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L’adozione di mezzi atti ad eliminare le incompatibilità

3.3 (Segue): l’inapplicabilità della distinzione ai regimi convenzionali che creano obblighi erga omnes partes

5. Il secondo paragrafo dell’art 351 TFUE: l’eliminazione delle incom patibilità tra diritto dell’Unione europea e accordi internazional

5.3. L’adozione di mezzi atti ad eliminare le incompatibilità

I commentatori dell’art. 351 TFUE hanno spesso preso in esame il par. 2 della norma partendo dalla premessa che si tratti di un’ipotesi speciale di codificazione del principio di leale cooperazione, principio prima ricostruito dalla Corte di giu- stizia in una lunga e copiosa giurisprudenza, poi codificato all’attuale art. 4, par. 3 TUE130.

L’obbligo di eliminazione delle incompatibilità ha posto molteplici questioni interpretative, che assumono notevole rilevanza non soltanto nell’ambito dell’or- dinamento dell’Unione, e cioè nei rapporti tra UE e Stati membri, ma anche, e 128 CGUE, causa C-216/01, Budvar cit., punti 168-169.

129 Secondo l’Avvocato generale Lenz, spetterebbe al giudice nazionale valutare anche se lo Stato membro abbia rispettato l’obbligo di cui all’art. 351 par.2. In caso contrario, ogni disapplicazione del diritto dell’Unione sulla base dell’accordo precedente rimarrebbe preclusa. V. le conclusioni presentate il 24 settembre 1985, nelle cause riunite C-209 a C-213/84, Ministère public c. Lucas Ajes e altri, sentenza del 30 aprile 1986, 1425, 1453. La lettura non sembra, però, tener conto della ratio della clausola di subordinazione e non è stata comunque confermata dalla Corte.

130 V. per tutti P. koutrakos, EU International Relations Law cit., 324. Sul principio

di leale cooperazione cfr. in generale C. iannone, Art. 4, par. 3, in A. tizzano (a cura di),

Trattati dell’Unione europea, Milano 2014, 28-44; O. porchia, Principi dell’ordinamento

soprattutto, nei rapporti tra Stati membri e Stati terzi. In questo senso, l’interpreta- zione della norma fornita dalla Corte è prova di una tendenza marcata a restringere lo spazio di autonomia e libertà degli Stati membri nella gestione delle proprie relazioni internazionali.

Per una corretta e il più possibile completa analisi degli obblighi gravanti su- gli Stati membri in forza dell’art. 351, par. 2 del TFUE, va innanzitutto esamina- ta la preliminare questione del contenuto specifico di tali obblighi, così da poter poi indagare la natura di essi e l’eventuale differenza rispetto al principio di leale cooperazione.

Occorre, dunque, comprendere quale sia la definizione, almeno secondo la Corte di giustizia, dei mezzi idonei ad eliminare le incompatibilità.

Una prima soluzione parrebbe essere quella di un’interpretazione delle norme dell’accordo, da parte del giudice nazionale, conforme agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione131. Strada, però, non sempre praticabile, soprattutto perché l’in- terpretazione dell’accordo internazionale operata dal giudice nazionale potrebbe non essere condivisa dalla Commissione, la quale potrebbe dunque ritenere neces- sario avviare una procedura di infrazione132.

Evidentemente, la soluzione della revisione dell’accordo appare preferibile, poiché essa presuppone un bilanciamento tra il rispetto del diritto UE e gli interessi dello Stato terzo, il quale ovviamente dovrà prestare il consenso alla modifica del trattato. In ogni caso, la rinegoziazione o la modifica del trattato comportano pur sempre delle difficoltà, di carattere tanto operativo quanto politico. Ci si è chiesti, infatti, se uno Stato membro possa invocare tali difficoltà, tra cui anche la mancan- za della volontà dello Stato terzo di modificare il regime convenzionale, a giustifi- cazione dell’inadempimento dell’obbligo di all’art. 351, par. 2 TFUE.

La questione si è posta per la prima volta nel caso Commissione c. Belgio, rela- tivo ad un accordo tra il Belgio e lo Zaire in materia di trasporto di merci via mare. L’accordo prevedeva una c.d. cargo-sharing clause, in contrasto con il dettato del Regolamento n. 4055/86, che a sua volta imponeva, tramite un rinvio al Codice di condotta delle Nazioni Unite per le Conferences marittime, di porre fine o modifi- care le convenzioni che contemplassero la suddetta clausola133. Il Belgio, convenu- 131 L. sandrini, Lo status degli accordi internazionali cit., 831.

132 La Corte ha comunque confermato la possibilità di includere tra i mezzi idonei anche l’interpretazione conforme in CGUE, causa C-216/01, Budvar cit., punto 169.

133 Cfr. art. 3 del Regolamento (CEE) n. 4055/86 del Consiglio del 22 dicembre 1986 che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi, in GU L 378 del 31 dicembre 1986. La cargo-sharing clause di cui all’accordo bilaterale prevedeva che il trasporto di merci via mare tra Belgio e Zaire venisse realizzato sulla base di una equa ripartizione tra imbarcazioni battenti la bandiera di uno dei due Stati o comunque condotto da persone che avessero la cittadinanza di uno di essi. L’effetto della clausola era dunque quello di escludere che operatori o imbarcazioni di

to di fronte alla Corte nel procedimento di infrazione avviato dalla Commissione, aveva però addotto a giustificazione del proprio inadempimento la difficile situa- zione politica esistente in Zaire in quel momento, che rendeva improbabile una celere modifica o revisione dell’accordo bilaterale134. La Corte, tuttavia, ha ritenuto che considerazioni di questa natura non potessero assumere rilevanza alcuna nella valutazione circa la sussistenza di un inadempimento da parte del Belgio, il quale, stante l’impossibilità di una revisione dell’accordo, avrebbe dovuto denunciarlo135. Attenta dottrina ha osservato che la conclusione raggiunta dalla Corte nel caso Commissione c. Belgio non può comunque essere considerata come un primo pre- cedente sull’interpretazione dell’art. 351, par. 2 TFUE. Innanzitutto, la controversia non verteva in alcun modo sull’applicazione della norma, poiché era il regolamento stesso a prevedere l’obbligo di eliminazione delle incompatibilità con regimi con- venzionali precedenti. In secondo luogo, la suddetta disposizione del regolamento non coincideva con il contenuto della clausola di subordinazione di cui all’art. 351 TFUE136.

Al caso esaminato hanno poi fatto seguito due pronunce con cui la Corte ha condannato il Portogallo per violazione del par. 2 dell’art. 351 TFUE e che traevano nuovamente origine da due procedimenti di infrazione avviati dalla Commissione137. Ancora una volta l’incompatibilità riguardava il Reg. n. 4055/86, ma in questo caso la controversia aveva ad oggetto anche l’interpretazione dell’obbligo previsto dall’art. 351, par. 2 TFUE. La Corte ha avuto così occasione di meglio precisare il contenuto dell’obbligo, tenendo anche in considerazione le rilevanti regole interna- zionali in materia di estinzione dei trattati. Per meglio comprendere le conclusioni raggiunte dalla Corte, non sembra superfluo ripercorrere le argomentazioni addotte dalla Commissione e dal Portogallo a sostegno delle proprie richieste.

La Commissione, infatti, aveva proposto una lettura piuttosto restrittiva della altri Stati membri potessero essere coinvolti nell’attività.

134 Erano infatti gli anni delle rivolte civili e della c.d. prima guerra del Congo, che avreb- bero poi condotto all’instaurazione di un nuovo governo e alla nascita della Repubblica Democratica del Congo.

135 È stato osservato che la Corte avrebbe in questo caso adottato un approccio più restrit- tivo sia di quello proposto dalla Commissione, la quale non aveva richiesto al Belgio di de- nunciare l’accordo, che di quello adottato dall’Avvocato generale La Pergola nelle proprie conclusioni, il quale aveva ritenuto che solo nel caso di un espresso rifiuto dello Stato terzo a rinegoziare l’accordo sorgesse a carico dello Stato membro l’obbligo di denunciarlo. Cfr. koutrakos, EU International Relations Law cit., 325.

136 Sul punto v. P. Manzini, The Priority of Pre-Existing Treaties cit., 788. Per analoghe

considerazioni, anche con riferimento al termine entro cui le incompatibilità avrebbero do- vuto essere eliminate v. P. koutrakos, EU International Relations Law cit., 325

137 CGUE, causa C-62/98, Commissione c. Portogallo, sentenza del 4 luglio 2000 e CGUE, causa C-84/98, Commissione c. Portogallo, sentenza del 4 luglio 2000.

norma, sfruttando anche la tensione che sembrerebbe emergere tra il disposto del primo e quello del secondo paragrafo dell’art. 351 TFUE. Secondo la Commissione, infatti, il par. 1 dovrebbe essere considerato come un’eccezione al principio del pri- mato del diritto dell’Unione, ciò che permetterebbe di qualificare l’obbligo posto dal par. 2 come obbligo di risultato. Dovendosi, quindi, assicurare comunque il primato del diritto dell’Unione, lo Stato membro sarebbe tenuto a ricorrere anche ad una denuncia unilaterale dell’accordo, sebbene come extrema ratio, in casi in cui gli altri mezzi si dovessero rivelare inidonei138.

Il Portogallo riteneva, invece, che l’obbligo di cui al par. 2 dovesse essere ri- costruito leggendo la norma in combinato con il principio di cui al par. 1, cioè tenendo in considerazione la tutela che il diritto primario dell’Unione garantirebbe ai diritti – e più in generale al legittimo affidamento – degli Stati terzi. L’obbligo di cui al secondo paragrafo dovrebbe quindi considerarsi come un semplice obbligo di mezzi, tra i quali potrebbe annoverarsi anche la denuncia, ma non per il solo fatto della inefficacia di altri strumenti meno lesivi degli interessi dei terzi. Secondo il Portogallo, l’obbligo di denuncia sussisterebbe solo in presenza di due presupposti: l’incompatibilità assoluta tra accordo internazionale e diritto dell’Unione e l’im- possibilità di proteggere in altro modo l’interesse dell’Unione.

La dottrina ha rilevato come entrambe le posizioni presentino una vistosa la- cuna sistematica, nessuna di esse tenendo in debita considerazione le norme delle Convenzione di Vienna – in parte riproduttive di norme consuetudinarie – in tema di denuncia di trattati internazionali139. Lacuna che la Corte, sulla strada tracciata dall’Avvocato generale Mischo nelle proprie conclusioni, ha inteso colmare facen- do espresso riferimento alla necessità che la denuncia sia contemplata dall’accordo per-comunitario, e dunque che la soluzione dell’incompatibilità avvenga nel ri- spetto delle norme poste dal diritto internazionale, solo così potendosi garantire le 138 La denuncia (o recesso) è una delle cause di estinzione dei trattati internazionali, espressamente prevista dalla Convenzione di Vienna. Si tratta di una causa interna al tratta- to, nel senso che la sua operatività è subordinata alla volontà della parte che intende recede- re. Si distingue, quindi, dalle altre cause di estinzione c.d. esterne, nel senso che dipendono da fatti successivi alla conclusione del trattato e non previsti dalle parti contraenti (tra cui la violazione delle norme interne sulla competenza a stipulare, il mutamento fondamentale delle circostanze e la sopravvenienza di una norma di jus cogens). La possibilità di denun- cia, però, non sussiste per tutti i trattati internazionali. Secondo quanto disposto dall’art. 56 della Convenzione di Vienna, quando un trattato non prevede possibilità di denuncia o di recesso, questa non può essere formulata a meno che non risulti che corrispondeva all’in- tenzione delle parti ammettere la possibilità di una denuncia, o che il diritto alla denuncia possa essere dedotto dalla natura del trattato. Sul tema, in generale, v. B. conForti, Diritto

internazionale cit., 148-151; R. Monaco, c. curti gialdino, Manuale di diritto internazio-

nale pubblico. Parte generale, Torino 2009, 194-196.

posizioni e l’affidamento degli Stati terzi140. Una diversa soluzione, che imponesse alla Stato membro di terminare unilateralmente un accordo in violazione del diritto internazionale, esporrebbe quest’ultimo ad un’ipotesi di responsabilità internazio- nale e al tempo priverebbe di effetto utile la disposizione di cui all’art. 351, par. 1 TFUE141.

Ancora recentemente, nel caso Commissione c. Austria, la Corte ha confermato la posizione espressa in Commissione c. Portogallo, ritenendo che la denuncia di un accordo internazionale debba avvenire in conformità con il diritto internazionale e senza pregiudizio per i diritti dei terzi.142 Ciò, comunque, non pregiudica in alcun modo la posizione della Corte circa l’irrilevanza degli interessi diplomatici degli Stati membri nei rapporti con Stati terzi, confermata anche nelle sentenze sui casi Open Skies143.

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