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I

luoghi di privazione della libertà personale sono un insieme di situazioni molto diverse fra loro che spaziano dall’ambito penale a quello sanitario, dall’ambito amministrativo a quello socio-assistenziale caratterizzate da un particolare denominatore comune: le persone che si trovano in questi luoghi non possono autonomamente uscirvi, ma devono rispettare alcune particolari regole e orari più o meno stringenti. Ciò è valido, seppure in maniera diversa, sia per gli istituti penitenziari e i centri di detenzione amministrativa, luoghi di privazione della libertà personale per eccellenza, che per le residenze sanitarie assistenziali (RSA), le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), le comunità pubbliche o private per l’esecuzione penale esterna, i reparti per i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) e le camere di sicurezza nella stazioni di Polizia o dei Carabinieri. Un’altra caratteristica di questi luoghi è la chiusura verso l’esterno, il che significa che non solo sono presenti delle ovvie restrizioni per la popolazione che abita in questi luoghi, ma che vi sono anche delle regole di accesso per il pubblico, che non può liberamente entrare e uscire da queste strutture. 

Agli inizi della diffusione del Covid-19, in risposta alle preoccupazioni delle famiglie delle persone ristrette negli istituti penitenziari, alcuni avevano ipotizzato la totale sicurezza di questi luoghi proprio in virtù della scarsa permeabilità fra gli ingressi e le uscite. Tuttavia gli aspetti che non sono stati presi in considerazione nel formulare questa ipotesi sono molteplici e sono invece ben chiari agli organismi di monitoraggio internazionali che hanno redatto diverse linee guida per fronteggiare al meglio questa pandemia anche nelle carceri. Di seguito ecco alcune delle problematiche molto diffuse e relative raccomandazioni.

Uno dei problemi endemici della situazione italiana è il sovraffollamento. La promiscuità della vita che si svolge all’interno delle carceri italiane, in cui quasi tutti i detenuti condividono la cella con altre due, tre o quattro persone, spesso in violazione della capienza massima pensata per quella cella, accompagnata dalla scarsità dei prodotti per la pulizia, rende difficile, se non impossibile, l’isolamento dei detenuti in caso di contagio ed è il motivo per cui le malattie contagiose si propagano velocemente negli istituti penitenziari. Questo non è solo un problema italiano, ma è invece molto comune, come ad esempio in Belgio (tasso di affollamento del 120%) o in Francia (116%). Per

questo motivo il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o

trattamenti inumani o degradanti (CPT) ha raccomandato nella Dichiarazione dei

principi relativa al trattamento delle persone private della libertà nel contesto della

pandemia del Coronavirus (COVID-19) (qui l’originale inglese) che le autorità degli Stati

membri del Consiglio d’Europa (CoE) compiano tutti gli sforzi possibili affinché si ricorra ampiamente alle misure alternative alla detenzione e alla custodia cautelare tramite la libertà vigilata, la liberazione anticipata o altre misure alternative. Questo permette di adottare delle misure di prevenzione (quali il distanziamento sociale) che in una situazione di sovraffollamento non è possibile mettere in pratica. Una simile

raccomandazione arriva anche dal Sottocomitato delle Nazioni Unite per la prevenzione

della tortura (SPT) che aggiunge la necessità di identificare le persone detenute più vulnerabili al Covid e di adottare accorgimenti volti a prevenire il contagio rispettando pienamente i loro diritti fondamentali (come ad esempio il diritto di trascorrere parte del tempo all’aperto o assicurare la distribuzione gratuita di effetti di igiene personale). Il CPT individua i gruppi vulnerabili come gli anziani e le persone con patologie preesistenti. 

Un altro problema è legato agli ingressi del personale e dei nuovi giunti. Per quanto il carcere sia un luogo chiuso, non è totalmente isolato ed è necessario che vengano prese delle misure per prevenire il contagio fra personale penitenziario e detenuti. Per

esempio l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nelle sue linee guida alla

prevenzione e il controllo del Covid-19 all’interno degli istituti penitenziari ha consigliato di considerare la riduzione dello staff non essenziale, di fare uno screening dello staff all’ingresso dell’istituto anche utilizzando dei questionari sulla propria condizione fisica e sugli spostamenti che sono stati effettuati negli ultimi 14 giorni. Invita anche lo staff che presenta i sintomi tipici del Covid a non recarsi sul posto di lavoro. Altri ingressi che potrebbero rappresentare un problema per il contagio sono quelli dei nuovi giunti, ovvero detenuti definitivi o in attesa di giudizio che entrano in istituto dall’esterno per rimanervi un periodo di tempo più o meno lungo. La loro provenienza dall’esterno pone un rischio di contagio per la popolazione detenuta e gli operatori che entrano in contatto con loro. Per queste ragioni l’OMS ha raccomandato di effettuare uno screening di tutte le persone che accedono agli istituti penitenziari e se i detenuti in ingresso presentano i sintomi tipici del Coronavirus o hanno una diagnosi e sono sintomatici oppure ancora provengono da aree a rischio o hanno avuto contatti con persone contagiate, devono essere isolati e deve essere effettuata una valutazione medica e ulteriori esami. In caso di isolamento sanitario i tre organismi internazionali raccomandano di dare un supporto psicologico ai detenuti e di usare proporzionalità nell’applicazione di tale isolamento. 

Per quanto possa sembrare un controsenso, anche il mancato ingresso degli operatori penitenziari, del personale docente, dei volontari e dei parenti in visita è una

problematica di non minore gravità. Intanto perché questo significa il totale arresto di tutte le attività ricreative, sportive, lavorative, di istruzione e formazione, che sono parte del trattamento penitenziario e del percorso individuale di ciascun detenuto. D’altra parte la sospensione delle visite e il rallentamento delle comunicazioni con i familiari che ne consegue, causano un aumento della tensione all’interno degli istituti dovuta alla paura, all’incertezza della situazione e delle condizioni delle famiglie fuori dal carcere. Sul primo punto l’SPT nelle sue raccomandazioni ha sottolineato che le eventuali restrizioni ai regimi penitenziari devono essere il minimo necessario e proporzionali all’emergenza sanitaria presente nel paese. Il CPT aggiunge che i diritti fondamentali delle persone detenute durante la pandemia devono essere pienamente rispettati. Questo include in particolare il diritto a mantenere un'adeguata igiene personale (compreso l'accesso all'acqua calda e ai prodotti di igiene personale) e il diritto di accesso quotidiano all'aria aperta (di almeno un'ora). Sul secondo punto, sia il CPT che l’SPT sono concordi sulla necessità di permettere un maggiore accesso ai mezzi di comunicazione telefonica o via Internet in caso di restrizioni ai contatti con il mondo esterno e con i familiari.