dopo le sentenze Joros e Asbeek Brusse, cit., p. 400.

97 Corte di Giustizia, 30 maggio 2013, causa C-397/11, Jőrös, in www.curia.europa.eu.

98 Queste osservazioni sono di A. ALBANESE, Le clausole vessatorie nel diritto europeo dei contratti, cit., p. 726 ss..

sulla base della valutazione dell'interesse esclusivo del consumatore99. Si pensi, in particolare,

al parag. 306, Abs. 3 BGB, in cui si dispone la nullita dell'intero contratto quando, a seguito della caducazione di clausole vessatorie, si produca una situazione di insostenibile squilibrio per una delle parti.

Siffatte disposizioni dovrebbero essere rilette in senso oggettivo: il contratto non può obiettivamente sussistere solo nei casi in cui il suo significato risulta compromesso, alla luce dell'interesse di entrambe le parti. Per tale via, si punta, concretamente, a realizzare l'uguaglianza sostanziale tra i contraenti.

Vero è, tuttavia, che la nullita totale del contratto, anche in queste ipotesi, non appare, comunque, una soluzione pienamente persuasiva quando essa non realizza alcun vantaggio per il consumatore, tanto che questi finirebbe per essere maggiormente pregiudicato dalla caducazione del contratto, che non dalla esecuzione dello stesso, ancorché contenente clausole vessatorie.

La caducazione di un contratto di mutuo, ad esempio, esporrebbe il mutuatario all'obbligo di restituzione immediata della somma ricevuta in prestito, con l'ulteriore rischio che, ove questo difetti della liquidita necessaria, finirebbe per essere esposto anche al procedimento di esecuzione azionato dal creditore, in forza della garanzia che accede al contratto. In tal caso, la sopravvivenza del contratto depurato della clausola vessatoria e la conseguente sostituzione di questa si rendono necessarie a garantire la protezione dell'interesse del consumatore100;

mentre «un caducarsi del contratto, costellato dalle conseguenze restitutorie di cui sopra, non incentiva certo il consumatore a denunziare la clausola abusiva intaccando così la stessa finalità deterrente dell'art. 7, evidentemente commisurata al numero esponenziale di impugnazioni singole»101.

Al fine di evitare un risultato così paradossale, si ritiene di aderire a quanti, in dottrina102,

sostengono che il giudice sia chiamato a valutare, in linea con l'obiettivo finale della Direttiva, la possibilita di mantenere in vita il contratto: in tal modo, il consumatore verrebbe posto nelle

99 Si rinvia, nuovamente, alle considerazioni di R. ALESSI, Clausole vessatorie, nullità di protezione e poteri

del giudice: alcuni punti fermi dopo le sentenze Joros e Asbeek Brusse, cit., p. 397.

100 Questa sembra essere la soluzione patrocinata dalla maggioranza delle decisioni dell'Arbitro Bancario Finanziario, le uniche, nel nostro ordinamento, ad aver affrontato direttamente il problema della integrabilita del contratto privato di una clausola vessatoria. Dall'analisi di questa giurisprudenza emerge come, in genere, l'esigenza di garantire una efficace tutela del consumatore implichi la conservazione del regolamento attraverso l'integrazione sostitutiva ai sensi dell'art. 1374 c.c.. Cfr. ABF, Collegio arbitrale di Milano, 14 ottobre 2016, n. 9190; ABF, Collegio arbitrale di Milano, 9 marzo 212, n. 707; ABF, Collegio arbitrale di Napoli, 3 novembre 2011, n. 2374. Tutte le decisioni citate sono reperibili su www.arbitrofinanziario.it. 101 Queste considerazioni sono svolte da S. PAGLIANTINI, L'equilibrio soggettivo dello scambio (e

l'integrazione) tra Corte di Giustizia, Corte Costituzionale ed ABF: “il mondo di ieri” o un trompe l'oeil concettuale?, cit., p. 858.

102 Si vedano le considerazioni di L. VALLE, La vessatorietà delle clausole, oltre la nullità parziale, cit., p. 126 ss.; ID., L'inefficacia delle clausole vessatorie, cit., p. 240 ss..

condizioni di poter effettivamente conseguire i beni o i servizi oggetto del contratto, evitandone il venir meno; e, al contempo, potrebbe non dover soggiacere a clausole vessatorie.

Oltretutto, la necessita di assicurare, il più possibile, la sopravvivenza del contratto esplicherebbe un effetto concretamente dissuasivo nei confronti del professionista, il quale, anziché liberarsi del vincolo contrattuale dichiarato nullo, soggiacerebbe alla ben più gravosa conseguenza di dover eseguire quel negozio, una volta depurato delle clausole vessatorie per il consumatore, ma per lui più favorevoli, e corretto nel suo contenuto in ottica conformativa.

In conclusione, se la nullita parziale costituisce la regola e se tale rimedio opera solo a vantaggio del consumatore, ne consegue che solo assicurando il più possibile la conservazione del contratto si realizza un effettivo vantaggio per quello. Diversamente ragionando, si finirebbe per contraddire proprio la ratio stessa della disciplina che – lo si ribadisce – è quella di garantire al consumatore la persistente efficacia del contratto concluso, eliminata la situazione di squilibrio103.

E ciò, si ritiene, varrebbe, a maggior ragione, quando la clausola riguardi elementi essenziali del contratto.

Giova, peraltro, rilevare che la questione in esame non è stata finora molto analizzata né dalla dottrina, né dalla giurisprudenza europea e nazionale, eccezion fatta per la soluzione offerta dalla Corte di Giustizia sul citato caso Kàsler.

È, comunque, possibile osservare che la questione dell'effettiva sopravvivenza del contratto quando la vessatorieta colpisca una clausola relativa a elementi essenziali è strettamente connessa alla discussa questione, logicamente consequenziale, se sia ipotizzabile un intervento integrativo e/o correttivo sul contratto, eventualmente anche da parte del giudice, proprio al fine di salvarlo dalla nullita totale, finanche in casi così gravi.

È vero che né l'art. 6 della direttiva, né l'art. 36 cod. cons. prevedono alcunché circa la possibilita di integrare il contratto in funzione di ripristinarne l'equilibrio alterato dalla pattuizione vessatoria. Ma forse, non dettando alcuna regola sul punto, è probabile che la scelta dei legislatori sia stata quella di escludere, nell'interesse del consumatore, che il

103 A riguardo, è stato osservato che la nullita dell'intero contratto, in alcuni casi, potrebbe rivelarsi un rimedio «peggiore del male quante volte la particolare natura degli interessi divisati dal contratto (si pensi alla legislazione lavoristica o locatizia, a quella relativa all'acquisto di diritti reali su immobili da costruire, al contratto di viaggio) o la difficolta di reperire valide alternative sul mercato (si pensi al contratto di subfornitura) o agli investimenti gia eseguiti in vista della esecuzione del contratto (si pensi al contratto di

franchising) o altre particolari circostanze concorrenti a caratterizzare la situazione complessiva, rendano la

caducazione del contratto maggiormente svantaggiosa rispetto alla sua conservazione, a dispetto dello squilibrio in esso presente» (così A. LA SPINA, Destrutturazione della nullità e inefficacia adeguata, cit., p. 320 ss.).

consumatore possa invocare «un meccanismo di transizione alla inefficacia totale [rectius, alla nullita totale] del genere di quello codificato dall'art. 1419, comma 1, c.c.»104, e non di

escludere a priori strumenti di integrazione del contratto.

Oltretutto, è possibile rinvenire, sia a livello europeo, che nazionale, numerose disposizioni di settore in cui si prevedono ipotesi di integrazione del contratto o con regole legali o, addirittura, attraverso l'intervento del giudice.

A livello europeo, il riferimento è, innanzitutto, al parag. 306 BGB, in cui è prevista l'integrazione con norme dispositive di legge, nonché alla legislazione dei Paesi scandinavi, in cui tanto la Section 36 del Contract Act, quanto la Section 1, Chpater 4 del Consumer Protection Act consentono la modifica di una clausola iniqua o in contrasto con la buona fede. Ancor più significativi sono l'art. 3.10 dei Principi Unidroit sulla gross disparity e l'art. 4:109 dei Pecl, che accordano la possibilita di adattamento del contratto, da parte del giudice, su richiesta della parte legittimata all'annullamento.

Rilevanti considerazioni possono essere tratte anche dalla normativa interna. Si pensi al testo originario dell'art. 7, comma 3, del d.lgs 231/2002 in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Prima della riforma del 2012, la disposizione riconosceva al giudice, addirittura, il potere equitativo-correttivo di ricondurre a equilibrio il rapporto contrattuale, ove la clausola sul termine di pagamento fosse nulla per grave iniquita. A seguito del d.l. 192/2012 la previsione di tale correttivo del giudice è stata eliminata, ma la disposizione, oggi, rinvia agli artt. 1339 e 1419 c.c., ammettendo, comunque, una forma imperativa di modificazione del contratto (sub specie di sostituzione di clausole).

Alla luce di questa breve rassegna normativa – la cui analisi verra approfondita nel prosieguo del lavoro – emerge come i legislatori abbiano predisposto, in vari settori, strumenti di intervento sul contratto in funzione conservativa. Questo conferma come la mera caducazione della clausola abusiva, di per sé, non realizzi sempre una tutela completa per il consumatore, il quale ha interesse alla sopravvivenza del contratto, una volta modificato secondo quanto necessario a eliminare la situazione di squilibrio.

Questo intervento modificativo, peraltro, non potrebbe essere aprioristicamente escluso neanche, e a fortiori, quando la nullita colpisca una clausola essenziale del contratto, poiché, proprio in questi casi, si rende necessario salvaguardare, il più possibile, il regolamento. Quanto maggiore è la rilevanza della pattuizione viziata per l'operazione negoziale posta in essere, tanto maggiore dovrebbe essere la possibilita di intervento ex post sul contratto, al fine

104 Si rinvia alle considerazioni svolte, prima dell'entrata in vigore del codice del consumo, da V. ROPPO, voce

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