L
’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha investito con violenza anche le carcerie, con il suo doloroso carico di rivolte e di morti, lascerà un’impronta profonda nella memoria penitenziaria del Paese. La speranza è però quella di uscire dall’attuale crisi con un’accresciuta consapevolezza del sistema penitenziario, capace di fare tesoro dell’esperienza vissuta e delle lezioni da essa impartite. Il carcere non deve fare passi indietro. Le conquiste sulla strada di una maggiore apertura, seppur introdotte su un’onda emergenziale, hanno dimostrato di essere sostenibili e non vanno ridimensionate con la fine della pandemia. Viceversa, si può e si deve proseguire oltre, trasformando questa fase in un’opportunità di riflessione profonda su cosa il carcere vogliamo che sia e sul ruolo che intendiamo affidargli nella società.
Le dieci proposte di Antigone:
1. L’umanità ha subito uno scossone senza precedenti. L’intero mondo per come lo
conoscevamo uscirà rivoluzionato dall’esperienza della pandemia. Non è pensabile che il solo sistema penale rimanga ancorato a una scala di valori elaborata nel 1930. Mai come oggi si pone la questione di ripensare il codice
penale italiano, togliendo ogni reazione penale a comportamenti legati
esclusivamente a condizioni di marginalità economica, culturale, sociale. Oggi che ognuno di noi ha avuto modo di comprendere quali beni siano davvero rilevanti nella nostra vita, serve una riforma che proceda a depenalizzare tutti i comportamenti non lesivi di questi, prevedendo inoltre meccanismi quali la riserva di codice che impediscano a nuovi reati di tornare a stratificarsi. Un codice penale agile nelle fattispecie che prevede è un’arma ben più potente contro i delitti davvero gravi quali quelli di criminalità organizzata.
2. I numeri della popolazione detenuta si possono e si devono ridurre. Non ci
libereremo tanto presto del Covid-19 e l’esigenza di far rientrare il carcere nella legalità numerica rimane pressante. È necessario fare spazio per poter mantenere in ogni istituto la possibilità di effettuare isolamenti sanitari. Ma più in generale, guardando alla finalità costituzionale della pena, il ricorso al carcere deve costituire una misura estrema. La magistratura di sorveglianza è riuscita a mandare varie migliaia di persone in detenzione domiciliare usando le norme già presenti nel nostro ordinamento prima dell’emergenza, semplicemente accelerando l’elaborazione delle istanze ed evitando restrizioni non fondate. Ma la detenzione domiciliare, unica risorsa in un momento di crisi come quello che viviamo, non
può essere la sola soluzione. Si tratta di una misura priva di ogni contenuto risocializzante. Bisogna ampliare il ricorso alle alternative al carcere nel loro complesso, sradicando quell’idea carcerocentrica che vede nella detenzione il solo modello di espiazione della pena. Oltre a potenziare il sistema delle misure alternative, vanno previste sanzioni diverse dal carcere per un’ampia serie di reati, evitando così i costi economici e sociali connessi all’imprigionamento per brevi periodi di tempo e alla successiva scarcerazione.
3. Gli eventi recenti ci hanno drammaticamente messo di fronte al tema della
tossicodipendenza in carcere. Oggi non possiamo fingere di non sapere che i nostri penitenziari ospitano persone disperate al punto da giocarsi la vita per una boccetta di metadone. La normativa sulla droga va radicalmente ripensata, sostituendo la repressione penale con un approccio integrato di politiche sociali, anche attraverso il potenziamento dei servizi socio-sanitari dedicati alle dipendenze. La tossicodipendenza in carcere va inoltre affrontata con strumenti più adeguati, potenziando l’esperienza delle sezioni a custodia attenuata, gli interventi di riduzione del danno e le azioni di sostegno.
4. Gli smartphone finalmente non fanno più paura e sono stati introdotti all’interno
delle carceri. Essi devono continuare a essere utilizzati per i colloqui e per le attività trattamentali ed educative. Non c’è alcuna giustificazione di sicurezza che impedisca, sotto opportuni controlli, di servirsi di uno strumento tanto diffuso e tanto agile nel mettere in connessione il carcere con il mondo esterno.
5. In generale, il carcere deve mettersi al pari con il mondo esterno nell’utilizzo delle
nuove tecnologie. I grandi registri impolverati scritti a mano, le cartelle cliniche
cartacee composte da tanti fogli sparsi fanno perdere tempo prezioso nella lotta al virus e alle altre malattie, e certo non rendono la vita penitenziaria simile a quella esterna come tutti gli organismi sui diritti umani auspicano che accada. La scarsità di informazioni sul Covid-19 dovuta al mancato accesso al web da parte dei detenuti è stata tra le concause dei disordini del marzo scorso. Le nuove tecnologie vanno usate in tanti ambiti. Tutti noi abbiamo imparato dall’esperienza della quarantena quanto esse possano essere fondamentali. Lasciare i detenuti nell’analfabetismo informatico significa andare contro la finalità risocializzante che la Costituzione affida alla pena. Ferma restando l’insostituibilità della visita in presenza delle persone care, qualora non si possa beneficiarne diventa prezioso lo strumento della videochiamata. Fondamentale anche l’apporto che essa può dare alla didattica, come dimostrato in questi mesi in tutte le scuole d’Italia. La posta elettronica dovrebbe sostituire buona parte della posta cartacea, che oggi sopravvive quasi solo in ambiente carcerario. L’accesso a internet, che costituisce la fonte maggiore di informazione per le persone libere, deve essere garantito a tutela del diritto fondamentale dei detenuti a informarsi e a partecipare alla vita
pubblica. La quarantena ci ha mostrato l’importanza di poter accedere a una varietà di risorse culturali in senso ampio. Bisognerebbe ad esempio garantire alle persone detenute la possibilità di accedere facilmente alla visione di film di qualità con una delle tante tecnologie che lo permettono.
6. Abbiamo sperimentato quanto sia importante che un’istituzione come quella
carceraria, che ha in mano la vita di tante persone, sia sempre massimamente trasparente, anche nei momenti di maggiore crisi come quello che stiamo vivendo. Antigone è stata letteralmente sommersa da messaggi di parenti di persone detenute disperati per la mancanza di notizie sui propri congiunti. Le uniche informazioni fortunatamente sempre disponibili sono state quelle provenienti dal Garante nazionale delle persone private della libertà personale. La crisi riguarda tutti ed è importante che tutti continuino ad avere informazioni sulla vita interna. Il carcere deve essere trasparente verso l’esterno, permettendo a chiunque, e in particolare a coloro che hanno persone care detenute, di conoscere in ogni circostanza la situazione interna all’istituto e le procedure messe in atto per affrontarla.
7. L’istituzione deve essere trasparente anche verso l’interno: in quelle carceri nelle
quali direttori e operatori sono scesi nei reparti a raccontare lo stato della pandemia e le misure prese per contrastarla, dove sono state organizzate assemblee e momenti di confronto con le persone detenute, non si sono verificati disordini e le misure di contenimento sono state accettate con senso di responsabilità. Anche al di fuori della fase emergenziale, le persone detenute hanno il diritto di conoscere quel che riguarda la vita dell’istituto e il loro coinvolgimento sarà essenziale nell’ottica della responsabilizzazione.
8. Il contesto penitenziario ha una sua evidente specificità anche dal punto di vista
sanitario. Fermo restando il valore indiscutibile della riforma della sanità penitenziaria del 2008 con la quale essa è transitata al Servizio sanitario nazionale, è necessario che il personale medico, infermieristico e paramedico che opera in carcere si formi una propria competenza specifica che possa portare a pratiche virtuose e uniformi in tutti gli istituti. Nelle scorse settimane abbiamo assistito a modelli di gestione interna del Covid-19 anche molto distanti tra loro, pure in termini di risultati ottenuti. È importante mettere in rete le buone pratiche
sanitarie così da massimizzare e uniformare, anche nella gestione ordinaria delle
carceri, le garanzie del diritto alla salute. Per farlo al meglio è necessario potenziare il personale sanitario, a partire dalla stabilizzazione dei 1.000 operatori socio-sanitari di cui è prevista l’assunzione.
9. L’adozione delle misure governative di contenimento del virus ha portato a
un’improvvisa immobilità della vita penitenziaria. Da un giorno all’altro, oltre al blocco dei colloqui si è assistito al venir meno di quasi ogni attività svolta
precedentemente dalle persone detenute, nonché di ogni servizio che veniva loro offerto. Ciò è dipeso in grande parte dall’improvvisa assenza del volontariato dall’ambiente carcerario. Eppure molti servizi si sarebbero potuti facilmente riorganizzare con modalità a distanza. Si pensi ad esempio alle attività di consulenza legale messe a disposizione da alcune organizzazioni e che sarebbero state sommamente utili nella fase dell’emergenza. La verità è che i volontari che portano avanti attività in carcere lo fanno generalmente con poca sinergia con l’istituzione, avendo ricevuto a monte un’autorizzazione da parte della direzione del carcere la quale presto si è tuttavia dimenticata del loro lavoro e non ne segue gli sviluppi. Davanti a questo quadro, è risultato pressoché impossibile un coordinamento rapido tra direzioni e volontari che avrebbe potuto evitare in parte l’immobilismo totale delle attività. Un simile coordinamento tra istituzione e
mondo del volontariato, da effettuarsi pure attraverso la previsione di momenti
periodici di incontro, sarà importante anche quando la vita delle carceri tornerà alla normalità.
10. La gestione del carcere ha bisogno di grandi energie e attenzioni. La fase
emergenziale lo ha mostrato in tutta la sua nettezza, ma ciò resta vero anche nei periodi ordinari. Il numero dei direttori non riesce a coprire tutti gli istituti italiani e molti si trovano a gestire più di un carcere. Da troppo tempo non si assumono nuovi direttori e attualmente i più giovani sono prossimi ai cinquant’anni di età. È necessario assumere almeno 300 direttori penitenziari immediatamente.
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