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urante l’isolamento mirato al contenimento dei contagi sono venuti meno i soliti

scambi e le occasioni di incontro fra le persone, e siamo stati forzati, nella vita di tutti i giorni, a rivedere le nostre priorità. Lo stesso è avvenuto anche nell’ambito dei servizi alla persona, dove per favorire le necessità dettate dall’emergenza sanitaria c’è stato un parziale rinvio delle attività di sostegno di tipo sociale. Ad essere sospeso è stato nello specifico lo strumento primario attraverso il quale si realizza il mestiere dell’aiuto nel settore sociale: quello delle relazioni interpersonali.

Per capire come siano cambiate le relazioni, guardando al funzionamento delle professioni di aiuto, troviamo uno stravolgimento delle dinamiche che le governano, caratterizzate dall’esercizio di potere. Il potere è infatti in esse un elemento strutturale e agito costantemente da una parte curante sull’altra, subordinata, che è curata. Le relazioni sociali si stagliano in partenza come squilibrate e sono per definizione costruite su una disparità di posizione, ceto, abilità, risorse e nel loro concretizzarsi definiscono apertamente la subalternità esistenziale di una parte rispetto all’altra, confermata da entrambe per necessità, talvolta inconsapevolmente. Dunque vi è un legame stretto fra relazioni di aiuto e potere, ma essendo le prime annientate nell’isolamento, anche il potere che le regge si è a sua volta sgonfiato, perdendo di senso.

Anche all'interno del carcere il sostegno portato dalla componente sociale è sempre rilevante e la sua riduzione in questo periodo ha avuto i suoi effetti: si pensi infatti che il rapporto medio detenuti volontari, risultato essere del 13,5 prima del periodo di emergenza, è stato ridotto a zero, così come sono stati annullati gli scambi coi familiari, poi gradualmente recuperati a distanza grazie all'uso delle videochiamate.

Lo stesso ambito del lavoro in carcere, così importante per veicolare anche relazioni e scambio, ha subito un pesante crollo; le cooperative impegnate negli istituti sono state costrette a ridurre la quasi totalità delle attività lavorative, con gravi esiti  per le produzioni e per i lavoratori.

Pur sospendendo l’esercizio del potere in quest’ambito, ciò che non è stato possibile interrompere durante la crisi sanitaria sono stati però i disagi delle persone; in questo periodo i soggetti più ai margini della società hanno visto aggravata la propria condizione e le difficoltà delle persone fragili, pur non palesandosi oggi con forza, emergeranno nei prossimi mesi dettando nuove sfide. Prendendo atto dei cambiamenti in corso, sembra evidente che se si vorrà far fronte ai nuovi bisogni bisognerà

parallelamente riuscire a cambiare anche il modo in cui prestiamo l'aiuto, in cui stiamo nelle relazioni e agiamo il potere di dare assistenza, ascolto, supporto, protezione.

Tuttavia ci sono esempi positivi nello smottamento che ha subito il sistema di dipendenza dal potere che sottende a queste relazioni in quei contesti, fuori dal carcere, in cui è stata possibile una riorganizzazione delle dinamiche di vita che ha visto come nuovi protagonisti del sostegno reciproco le famiglie, i condomini, i quartieri; ciò ha permesso di sperimentare scambi mutualistici caratterizzati da forme di sussidiarietà orizzontale, talvolta avviati come unica risorsa possibile.

Spesso invece i Servizi di base, dovendo dare priorità alla situazione di emergenza, si sono potuti muovere solo nell’ambito dell’assistenza primaria, costretti dalla contingenza a cambiare le proprie prerogative e ritrovandosi di fatto a somigliare a delle ottocentesche congregazioni di carità, perdendo forse la possibilità di farsi interpreti del cambiamento in atto per la creazione di un nuovo welfare.

In alcune realtà i Servizi hanno avuto bisogno dell’aiuto dei piccoli commercianti e delle consegne a domicilio che questi hanno effettuato per riuscire a soddisfare i bisogni primari della popolazione, trovando in loro un alleato più efficiente dei complessi apparati di servizi specialistici, pachidermici al punto da risultare di fatto inadatti per raggiungere e dare risposte ai propri utenti nel nuovo contesto. Il mondo delle istituzioni deputato ad essere al servizio della persona, con le sue molte articolazioni, si è mostrato inadeguato ai tempi e l’allentamento di questo sistema ne ha mostrato tutta l’autoreferenzialità: quella di un apparato istituzionale e di rappresentanza consumato anch’esso da logiche di baratto di potere più che mai distanti dai reali bisogni delle persone e dalla dimensione dell'incontro con l’umanità e che ora vede così minacciata la propria ragione d’essere. Insomma, il re è nudo e si inizia a vederlo come tale.

Nella prospettiva di uscire dall’isolamento in modo positivo, nell’ambito delle professioni d’aiuto sarà fondamentale chiedersi che spazio vorremo dare a relazioni sane e rinnovate, interrogandoci profondamente su quanto margine intendiamo lasciare al nuovo dilagare del potere come motore delle relazioni sociali.

Sapremo cogliere l’occasione per liberarci dalla violenza, tanto quella fisica quanto quella agita da ruoli di supremazia, travestita da empatiche relazioni di aiuto? Sapremo farlo sia fuori che dentro le carceri? L’unica possibilità di risposta positiva che intravediamo è quella di ripartire proprio dal coinvolgimento diretto dell’utenza fragile e delle comunità, ma anche dalla messa in gioco in prima linea dell’operatore sociale in quanto uomo o donna, dimenticando la presunta necessità di una distanza terapeutica. E nell’ipotesi che nella società ci sia davvero un cambiamento, augurandoci che questo possa avvenire pure nelle relazioni di aiuto, dovremo anche chiederci cosa accadrà dentro al carcere. Lì dove potere, controllo, punizione e talvolta violenza sono così saldamente legati, sapremo evolvere e lo faremo al passo coi tempi? In questo periodo

così difficile in carcere abbiamo assistito ad alcuni esempi della peggior esternazione del potere, quella della violenza fisica manifestatasi nelle rivolte e nella loro violenta gestione da parte del sistema penitenziario.

In un momento in cui fra le persone aumentano le distanze e si aggiungono nuovi schermi, sarà fondamentale non lasciare spazio ad interpretazioni opportunistiche della situazione presente, dalla quale assumere che in carcere possano perdurare condizioni di ulteriore privazione quali quelle necessarie per il contenimento del virus.

Ad esempio non si potrà quindi fare ancora a meno del volontariato, ci sarà la necessità di ricominciare a vedere il proprio familiare di persona, gli avvocati dovranno poter ricominciare a presenziare alle udienze dal vivo e, infine, insegnanti e educatori dovranno poter incontrare i detenuti di persona. 

Avendo visto il sistema dell’aiuto e dell’assistenza spogliato di una parte di quel potere malato abbiamo potuto guardarlo meglio, cogliendo dettagli nitidi delle sue perversioni e dei suoi malfunzionamenti. Pensiamo che anche il sistema carcere possa cogliere l’occasione per ripensarsi, partendo proprio dai suoi operatori e dalle relazioni umane. Sarebbe forse utopico, ma emblematico di un profondo cambio di rotta e più che mai auspicabile, che un nuovo modo di stare nelle relazioni parta proprio dal carcere: perché quelle pene che dovrebbero “tendere alla rieducazione del condannato” non siano solo una tendenza, così come è definita nel dizionario, ossia come “una direzione del sentire o dell’agire senza intervento della volontà”, ma sia effettivamente una nuova tensione, educativa, carica di intenzionalità e consapevolezza.

La sospensione dei termini delle misure