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l 24 febbraio 2020, ben prima che nel resto d’Italia, il Tribunale di Sorveglianza di Milano disponeva la sospensione cautelativa dei rapporti dei detenuti con l’esterno, e dunque il blocco dei provvedimenti di concessione del lavoro all’esterno nonché delle misure di semilibertà e dei permessi premio nel distretto di sua competenza. I colloqui personali con i familiari e le altre persone legate da vincoli affettivi venivano interrotti. Forti restrizioni, poste in essere per ragioni di salute pubblica e finalizzate a contenere l’incessante avanzamento del virus Covid-19, la cui diffusione in carcere avrebbe conseguenze devastanti. L’8 marzo con il D.L. n. 11/2020 il Governo prendeva la decisione di vietare su scala nazionale i colloqui visivi e di consentire la sospensione delle attività trattamentali. Allo stesso tempo, il D.L. disponeva l’incremento della corrispondenza telefonica e la possibilità di introdurre, ove possibile, nuovi mezzi di comunicazione, come i video-colloqui via Skype. Queste limitazioni, tuttavia, non sono state accompagnate da adeguate e efficaci misure, volte a ridurre il problema endemico del sovraffollamento, particolarmente presente negli istituti della Lombardia, così da garantire anche alla popolazione detenuta l’adozione le misure precauzionali raccomandate dalle autorità sanitarie. 

Stante la gravità della situazione nel nord Italia, l’obiettivo primario degli operatori penitenziari e degli avvocati è stato sin da subito quello di agire per limitare il numero delle presenze negli istituti penitenziari e consentire agli istituti la miglior gestione di situazioni di chiusura totale, in attesa di risposte efficaci da parte del Governo. Due mesi fa, così come oggi, appariva evidente la necessità di far prevalere la tutela della salute individuale e collettiva anche all’interno dei luoghi di restrizione. In questa logica e con queste argomentazioni, in assenza di strumenti ad hoc, si è proposta una lettura interpretativa costituzionalmente orientata dei presupposti degli istituti giuridici già esistenti nel panorama normativo con le lenti dell’emergenza sanitaria in atto.

Innanzitutto, sono state avanzate istanze di differimento pena nelle forme della

detenzione domiciliare in favore dei soggetti più fragili, affetti da patologie pregresse e avanti con l’età, maggiormente a rischio in caso di contagio, nell’ottica di un equo temperamento tra le esigenze di tutela della salute individuale e collettiva e quelle

legate all’esecuzione della pena. Inoltre, sono state proposte istanze di misure

alternative alla detenzione, quali l’affidamento in prova ai servizi sociali o l’affidamento terapeutico, “in via provvisoria” ed urgente, in favore di coloro che avevano già ottenuto

benefici o comunque una valutazione positiva dagli esperti, al fine di garantire la prosecuzione del percorso positivamente avviato e bruscamente interrottosi. E ciò in coerenza con i principi penitenziari e con la necessità, ove possibile, di mantenere le attività lavorative all’esterno.

Dall’inizio, il primo grande ostacolo è stato il tempo: con la diffusione del virus e l’aumento delle vittime è cruciale l’ottenimento di risposte celeri, soprattutto rispetto ai soggetti a rischio quoad vitam in caso di contagio. In questo senso, fondamentale è l’impegno da parte di noi avvocati di presentare istanze il più possibile approfondite, complete e documentate, così da facilitare l’attività istruttoria di rito. È essenziale sottolineare l’importanza, quantomeno nel distretto di Milano, della sinergia che si è creata con la Magistratura di Sorveglianza locale. Pur oberata di una mole indicibile di lavoro, in carenza organica e con le difficoltà causate dall’incendio che ha reso non operativi gli uffici del Tribunale, la Sorveglianza non si è mai fermata. Le prime “pioniere” pronunce di accoglimento e soluzioni interpretative, poi consolidatesi anche nel resto d’Italia, costituiscono, oggi, un vero e proprio “diritto vivente” nella prospettiva peculiare della crisi in atto.

 

Nel frattempo, l’arrivo il 17 marzo, a grande richiesta, del D.L. n. 18 del 2020 (c.d. Cura Italia, convertito con L.27/2020). Gli articoli 123 e 124 contengono disposizioni volte a favorire sia la detenzione domiciliare per coloro che hanno una pena residua di 18 mesi, che la concessione di licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà. L’incidenza di tali misure sul sovraffollamento si è rivelata scarsissima. Oltre alla perenne mancanza dei dispositivi elettronici (necessari per eseguire la misura rispetto a coloro che hanno una condanna da scontare tra i 6 e i 18 mesi), uno dei maggiori aspetti problematici riguarda il luogo dove eseguire la pena. Il dramma, che per la verità si pone come grande ostacolo anche rispetto alle altre misure alternative, vissuto nell’esperienza diretta, riguarda soprattutto i detenuti che per ragioni di salute sarebbero sicuramente destinatari di una misura diversa dalla detenzione in carcere, ma che per via dell’assenza di dimora non possono beneficiarne. Infatti, i luoghi pubblici o privati di cura, assistenza e accoglienza, nella regione Lombardia sono stati sino ad oggi chiusi per il pericolo di contagio.

In questo contesto, l’avvocato penalista assume un ruolo di fondamentale importanza, e ciò non solo per la funzione propulsiva che svolge ed ha svolto. L’avvocato infatti si pone innanzitutto quale uno tra i principali canali di congiunzione tra quello che accade all’interno del carcere e le preoccupazioni dei familiari e degli affetti più importanti che si trovano all’esterno. Ma anche e soprattutto assolve il compito di monitorare e impedire, laddove necessario, ingiustificate compressioni dei diritti degli assistiti. Non solo rispetto al diritto alla salute, che induce ad agire sul frangente del sovraffollamento carcerario, ma anche in relazione al principio rieducativo e di umanità della pena cui all’art. 27 Cost. e al diritto alla difesa (artt. 24 e 111 Cost.). Proprio in relazione a

quest’ultimo, è da rilevare che, contemporaneamente ai provvedimenti di urgenza all’interno delle carceri, è stata stabilita la sospensione dei termini di custodia cautelare, con evidenti ripercussioni per tutti i detenuti in attesa di giudizio definitivo che, per lo meno in teoria, dovrebbero essere tutelati dalla presunzione di innocenza. Inoltre, da fine febbraio per la prima volta sono stati sperimentati i processi da remoto, di fatto su richiesta di parte, attraverso nuove modalità telematiche di partecipazione alle udienze. Talvolta, nonostante l’urgenza, le udienze sono comunque state rinviate e, in generale, nuove difficoltà di non poco conto sono sorte nel contatto a distanza giudice – avvocato a seguito della chiusura del Tribunale. 

Come anche messo in luce dalla Commissione Carcere della Camera Penale di Milano, non può sfuggire che l’emergenza sta diventando il banco di prova per la tutela dei diritti e la tenuta dell’intero sistema.