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L’inadeguatezza delle norme di conflitto poste dalla Convenzione di Vienna

4.2 (Segue) L’inopponibilità all’Unione degli obblighi internazionali de gli Stati membr

4.3. L’inadeguatezza delle norme di conflitto poste dalla Convenzione di Vienna

Poiché, come si è visto, il principio di relatività impedisce – almeno nella mag- gior parte dei casi – di far confluire in capo ad un soggetto unitario la titolarità 112 Per queste considerazioni v. S. vezzani, Gli accordi delle organizzazioni del gruppo

della Banca Mondiale, Torino 2011, 289-291.

113 Cfr. O. de schutter, Human Rights and the Rise of International Organisations: The

Logic of Sliding Scales in the Law of International Responsibility, in J. Wouters, e. BreMs,

s. sMis, p. schMitt (a cura di), Accountability for Human Rights Violations by International

Organisations, Anversa 2010, 64, il quale ritiene che il numero di Stati membri vincolanti

ad un trattato sia irrilevante ai fini della trasferibilità degli obblighi in esso contenuti in capo all’organizzazione.

114 F. naert, Binding International Organisations to Member State Treaties or

Responsibility of Member States for Their Own Actions in the Framework of International Organisations, in J. Wouters, e. BreMs, s. sMis, p. schMitt (a cura di), Accountability for

Human Rights cit., 134.

115 K. daugirdas, How and Why International Law Binds International Organisations, in

Harvard Journal of International Law, 2016, 350 ss.

degli obblighi convenzionalmente assunti dagli Stati membri dell’organizzazione, è necessario chiedersi se il conflitto tra obblighi possa essere risolto tramite l’appli- cazione delle norme di conflitto contenute nella Convenzione di Vienna.

Non vi è dubbio alcuno che la scarsità di prassi quanto all’applicazione delle norme della Convenzione di Vienna in tema di successione e conflitti tra trattati si spieghi in ragione dell’inidoneità di tali norme a regolare in maniera compiuta il fenomeno117. D’altronde, i risultati scarsamente soddisfacenti cui conduce l’ap- plicazione dell’art. 30 sono altresì dovuti all’ampia formulazione della norma, che non consente di distinguere tra diversi tipi di trattato118. In un rilevante numero di ipotesi, i criteri forniti dalla Convenzione non aiutano l’interprete nell’individua- zione del trattato applicabile. In fondo, ciò che sembra proporre la Convenzione di Vienna è che, quando il criterio che accorda prevalenza al trattato precedente non sia adatto a dirimere il conflitto, la scelta su quale obbligo adempiere ricada ne- cessariamente sullo Stato interessato119. Da questo punto di vista, la soluzione non 117 Discorso diverso meriterebbe invece il fenomeno dei c.d. accordi inter se, vale a dire gli accordi conclusi unicamente tra Stati membri. Non sono mancate le occasioni in cui è sembrato che la Corte di giustizia dell’Unione europea avesse inteso alcuni trattati bilaterali tra Stati membri come implicitamente abrogati da una sopravvenuta normativa dell’Unione. V. ad esempio CGUE, Matteucci c. Communauté française de Belgique, causa C-235/87, sentenza del 27 settembre 1998, relativa all’applicazione di un accordo concluso tra Belgio e Germania in materia di finanziamenti alla cultura e all’istruzione. V. inoltre CGUE, Thévenon c. Landesversicherungsanstalt Rheinland-Pfalz, causa C-475/93, senten- za del 9 novembre 1995. Per queste considerazioni v. J. klaBBers, Treaty Conflict and the

European Union, Cambridge 2009, 125-126.

118 Cfr. I.M. sinclair, The Vienna Convention on the Law of Treaties, Manchester 1984,

98, nonché E.W. vierdag, The Time of Conclusion of a Multilateral Treaty cit., 110

119 J.B. Mus, Conflitcts Between Treaties cit., 227 ss.; A. sadat-akhavi, Methods cit., 70

ss. Si tratterebbe, secondo una parte della dottrina, del principio della scelta politica, in base al quale, stante l’impossibilità di risolvere il conflitto normativo con criteri giuridici, sarò lo Stato a compiere una scelta, di natura eminentemente politica, quanto all’obbligo che inten- de adempiere. V. per tutti M. zuleeg, Vertragskonkurrenz im Völkerrecht. Teil I: Verträge

zwischen souveränen Staaten, in German Yearbook of International Law, 1977, 246 ss. Per

una disamina efficace del principio della decisione politica cfr. klaBBers, Treaty Conflict

and the European Union, Cambridge 2009, 88 ss. Adotta questa impostazione anche sadat-

akhavi, Methods cit., p. 66. Altra dottrina ha, invece, espresso maggior cautela nell’adottare

il principio della decisione politica, preferendo un approccio che favorisca la creazione di meccanismi di coordinamento normativi che evitino l’insorgere di conflitti tra trattati inter- nazionali. V. per tutti R. WolFruM, n. Matz, Conflicts in International Environmental Law,

Berlino/Heidelberg 2003, spec. 11-12. Per la verità, il principio in questione, che pure pare assumere una funzione pratica non irrilevante, non sembra però applicabile in tutte le ipo- tesi in cui il conflitto normativo tra due o più trattati si ponga non per l’esecutivo ma per il giudice, nazionale o internazionale. In altre parole, non può condividersi l’impostazione di

può dirsi certo soddisfacente, perché lo Stato inadempiente sarà internazionalmente responsabile verso il soggetto, o i soggetti, cui l’adempimento era dovuto e questi difficilmente potranno ottenere una restituzione integrale, dovendo la riparazione, stante la validità di entrambi gli obblighi confliggenti, necessariamente assumere la forma del risarcimento120.

Una parte della dottrina ha poi proposto di restringere la portata applicativa dell’art. 30 della Convenzione di Vienna, facendo leva sulla formulazione della norma, la quale fa riferimento a trattati vertenti sulla stessa materia121. Va osservato, però, che, a prescindere dalle difficoltà di individuare criteri univoci che consen- tano di accertare l’effettiva medesimezza della materia, il rischio è che una tale impostazione porti ad una eccessiva frammentazione dei regimi convenzionali. Si consideri, infatti, che, intesa in questo modo, la maggior parte dei conflitti tra trat- tati sarebbe esclusa dall’ambito di applicazione della norma (persino quelli che coinvolgono le stesse parti), posto che spesso tali conflitti si verificano proprio con riferimento ad accordi che disciplinano settori diversi (si pensi, ad esempio ai trattati sulla tutela dell’ambiente e quelli in materia di commercio o di investi- menti). La tesi sembra muovere dalla premessa che l’identità di materia oggetto dei divergenti regimi convenzionali debba essere accertata in astratto, collocando i diversi accordi in categorie settoriali, peraltro non definite122. Deve al contrario ritenersi, come osservato da autorevole dottrina, che, per conferire effettività, pur se limitata, alla norma della Convenzione di Vienna, tale valutazione debba essere condotta in concreto, cioè guardando alla singola fattispecie concreta e alle regole convenzionali ad essa applicabili. Solo così, infatti, sarà possibile individuare gli accordi internazionali realmente rilevanti e operare una valutazione di prevalenza o un’interpretazione adeguatrice del loro contenuto123.

chi ritiene che tale principio possa essere utilizzato anche in sede di accertamento giurisdi- zionale delle norme internazionali, pena un vulnus evidente al principio della separazione dei poteri.

120 L’art. 55 degli articoli sulla responsabilità degli Stati individua l’infatti l’impossibilità della riduzione in pristino della situazione quo ante quale limite all’azionabilità di richieste di restituzione integrale. V. sul punto CPGI, Factory at Chorzow (Merits) cit., 27; v. inoltre la pronuncia sul caso Lusitania, lodo del 1 novembre 1923, in Reports of International

Arbitral Awards, vol. VII, 34.

121 V. C.J. Borgen, Resolving Treaty Conflicts, in George Washington International Law

Review, 2005, 636.

122 Del resto, interpretare il requisito della identità della materia regolata da trattati in- compatibili in senso astratto vorrebbe dire anche non tenere conto del fatto che la gran parte dei conflitti tra norme internazionali si realizzano frequentemente in regimi giuridici tutt’affatto differenti. V. sul l’analisi condotta in A. Fischer-lescano, g. teuBner, Regime-

Kollisionen: Zur Fragmentierung des Globalen Rechts, Francoforte 2006.

Altra dottrina ha, invece, osservato che l’art. 30 della Convenzione, stante la sua inidoneità a disciplinare compiutamente il fenomeno, dovrebbe essere sostanzial- mente disapplicato. Accordando, infatti, la prevalenza al trattato successivo, ma al contempo garantendo la validità di quello precedente (e comunque l’efficacia delle norme in esso contenute che siano compatibili con l’accordo successivo), l’art. 30 sarebbe fondato su una sorta di finzione, in base alla quale il contenuto dei trattati sembrerebbe immutabile124. La norma, cioè, non terrebbe conto dei molti regimi, soprattutto multilaterali, i quali sono soggetti a continui mutamenti, sia dal lato soggettivo, cioè degli Stati o di altri enti che vi aderiscono, sia da quello oggettivo, vista la crescente rilevanza che organi giurisdizionali o di sorveglianza hanno as- sunto nell’ambito di questo regimi e il sempre più frequente ricorso ad interpreta- zioni evolutive, che tengano conto della c.d. prassi successiva di cui all’art. 31, par. 3, lett. b) della Convenzione di Vienna125.

La lettura dell’art. 30 della Convenzione, e le critiche che possono essere mos- se alla sua formulazione, devono però tenere in considerazione l’intero sistema definito dalla Convenzione di Vienna126. Vi sono, infatti, altri principi e regole, contemplati nella Convenzione stessa, ma che in molti casi sono espressione di consuetudini internazionali, che possono concorrere alla soluzione di conflitti tra trattati incompatibili127.

(a cura di), The Law of Treaties Beyond the Vienna Convention, Oxford, 2011, 188. Secondo l’A. il conflitto si realizza unicamente quando il comportamento richiesto da una regola comporti la violazione di un’altra regola. V. inoltre E. vranes, The Definition of ̒Norm

Conflict̕ in International Law and Legal Theory, in European Journal of International Law,

2006, 407 ss. Anche la prassi sembra confermare tale impostazione. Cfr. ad esempio OMC, Rapporto del Panel European Communities – Regime for the importation, sale and distribu-

tion of babanas (Bananas III), doc. WT/DS27/R/ECU, 22 maggio 1997, par. 7.159.

124 Cfr. J. pauWelyn, Conflict of Norms in Public International Law, Cambridge 2003,

377-380, il quale mette anche in luce le difficoltà che derivano dalla mancata considerazio- ne di un possibile regime differenziato per trattati a vocazione universale e trattati regio- nali di integrazione. Si tratta, però, di una questione che dovrebbe forse essere inquadrata nell’ambito di un criterio di specialità più che in quello del criterio cronologico. V. sul punto P. daillier, a. pellet, Droit International Public cit., 271-275.

125 Per un’applicazione recente dell’istituto v. CIG, Whaling in the Antartic (Australia v.

Japan), sentenza del 31 marzo 2014, in ICJ Reports 2014, p. 226, par. 79-83. V. anche L.

creMa, Subsequent Agreements and Practice within the Vienna Convention, in G. nolte (a

cura di), Treaties and Subsequent Practice, Oxford, 2013, 13 ss.

126 In quest’ottica, le disposizioni della norma sono state definite una «contribution utile». V. P. daillier, a. pellet, Droit international public cit., punto 174.

127 C.J. Borgen, Resolving Treaty Conflicts cit., 583. V. anche A. sadat-akhavi, Methods

4.4. (Segue). Strumenti alternativi di composizione del conflitto tra trattati.

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