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Premesse metodologiche dell’indagine

L’indagine dei rapporti tra ordinamento dell’Unione europea e accordi inter- nazionali degli Stati membri pone altresì alcune questioni di metodo che devono essere risolte preliminarmente.

Già si è detto che, alla base della scelta dell’oggetto di questo studio, vi è la constatazione del continuo incremento delle competenze e dei poteri attribuiti all’Unione e alle sue istituzioni e dei riflessi che da tale fenomeno discendono per la vita di relazione internazionale degli Stati membri dell’Unione. Le forme di in- terazione tra questi due elementi sono molteplici e di varia natura e interessano i settori più disparati del diritto dell’Unione e del diritto internazionale. Si sarebbe, quindi, potuto optare per un’analisi più ristretta, che guardasse al fenomeno in re- lazione soltanto ad alcuni settori nei quali si realizza la sovrapposizione tra azione dell’Unione e quella dei propri Stati membri. È sembrato, però, più opportuno, guardare al fenomeno nel suo insieme, potendo così trarre da una prassi più ampia e consistente i dati necessari per ricostruire un quadro giuridico il più chiaro e co- erente possibile. La sistematizzazione di tale prassi, infatti, non è fine a sé stessa, ma costituisce al contrario presupposto necessario al corretto funzionamento tanto delle norme dell’ordinamento dell’Unione quanto di quelle del diritto internaziona- le. Con ciò non si vuol certo sostenere che tale scelta metodologica possa condurre nazionali sulla responsabilità. Il regime speciale di responsabilità andrebbe invece ricercato nella prassi di organismi internazionali esterni all’organizzazione, per comprendere come questi intendano il rapporto tra l’organizzazione e i propri Stati membri (come accade, ad esempio, nel caso delle decisioni dell’OMC e della Corte europea dei diritti umani in rela- zione all’Unione europea). Si tratta, a ben vedere, di profili tutt’affatto differenti. L’art. 64 si limita a identificare un regime speciale di responsabilità nelle regole interne dell’orga- nizzazione che varrà solo nei rapporti tra questa e i suoi Stati membri. Altri regimi speciali possono certamente derivare dalla partecipazione dell’organizzazione, insieme con i propri Stati membri, ad altre organizzazioni o regimi convenzionali. Ciò è confermato anche dal fatto che, proprio con riferimento alla CEDU, avrebbe dovuto essere l’accordo di adesione dell’Unione alla Convenzione a determinare regole speciali di responsabilità, specie in tema di attribuzione delle condotte nel contesto di operazioni militari istituite dall’Unione. Sul punto cfr. A. spagnolo, L’attribuzione delle condotte illecite cit., 224-226.

ad una soluzione di tutti i problemi che emergono dall’analisi del fenomeno. Anzi, come si vedrà, molte sono le questioni che rimangono aperte e che necessiteranno certamente di ulteriori approfondimenti. È altresì vero, però, che ridurre l’esame solo ad alcuni settori non avrebbe soltanto condotto a conclusioni parziali e incom- plete, ma probabilmente addirittura falsate. Si consideri, infatti, che le dinamiche di sovrapposizione tra azione dell’Unione e azione degli Stati membri non necessaria- mente si realizzano nello stesso settore. Così, ad esempio, non è detto che l’inciden- za dell’azione dell’Unione sulla vita internazionale degli Stati si realizzi soltanto nell’ambito di competenze esterne. Anzi, sono numerosi i casi in cui l’interazione ha come arkè l’esercizio di competenze interne, spesso in settori molto diversi da quelli in cui invece ricade l’oggetto dell’accordo internazionale vincolante gli Stati membri. Sarebbe stato, dunque, oltremodo complesso individuare all’origine sin- goli settori rispetto ai quali restringere l’oggetto della presente indagine.

La seconda considerazione in termini di metodologia riguarda, invece, la pro- spettiva dalla quale condurre l’analisi delle interazioni tra diritto dell’Unione eu- ropea e accordi conclusi dagli Stati membri con Stati terzi. Come già osservato, la dinamica di tali rapporti è sostanzialmente tripartita, poiché essa coinvolge diretta- mente gli interessi di soggetti terzi rispetto all’ordinamento dell’Unione. Non può negarsi che l’asserito carattere costituzionale delle norme e dei principi vigenti in materia di relazioni internazionali dell’Unione abbia generalmente comportato che i diversi profili critici siano stati affrontati prevalentemente nell’ottica del diritto dell’Unione. A tali principi e regole si fa spesso riferimento anche per analizzare la questione degli accordi internazionali degli Stati membri. Eppure, l’azione degli Stati membri in questo ambito produce i suoi effetti soprattutto sul piano del diritto internazionale, più che su quello del diritto dell’Unione. Tali effetti, insieme con le conseguenze che da essi derivano, devono essere esaminate e valutate dal punto prospettico del diritto internazionale. Ciò non significa che le regole e i meccanismi propri dell’ordinamento dell’Unione europea possano essere tralasciati. Al contra- rio, già si è detto, essi saranno essenziali nell’individuazione di strumenti di coor- dinamento tra azione dell’Unione e azione degli Stati che sta alla base di questo lavoro. Le regole interne dell’organizzazione svolgono, in questo senso, un ruolo complementare rispetto a quelle di diritto internazionale. Tale impostazione rispon- de, del resto, ad un’esigenza concreta ed evidente. Gli Stati membri continuano, sul piano internazionale, ad essere titolari di una generale capacità a concludere accor- di internazionali – la quale evidentemente include la volontà di adempiervi – ed è su tale capacità che i soggetti terzi ripongono il proprio affidamento al momento della conclusione dell’accordo e della sua esecuzione.

In ragione di queste considerazioni, si è cercato, nel corso della trattazione, di operare un costante raffronto tra le implicazioni del fenomeno a livello di ordina- mento internazionale, nel cui ambito si collocano i rapporti giuridici tra Stati mem- bri e soggetti terzi, e le conseguenze di esso sul piano dell’ordinamento dell’U-

nione europea, nel cui contesto vanno invece analizzati i rapporti tra Stati membri e Unione. Sembra d’altronde scontato osservare che anche i rapporti tra Unione europea e Stati membri – almeno nell’ambito che qui interessa – non possano che riverberarsi sul piano internazionale, in relazione alle diverse fasi della vita di un accordo internazionale, da quella fisiologica connessa alla sua conclusione ed ese- cuzione fino a quella patologica della responsabilità derivante dalla violazione di obblighi in esso contenuti.

Come questa impostazione si rifletta sull’individuazione della prassi rilevante è questione ancora diversa, benché strettamente connessa. Certo, un ruolo premi- nente non può che essere attribuito alla giurisprudenza del giudice dell’Unione. Sia il Tribunale che la Corte di giustizia sono, infatti, a più riprese intervenuti sulle questioni in esame, in alcuni casi su iniziativa dei giudici nazionali che si trovava- no a dover applicare un trattato dello Stato incompatibile con il diritto dell’Unio- ne, in altri casi su iniziativa delle istituzioni stesse dell’Unione, soprattutto della Commissione, che contestavano agli Stati membri la conclusione o l’esecuzione di obblighi internazionali confliggenti con norme e interessi connessi all’ordinamento dell’organizzazione.

Va, tuttavia, tenuto presente che in diverse ipotesi il grado di connessione tra l’ordinamento dell’Unione e l’accordo internazionale concluso da uno o più Stati membri con soggetti terzi è talmente flebile da non consentire un intervento delle istituzioni dell’Unione, il quale finirebbe per essere ultra vires. Le ipotesi di questo tipo configurano quelle che possono essere definite “situazioni puramente esterne”, vale a dire che rispetto ad esse l’ordinamento dell’Unione europea sostanzialmente si disinteressa. Ciò non significa che il diritto dell’Unione non abbia alcuna rilevan- za, anzi esso costituisce l’evento scatenante dell’antinomia e delle sue conseguen- ze, la quale, tuttavia, si realizza non in relazione all’ordinamento dell’Unione ma a quello del singolo Stato membro interessato.

Se la prassi che attiene ai rapporti tra Stati membri e Unione europea è certa- mente quella più cospicua, non meno rilevante è però quella di altri organi o giu- risdizioni internazionali che si sono dovuti confrontare con situazioni di obblighi confliggenti sul piano internazionale. In linea generale, dunque, si è cercato di tener conto anche di questi elementi, sia nelle ipotesi più generali di antinomie tra norme convenzionali, sia in quello che hanno specificamente interessato il rapporto con il diritto dell’Unione europea. Tale prassi non è necessariamente sempre relativa ad obblighi internazionali di Stati membri non vincolanti per l’organizzazione, ben potendo essa riferirsi a situazioni in cui sia gli Stati membri che l’organizzazione partecipano al medesimo regime convenzionale. Il caso più paradigmatico in que- sto senso è certamente quello dell’Organizzazione mondiale del commercio, il cui meccanismo di risoluzione delle controversie ha spesso dovuto tener conto delle conseguenze giuridiche derivanti dalla partecipazione sia dell’Unione europea che dei propri Stati membri all’organizzazione. Altri esempi si rinvengono, poi, anche

in altri settori del diritto internazionale, come ad esempio nel diritto degli investi- menti, del mare e dell’ambiente. La prassi e le decisioni originatesi in questi conte- sti, se non forniscono una risposta diretta e conclusiva ai problemi legati all’oggetto di questo lavoro, sono apparsi però essenziali nel ricostruire tendenze e possibili soluzioni alle questioni dei rapporti tra diritto internazionale e diritto dell’Unione, nonché a fornire alcune indicazioni sulla natura di quest’ultima rispetto all’ordina- mento internazionale. Si tratta, dunque, di una prospettiva esterna rispetto all’or- dinamento dell’Unione, che non poteva essere tralasciata: essa comunica, infatti, i modi e i termini in cui il diritto dell’Unione e i rapporti tra Unione e Stati membri sono considerati dall’ordinamento internazionale e dai soggetti che ne fanno parte.

7. Delimitazione e piano dell’indagine

L’oggetto del presente lavoro consiste nell’analisi delle forme di interazione tra diritto dell’Unione europea e obblighi internazionali assunti dagli Stati mem- bri nei confronti di soggetti terzi. L’intento è quello di ricavare, guardando sia al diritto internazionale che a quello dell’Unione, i meccanismi e le regole che con- sentano di prevenire o di risolvere quel particolare tipo di conflitto normativo le cui conseguenze essenzialmente ricadono sui soli Stati membri, e che sono qui costruiti nei termini di una limitazione all’autonomia di azione degli Stati sul piano internazionale.

Dall’analisi esulano, invece, i rapporti tra Stati membri retti dal diritto interna- zionale, in particolar modo quelli derivanti dalla conclusione dei c.d. accordi inter se. La ragione di tale esclusione risiede nell’assenza di interessi riconducibili a sog- getti estranei alle dinamiche interne dell’ordinamento dell’Unione. Da ciò deriva che gli accordi inter se, essendo accordi che coinvolgono unicamente Stati membri dell’Unione europea, finiscono per subire la maggior pressione dell’ordinamento dell’organizzazione e dei suoi meccanismi interni150. Così, ad esempio, solo per gli accordi inter se si è potuto parlare di vera e propria invalidità, derivante dalla sussistenza di una competenza esclusiva dell’Unione, o di abrogazione implicita in quanto conseguenza di norme di diritto dell’Unione sopravvenute all’accordo. Di queste implicazioni e del modo in cui le regole del diritto dei trattati sono state impiegate per spiegare i rapporti tra accordi inter se e diritto dell’Unione si darà comunque conto nel corso della trattazione, per l’ovvia ragione che da tale pras- si – invero molto ricca – è possibile trarre spunti di assoluta pertinenza anche per l’oggetto specifico di questo lavoro.

Analoghe considerazioni valgono anche per i c.d. accordi misti, accordi, cioè, 150 Per queste considerazioni v. L.S. rossi, Le convenzioni fra gli Stati membri dell’Unio-

conclusi con Stati terzi dall’Unione con la partecipazione congiunta degli Stati membri. Il fenomeno degli accordi misti si distingue da quello degli accordi con- clusi dai soli Stati membri con soggetti terzi per il semplice fatto che la parte- cipazione dell’Unione all’accordo determina il venir meno di quella asimmetria soggettiva – incentrata sulla situazione internazionale e interna in cui si viene a trovare lo Stato membro – che costituisce l’origine dei problemi che già abbiamo evidenziato. Ciò non significa, tuttavia, che la cospicua prassi in materia di ac- cordi misti sia da considerarsi irrilevante ai fini della presente indagine. Anzi, è proprio con riferimento a tale fenomeno – che costituisce peraltro un unicum nel panorama internazionale – che la Corte di giustizia ha avuto modo di ricostruire e di fissare il contenuto di alcuni principi e le implicazioni di essi, i quali rivestono un’importanza fondamentale anche per il problema che qui interessa. È in questa materia, ad esempio, che sono emerse le prime affermazioni relativi ai doveri degli Stati membri derivanti dal principio di leale cooperazione con specifico riferimen- to all’esercizio del loro potere estero. Da ciò discende che, pur trattandosi di un fenomeno tutt’affatto diverso da quello qui preso in considerazione, ad esso non può non farsi riferimento se si vuole avere una piena e corretta consapevolezza del contesto normativo di riferimento.

Un’ultima precisazione riguarda la nozione di accordo internazionale accolta in questa sede. Nel corso dell’analisi si farà infatti riferimento a tutte quelle forme di accordi internazionali che possano dirsi produttive di effetti giuridici vincolanti per le parti, qualunque sia la procedura seguita per la loro conclusione151. Si tratta di una nozione certamente molto ampia, ma che non tiene conto del sempre più frequente ricorso a forme di cooperazione non giuridiche, quali le c.d. intese152. La ragione di tale scelta è duplice: da un lato, non può parlarsi di conflitti normativi in relazione a strumenti che non creino diritti e obblighi nell’ordinamento internazio- nale; dall’altro, la prassi offerta dalle interazioni tra Stati membri e Unione europea è quasi esclusivamente incentrata su accordi internazionali in senso stretto. Ciò na- turalmente non esclude che, in futuro, anche accordi informali possano determinare conseguenze simili a quelle che sono state prese in esame in questo lavoro, purchè da questo tipo di accordi possa farsi discendere un qualche effetto vincolante per le parti153.

151 Sul dibattito intorno alla nozione di accordo internazionale e alla produzione di effetti giuridici v. J. klaBBers, The Concept of Treaty in International Law, L’Aia 1996, 37 ss.

V. inoltre F. Mosconi, La formazione dei trattati, Milano 1968, 1 ss. Sulla distinzione tra

accordi informali e intese non giuridiche v. B. conForti, Diritto internazionale cit., 77-78.

152 Su cui v. N. ronzitti, Introduzione al diritto internazionale cit., 230-231. Sulla prassi

relativa alla conclusione di Memoranda of Understanding v. P. aust, Modern Treaty Law

and Practice, Cambridge 2007, 25-27.

153 Anche nel contesto dell’Unione europea è dato rinverire una tendenza al ricorso ad accordi informali, specie nel settore della gestione dei flussi migratori. Per un’analisi com-

La struttura del lavoro, che si articola su quattro capitoli, riflette le esigenze di metodo cui si è fatto cenno.

Il primo capitolo è dedicato ad un’analisi delle norme che, nell’ordinamento in- ternazionale, sono deputate a disciplinare la successione dei trattati nel tempo e i conflitti tra obblighi internazionali. In questo contesto si colloca, preliminarmente, l’esame del principio di inefficacia dei trattati verso i terzi, il quale permea l’intera tematica in esame.

Il secondo capitolo, invece, muovendo da una prospettiva interna all’ordinamento dell’Unione, è costituito dall’analisi dei rapporti tra diritto dell’Unione e accordi con- clusi dagli Stati membri prima dell’entrata in vigore del Trattato di Roma del 1958, istitutivo della Comunità, o prima della loro adesione all’Unione, così come discipli- nati dall’art. 351 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Il terzo capitolo è incentrato su questioni che appaiono complementari rispetto a quelle affrontate nel secondo capitolo, vale a dire quelle poste da accordi conclusi successivamente dagli Stati membri con soggetti terzi, che non godono, quindi, della protezione accordata dalla clausola di cui all’art. 351 TFUE. Nello specifico, nel ca- pitolo vengono esaminati i processi di assunzione e di esercizio di competenze ester- ne da parte dell’Unione, anche rispetto alla loro incidenza sull’autonomia negoziale degli Stati membri, nonché i più generali profili attinenti al rilievo che gli accordi da questi conclusi assumono nel diritto dell’Unione europea.

L’ultimo capitolo, infine, offre un tentativo di individuare nel principio di buo- na fede e in quello di leale cooperazione gli strumenti che possano consentire un coordinamento tra l’ordinamento internazionale e l’ordinamento dell’Unione e, di conseguenza, una composizione degli interessi, spesso confliggenti, dei soggetti che partecipano alla relazione tripartita cui si è fatto cenno in apertura.

plessiva sul punto v. E. kassoti, The EU and the Challenge of Informal International Law-

Making: The CJEU’s Contribution to the Doctrine of International Law-Making, Geneva

Jean Monnet Working Paper, n. 6/2017, nonché C. Favilli, Presentazione, in Diritto, im-

migrazione e cittadinanza, 2016, 11 ss. Tale fenomeno è stato da ultimo confermato dalla

vicenda della Dichiarazione UE-Turchia, in cui il Tribunale dell’Unione ha ritenuto che le modalità di formazione della dichiarazione consentissero di qualificarla alla stregua di un accordo internazionale degli Stati membri concluso con la Turchia nell’ambito delle riunioni del Consiglio europeo. Cfr. Trib., causa T-192/16, NF c. Consiglio europeo, or- dinanza del 28 febbraio 2017. Cfr. anche, per una critica alla pronuncia del Tribunale, E. cannizzaro, Denialism as the Supreme Expression of Realism – A Quick Comment on NF

v. European Council, in European Papers, 2017, 251 ss. Sulla Dichiarazione UE-Turchia e sulle questioni sollevate in merito alla sua natura giuridica v. M. Marchegiani, l. Marotti,

L’accordo tra l’Unione europea e la Turchia per la gestione dei flussi migratori: cronaca di una morte annunciata?, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2016, 59 ss.

Efficacia dei trattati e conflitti normativi nel diritto

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