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La buona fede contrattuale.

Nel documento Poteri del giudice e nullità di protezione. (pagine 165-172)

Il contesto assiologico del sistema eurounitario di tutela del consumatore.

4. La buona fede contrattuale.

Le brevi considerazioni sopra svolte sulla buona fede e sul suo rapporto con il criterio di proporzionalita meritano, ora, di essere approfondite nell'ottica di analizzare il ruolo della stessa come possibile strumento di intervento del giudice sul contratto in funzione integrativa e/o correttiva dello stesso.

La clausola generale di buona fede è presente in modo centrale nel diritto europeo266, quale

«standard of conduct characterized by honesty, openness and consideration for interests of

Principi di diritto europeo dei contratti, Parte I e II, Milano, 2001, p. XIII ss.; P. GROSSI, Mitologie giuridiche della modernità, Milano, 2001; V.M. BARCELLONA, La buona fede e il controllo giudiziale dei contratti, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di S. Mazzamuto, Torino, 2002, p.

308 ss..

265 Si vedano le considerazioni di C.M. NANNA, Eterointegrazione del contratto e potere correttivo del giudice, cit., p. 39-42.

266 Sul tema specifico si vedano: F. MARRELLA, Lex mercatoria e Principi Unidroit. Per una ricostruzione

sistematica del diritto internazionale, in Contr. e impr. Europa, 2000, p. 29 ss.; O. LANDO, Lo spirito dei Principi del diritto contrattuale europeo, Il codice civile europeo, Materiali e seminari 1999-2000, raccolti da

G. Alpa e E.M. Buccico, Milano, 2001, p. 41 ss.; G. BENACCHIO, Diritto privato della Comunità europea, 2a ed., Padova, 2001; G. VETTORI, Buona fede e diritto europeo dei contratti, cit., p. 915 ss.; L. GAROFALO (a cura di), AA.VV., in Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e

contemporanea. Atti del convegno internazionale di studi in onore di A. Burdese, Padova, 2003; M.E.

STORME, Good Faith and the contentes of Contracts in European Private Law, European Private Law, 2003; F. PIRAINO, La buona fede in senso oggettivo, cit., p. 489 ss..

the other party to the transaction or relationship in question»267.

Essa viene in considerazione, innanzitutto, in varie disposizioni nell'ambito del codice europeo dei contratti, assieme ad altre regole e principi che svolgono la funzione di strumenti di interpretazione e integrazione del contratto. Si ricordano: l'art. 32 che, nel prevedere le clausole implicite, afferma che concorrono alla formazione del contenuto del contratto tutte le clausole derivanti dal generale dovere della buona fede; e l'art. 39, in cui si richiama la buona fede come strumento di analisi del testo contrattuale e di valutazione degli elementi extratestuali dell'atto.

Alla buona fede fanno riferimento anche i Principi di diritto europeo dei contratti. In particolare l'art. 1.106 la richiama con riferimento alla interpretazione del contratto, affermando la necessita di promuovere la buona fede e la correttezza; nel contempo, l'art. 5.102 invoca queste ultime come criteri per una giusta interpretazione del contratto.

I numerosi contesti in cui la clausola in esame viene in gioco, nel sistema eurounitario, hanno indotto la dottrina a ritenere che la buona fede di matrice europea costituisca una sintesi delle varie nozioni di buona fede elaborate dagli ordinamenti nazionali degli Stati membri, così da facilitare gli scambi economici268. Nella prospettiva europea, dunque, queste

disposizioni vanno lette in una chiave più avanzata, in quanto la clausola di buona fede svolge la primaria funzione di ridurre le differenze più spiccate tra le diverse legislazioni nazionali, nell'ottica dell'armonizzazione del diritto europeo. In effetti, come è stato acutamente osservato269, l'utilizzo di clausole generali, come quella in esame, costituisce lo strumento che

meglio di altri consente di riconoscere al giudice quella discrezionalita e quella autonomia necessarie e sufficienti a contemperare il formalismo degli ordinamenti di civil law con la

267 Questa è la definizione di buona fede che viene data dal Draft Common Frame of Reference all'art. I.1:103, co. 1, nonché dalla Proposta di Regolamento sulla vendita all'art. 2, lett. b). In questo senso, il concetto di buona fede si distingue nettamente da quello di ragionevolezza, a cui fanno riferimento tanto i Principi Lando all'art. 1:302, tanto il DCFR all'art. I.1:104 e la Proposta di Regolamento sulla vendita all'art. 5 Annex I. Come è stato osservato in dottrina, si tratta, certamente, di due concetti diversi, ma non in conflitto tra loro, bensì coordinati e in reciproca collaborazione nell'attivita di interpretazione e integrazione del contratto. In questa prospettiva, la buona fede funge da parametro assiologico, dettando regole di comportamento, mentre la ragionevolezza misura l'esigibilita della condotta in relazione alle regole di comportamento e alla luce delle circostanze in cui il contratto è stato concluso, degli usi, delle pratiche commerciali, nonché della natura e dello scopo del contratto. In questo senso E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto

contrattuale europeo, in Eu. dir. priv., 2012, 4, p. 974, secondo la quale «la ragionevolezza assicura la più

profonda coerenza del contratto con la dimensione economico-sociale in cui esso concretamente vive attraverso le scelte di soggetti autoresponsabili. La buona fede conferisce all'istituto quel volto umano che rende il contratto compatibile con i valori della giustizia».

268 C f r . I . M U S I O , Breve analisi comparata sulla clausola generale della buona fede, in

www.comparazionecivile.it.

269 Cfr. E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, cit., p. 955, la quale osserva che «il processo di avvicinamento fra le diverse normative europee predilige regole facilmente condivisibili, in virtù del loro contenuto non dettagliato e della loro familiarita rispetto alla maggior parte degli ordinamenti. Al contempo, il bisogno di assecondare l'apparente ossimoro di un'uniformita rispettosa delle specificita locali rinviene nella flessibilita delle clausole generali e degli standard la possibilita di utilizzare un criterio aggregante capace di riflettere le peculiarita nazionali e regionali».

logica giurisprudenziale di quelli di common law.

Questa esigenza è ancora più evidente se si considera che un'ulteriore, e forse la principale, fonte della clausola generale di buona fede, nel diritto europeo, è rappresentata dalle varie direttive comunitarie che gli Stati membri debbono farsi carico di recepire, a partire da quella sui contratti dei consumatori.

Non a caso, con particolare riguardo all'oggetto di analisi del presente lavoro, la centralita della buona fede, in ambito eurounitario, emerge, ictu oculi, dall'art. 33 cod. cons., che, in attuazione della Direttiva n. 93/13/CEE270, richiama la stessa come criterio di valutazione

della vessatorieta della clausola.

La disposizione è stata, però, a lungo oggetto di dubbi interpretativi.

A riguardo, il testo originale della Direttiva è subito apparso a molti inequivocabile nel senso di considerare la buona fede in accezione oggettiva, cioè come divieto di abuso del potere negoziale per imporre clausole vessatorie alla controparte, su imitazione della normativa tedesca in cui essa viene vista come precetto che «impone al predisponente di esercitare il suo potere in conformità del principio di equità».

Nel nostro ordinamento, invece, la non felice traduzione del testo francese della Direttiva (“en dépit de l'exigence de bonne foi”) con la locuzione “malgrado la buona fede”271 ha reso

difficoltoso stabilire se la buona fede venga in considerazione in senso soggettivo, cioè come consapevolezza di non ledere l'altrui diritto, ovvero, in senso oggettivo, cioè come divieto di abusare del potere negoziale per imporre clausole vessatorie alla controparte.

La dottrina maggioritaria tende a ricostruire la nozione in esame in termini oggettivi, coerentemente anche con la versione inglese della disposizione (“contrary to the requirement of good faith”), nonché con la versione tedesca della stessa (“entgegen dem Gebot von Treu und Glauben”). Non solo, siffatta soluzione interpretativa appare in linea anche con considerazioni di ordine sistematico, atteso che, nell'ambito del codice civile, la buona fede soggettiva trova spazio solo in tema di acquisti a non domino, e mai in materia contrattuale272.

270 In questa materia, la buona fede opera come criterio di valutazione generale dell'atto negoziale. Nel considerando n. 16 si legge che «la valutazione del carattere abusivo di clausole (…) deve essere integrata con uno strumento idoneo ad attuare una valutazione globale di vari interessi in causa». Il riferimento è al requisito della buona fede, il cui impiego come criterio di valutazione del contratto richiede di tenere conto, altresì, della forza delle rispettive posizioni delle parti, della possibilita che il consumatore sia stato in qualche modo incoraggiato a dare il suo consenso alle clausole, della presenza di un ordine speciale del consumatore, del comportamento del professionista.

271 Si ricorda, peraltro, che la legge di attuazione della Direttiva (legge n. 52/1996) non recepì fedelmente la locuzione “malgrado il requisito della buona fede”, ma la accorciò in “malgrado la buona fede”, non facendo altro che aumentare le incertezze interpretative. Come è stato acutamente osservato in dottrina, infatti, se la buona fede è un requisito, vuol dire che di essa non si può fare a meno, per cui non si vede come sia possibile prescinderne, come, invece, l'avverbio concessivo “malgrado” sembra lasciare intendere. Cfr. M. BIN,

Clausole vessatorie: una svolta storica (ma si attuano così le direttive comunitarie?), in Contr. e impr./Europa, 1996, p. 438 ss.; G. DE NOVA, La tutela dei consumatori nei confronti delle clausole abusive. Il commento, in Contr., 1993, p. 356 ss..

Sicché, sia il dato sistematico sia quello testuale, dovrebbero far propendere per la tesi oggettivistica.

D'altra parte, come in precedenza accennato, la correttezza della lettura in termini oggettivi sembra, oggi, suffragata dalla rettifica apportata nel 2015 al testo dell'art. 3, parag. 1, della Direttiva n. 93/13, dove, alla locuzione “malgrado il requisito della buona fede” è stata sostituita la locuzione “in contrasto con il requisito della buona fede”273. Alla luce di questa

novita, allora, non sembrano residuare dubbi sulla possibilita di interpretare la nozione in esame in senso oggettivo, considerandola come parametro di valutazione della vessatorieta.

Ciò posto, si ricorda che, quanto al dibattito in precedenza ricostruito sulla funzione da riconoscere alla buona fede di cui all'art. 33 cod. cons., si preferisce attribuire alla stessa il ruolo di criterio interpretativo dello squilibrio normativo, piuttosto che propendere per la tesi che la considera mera regola di condotta per il professionista ovvero per la tesi che la inquadra come regola di validita274.

Di questo avviso, d'altra parte, sembra essere la stessa Corte di Giustizia, nella recente sentenza sul caso Aziz, in cui attribuisce alla buona fede una funzione valutativa ex post dello squilibrio normativo, affermando che «per accertare se lo squilibrio sia creato in contrasto con la buona fede, occorre verificare se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest'ultimo aderisse alla clausola in oggetto in seguito a negoziato individuale»275.

dir. priv., 1995, p. 273 ss.; C.M. BIANCA, Il contratto, cit., p. 380 ss.; E. SCODITTI, Regole di validità e principio di correttezza nei contratti con il consumatore, in Riv. dir. civ., 2006, 1, p. 134 ss.; F. DELLA

NEGRA, Il “fairness test” nelle clausole vessatorie: la Corte di Giustizia e il diritto nazionale, cit., p. 1061. 273 Come ricordato nel primo capitolo, tale rettifica, passata quasi inosservata nel nostro ordinamento, è stata

pubblicata il 4 giugno 2015 nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea. Per un primo commento, si veda E. FERRANTE, Alcune considerazioni “malgrado” o “contro” la buona fede dopo la rettifica della direttiva

Ce 13/93, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 2, p. 541 ss., il quale evidenzia, chiaramente, che la rettifica,

riallineando la versione italiana tanto ai testi degli altri Stati, quanto al 16° considerando della Direttiva, «la cui piegatura oggettiva è solare (…) toglie, dunque, credibilita a qualsiasi concezione soggettiva della buona fede consumeristica ed accredita, invece, quale unica lettura possibile, quella che l'equipara a lealta e correttezza, al Treu und Glauben». L'Autore, però, si chiede anche se, sotto il profilo formale, occorra un qualche atto di recezione o se la rettifica operi automaticamente nel nostro ordinamento. A riguardo, viene ritenuto condivisibilmente preferibile non adottare alcun atto di recezione, né modificare l'art. 33, comma 1, cod. cons.. Appare sufficiente sottoporre la citata disposizione a una interpretazione conforme, vale a dire nel senso oggettivo di “in contrasto con”, anziché “malgrado”, la buona fede.

274 Propendono per la tesi della regola di condotta: E. SCODITTI, Regole di validità e principio di correttezza

nei contratti con il consumatore, cit., p. 136 ss.; C. CASTRONOVO, Vaga culpa in contrahendo: invalidità e responsabilità e la ricerca della chance perduta, in Eur. dir. priv., 2010, p. 30 ss.. Tuttavia, il limite di

siffatta impostazione è che la prescrizione della buona fede di cui all'art. 33 cod. cons. finisce per costituire un inutile doppione concettuale della regola più generale di buona fede in sede contrattuale, una soluzione questa che, quindi, non risulta appagante. Né, d'altra parte, convince la tesi che configura la buona fede come regola di validita (sostenuta autorevolmente da L. MENGONI, Problemi di integrazione nella disciplina dei

“contratti del consumatore” nel sistema del codice civile, cit., p. 544 ss.), atteso che la violazione della

regola di correttezza non è, di per se sola, indice sintomatico della vessatorieta di una clausola contrattuale, occorrendo che ad essa si affianchi l'ulteriore requisito del significativo squilibrio in senso normativo tra le prestazioni pattuite.

275 Corte di Giustizia, 14 marzo 2013, causa C-415/11, Mohamed Aziz, in Contr., 2013, 11, p. 1059 ss, con nota di F. DELLA NEGRA, Il “fairness test” nelle clausole vessatorie: la Corte di Giustizia e il diritto nazionale.

Concepire, dunque, la buona fede come criterio alla stregua del quale valutare la rilevanza dello squilibrio normativo del contratto consente di ammettere che essa venga in gioco in una funzione anche valutativa e correttiva. È questo l'aspetto che si intende approfondire nel prosieguo.

In questa sede, giova osservare che l'importanza del tema si coglie ove si consideri che esso è intimamente correlato alla questione, oggi più che mai aperta, della c.d. giustizia contrattuale. La possibilita, in virtù della buona fede, di rivedere, in un secondo momento, la valutazione in precedenza formulata dalle parti consente, infatti, di promuovere una forma di “giustizia”. Si tratta di una verifica che non attiene, evidentemente, alla conformita dell'atto di autonomia negoziale rispetto alle norme di legge, ma si iscrive nel più generale tema dei rapporti tra autonomia privata e ordinamento giuridico e, segnatamente, nella questione dei poteri di intervento del giudice sul regolamento contrattuale.

È oramai condivisa da larga parte degli studiosi del diritto privato europeo l'esigenza di garantire che la costruzione del mercato unico avvenga assicurando obiettivi di giustizia sociale, in grado di imprimere una traccia solidaristica alla disciplina del diritto europeo dei contratti, in linea con i valori e i principi enunciati dallo stesso sistema eurounitario in molteplici documenti276. Si pensi, in particolare, alla Carta di Nizza, che all'art. 13, capo II,

sancisce la liberta d'impresa e nel successivo art. 38, capo IV, enuncia la solidarieta, intesa quale garanzia della tutela del consumatore.

Non è un caso, difatti, che il tema della giustizia contrattuale si sia affermato e sviluppato soprattutto nel campo della disciplina consumeristica, dove la buona fede vede dilatare le sue funzioni e sembra venire in considerazione con un duplice ruolo: da un lato, quello di strumento volto a prevenire asimmetrie informative pregiudizievoli per il consumatore, dall'altro quello, di mezzo di correzione delle asimmetrie di potere prodotte dal mercato277.

Sicché, la buona fede è vista come lo strumento migliore per realizzare «il passaggio da una visione puramente egoista ed individualista del contratto ad una concezione che, più che definirsi in senso stretto altruista, può qualificarsi cooperativa, tale cioè da conferire un volto umano e reale al contratto, garantendo il rispetto della persona e quella giustizia

276 A riguardo, si rinvia al “Manifesto sulla giustizia sociale in Europa”, in cui si legge che «(...) nel costruire un sistema di diritto privato europeo, è necessario garantire che il procedimento politico sia indirizzato verso il raggiungimento di ideali di giustizia sociale. È sbagliato concepire tale progetto come un semplice procedimento di costruzione del mercato, perché il diritto privato determina le norme fondamentali che regolano la giustizia sociale nell'ordinamento del mercato. È necessario riconoscere che i procedimenti istituzionali idonei a costruire un mercato unico per mezzo dell'integrazione negativa oggi non sono più appropriati, in quanto l'Unione europea si sforza di ottenere giustizia per i suoi cittadini» (cfr. AA.VV.,

Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo. Un manifesto, in Riv. crit. dir. priv., 2005, p. 99 ss.).

277 Questa duplice funzione è ben evidenziata da E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto

contrattuale europeo, cit., p. 966 ss., secondo la quale «alla buona fede compete il duplice obiettivo di

razionalizzare e al contempo di correggere il mercato: la Market-Rational Regulation e la Market-Rectifying

commutativa che solo l'uguaglianza sostanziale è in grado di realizzare»278.

Giova precisare che la buona fede così ricostruita, tuttavia, non può operare in una logica propriamente redistributiva della ricchezza e, quindi, non si traduce in un potere giudiziale di controllo esterno sul contenuto economico del contratto attraverso clausole generali. Piuttosto, essa va intesa quale strumento in grado di assicurare la piena razionalita delle scelte dei contraenti.

La giustizia contrattuale, in altri termini, è concetto da tenere distinto da quello di giustizia sociale. Quest'ultima non può che essere affidata a interventi solidaristici di competenza del potere politico, trascendenti la singola operazione negoziale e diretti a garantire l'accesso a beni e servizi primari a favore di soggetti economicamente e socialmente deboli. Questo non esclude, però, che la debolezza sociale ed economica possa riflettersi sulle asimmetrie contrattuali e, dunque, che il contratto sia impermeabile rispetto a istanze solidaristiche; al contrario, il regolamento negoziale, pur potendo produrre, in via indiretta, effetti redistributivi, dovrebbe tendere verso un ideale di giustizia, mirando, in via primaria, ad assicurare la giustizia commutativa.

In considerazione di ciò, attenti studiosi riconoscono alla buona fede la funzione di attribuire al giudice il poter di attuare la giustizia commutativa, mentre della giustizia distributiva dovrebbe farsi carico, esclusivamente, il potere legislativo attraverso specifiche politiche sociali279.

Come illustrato, dunque, il dibattito sulla connessione tra buona fede e giustizia commutativa appare di grande attualita e assume notevole rilievo ai fini del presente lavoro, in quanto tocca il tema dei poteri del giudice sul contratto, consentendo di ipotizzare anche interventi in funzione correttiva del regolamento, soprattutto per effetto di rimedi invalidatori, come la nullita parziale protettiva. La circostanza che le nullita di protezione realizzino finalita non soltanto demolitorie, ma, anche e soprattutto, conformative, consente di riconoscere alle stesse il ruolo di strumenti idonei a realizzare la giustizia contrattuale280; tanto

278 Così E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, cit., p. 956-957. In questo ordine di idee: D. KENNEDY, La funzione ideologica del tecnicismo del diritto dei contratti, in Riv.

crit. dir. priv., 2002, p. 333 ss.; S. RODOTÀ, Le clausole generali nel tempo del diritto flessibile, Lezioni sul contratto, a cura di A. Orestano, Torino, 2009, p. 116 ss..

279 Si rinvia alle riflessioni, tra gli altri, di: E. NAVARRETTA, Il contratto “democratico” e la giustizia

contrattuale, p. 1262 ss.; ID., Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, cit., p. 967-968,

secondo la quale, questa funzione della buona fede segna «un confine istituzionale tra i compiti del giudice e i compiti del legislatore nell'attuazione di obiettivi di giustizia, il che lascia intravedere, sullo sfondo, la formula dell'economia sociale di mercato (di cui all'art. 3, co. 3, del T.U.E.): la riaffermazione della bonta del mercato regolamentato, ma al contempo il riconoscimento dei suoi limiti e il bisogno di interventi di politica sociale non automaticamente garantiti dal mercato e neppure dalle correzioni giudiziali»; F. PIRAINO, La

buona fede in senso oggettivo, cit., p. 595 ss.; V. SCALISI, Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, cit., p. 337 ss..

280 V. SCALISI, Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, cit., p. 370-371 osserva che «in quanto tale, come rimedio dotato di ampia flessibilita, a carattere dispositivo e agente direttamente sulla conformazione del rapporto, la nullita di protezione presenta indubbiamente una

più perché esse mirano a riequilibrare situazioni di asimmetria dovute alla debolezza socio- economica di un contraente, pur senza perseguire, come detto, obiettivi più generali di giustizia sociale, che trascendono dai poteri di intervento giudiziale.

La disciplina delle clausole abusive costituisce, dunque, il settore privilegiato nel quale riflettere sulla prospettazione di operazioni di integrazione e/o correzione giudiziale del

Nel documento Poteri del giudice e nullità di protezione. (pagine 165-172)

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