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T

ra le misure di maggior rilievo inserite nel D.L. 17.03.2020 nr. 18, meritano

attenzione, in relazione all’universo carcerario, due particolari disposizioni, la cui disciplina si ricava dalla lettura dell’art. 83 del decreto.

Si tratta della sospensione della decorrenza dei termini delle misure cautelari di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p. (per quel che ci interessa solo con riferimento alla custodia cautelare) di cui al comma 4 del decreto, e dell’istanza di cui al comma 3, lett. b) del decreto, che subordina ad una specifica richiesta di imputato o difensore la celebrazione dei procedimenti a carico di detenuti, o in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza o infine nei procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di prevenzione.

L’art. 83 co. 4 del decreto in parola (i cui effetti sono stati prorogati dal D.L. 23/2020) ha stabilito infatti che rimangono sospesi i termini di decorrenza delle misure cautelari nel periodo compreso tra il 09.03.2020 e l’11.05.2020.

Ciò in primis significa che tale periodo, in sede cautelare ed in relazione al termine di scadenza della misura, sarà come non espiato e dovrà essere sommato al periodo indicato nell’art. 303 del codice penale.

La ratio della previsione risiede nell’esigenza di evitare che perdano efficacia, per scadenza dei termini, le misure cautelari nel periodo in cui è sospesa l’attività giudiziaria e in cui pertanto non vengono fissate le udienze (eventi che interrompono il decorso del termine): tale previsione tuttavia, pur potendo forse rappresentare un male necessario, può avere effetti negativi.

Un primo effetto che si potrebbe verificare nei prossimi mesi, sarà relativo al sovraffollamento carcerario: se nell’attuale periodo sono state viste favorevolmente le (seppur limitate) previsioni volte a garantire l’uscita di alcune categorie di detenuti che sommate ai mancati ingressi hanno sfoltito la popolazione carceraria di oltre 7000 unità, dall’altro lato tali misure hanno riguardato esclusivamente i detenuti definitivi, e pertanto nell’immediato futuro, stante il congelamento dei termini di decorrenza delle misure, è prevedibile che vi sia un aumento delle presenze negli istituti carcerari, dal momento

che i nuovi entrati si andranno a sommare a tutti coloro già reclusi ed il cui periodo di decorrenza della misura sia stato sospeso.

Tale criticità si esaspera, in relazione sia ai definitivi che ai sottoposti a misura, in tutti quei casi in cui il detenuto non ha una fissa dimora o uno stabile domicilio: difatti è probabile che, pur in presenza degli altri presupposti, in tale periodo di lockdown non vengano accolte istanze di revoca o modifica, con ciò prolungando la permanenza in istituto.

Lo stesso dicasi per i detenuti tossicodipendenti che vorrebbero espiare la misura in una comunità terapeutica, dal momento che è inibito l’ingresso negli istituti penitenziari agli operatori delle comunità e dal momento che le comunità stesse, sempre in ragione del lockdown, non sono in grado di far entrare nuovi utenti.

Pertanto ad una prima analisi del decreto in parola, emerge come vi sia una disparità di trattamento tra detenuti definitivi e detenuti cui sia stata applicata la misura custodiale, i quali, pur in assenza di una sentenza di condanna, subiscono un trattamento più restrittivo, non hanno la possibilità di chiedere la modifica della misura e vedono prolungarsi il tempo della custodia in ragione della sospensione.

Deve inoltre essere posta l’attenzione sull’effettiva portata della sospensione, che non è stata disciplinata dal decreto in parola: la legge difatti sembra porre come unico paletto la non sospensione del termine ex art. 304 c.p.p., ovverosia la durata massima della misura cautelare (che corrisponde al doppio dei termini di fase indicati nell’art. 303 c.p.p.), ma non individua in via autonoma meccanismi per “recuperare” il periodo di custodia “sospeso” (cioè quello che va dal 9.03.2020 all’11.02.2020).

Quale destino avranno i 64 giorni in più, espiati nel periodo di sospensione? Sarà possibile (oltre che auspicabile e logico) considerarli un pre-sofferto e quindi sottrarli dalla pena definitiva? Sarà previsto un risarcimento per ingiusta detenzione, qualora all’esito del processo non venga emessa una sentenza di condanna a pena detentiva? A tali questioni, sebbene si possano ipotizzare soluzioni in ragione dei principi fondamentali del nostro ordinamento, sarebbe auspicabile che un intervento normativo o interpretativo (in sede giudiziaria) desse risposta.

Rimane l’amara certezza che in tale periodo, stante la sospensione di tutte le attività all’interno degli istituti carcerari, ogni finalità rieducativa della pena è stata “sacrificata”. Come detto sopra, è altresì necessario valutare la previsione relativa all’istanza ex art. 3 lett. b) del decreto in parola, che subordina ad una specifica richiesta di imputato o difensore la celebrazione dei procedimenti a carico di detenuti, o in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza o infine nei procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di prevenzione.

La trattazione del procedimento su richiesta dei soggetti indicati dalla menzionata disposizione innesca un problema di non poco conto, legato al profilo del possibile conflitto tra tutela della salute pubblica e degli altri soggetti a vario titolo coinvolti nel procedimento da un lato, e diritto dell’imputato di optare per il non differimento dall’altro, in funzione del diritto alla speditezza.

La previsione in ogni caso permette di evitare gli effetti negativi della sospensione solo in relazione ai procedimenti per i quali sia stata fissata udienza e lascia privi di rimedi tutti gli altri detenuti non definitivi; anche in tale caso pertanto si ha un’evidente disparità di trattamento.

Inoltre, anche qualora difensore ed imputato chiedano la celebrazione del processo, si dovrebbe procedere con il sistema dell’udienza da remoto, in un contesto sia surreale che contrario ai principi del processo penale.

Si auspica pertanto che l’interprete e/o il legislatore siano in grado di trovare soluzioni alle criticità evidenziate, al fine di evitare un prolungamento della sottoposizione alla misura, che non si giustifica né sul piano della tutela della salute pubblica, per la quale la permanenza in stato di custodia dell’imputato non comporta alcun beneficio, né in relazione alla protezione della salute individuale, che è anzi sottoposta a rischi maggiori a fronte della convivenza con la restante popolazione detenuta. A ciò si aggiunga l’ulteriore sacrificio in termini sia di libertà personale, sia di diritto di difesa, il quale risulta compresso – a fortiori nell’attuale contesto di emergenza sanitaria – quantomeno sotto il profilo delle difficoltà di entrare in contatto con il difensore dallo stato di restrizione.