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Le posizioni espresse durante i lavori preparatori della Commissione di diritto internazionale e la Conferenza di Vienna

Efficacia dei trattati e conflitti normativi nel diritto internazionale

2. Il principio di inefficacia dei trattati internazionali nei confronti dei terz

3.1. Le posizioni espresse durante i lavori preparatori della Commissione di diritto internazionale e la Conferenza di Vienna

Sebbene sia l’art. 30 della Convenzione a disciplinare espressamente il caso di successione di trattati che abbiano il medesimo oggetto, vi sono altre norme che vengono in rilievo per la soluzione di conflitti normativi e per la tutela dei terzi. Ciò può spiegarsi in ragione del fatto che non sempre il rapporto tra due trattati dovrà risolversi alla luce di uno dei criteri normalmente adottati dagli ordinamenti interni per la soluzione delle antinomie. Per questi motivi, dunque, già durante i lavori di codificazione della Commissione di diritto internazionale, alcuni membri, tra cui il relatore Ago, avevano espresso perplessità sulla rilevanza stessa del tema, ritenen- do che la soluzione al problema potesse rinvenirsi in altre regole. Allo stesso modo, si era sostenuta l’irrilevanza di una norma ad hoc per i conflitti tra trattati, poiché sarebbe stato difficile ipotizzare che gli Stati tenessero, sul piano internazionale, comportamenti contraddittori o che esprimessero posizioni e volontà contrastanti50. Probabilmente per le medesime ragioni, il primo special rapporteur sul diritto dei trattati non prese nemmeno in considerazione l’ipotesi di codificare una regola attinente al conflitto tra trattati. Fu il secondo special rapporteur, Lauterpacht, ad affrontare la questione, adottando fin dall’inizio un criterio cronologico e, dunque, ritenendo che, nel caso di trattati successivi incompatibili, quello successivo doves- se ritenersi invalido o, quantomeno, cedere rispetto a quello precedente. Lauterpacht aveva già espresso questa posizione nella prima versione dell’art. 16, affermando che un trattato il cui adempimento imponesse la violazione di un altro trattato – già esistente – avrebbe dovuto ritenersi necessariamente invalido. La rigidità della re- gola era, in realtà, attenuata dalle disposizioni dei paragrafi successivi, nelle quali si precisava che l’invalidità avrebbe operato soltanto se la violazione fosse stata tale da provocare una seria interferenza negli interessi delle altre parti contraenti o da pregiudicare l’originale obiettivo del trattato. Il paragrafo 4, invece, prevedeva una vera e propria eccezione alla regola dell’invalidità, riferita alle ipotesi di trattati multilaterali “legislativi”, i quali cioè pongano regole di portata tanto generale da influire sull’intera Comunità internazionale o che comunque siano stato conclusi nell’interesse collettivo degli Stati51. In alcuni scritti successivi, Lauterpacht rese 50 Cfr. CDI, 687th meeting, in Yearbook of International Law Commission, 1963, vol. I, 91-92.

51 Si fa espressa menzione, quale caso emblematico, della Carta delle Nazioni Unite. Cfr. CDI, 5th meeting, in Yearbook of the International Law Commission, 1953, vol. II, 93,

chiaro il presupposto da cui muoveva la sua proposta: secondo l’Autore, in forza del principio pacta sunt servanda, attributivo del carattere vincolante ai trattati in- ternazionali, fintanto che questi sono in vigore, regolano non soltanto la condotta delle parti, ma altresì la loro “capacità contrattuale”. Sarebbero, dunque, i singoli strumenti convenzionali a costituire la fonte dell’eventuale invalidità di accordi successivi incompatibili52.

Nella versione successiva della proposta di codificazione della regola, questa appare temperata dalla considerazione in base alla quale la sanzione dell’invalidità non travolgerebbe l’intero accordo, ma soltanto la parte di esso che sia incom- patibile con il trattato precedente, fermo il limite implicito per i casi in cui tale invalidità, seppur parziale, non sia suscettibile di rendere inefficace l’intero regime convenzionale53. Inoltre, accanto a tale precisazione, lo special rapporteur aveva osservato che l’invalidità avrebbe operato non automaticamente, ipso iure, ma sol- tanto se invocata dall’altra parte e che essa si sarebbe configurata come un’invali- dità relativa, nel senso di operare soltanto con riferimento al singolo rapporto tra i due trattati. Il trattato successivo, cioè, avrebbe mantenuto la sua generale validità rispetto a tutti gli altri trattati.

Il rigore delle norme proposte da Lauterpacht non fu adottato da Fitzmaurice54, succedutogli in qualità di special rapporteur sul diritto dei trattati, la cui visio- ne appare maggiormente legata alle posizioni espresse da Rousseau. Muovendo dall’assunto che il trattato, costituendo res inter alios acta, potesse produrre effetti soltanto tra le parti – regola poi codificata dall’art. 34 della Convenzione di Vienna nonché il commento alla disposizione, 156 ss.

52 «They prevent, in law, the effective rise of obligations inconsistent with their provi- sion». Cfr. H. lauterpacht, Contracts to Break a Contract, in H. lauterpacht, International

Law: Collected Papers. Volume 4: The Law of Peace, Cambridge 1973, 375. Si tratta di una

posizione ben più rigida di quella sostenuta da alcuni Autori precedenti. Rousseau, ad esem- pio, aveva ritenuto che la regola dell’invalidità avrebbe potuto trovare applicazione solo nei casi in cui l’accordo successivo incompatibile fosse stato concluso in mala fede da una delle parti, con la consapevolezza, cioè, della sua contrarietà ad un trattato precedente. Nel caso di conclusione in buona fede di un trattato successivo incompatibile, l’unico rimedio dato all’altra parte avrebbe dovuto essere quello della compensazione. V. C. rousseau, De

la compatibilité des normes juridiques contradictoires dans l’ordre international, in Revue général de droit international public, 1932, 133 ss. Va notato che anche l’argomento di

Lauterpacht si basava sul principio di buona fede – che deve naturalmente informare la condotta degli Stati anche durante le fasi di negoziazione dell’accordo – con risultati radi- calmente opposti. V. CDI, 5th meeting cit., 156.

53 Cfr. H. lauterpach, Second Report on the Law of Treaties, doc. A/CN.4/87, in

Yearbook of the International Law Commissione, 1954, vol. II, 134.

54 Cfr. K. odendahl, Article 30, in O. dörr, k. schMalenBach (a cura di), Vienna

– egli propose una distinzione, oggi ancora presente, fondata sul profilo soggettivo del rapporto giuridico. Il trattato successivo incompatibile concluso tra le medesi- me parti avrebbe dovuto prevalere rispetto a quello precedente, mentre nel caso in cui le parti fossero state diverse, avrebbe trovato applicazione quello precedente, senza, però, che ciò determinasse al tempo stesso l’invalidità di quello successivo. Questa conclusione lasciava naturalmente impregiudicato il profilo risarcitorio del- la vicenda, sì che lo Stato che aveva concluso il trattato incompatibile avrebbe do- vuto compensare la parte che a causa di tale conclusione aveva sofferto un danno, tendenzialmente collegato all’inadempimento degli obblighi convenzionali della controparte55.

Diversa la soluzione proposta per i trattati multilaterali, in particolare per i trat- tati successivi che avessero coinvolto solo alcuni Stati parte. Se, infatti, alcune parti di un trattato multilaterale avessero voluto concludere tra loro un accordo modificativo – o comunque un regime a carattere speciale – questo non avrebbe prodotto alcun effetto sulle altre parti, nei confronti delle quali avrebbe continuato a trovare applicazione l’accordo multilaterale precedente. Ciò, ovviamente, a patto che le modifiche o i regimi speciali che avessero coinvolto solo alcune parti non fossero proibite dall’accordo precedente o non recassero un pregiudizio a detto ac- cordo, ad esempio impedendone l’adempimento e l’operatività. Tale meccanismo, comunque, non avrebbe operato con riferimento a trattati multilaterali che avesse- ro istituito regimi obiettivi o creato obblighi collettivi (cioè obblighi erga omnes partes)56. Particolarmente rilevanti sono alcune considerazioni pratiche espresse da Fitzmaurice con riferimento al fatto che, a differenza di quanto Lauterpacht aveva proposto circa l’invalidità, l’aver spostato il baricentro dei criteri di soluzione dei conflitti tra trattati sul versante risarcitorio determinava inevitabilmente che fosse in ultima istanza lo Stato interessato a decidere quale trattato applicare e, dunque, quale obbligo adempiere.

In questa prospettiva, le conseguenze derivanti dalla conclusione di accordi suc- cessivi incompatibili non attenevano affatto alla limitata “capacità contrattuale” cui Lauterpacht faceva riferimento, non potendo l’ordinamento internazionale limitare 55 G. FitzMaurice, Third Report on the Law of Treaties, doc. A/CN.4/115, in Yearbook of

the International Law Commission, 1958, vol. II, art. 18.

56 G. FitzMaurice, Third Report cit., art. 19. Anche in questo caso, comunque, si era

cercato un temperamento, ritenendo che il conflitto tra l’accordo modificativo e quello ori- ginario dovesse configurarsi come un «material conflict». V. G. FitzMaurice, Third Report

cit., 44. Per regimi obiettivi si intendono quelli di origine convenzionale relativi all’utilizzo

di una determinazione porzione di territorio. V. sul punto E. zaMuner, I trattati che creano

regimi obiettivi nel diritto internazionale, in Comunicazioni e Studi, vol. XXIII, 2007, 941

ss.; F. salerno, Treaties Establishing Objectives Regimes, in E. cannizzaro (a cura di),

The Law of Treaties Beyond the Vienna Convention, Oxford 2011, 225 ss. Sulla nozione di

la scelta dello Stato di dare seguito ad un obbligo internazionale a discapito di un altro incompatibile col primo57. Anche nel successivo rapporto Fitzmaurice man- tenne ferma la propria impostazione, ribadendo ancora una volta come il principio di inefficacia dei trattati verso i terzi rendesse impossibile prevedere un’invalidità generale che pregiudicasse anche i diritti di questi.

La distinzione proposta da Fitzmaurice in merito ad accordi bilaterali o comun- que soggetti a condizione di reciprocità e accordi istitutivi di regimi integrali o di regimi obiettivi, anche in ordine alle conseguenze sul piano dell’invalidità dei medesimi, non fu accolta dallo special rapporteur successivo. Secondo Waldock, il conflitto tra norme pattizie previste da trattati diversi non poneva alcuna questione di validità, dovendo essere invece risolta alla luce dei principi generali in tema di interpretazione e applicazione dei trattati, nonché delle regole previste per la revisione e l’estinzione degli stessi58. Non vi era, secondo quest’interpretazione, alcuna necessità di prevedere una norma speciale sul conflitto tra trattati e, di con- seguenza, fu proposto di inserire una disposizione che, pur con alcune eccezioni, espressamente escludesse l’ipotesi che il conflitto tra due trattati successivi nel tem- po potesse produsse una qualsivoglia forma di invalidità59.

La questione del conflitto tra trattati fu affrontata soltanto nel 1963 dalla CDI, con riferimento alla proposta avanzata da Waldock, in base alla quale non sareb- be stata inserita alcuna clausola di invalidità, dovendosi il problema risolvere alla luce di un criterio di priorità60. La proposta incontrò, in effetti, il favore della Commissione, che fu approvata con novanta voti favorevoli e nessun voto contra- rio, sebbene con quattrodici astensioni, che riflettevano i dubbi di alcuni Stati circa la rilevanza pratica della disposizione61. Non erano mancate, comunque, alcune 57 G. FitzMaurice, Third Report cit., 42, in cui si usa la locuzione «power of election»

rispetto alla facoltà di scelta dello Stato.

58 H. Waldock, Second Report cit., 53-54. Fu proprio in questa sede che emersero alcu-

ne posizioni – in particolare sostenute da Ago e da Bartos - che prospettavano l’irrilevanza di una norma ad hoc della futura Convenzione sui conflitti tra trattati.

59 Si trattava della bozza dell’art. 14, poi divenuto art. 65, inserito nella sezione relati- va all’applicazione dei Trattati. V. H. Waldock, Second Report cit., 53, nonché id., Third

Report on the Law of Treaties, doc. A/CN.4/167, in Yearbook of the International Law Commission, 1964, vol. II, 34. L’art. 65 costituì una delle basi per la redazione dell’art.

26 della versione finale della Convenzione di Vienna adottata nel 1966. V. K. odendahl,

Article 30 cit., 508.

60 CDI, 685th meeting, in Yearbook of the International Law Commission, 1963, vol. I, 78.

61 Sul punto M.E. villiger, Commentary cit., 401. La dottrina, ancora prima dell’ado-

zione del testo finale della Convenzione, aveva già rilevato una sorta di climax discendente dalle posizioni espresse da Lauterpacht a quelle infine adottate dalla Commissione. Mentre nella proposta del primo la regola generale sarebbe stata l’invalidità, la Commissione adot-

critiche nei confronti della formulazione della norma, ritenuta da alcuni eccessi- vamente generale, nonché verso la mancata specificazione del carattere residuale delle regole poste dal futuro art. 3062. Qualche perplessità era stata espressa anche sulla scelta di fondo di lasciare che il conflitto tra trattati venisse risolto sul piano delle conseguenze dell’inadempimento degli obblighi in essi contenuti – dunque della responsabilità - invece che sul piano della validità63.

Alla Conferenza di Vienna la norma fu ancora sottoposta a revisioni, anche sotto la spinta di chi riteneva che alcuni elementi di essa lasciassero aperte numerose questioni interpretative64. Per ovviare ad alcune di queste difficoltà, fu infine in- serita la disposizione che conferiva alla regola carattere residuale, oggi contenuta nell’art. 30, par. 2, in base alla quale quando un trattato contenga specifiche clau- sole circa la compatibilità con altri trattati, queste dovranno prevalere rispetto alle regole della Convenzione di Vienna.

tò un testo molto distante da una tale ipotesi, nel quale la questione era affrontata unica- mente dalla prospettiva dell’applicabilità dei trattati confliggenti. Cfr. J.H.F. van panhuys,

Conflicts between the Law of the European Communities and Other Rules of International Law, in Common Market Law Review, 1965-1966, 420 ss.

62 Secondo Rosenne, ad esempio, sarebbe stato opportuno inserire una disposizione che esortasse gli Stati a regolare i rapporti tra i propri trattati – precedenti o successivi – con specifiche clausole ad hoc. V. CDI, 687th meeting, cit., 89.

63 Cfr. CDI, 687th meeting cit., 93. La posizione, espressa da Tunkin, fu poi presa in considerazione successivamente, quando venne proposta una modifica delle norma per in- trodurre una disposizione ulteriore, in base alla quale, nel caso di un trattato successivo che imponesse alle parti una violazione di un trattato precedente, di gravità tale da frustrare l’oggetto e lo scopo del trattato medesimo, qualunque parte del trattato precedente, che avesse subito un grave danno ai propri interessi, avrebbe avuto titolo per invocare la nul- lità del trattato successivo. Cfr. CDI, 703rd meeting, in Yearbook of the International Law

Commission, 1963, vol. I, 196 ss. È di tutta evidenza che la disposizione, così formulata,

consisteva in un ritorno ad una delle prime posizioni espresse da Lauterpacht e incontrò, in- fatti, le medesime obiezioni, con riferimento, in particolare, alla difficoltà di identificazione dei modi per invocare la nullità, alla eccessiva genericità della nozione di “interesse” (per Lauterpacht la regola si sarebbe applicata solo nel caso di pregiudizio ai diritti delle altre parti) e al rischio che una regola siffatta impedisse lo sviluppo e l’evoluzione del diritto internazionale.

64 Si faceva, ad esempio riferimento alla difficoltà di identificare un significato univoco nella locuzione «same subject-matter», così come alcune criticità emergevano anche rispet- to alla distinzione tra trattati precedenti e trattati successivi, con particolare riferimento al momento di conclusione degli stessi. V. United Nations Conference on the Law of Treaties,

First Session, Vienna 26 March – 24 May 1968, 31st meeting, doc. A/CONF.39/11, 165; v.

anche United Nations Conference on the Law of Treaties, Second Session, Vienna 9 April –

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