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F

inita la fase emergenziale, sarà possibile nel contesto penitenziario avviare un

processo di apertura e valorizzazione dei diritti della persona, facendo tesoro delle inefficienze inevitabilmente emerse negli ultimi due mesi? 

Dopo le prime più difficili settimane dallo scoppio dell’epidemia, all’iniziale sospensione di attività trattamentali, educative e lavorative implicanti contatti con l’esterno, è presto seguita la limitazione dei colloqui con i familiari. Non senza indugi l’Amministrazione penitenziaria si è adeguata alle nuove disposizioni favorendo, come dice la norma “ove possibile”, il collegamento a distanza “mediante apparecchiature e collegamenti (…) o mediante corrispondenza telefonica” per garantire ai soggetti reclusi il mantenimento, seppur in maniera limitata, dei legami affettivi, e non solo. 

Alle limitazioni previste per i contatti telefonici la decretazione d’urgenza ha previsto eventuali deroghe comportando provvedimenti diversi da istituto a istituto, mentre i collegamenti audiovisivi sono improvvisamente diventati il mezzo prediletto per sopperire all’impossibilità di far entrare i familiari negli istituti. 

Secondo i dati dell’Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione, tra l’inizio del 2018 e la fine del 2019 si era assistito a un uso più consistente, seppur lontano dalla massima potenzialità dello strumento, delle videochiamate tramite la piattaforma Skype. Ciò a cui stiamo assistendo oggi, invece, è letteralmente una “corsa agli armamenti”. L’impossibilità di garantire i colloqui per i detenuti in un periodo di tempo prolungato e incerto, e il desiderio di evitare ulteriori rivolte all’interno degli istituti di pena, hanno fatto sì che l’Amministrazione si mobilitasse in maniera celere, cercando soluzioni, soprattutto dal punto di vista tecnico, che in una fase precedente tardavano a concretizzarsi.

Il dibattito sull’utilizzo delle nuove tecnologie per favorire i contatti con l’esterno dei detenuti risale ai primi anni del nuovo millennio, ma fino all’anno scorso solo timidi tentativi di apertura erano stati favoriti in maniera decisamente poco omogenea nel panorama penitenziario. Solo recentemente, e non a livello legislativo, si è assistito a un’apertura in tal senso, con la Circolare del DAP 0031246-2019; apertura forzosamente ampliata dalla situazione di emergenza attuale. Strumenti che prima solo sporadicamente venivano impiegati per mancanza di mezzi, per disinteresse (o volontà di chiusura figlia di una politica penale retributiva più che rieducativa), o perché visti con

diffidenza, ora, per forza di cose, sono stati sperimentati dall’Amministrazione penitenziaria massivamente e in poco tempo. 

In maniera positiva deve essere visto l’intervento solidaristico intrapreso da alcune società private esterne, come quello da parte di Tim che ha portato alla donazione di 1600 IPhone (in dotazione di scheda da 100 giga di internet) da distribuire su tutto il territorio, quello della Cisco per l’installazione gratuita di piattaforme per il collegamento da remoto, o quello di Unidata che ha fornito gratuitamente connettività in fibra negli istituti di Regina Coeli e Rebibbia NC. Questi interventi sono stati fondamentali per ovviare alla mancanza di mezzi alla quale si alludeva sopra.

Da un punto di vista pratico i collegamenti audiovisivi sono stati organizzati in maniera difforme sul territorio, attraverso disposizioni dei singoli PRAP e delle singole direzioni, con l’impiego di diverse piattaforme (Skype, Skype for business, Google Duo, Cisco

Webex e Whatsapp) in base alla disponibilità di ogni istituto. La circolare DAP

n.0096018/2020 del 21 marzo ha previsto in maniera generalizzata la possibilità di effettuare video-colloqui e telefonate anche oltre i limiti dell’art.39 d.P.R 230/00, senza alcuna spesa aggiuntiva per i detenuti.

Nonostante le videochiamate siano assimilate ai colloqui, la loro durata è fissata in media tra i venti e i trenta minuti (anziché un’ora come il colloquio ordinario ex art.37 d.P.R. 230/00) con lo scopo di garantire il servizio a tutti i detenuti, per un numero di chiamate settimanali (il numero di colloqui a cui ha diritto un detenuto di norma è di 6 al mese) che varia in base alla capienza dell’istituto e alla disponibilità di apparecchiature, spazi e personale. Il collegamento viene aperto da un operatore penitenziario che ha anche il compito di accertare l’identità del soggetto autorizzato ad effettuare la videochiamata con il detenuto, e quello di sorveglianza visiva e non auditiva del “colloquio”. L’apparecchiatura viene inoltre sanificata prima e dopo ogni singolo utilizzo. Anche in una situazione di normalità, i colloqui telematici rappresentano strumenti per garantire il diritto all’affettività soprattutto a tutti quei soggetti che per lontananza (si pensi a tutti i detenuti stranieri i cui familiari non si trovano nemmeno nel territorio italiano) o per motivi di salute o economici, non hanno la possibilità di fare visita ai propri cari. I risultati positivi sono in parte già riscontrabili in detenuti che hanno visto (seppur davanti uno schermo) la famiglia dopo diversi anni.

Il tabù sui mezzi tecnologici in carcere sembra essere stato finalmente superato; si è avuto modo di sperimentarne le modalità logistiche, nonché di contemperarne l’uso con le esigenze di sicurezza.

In un futuro non più emergenziale si auspica il mantenimento, nonché l’ulteriore valorizzazione, di tali strumenti, non solo per preservare i contatti affettivi, ma anche per arricchire le possibilità trattamentali già previste nel nostro ordinamento. Infatti, considerando gli esigui costi che comportano, la facilità di utilizzo, la capacità di collegare in modo semplice e veloce il mondo esterno e quello penitenziario, i contatti

da remoto si prestano ad essere utili anche quali strumenti di studio o per la professionalizzazione del lavoro dei detenuti. Tutto ciò, occorre sottolinearlo, non dovrà però servire quale movente per ridurre i contatti umani, di per sé già poco garantiti in uno spazio chiuso come il carcere; perché si possa mantenere una prospettiva di apertura del mondo penitenziario, quello tecnologico dovrà rimanere uno strumento integrativo e mai sostitutivo dell’imprescindibile contatto umano che deve continuare ad essere valorizzato e ampliato.

Chiuse fuori. Il racconto di due