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P

roporre, informare, sostenere: è attorno a questi tre verbi che si può ricostruire la

reazione di Antigone all’emergenza sanitaria che ha investito, così come il mondo intero, l’universo penitenziario italiano.

Le nostre proposte si sono mosse sul piano normativo come su quello della gestione concreta degli istituti e hanno usato canali più o meno formali di comunicazione. Di questo c’era bisogno per affrontare una situazione mai vista prima: di nuove norme, capaci in primo luogo di accelerare l’uscita dal carcere di un numero significativo di persone, ma anche di creatività pratica nel trovare soluzioni a problemi inediti.

Il 4 marzo scorso - a pochi giorni dalla circolare Dap del 26 febbraio che invitava a sostituire i colloqui con familiari o terze persone con telefonate ordinarie o video-colloqui a distanza mediante le (poche) apparecchiature in dotazione, e prima di ogni altra disposizione più cogente - Antigone inviò una lettera al presidente del Consiglio e al ministro della Giustizia proponendo di concedere a ogni detenuto una telefonata quotidiana di venti minuti, in deroga alle norme vigenti. Domenica 8 marzo, giorno in cui vede la luce il Dpcm che sancisce il blocco temporaneo quasi totale dei colloqui, Antigone dalla propria pagina Facebook si rivolge alle autorità penitenziarie con un video-messaggio del suo presidente, chiedendo che spieghino ai detenuti le misure adottate, che vadano nei reparti a raccontarne il senso, che consentano davvero di ampliare i contatti telefonici così da tranquillizzare tanto chi è dentro quanto i parenti fuori. Si rivolge al contempo alle persone detenute, sperando che qualcuno porti loro l’appello e chiedendo che in nessuna situazione si usi la violenza.

Le proteste si diffondono in molte carceri, in alcune diventano vere e proprie rivolte, con il loro tristissimo carico di morti. Dalle nostre ricostruzioni, dove erano stati organizzati momenti di dialogo e ci si era adoperati per non interrompere le comunicazioni con le famiglie, le restrizioni sono state comprese e accolte con senso di responsabilità e la situazione è rimasta calma. Erano proposte di buon senso, le nostre, che avrebbero potuto evitare le tragedie cui abbiamo assistito.

Da subito avevamo parlato anche della necessità di alleggerire il carcere così da garantire spazi di isolamento nell’infausta ma probabile circostanza che il virus vi avesse fatto ingresso. L’11 marzo Antigone mette a disposizione di Governo, Parlamento e Amministrazione Penitenziaria sei proposte che guardano alla deflazione carceraria e ad altro. Si auspica l’acquisto di uno smartphone ogni cento detenuti così da permettere a

tutti una chiamata al giorno di venti minuti, l’estensione dell’affidamento in prova in casi particolari a chi presenta problemi sanitari tali da rischiare aggravamenti per il virus, l’analoga estensione della detenzione domiciliare senza limiti di pena di cui al primo comma dell’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario, la detenzione domiciliare notturna per i semiliberi, la trasformazione dei provvedimenti di esecuzione della pena detentiva emessi verso persone a piede libero in provvedimenti di detenzione domiciliare salvo casi eccezionali, l’estensione fino a 36 mesi della detenzione domiciliare per l’ultima parte della pena (prevista dalla legge 199/2010 e poi dalla legge 146/2013).

La magistratura di sorveglianza, evidentemente conscia del problema, stava già indirizzandosi in senso deflattivo. Alcuni tribunali avevano cominciato a permettere ai detenuti in semilibertà di non rientrare la notte in istituto. I provvedimenti di detenzione domiciliare venivano concessi in misura maggiore dell’ordinario, contribuendo al calo della popolazione detenuta.

Il 14 marzo un nutrito cartello di organizzazioni (prime tra tutte Anpi, Arci, Cgil e Gruppo Abele) si unisce alle proposte di Antigone arricchendole ulteriormente: si prevede anche l’estensione della liberazione anticipata fino a 75 giorni a semestre applicabile retroattivamente per l’intero 2018, l’attivazione di canali di posta elettronica con parenti autorizzati alle visite, la fornitura di protezioni al personale, la sanificazione degli ambienti, un piano straordinario di assunzioni di personale penitenziario, un piano di salute e prevenzione che comprenda anche il reclutamento straordinario di medici e altri operatori sanitari.

Le misure contenute nel decreto cosiddetto Cura Italia del 17 marzo si rivelano assai lontane dalle proposte avanzate da Antigone, nonché del tutto insufficienti a scongiurare il rischio di un’epidemia penitenziaria. Il 24 marzo, insieme a un gruppo di organizzazioni ampliato rispetto al precedente, Antigone presenta al Parlamento, impegnato nella conversione in legge del decreto, una serie di emendamenti volti ad avvicinare le misure adottate a quelle da noi proposte in precedenza. Purtroppo non se ne terrà conto. Nel frattempo i numeri della popolazione detenuta sono scesi di alcune migliaia di unità - ancora poche rispetto alla capienza e ancor meno rispetto alle necessità sanitarie - e l’Amministrazione Penitenziaria ha acquistato 1.600 smartphone (altrettanti ne sta acquistando) sfatando, come da noi fortemente auspicato, quel radicato e risalente pregiudizio che vedeva nei cellulari un pericolo pressoché insormontabile per l’universo carcerario.

Insieme al lavoro propositivo Antigone ha portato avanti un’accurata attività informativa, conscia dell’importanza di informare tanto l’opinione pubblica del problema che un’eventuale crisi sanitaria in carcere avrebbe costituito per ogni cittadino in termini di peso sul sistema sanitario nazionale, quanto i parenti delle persone detenute terrorizzati dalla scarsità di notizie sui propri cari. Sul nostro sito abbiamo reso disponibile una

mappatura in continuo aggiornamento riportante carcere per carcere la situazione di eventuali positività al virus e della loro gestione, dell’accesso ai colloqui telefonici, di eventuali tensioni interne e della loro risoluzione. Confluivano nella mappatura, dopo opportune verifiche, le informazioni che ci raggiungevano tramite i nostri osservatori presenti capillarmente sul territorio e in contatto con operatori o altre figure legate a singoli istituti, lettere e telefonate di parenti di persone detenute, monitoraggio della stampa locale e quanto altro. Su un fronte più generale, Antigone ha continuato a informare l’opinione pubblica delle problematiche penitenziarie attraverso canali mediatici classici e un uso sapiente dei propri canali sociali.

L’ultimo verbo che abbiamo citato in apertura è quello del sostenere. Antigone ha sostenuto legalmente centinaia di detenuti nella richiesta di misure di scarcerazione o in altre questioni. Ma questo straordinario lavoro lo trovate raccontato in un capitolo apposito del presente Rapporto.

Proporre, informare, sostenere: su questi fronti continueremo a portare avanti la nostra attività. Augurandoci che un ripensamento strutturale della detenzione possa essere stato innescato dallo scenario tragico che speriamo di lasciarci presto alle spalle.