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La distinzione tra diritti degli Stati terzi e obblighi degli Stati membr

Gli accordi internazionali precedent

3. L’ambito di applicazione ratione personae

3.2. La distinzione tra diritti degli Stati terzi e obblighi degli Stati membr

Occorre innanzitutto chiedersi se il generico riferimento a «diritti e obblighi» derivanti da accordi precedenti sia da intendere nel senso che anche gli Stati mem- bri possano invocare un proprio diritto – garantito loro dalla norma convenzionale – per non adempiere un successivo obbligo UE, o se, altrimenti, la norma sia intesa a proteggere unicamente i diritti degli Stati terzi.

In questa seconda direzione si è orientata fin da subito la giurisprudenza della Corte di giustizia. Ancora una volta, le prime indicazioni circa l’interpretazione della norma sono contenute nella sentenza Commissione c. Italia, della quale si rende a questo punto necessario rievocare il contesto e le principali questioni.

La controversia vedeva contrapposte la Commissione e la Repubblica italiana 23 CGUE, causa C-235/87, Matteucci c. Communauté francaise de Belgique cit., punto 14

24 In questo senso cfr. J. klaBBers, Treaty Conflict and the European Union cit., 126, se-

condo cui questa ricostruzione si fonderebbe sulla decisione della Corte nel caso Thevenon, avente ad oggetto l’interpretazione di alcune norme del regolamento n. 1408 del 14 giugno 1971 in materia di sicurezza sociale dei lavoratori autonomi e dei lavoratori subordinati e il loro rapporto con alcune convenzioni bilaterali precedenti tra Stati membri. Va però osservato che, nel caso di specie, era lo stesso regolamento, all’art. 6, a prevedere che esso si sostituisse, nello stesso ambito di applicazione ratione materiae e ratione personae, a «qualsiasi convenzione in materia di previdenza sociale che vincola due o più Stati mem- bri». Dunque l’effetto abrogativo non si produrrebbe ipso iure, per la sola sopravvenienza di una normativa UE incompatibile, ma resterebbe condizionato ad una espressa previsione contenuta nell’atto di diritto derivato. Ciò a meno di non voler ritenere che il regolamento avesse inteso dare attuazione ad un principio generale in virtù del quale le convenzioni pre- cedenti tra Stati membri debbano ritenersi implicitamente abrogate, e non semplicemente inapplicabili. Cfr. CGUE, Thévenon c. Landesversicherungsanstalt Rheinland-Pfalz, causa C-475/93, sentenza del 9 novembre 1995, punti 13, 22-23.

25 Non è privo di rilievo il fatto che il governo francese avesse ritenuto la clausola di subordinazione dell’allora art. 234 addirittura irrilevante nel caso di specie, dal momento che la convenzione bilaterale con il Belgio aveva ad oggetto una materia che esulava dalle competenze comunitarie. Cfr. CGUE, causa C-235/87, Matteucci c. Communauté francaise

in un procedimento di infrazione relativo ad alcune disposizioni sull’unione doga- nale e sul rapporto con l’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) del 1947.

La Commissione aveva, infatti, ritenuto che l’applicazione di un dazio doga- nale relativo a materiale per apparecchi radioriceventi da parte dell’Italia, concor- dato nell’ambito del GATT, fosse incompatibile con gli artt. 12 e 14 del Trattato CEE. La difesa del governo italiano aveva invocato l’allora art. 234 del Trattato per giustificare l’adozione della misura, in deroga alle norme del Trattato, in quanto attuative di un accordo internazionale precedente rispetto al Trattato CEE26. Nel caso di specie, tuttavia, l’accordo era stato concluso dall’Italia con un altro Stato membro della Comunità, il che, secondo la Corte, valeva per ciò solo ad escludere l’applicazione della clausola di subordinazione. I giudici europei hanno comunque colto l’occasione per meglio definire il contenuto della norma e per chiarire alcune criticità interpretative, prima fra tutte quella relativa ai soggetti beneficiari della protezione della clausola.

In realtà, era stato l’Avvocato generale Lagrange a sollevare la questione della distinzione tra obblighi e diritti di cui all’allora art. 234. Nelle sue conclusioni, Lagrange aveva infatti rilevato – aderendo alla tesi proposta dalla Commissione – che dal dato testuale del secondo paragrafo, relativo all’obbligo degli Stati membri di eliminare le incompatibilità tra diritto comunitario e accordi precedenti, dovesse necessariamente derivare che la norma intendeva proteggere unicamente i diritti degli Stati terzi derivanti dall’accordo precedente e non quelli degli Stati membri. Questi ultimi, una volta riscontrata la sussistenza di un conflitto tra un diritto ga- rantito da un accordo precedente e un obbligo di diritto comunitario, dovrebbero rinunciare ai diritti vantati nei confronti degli Stati terzi27. In caso, invece, di obbli- ghi confliggenti, si tratterebbe semplicemente di eliminare il contrasto ed «il solo mezzo per farlo consiste nel valersi di tutti i diritti di cui lo Stato dispone per libe- rarsi onorevolmente dagli obblighi incompatibili con i nuovi impegni assunti»28. Sulla scorta di questo assunto, l’Avvocato generale formula la conclusione per cui [s]e l’incompatibilità riguarda un diritto attribuito ad uno Stato membro da una convenzione anteriore, il “mezzo atto” è molto semplicemente la rinunzia dello Stato a valersene. Se essa 26 Secondo il governo italiano, l’adozione del dazio doganale avrebbe costituito un ob- bligo ai sensi del GATT, poiché esso aveva ottenuto come «contropartita» di poter isti- tuire un dazio minimo superiore a quello precedentemente consentito. Cfr. CGUE, causa C-10/61, Commissione c. Italia cit., 20-21.

27 Nelle parole dell’Avvocato generale «lo Stato in questione è semplicemente tenuto, in virtù dei suoi nuovi obblighi, a non valersi ulteriormente di detti diritti qualora essi siano incompatibili con gli obblighi stessi. Cfr. Conclusioni dell’Avvocato generale Lagrange, presentate il 7 dicembre 1961, causa C-10/61, Commissione c. Italia, 34-35.

riguarda invece un diritto di uno Stato terzo oppure un obbligo di uno Stato membro nei confronti di uno Stato terzo, si dovranno compiere i passi necessari per porre onorevolmen- te fine all’incompatibilità29.

Come si è detto, la Corte ha fatto propria questa argomentazione, riconoscen- do che, in omaggio ai principi di diritto internazionale, qualora uno Stato assuma un nuovo obbligo contrario ai diritti riconosciutigli da un trattato anteriore, rinun- cia per ciò stesso a tali diritti30. Dunque, nel caso in cui l’applicazione del diritto dell’Unione possa arrecare pregiudizio ai diritti di Stati terzi, lo Stato membro sarà titolato a disapplicare il diritto UE. Al contrario, lo Stato membro non potrà opporre alle istituzioni UE i diritti che sarebbero ad esso garantiti da un accordo precedente con Stati terzi al fine di non applicare il diritto dell’Unione.

La norma, così interpretata, sarebbe pienamente conforme non soltanto all’art. 30 della Convenzione di Vienna, ma altresì all’art. 34 della medesima Convenzione, il quale, come noto, stabilisce l’inefficacia dei trattati nei confronti dei terzi31. In questa prospettiva, sembra corretto affermare che l’art. 351, par. 1 tende anche a garantire l’inoppobilità a Stati terzi di norme dell’Unione da parte di Stati membri. Nel caso Commissione c. Italia, tuttavia, si trattava di mere affermazioni di prin- cipio, poiché la controversia non coinvolgeva materialmente diritti di Stati terzi32. L’ipotesi si è invece concretamente verificata nel caso Burgoa, il quale ad oggi costituisce uno dei precedenti più rilevanti della Corte nella materia che ci occupa. Sulla sentenza si tornerà più volte, poiché in essa la Corte ha definito molteplici profili applicativi della norma in esame. Vale dunque la pena riportare i fatti prin- cipali della controversia.

Burgoa, cittadino spagnolo proprietario di un peschereccio battente bandiera spagnola, era stato arrestato e penalmente perseguito in Irlanda per aver pescato, in assenza della necessaria autorizzazione, in una zona di pesca esclusiva irlandese. L’estensione di tale zona era stata determinata dall’Irlanda a seguito dell’adesio- ne alla CE, ma la causa riguardava altresì un regolamento del Consiglio del 23 febbraio 1997, il quale dettava uno specifico regime di pesca per le navi battenti bandiera spagnola e prevedeva che l’attività di pesca in determinate zone, tra cui quella irlandese, potesse essere esercitata solo dopo la concessione di una specifica 29 Punto 35 delle conclusioni.

30 CGUE, causa C-10/61, Commissione c. Italia cit., 20-21.

31 Cfr. M. Forteau, La place des conventions internationales dans l’ordre juridique de

l’Union européenne, in M. Benlolo-caraBot, u. candas, e. cuJo (a cura di), Union euro-

péenne et droit international. En l’honneur de Patrick Daillier, Parigi 2013, 597.

32 Sebbene ci si possa chiedere se, tenuto conto della natura multilaterale del GATT, gli Stati terzi non avessero interesse ad un suo integrale rispetto anche nel caso di relazioni bilaterali tra Stati membri dell’allora Comunità. Su questo vedi infra al paragrafo seguente.

licenza da parte della Commissione33. L’imputato aveva allora invocato di fronte al giudice nazionale l’applicabilità della Convenzione di Londra sulla pesca del 1984, alla quale sia l’Irlanda che la Spagna avevano aderito34, la cui prevalenza sul diritto comunitario discendeva dall’allora art. 234 del Trattato. La Convenzione, in par- ticolare, consentiva la prosecuzione di attività di pesca, tra operatori appartenenti ai Paesi firmatari, nella c.d. zona contigua. L’imputato si trovava effettivamente, al momento dell’arresto, all’interno della zona determinata dalla Convenzione, seb- bene la stessa zona rientrasse nella più ampia zona economica esclusiva di 200 mi- glia che l’Irlanda aveva proclamato in seguito alla propria adesione alla Comunità. Secondo Burgoa, però, la nuova disciplina non avrebbe potuto pregiudicare i di- ritti che erano alla Spagna garantiti da una convenzione precedente, quale era la Convenzione di Londra, stante la non appartenenza della Spagna alla CE.

Certamente interessante è la posizione assunta dall’Avvocato generale Capotorti, poi non condivisa dalla Corte, secondo cui la Convenzione di Londra del 1964 avrebbe dovuto considerarsi abrogata dalle sopravvenute norme di diritto internazionale consuetudinario formatesi in materia di zona economica esclusiva35. L’Avvocato generale cercava altresì di dimostrare che la normativa europea che prevedeva la necessità di una licenza per pescare in quelle acque non si poneva in contrasto con la Convenzione di Londra, nell’ipotesi in cui questa volesse ritenersi ancora in vigore36.

La Corte, pur pervenendo alla medesima conclusione circa la non applicabilità della Convenzione di Londra alla questione in esame, ha optato per un percorso argomentativo radicalmente diverso. Una volta risolta la questione circa gli effetti nell’ordinamento comunitario dell’art. 234 TCE37, la Corte passa ad esaminare la questione della applicabilità della Convenzione di Londra alla questione in esame. Secondo la Corte, l’esigenza di conservazione delle risorse ittiche, che già informa- va la disciplina della Convenzione di Londra, avrebbe indotto la Comunità a intra- prendere negoziati con Paesi terzi – tra cui la Spagna – per giungere alla conclusio- ne di accordi bilaterali a lungo termine. Tali accordi avrebbero avuto ad oggetto una disciplina sostanzialmente simile a quella prevista dai regolamenti comunitari cui già si è fatto riferimento (soprattutto per quanto riguardava il sistema delle licenze di pesca), i quali però erano entrati in vigore prima della conclusione dei negoziati 33 Regolamento (CEE) n. 373/1977 del Consiglio del 24 febbraio 1977 che fissa alcune misure interinali di conservazione e di gestione delle risorse ittiche applicabili alle navi battenti bandiera di taluni paesi terzi, in GU L 53 del 25 febbraio 1977, artt. 1 e 2.

34 Deve ricordarsi che al tempo della controversia la Spagna non era ancora membro della Comunità europea ed era dunque da considerarsi Stato terzo.

35 Conclusioni dell’Avvocato generale Capotorti, presentate il 10 luglio 1980, causa C-812/79, Attorney General c. Burgoa, 2818.

36 Ibidem.

tra la Comunità e la Spagna. Gli stessi regolamenti prevedevano un particolare re- gime provvisorio che aveva lo scopo di favorire la conclusione dell’accordo tra la Comunità e la Spagna. Secondo la Corte, la collaborazione mostrata dalla Spagna – e testimoniata dalla Commissione – durante i negoziati, nonché nell’attuazione del suddetto regime provvisorio, avrebbe dimostrato l’esistenza di nuovi “rapporti” stabilitisi tra la Comunità e la Spagna, i quali si sarebbero «sovrapposti al regime in precedenza vigente per tali zone (leggi quello della Convenzione di Londra), onde tener conto dell’orientamento generale del diritto internazionale nel campo della pesca d’altura»38. Di conseguenza, la normativa prevista dall’accordo precedente dovrebbe semplicemente ritenersi superata, e dunque non più suscettibile di dero- gare al regime comunitario di cui ai regolamenti suddetti39.

La decisione della Corte, comunque, per quanto incentrata su questioni rilevanti per l’interpretazione della clausola di subordinazione, non può essere considerata espressione di principi applicabili a tutte le ipotesi di conflitto tra accordi preceden- ti e normativa UE, per ragioni tanto di carattere giuridico che di carattere politico. Quanto alle prime, va infatti osservato che la controversia coinvolgeva solo media- tamente i diritti di Stati terzi, riguardando invece i diritti di singoli individui loro riconosciuti da un accordo internazionale40. È vero che in questo caso potrebbe par- larsi di una sovrapponibilità tra i diritti dello Stato parte della convenzione e quelli di cui sono titolari i suoi cittadini, ma ci si potrebbe altresì chiedere quale posizione avrebbe espresso la Corte se la questione avesse avuto ad oggetto diritti o facoltà direttamente invocate da Stati terzi. Quanto al rilievo politico, la ricostruzione of- ferta dalla Corte sembra dover restare confinata alle ipotesi in cui esista un legame di stretta cooperazione tra l’Unione e il Paese terzo, tanto da poter affermare che questo abbia rinunciato a precedenti diritti in virtù della mera condivisione degli obiettivi comunitari. Come è evidente, ciò può accadere solo in ipotesi di Paesi candidati a divenire membri dell’Unione.

Ciò che, però, deve essere rilevato è la mancata volontà della Corte di tenere in debito conto il contesto normativo in cui la questione si poneva, e cioè quello 38 CGUE, causa C-812/79, Attorney General c. Burgoa cit., punti 23-24.

39 Si noti che la Corte ha utilizzato gli stessi argomenti in casi analoghi, che coinvolge- vano i rapporti tra la Comunità e la Spagna, pur senza mai menzionare l’art. 351 del TFUE. Cfr. CGUE, causa C-181/80, Procureur Gènèral près la Cour d’Appèl de Pau e altri c.

José Arbelaiz-Emazabel, sentenza dell’8 dicembre 1981; CGUE, cause riunite C-180/80 e

C-266/80, José Crujeiras Tome c. Procureur de la République e Procureur de la Rèpublique

c. Anton Yurrita, sentenza dell’8 dicembre 1981.

40 Una questione simile si è posta in CGUE, causa C-264/09, Commissione c. Repubblica

Slovacca, sentenza del 15 settembre 2011, in cui la Repubblica Slovacca aveva invocato un

trattato bilaterale d’investimento, concluso con uno Stato terzo e precedente all’adesione all’Unione, a tutela della posizione di un investitore straniero.

dell’ordinamento internazionale41. Non può essere taciuto che la Corte abbia fat- to un uso alquanto flessibile delle norme in materia di trattati, non riconoscendo adeguata rilevanza alle regole sulla firma e sulla ratifica dei trattati, ma soprattutto ignorando quelle in tema di successione tra trattati e ritenendo addirittura abrogata una convenzione con uno Stato terzo per facta concludentia, tenendo conto solo del dato negoziale e diplomatico emerso durante le fasi di adesione della Spagna alla Comunità.

In ogni caso, la distinzione operata dalla Corte in alcune sentenze precedenti e confermata poi in Burgoa, induce a ritenere definitivamente risolta la questione circa il significato da attribuire ai termini diritti e obblighi contenuti nella clausola. Tale orientamento è stato poi ancora richiamato in altre pronunce successive, che hanno confermato che lo Stato membro – o l’individuo interessato – potrà invocare la clausola di cui all’art. 351 del TFUE soltanto nel caso in cui il diritto dell’Unione lo costringa a tenere un comportamento in violazione di obblighi internazionali pre- cedentemente assunti verso terzi; o, ancora, nel caso in cui uno Stato terzo vanti un proprio diritto in forza di un accordo precedente, il quale possa essere pregiudicato dall’applicazione del diritto dell’Unione.

3.3. (Segue): l’inapplicabilità della distinzione ai regimi convenzionali che

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