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L’applicabilità delle norme della Convenzione di Vienna sui conflitti tra trattat

4. Il problema degli accordi internazionali degli Stati membri con Stati terzi tra regole di conflitto e regole interne dell’Unione

4.1. L’applicabilità delle norme della Convenzione di Vienna sui conflitti tra trattat

Va preliminarmente esaminata la questione della applicabilità delle norme delle Convenzione di Vienna in tema di conflitti tra trattati e di successione di trattati nel tempo all’ipotesi sopra delineata. Già si è detto che la stessa Convenzione di Vienna, all’art. 5, ritiene le norme in essa contenute applicabili in via generale agli atti istitutivi di organizzazioni internazionali, con la riserva delle eccezioni 103 Una parte della dottrina si è interrogata sull’esistenza di una norma consuetudinaria che sancisca la trasferibilità degli obblighi internazionali degli Stati membri di un’organizzazione in capo all’organizzazione medesima. Cfr. ad esempio P. klein, Les institutions financière in-

ternationales et les droit de la personne, in Revue belge de droit international, 1999, 97, spec.

113 ss. Contra S. vezzani, Gli accordi delle organizzazioni del gruppo della Banca Mondiale,

Torino 2011, 289-291, il quale ritiene che la mancanza di prassi in materia impedisca di ri- costruire un obbligo generale dell’organizzazione di non impedire ai propri Stati membri di adempiere ai loro obblighi internazionali. Sul punto si tornerà nel Capitolo I, par. 4.2.

poste dalle regole interne dell’organizzazione. Il meccanismo della deroga previ- sto dall’art. 5 può dirsi applicabile anche all’Unione europea, stante la natura dei suoi trattati istitutivi104. La misura in cui il diritto dei trattati potrà trovare concreta applicazione sarà invece determinata dalla portata – oggettiva e soggettiva – delle regole interne dell’organizzazione. Tuttavia, tali considerazioni, insieme con quelle sulla natura sostanzialmente costituzionale dell’atto istitutivo, hanno senso solo se riferite ai rapporti intercorrenti tra organizzazione e Stati membri e tra Stati membri inter se. Dal punto di vista degli Stati terzi – cioè di coloro che non fanno parte dell’organizzazione – ciò che assume rilevanza preminente è pur sempre la natura convenzionale dell’atto istitutivo. Se, dunque, si guarda al problema posto dagli accordi conclusi tra Stato membro dell’Unione e soggetto terzo dalla prospet- tiva dello Stato membro, ci si renderà facilmente conto che i rapporti intercorrenti tra l’ordinamento interno dell’organizzazione e l’ordinamento internazionale non potranno che essere retti dal diritto internazionale stesso e, in particolare, dalle norme di conflitto da esso previsto105. In questo senso, lo Stato membro costitui- sce il tramite per l’interazione tra ordinamento interno dell’Unione e ordinamento internazionale.

Se, in astratto, l’applicabilità della Convenzione di Vienna ai Trattati dell’U- nione non pare poter essere messa in discussione, vi sono, tuttavia, situazioni di- verse in cui il diritto dei trattati può assumere rilevanza rispetto all’ordinamento dell’Unione106.

Innanzitutto, il giudice dell’Unione può essere chiamato a dare applicazione al diritto dei trattati nei confronti dei Trattati istitutivi107; ciò accade, essenzialmente, quando si tratti di spazi non disciplinati direttamente o indirettamente dalle regole dell’organizzazione108. In questa ipotesi, le norme sul diritto dei trattati potranno 104 A contrario, si è però sostenuto che l’applicabilità della Convenzione di Vienna ai trattati istitutivi di organizzazioni internazionali non dimostrerebbe comunque il carattere meramente contrattuale di tali accordi. Cfr. R. Monaco, Le caractère constitutionnel des

acts institutifs cit., 161.

105 V. G. Balladore pallieri, Le droit interne des organisations internationales, in

Recueil des cours de l’Académie de La Haye, vol. 127, 1969, 9.

106 V. F. casolari, L’incorporazione del diritto internazionale cit., 122.

107 Si noti che l’Unione non è parte della Convenzione di Vienna del 1969 e nemmeno di quella del 1986. Dunque, per giurisprudenza costante, le disposizioni delle due Convenzioni si applicano all’Unione solo nella misura in cui siano riproduttive del diritto internazionale generale. V. CGUE, Racke GmbH e altri c. Hauptzollamt Mainz, causa C-162/96, sentenza del 16 giugno 1998, punto 24; più recentemente CGUE, Pedro Espada Sànchez e altri c.

Iberia Líneas Aéreas de España SA, causa C-419/11, sentenza del 22 novembre 2012, punto

21.

108 Si pensi, ancora, al caso recente del recesso del Regno Unito, disciplinato dall’art. 50 TUE e notificato dal governo britannico all’Unione in data 29 marzo 2017. Poiché le dispo-

sempre svolgere una funzione suppletiva colmando una lacuna o integrando il con- tenuto delle norme dei Trattati109. Un discorso a parte meritano, poi, le norme della Convenzione di Vienna in tema di interpretazione dei trattati.

La Corte di giustizia si è mostrata oltremodo restia nell’esplicitare il riferimento ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 31 ss. della Convenzione di Vienna in relazione all’interpretazione di disposizioni di diritto primario. Ciò si spiega anche in ragione del tentativo di differenziare la natura dei Trattati istitutivi dal resto dei tradizionali accordi internazionali e di sottolineare l’autonomia dell’ordinamento dell’Unione rispetto a quello internazionale110. Tuttavia, anche quando la giurisprudenza della Corte di giustizia non fa espressa menzione delle disposizioni sull’interpretazione dei trattati, non vi è dubbio che alcuni dei percorsi ermeneutici da essa seguiti si sizioni sul recesso contenute nell’art. 50 TUE non specificano se la notifica dell’intenzione di recesso possa essere revocata, tale facoltà può essere individuata facendo ricorso alle di- sposizioni della Convenzione di Vienna in tema di recesso (artt. 65 ss.). In questo senso cfr. A. Miglio, Brexit e il dilemma del prigioniero: sulla revocabilità della notifica del recesso

previsto dall’art. 50 TUE, in Federalismi.it, 2016, 8-9.

109 Cfr., con riguardo alle norme sulla revisione dei Trattati, B. de Witte, Using

International Law for the European Union’s Domestic Affairs, in E. cannizzaro, p.

palchetti, r.a. Wessel (a cura di), International Law as the Law of the European Union,

Leiden 2012, 138-139. Secondo l’A., gli atti di revisione dei Trattati, avendo natura di accordi internazionali, dimostrerebbero che il diritto dell’Unione trova riconoscimento nei singoli ordinamenti in maniera non difforme da quanto avviene per le altre norme di diritto internazionale. Nello stesso anche G. tesauro, Diritto dell’Unione europea cit., 204-205.

110 Si consideri, in quest’ottica, lo sviluppo del concetto di interpretazione autonoma, che, pur essendo costruito in relazione al rapporto con gli ordinamenti nazionali degli Stati membri, è altresì funzionale a rafforzare l’idea di autonomia dell’ordinamento dell’Unio- ne. V., ad esempio, con riferimento alla nozione autonoma di impresa, F. costaMagna, I

servizi socio-sanitari nel mercato interno europeo, Napoli 2011, 23-27, nonché W. sauter,

h. schepel, State and Market in European Union Law. The Public and Private Spheres of

the Internal Market before the EU Courts, Cambridge 2009, 76-77. V. ancora di recente

le conclusioni dell’avvocato generale Bot in CGUE, Processo penale a carico di M.A.S. e

M.B. (Taricco), causa C-42/17, conclusioni del 18 luglio 2017, in cui l’Avv. Generale sug-

gerisce di considerare di considerare la nozione di prescrizione come nozione autonoma di diritto dell’Unione europea. Più in generale, sull’impiego di nozioni autonome nell’ambito della cooperazione penale v. V. Mitsilegas, Managing Legal Diversity in Europe’s Area of

Criminal Justice: The Role of Autonomous Concepts, in R. colson, s. Field (a cura di), EU

Criminal Justice and the Challenges of Diversity, Cambridge 2016, 125 ss. Non esistono,

tuttavia, casi in cui la Corte ha fatto ricorso a nozioni autonome rispetto a norme del dirit- to internazionale, sebbene la dottrina abbia spesso evidenziato la tendenza della Corte ad interpretare nozioni di diritto internazionale in maniera funzionale all’autonomia e all’inte- grità dell’ordinamento dell’Unione e al perseguimento degli interessi ad esso connessi. V. sul punto J. oderMatt, The Use of International Treaty Law by the Court of Justice of the

rifacciano proprio a quei criteri. Ciò vale, in particolare, per il c.d. criterio teleolo- gico, di cui all’art. 31, par. 1 della Convenzione di Vienna, a cui la Corte ha fatto spesso ricorso, ad esempio, nell’individuazione di competenze implicite o nell’af- fermazione di alcuni principi, come quello dell’effetto utile. A dire il vero, però, la tendenza ad accordare prevalenza al criterio teleologico, a scapito degli altri criteri, non è ascrivibile soltanto alla Corte di giustizia, trovando anzi conferma anche nella giurisprudenza internazionale, almeno per quanto riguarda il loro impiego nei confronti di trattati istitutivi di organizzazioni internazionali. Spesso, infatti, la scelta tra i criteri di cui agli artt. 31 ss. della Convenzione di Vienna è dettata dalla necessità di garantire e di promuovere l’efficacia dell’attività dell’organizzazione stessa111.

Ben più frequente, invece, è il ricorso della Corte al diritto dei trattati in relazio- ne agli accordi conclusi dall’Unione con Paesi terzi. Hanno così trovato applica- zione, nella giurisprudenza della Corte, le disposizioni in materia di definizione e formazione del trattato112, di invalidità e di estinzione113, nonché di alcuni principi generali della materia, tra cui il principio di relatività dei trattati rispetto ai terzi e quello di buona fede114.

L’ipotesi che, però, rileva in questa sede è quella relativa all’applicazione del diritto dei trattati agli accordi conclusi da Stati membri con soggetti terzi. La neces- sità di guardare alla Convenzione si spiega, a parer nostro, per un duplice ordine di ragioni. Da un lato, è evidente che, non essendo l’ordinamento dell’Unione e le sue regole interne opponibili ai terzi, i rapporti convenzionali tra Stato membro e Stato terzo sono retti unicamente dal diritto internazionale. Dall’altro lato, poi, le norme generali sul trattato possono svolgere anche una funzione integrativa quando si trat- ti di stabilire lo status di accordi conclusi con Stati terzi nell’ordinamento dell’U- nione, una dinamica che essenzialmente si risolve nei rapporti tra stati membri e istituzioni dell’Unione e, più precisamente, nella questione relativa ai modi in cui tali accordi possono produrre un qualche effetto nei confronti di dette istituzioni. Come è ovvio, si tratterà, in questo secondo caso, di apprezzare la rilevanza delle norme sul diritto dei trattati rispetto alla portata delle regole interne dell’organiz- 111 Cfr. T. sato, Evolving Constitutions of International Organisations, L’Aia 1996, 154.

È comunque dato rinvenire, nella giurisprudenza internazionale, anche casi, invero risa- lenti, in cui si è accordata precedenza al dato testuale delle disposizioni contenute nell’atto istituivo. V., inter alia, CIG, Conditions for the Admission of a State to Membership of the

United Nations, Advisory Opinion, parere reso il 28 maggio 1948, 63-63; CIG, Constitution of the Maritime Safety Committee of the Inter-Governmental Maritime Consultative Organisation, Advisory Opinion, parere reso l’8 giugno 1960, 23-24.

112 V. di recente CGUE, Parlamento e Commissione c. Consiglio, cause riunite C-103/12 e C-165/12, sentenza del 26 novembre 2014.

113 CGUE, Racke GmbH e altri c. Hauptzollamt Mainz cit. 114 Su cui v. diffusamente il Cap. I e il Cap. IV.

zazione. E, tuttavia, poiché i Trattati dell’Unione sono in buona sostanza silenti sul punto dei rapporti convenzionali tra Stati membri e Stati terzi, la ricostruzione di norme internazionali generali in questo contesto appare ancor più necessaria.

Questa doppia valenza della questione degli accordi internazionali degli Stati membri – se vogliamo, qualificabile come esterna e interna all’ordinamento dell’U- nione – si spiega anche con la circostanza che tali accordi subiscono comunque una pressione derivante dall’appartenenza degli Stati all’Unione europea. Spesso, come si vedrà, la dinamica appare in realtà tripartita: da un certo punto di vista, infatti, la connessione tra ordinamento dell’Unione europea e Stato terzo si realizza con vari gradi di intensità per il tramite dello Stato membro; al tempo stesso, però, i rapporti tra Stato membro e Stato terzo, formalmente esterni all’ordinamento dell’Unione, sono soggetti, in numerose occasioni, all’interferenza delle regole di quest’ultimo, anche per il comportamento delle istituzioni preposte a garantirne l’autonomia e l’effettività. Ciò consente anche di operare un’ulteriore precisazione in relazione all’oggetto di questo libro.

Si è parlato finora genericamente di capacità di agire intesa come capacità di porre in essere atti giuridicamente validi, con particolare attenzione alla conclu- sione di accordi internazionali. Una volta esclusa l’esistenza di limiti alla capacità e ricostruito il rapporto tra Stati membri e organizzazione in termini di limiti alla libertà, bisogna ora specificare cosa si intenda per libertà. La nozione di libertà, infatti, è sì differente da quella di capacità di agire, ma è altresì più ampia di quella di autonomia negoziale. Mentre quest’ultima, infatti, si riferisce alle facoltà relative alla conclusione di trattati, per libertà deve intendersi tutto l’insieme di azioni e po- teri dello Stato suscettibili di produrre effetti sul piano internazionale. Ai fini della nostra indagine, dunque, il concetto di libertà sarà inteso in un’accezione ampia, sì da ricomprendere non solo la conclusione di accordi internazionali, ma anche la loro esecuzione e, se del caso, la loro estinzione. In altre parole, i limiti alla libertà interesseranno tutti gli “stadi di vita” del trattato internazionale115.

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