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La teoria dei poteri impliciti e il principio del parallelismo

Limiti all’autonomia negoziale degli Stati membri e meccanismi di coordinamento derivanti dal riparto d

2. I limiti sostanziali all’autonomia negoziale degli Stati membr

2.1. La teoria dei poteri impliciti e il principio del parallelismo

Il sistema a tratti lacunoso definito dai Trattati rispetto alle competenze esterne ha nel tempo determinato l’emersione e il consolidarsi del generale principio del- le competenze esterne implicite. Nel noto caso AETS, la Corte di giustizia aveva affermato che l’allora Comunità europea era dotata di capacità esterna, ossia della capacità che deriva dal possesso della personalità giuridica di diritto internaziona- le, e che tale capacità si estendeva all’insieme degli “obiettivi” indicati nella parte prima del Trattato. Il passaggio è stato da alcuni interpretato come l’affermazione da parte della Corte della sostanziale sovrapponibilità tra capacità della Comunità di agire sul piano delle relazioni internazionali e le competenze ad essa attribuite3.

In realtà, come è stato osservato da più parti, la capacità di agire della Comunità europea (e oggi dell’UE) non coincide con le sue competenze esterne, ma è la ma- nifestazione della sua personalità giuridica internazionale. Dunque, la nozione di capacità è ben più ampia di quella di competenza o di potere, poiché attiene alla generale capacità di agire dell’Unione sul piano internazionale. Una volta stabilita in via generale e astratta tale capacità, sarà necessario individuare la specifica attri- buzione di competenza che consenta all’organizzazione di concludere un determi- nato trattato4.

Ad ogni modo, fin dal Trattato di Roma del 1957, le competenze esterne del- la Comunità erano piuttosto limitate e certamente non coprivano gli stessi settori coperti da specifiche competenze interne5. Nel tempo, comunque, grazie agli in- terventi della Corte di giustizia e alle modifiche dei Trattati, il novero delle compe- tenze esterne dell’UE si è progressivamente ampliato. Tale risultato è in gran parte dovuto all’applicazione del principio del parallelismo delle competenze, in virtù del quale l’attribuzione di una competenza interna si accompagna necessariamente 3 J.H.H. Weiler, The External Legal Relations of Non-Unitary Actors: Mixity and the

Federal Principle, in J.H.H. Weiler, The Constitution of Europe, Cambridge 1999, 179.

4 Cfr. P. craig, g. de Búrca, EU Law. Text, Cases, and Materials, Oxford 2015, 322-

324. Cfr. inoltre R. schütze, Foreign Affairs and the EU Constitution: Selected Essays,

Cambridge 2014, 289-290.

5 Le uniche disposizioni del Trattato che espressamente attribuivano alla Comunità la capacità di concludere accordi internazionali erano l’art. 113 sulla politica commerciale comune, e l’art. 238, relativo agli accordi di associazione.

– e anche in mancanza di una previsione espressa – all’attribuzione di una corri- spondente competenza esterna6.

In uno dei celebri passaggi della sentenza del caso AETS, la Corte ha infatti affermato che, al fine di determinare in un caso particolare la capacità dell’allora Comunità di concludere accordi internazionali, è necessario avere riguardo all’in- tero sistema dei Trattati. Tale capacità non sussiste unicamente nelle ipotesi di un conferimento espresso, ma può ugualmente farsi derivare da altre disposizioni dei Trattati o da misure adottate, nell’ambito di quelle disposizioni, dalle istituzioni della Comunità7. Da tale premessa la Corte ha fatto discendere la conseguenza per cui, quando la realizzazione di una politica interna – quale quella dei traspor- ti, oggetto della sentenza – richieda l’adozione di determinate misure, queste non devono necessariamente essere di carattere interno, ma possono includere anche la conclusione di accordi internazionali. L’interpretazione della Corte, di natura emi- nentemente teleologica, consentì dunque di attribuire alla Comunità la disponibilità di uno strumento alternativo e diverso dalla sola adozione di atti legislativi inter- ni, cioè di un potere di concludere accordi internazionali con Paesi terzi, il quale comunque trova fondamento nelle competenze (interne) attribuite all’organizza- zione. La sentenza lasciava impregiudicata la questione se tale capacità andasse riconosciuta alla Comunità solo nei casi in cui una legislazione interna fosse già stata adottata, o anche nei casi in cui una tale attività legislativa non si fosse ancora concretata. In questo senso, non si poteva ancora parlare di un pieno parallelismo delle competenze.

A distanza di poco tempo dalla sentenza del caso AETS, la Corte ha avuto occa- sione di meglio precisare la portata del principio nel caso Kramer e nel parere 1/76. Il primo assume particolare rilevanza per la nostra trattazione, poiché riguardava la competenza degli Stati membri a stipulare una convenzione il cui oggetto ricade- va, almeno parzialmente, in un settore di competenza della Comunità8. La Corte 6 Il principio del parallelismo tra competenze interne e competenze esterne non trovava espresso riconoscimento nei Trattati istitutivi della Comunità, a differenza di quanto acca- deva, ad esempio, nel Trattato istitutivo dell’EURATOM, il cui art. 10, par. 1, prevedeva che «La Comunità può nei limiti dei propri poteri e della propria competenza, assumere obbligazioni tramite la conclusione di accordi internazionali o contratti con Stati terzi, con un’organizzazione internazionale o con cittadini di Stati terzi». Il Trattato istitutivo del- la CECA non conteneva una disposizione siffatta, ma la dottrina ha da sempre ritenuto che essa avesse la medesima capacità riconosciuta all’EURATOM. Cfr. I. Macleod, i.d.

hendry, s. hyett, The External Relations of the European Communities, Oxford 1997, 42.

7 CGUE, causa C-22/70, Commissione c. Consiglio (AETS), sentenza del 31 marzo 1971, punti 15 e 16.

8 Si trattava della Convenzione sulle pescherie dell’Atlantico Nord-orientale. La Danimarca, infatti, in esecuzione degli obblighi contenuti nella convenzione, aveva adotta- to una normativa interna nella quale erano previste altresì alcune fattispecie penali incrimi-

ha confermato la capacità dell’Unione di aderire alla Convenzione sulle pescherie dell’Atlantico Nord-orientale del 1959, di cui alcuni Stati membri erano parte, in ragione della competenza attribuita all’allora Comunità in materia di conservazione delle risorse biologiche marine. Contestualmente, la Corte ha anche affermato che la competenza della Comunità dovesse estendersi non solo alle acque sottoposte alla giurisdizione degli Stati membri, ma anche alle attività di pesca in alto mare9. Tale assunto derivava dalla considerazione che la preservazione delle risorse ma- rine avrebbe potuto essere garantita effettivamente ed equamente solo attraverso una normativa che vincolasse tutti gli Stati interessati, inclusi gli Stati terzi. Poiché, però, al tempo la Comunità ancora non aveva esercitato pienamente i propri poteri in questi settori, agli Stati rimaneva la «competenza ad assumere […] obblighi in relazione alla preservazione delle risorse biologiche marine e quindi avevano il diritto di garantirne l’adempimento nell’ambito del loro ordinamento giuridico»10. Si trattava, però, di un potere solo transitorio (fino cioè all’adozione di norme spe- cifiche in questo settore da parte del Consiglio), il quale non faceva peraltro venir meno i vincoli per gli Stati membri derivanti dal diritto comunitario quanto alle trattative condotte nell’ambito della Convenzione e di altri accordi analoghi11.

Nel parere 1/76, la Corte è invece intervenuta a chiarire il ruolo dell’adozione di misure legislative a livello interno nel processo di emersione di una competenza esterna. In particolare, la Corte ha rilevato che

[a]nche qualora i provvedimenti comunitari di carattere interno vengano adottati solo in occasione della stipulazione e dell’attuazione dell’accordo internazionale, come prevede nella fattispecie la proposta di regolamento sottoposta dalla Commissione al Consiglio, la competenza ad impegnare la Comunità nei confronti degli Stati terzi deriva comunque, im- plicitamente, dalle disposizioni del trattato relative alla competenza interna, nella misura in cui la partecipazione della Comunità all’accordo internazionale sia, come nel caso in esame, necessaria alla realizzazione di uno degli obiettivi della Comunità12.

Va innanzitutto osservato che, al momento della decisione, non esisteva alcun atto di legislazione interna adottato dalle istituzioni della Comunità. Dunque, la natrici, sulla base delle quali erano stati imputati due pescatori danesi.

9 Competenza che, secondo la Corte, si sovrappone ad una «analoga competenza» spet- tante agli Stati inforza del diritto internazionale pubblico. CGUE, cause riunite C-3, C-4 e C-6/76, Cornelis Kramer e altri, sentenza del 14 luglio 1976, punto 31.

10 Cfr. punto 39 della sentenza.

11 Cfr. il punto 40 della sentenza. Tali obblighi discendevano anche dall’allora art. 116 TCE, relativo alle posizioni comuni da assumere nell’ambito di organizzazioni internazio- nali di carattere economico.

12 CGUE, Parere 1/76, Accordo relativo all’istituzione di un Fondo europeo d’immobi-

competenza esterna veniva ricondotta direttamente alla sola esistenza di una pre- visione del Trattato che attribuisse alla Comunità una competenza interna, così so- stanzialmente confermando che una competenza esterna sussiste indipendentemen- te dall’adozione di regole comuni sul piano interno. Il parere conteneva certamente un criterio teso a mitigare la portata del principio: in tanto si poteva desumere l’esistenza di una competenza esterna dalla presenza di disposizioni relative alla competenza interna, in quanto la conclusione di un accordo internazionale fosse necessaria a realizzare un obiettivo della Comunità13.

Il principio del parallelismo ha trovato piena e definitiva conferma nel parere 2/91, in cui alla Corte era stato chiesto di accertare l’esistenza di una competenza esterna a concludere la Convenzione n. 170 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), in materia di uso di sostanze chimiche nei luoghi di lavoro14. In questo caso, la Corte si è limitata a richiamare la sua precedente giurisprudenza e a sancire – invero in maniera piuttosto laconica – la validità del principio del paralle- lismo tra competenze interne e competenze esterne15.

L’esistenza di una competenza esterna dell’Unione determina dunque una pa- rallela compressione del potere estero degli Stati. Nel Parere 1/94, relativo alla adesione della Comunità agli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), la Corte ha infatti precisato che, sulla base della sentenza AETS,

gli Stati membri, indipendentemente dal fatto che agiscano individualmente o collettiva- mente, perdono il diritto di contrarre obblighi con i paesi terzi soltanto a mano a mano che sono stabilite norme comuni su cui detti obblighi potrebbero incidere16.

Oggi, una generale competenza a concludere accordi internazionali è stata codi- ficata dall’art. 216 TFUE, si sensi del quale

13 Commentando il parere reso dalla Corte, autorevole dottrina ha rilevato che la sola esistenza di una competenza “virtuale” in un determinato settore è di per sé sufficiente a fondare una competenza esterna in quello stesso settore, anche se non ancora esercitata sul piano interno. Cfr. P. pescatore, External Relations in the Case-Law of the Court of Justice

of the European Communities, in Common Market Law Review, 1979, 621.

14 Si trattava però di un accordo che la Comunità non avrebbe potuto comunque con- cludere, in quanto aperto all’adesione di soli Stati. L’accordo, oggi non ancora concluso, costituisce un esempio rilevante di rappresentanza dell’Unione per il tramite dei propri Stati membri, su cui vedi infra, in questo Capitolo, par. 3.

15 CGUE, Parere 2/91, Convenzione n. 170 dell’Organizzazione internazionale del lavo-

ro in materia di sicurezza durante l’impiego delle sostanze chimiche sul lavoro, reso il 19

marzo 1993, punti 15-17.

16 CGUE, Parere 1/94, Competenza della Comunità a stipulare accordi internazionali in

materia di servizi e di tutela della proprietà intellettuale, reso il 15 novembre 1994, punto

[l]’Unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi o organizzazioni interna- zionali qualora i trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria

per realizzare, nell’ambito delle politiche dell’Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati,

o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell’Unione, oppure possa incidere su norme

comuni o alterarne la portata.

La norma codifica in realtà diverse ipotesi in cui può ritenersi sussistente una competenza implicita dell’Unione a concludere accordi internazionali, in particola- re quella in cui la conclusione dell’accordo sia necessaria per raggiungere uno degli obiettivi previsti dai Trattati e quella in cui la conclusione sia stata espressamente prevista da un atto di diritto derivato. La giurisprudenza è costante nel ribadire che tali ipotesi costituiscono i presupposti necessari ai fini del solo accertamento di una competenza implicita, mentre un’indagine diversa dovrà poi essere condotta per valutare la natura di tale competenza17. A questo proposito, va osservato che l’ulteriore ipotesi di competenza implicita di cui all’art. 216 TFUE e, segnatamente, quella in cui l’accordo internazionale sia suscettibile di incidere su norme comuni dell’Unione o alterarne la portata, sembrerebbe il frutto di una confusione tra la sussistenza della competenza e la sua natura. La dottrina maggioritaria ha, infatti, rilevato che si tratterebbe in realtà di un presupposto in presenza del quale poter riconoscere la natura esclusiva di una competenza già accertata. Secondo tale posi- zione, sarebbe quantomeno dubbio che un accordo incidente su norme comuni pos- sa determinare l’insorgere di una competenza implicita dell’Unione, a prescindere dalla sua necessità per la realizzazione di una delle finalità del Trattato18.

Emerge chiaramente dal breve quadro fin qui tratteggiato che la vera preoccu- pazione della Corte rispetto all’esercizio da parte degli Stati membri del proprio potere estero risiedeva soprattutto nella necessità di garantire l’integrità e l’effica- cia delle norme interne dell’Unione e il pieno esercizio delle competenze attribuite all’organizzazione. Tali esigenze, del resto, sono alla base anche dell’elaborazione giurisprudenziale circa i presupposti di individuazione di competenze esclusive e del meccanismo della pre-emption.

17 V. in particolare CGUE, causa C-459/03, Commissione c. Regno Unito (Mox Plant), sentenza del 30 maggio 2006, punto 93. Sul punto cfr. inoltre A. dashWood, The Attribution

of External Relations Competence, in A. dashWood, c. hillion (a cura di), The General

Law of EC External Relations, Londra 2000, 115 ss.

18 In questo senso cfr. M. creMona, Defining Competence in EU External Relations:

Lessons from the Treaty Reform Process, in A. dashWood, M. Maresceau (a cura di),

Law and Practice of EU External Relations: Salient Features of a Changing Landscape,

Cambridge 2008, 58; C. hillion, r.a. Wessel, Restraining External Competences of EU

Member States, in M. creMona, B. de Witte (a cura di), EU Foreign Relations Law:

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