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La distinzione tra obblighi ed effetti indiretti derivanti per il terzo dal trattato

Efficacia dei trattati e conflitti normativi nel diritto internazionale

2. Il principio di inefficacia dei trattati internazionali nei confronti dei terz

2.2. La distinzione tra obblighi ed effetti indiretti derivanti per il terzo dal trattato

La questione circa la definizione della nozione di obbligo assume, come già si è osservato, una certa rilevanza per l’analisi del principio, poiché essa dovrebbe con- sentire di identificare le ipotesi in cui gli effetti negativi, indirettamente derivanti per il terzo dalla conclusione del trattato, non siano riconducibili ad una violazione dell’art. 34. Già la dottrina più risalente aveva, infatti, evidenziato che gli Stati terzi non dovrebbero interferire con l’esecuzione di un accordo ad essi estraneo, a meno che questo non sia illegittimo per il diritto internazionale o non leda i loro diritti acquisiti32.

A parere della dottrina, si potrebbe tentare di tracciare una distinzione tra ob- blighi e altri pregiudizi indiretti fondata sul grado di intensità degli effetti negativi prodotti nei confronti di un terzo da un accordi internazionale, così da individuare tre ipotesi differenti di situazioni che potrebbero prodursi, vale a dire quella in cui emerga, a carico dello Stato terzo, un obbligo internazionale in senso stretto, una mera condizione di sfavore o, infine, un obbligo indiretto33.

La prima ipotesi è all’evidenza la meno problematica, ma anche la più rara. È difficilmente ipotizzabile che un trattato ponga espressamente in capo a un terzo un obbligo di fare o non fare qualcosa. In un caso del genere, comunque, a prescindere dalla possibilità di considerare invalida la norma del trattato, questo risulterebbe certamente inopponibile al terzo e gli Stati parte dell’accordo non potrebbero esi- gere dal terzo alcun comportamento.

Sul versante opposto si colloca l’ipotesi di conseguenze pregiudizievoli deri- vanti per il terzo dalla conclusione di un trattato tra due Stati. In questo caso, la tutela data al terzo non potrebbe in alcun modo operare, trattandosi di circostanze produrre dei benefici per il popolo sahrawi non è di per sé sufficiente ad integrare l’obbligo di consultazione della popolazione previsto dal diritto consuetudinario.

32 V. R.F. roxenBurgh, International Convention and Third States, Londra/New York

1917, 32. V. più recentemente T. schWeisFurth, International Treaties and Third States, in

Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht, 1985, 655 ss. 33 V. A. proeless, Article 34 cit., 612 ss.

meramente fattuali, che non incidono sulla sua posizione giuridica. Considerare, viceversa, applicabile l’art. 34 a ipotesi di questo genere produrrebbe un’indebita compressione della autonomia negoziale degli Stati, ai quali non può essere chiesto di tenere in conto, in ogni circostanza, gli interessi generici di Stati terzi. Diversa sarebbe all’evidenza la situazione in cui uno Stato concluda un accordo con un altro Stato in violazione di un pactum de non contrahendo concluso precedentemente con un terzo Stato34.

Tra i due estremi, invece, si collocano tutte quelle ipotesi in cui un accordo internazionale produca degli effetti indiretti, apprezzabili in termini giuridici, per i terzi. Si pensi, a titolo di esempio, al caso di accordi che contengano una c.d. no more favourable treatment clause, quali la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (Convenzione Marpol 73/78) e la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (Convenzione solas)35. non si tratta di veri e propri obblighi posti in capo a terzi, quanto, piuttosto, di un’estensione dell’applicabilità di un trattato a situazione che coinvolgono i diritti dei terzi (si pensi proprio al caso della nave battente ban- diera di uno Stato terzo). Intesa in senso restrittivo, la nozione di obbligo certamen- te precluderebbe l’operatività di siffatte clausole in forza del principio di relatività dei trattati36. Una parte della dottrina, invece, ha proposto una lettura più ampia, tale da ricomprendere anche queste situazioni nell’ambito di applicazione del prin- cipio di inefficacia dei trattati verso i terzi. In altre parole, il principio dovrebbe operare nel senso di escludere non soltanto la possibilità di porre obblighi in capo a un terzo tramite un accordo internazionale, ma altresì di opporre un tale accordo ai terzi quando ciò sia suscettibile di pregiudicare i loro diritti. Dal punto di vista dello Stato terzo, infatti, non fa alcuna differenza che l’accordo ponga direttamente in capo ad esso degli obblighi o che gli Stati parte dell’accordo siano tenuti ad ap- plicarne le norme anche nei suoi confronti37.

34 Anche in questo caso, comunque, si tratterebbe soltanto di un illecito commesso ai danni dello Stato con cui il pactum è stato stipulato.

35 Cfr. art. 5, par. 4 della Convenzione Marpol 73/78, ai sensi del quale «[w]ith respect to the ship of non-Parties to the Convention, Parties shall apply the requirements of the present Convention as may be necessary to ensure that no more favourable treatment is given to such ships»; art. II, par. 3 del Protocollo del 1978 alla Convenzione SOLAS: [w]ith respect to the ships of non-parties to the Convention and the present Protocol, the Parties to the present Protocol shall apply the requirements of the Convention and the present Protocol as may be necessary to ensure that no more favourable treatment is given to such ships».

36 Questa la posizione di una parte consistente della dottrina. V., per i necessari riferi- menti, A. proeless, Article 34 cit., 614.

37 A. proeless, Article 34 cit., 614. Nel caso delle convenzioni Marpol 73/78 e SOLAS,

poi, il problema sarebbe facilmente superabile quando si consideri che, generalmente, l’a- dempimento delle norme convenzionali, anche nei confronti di navi battenti bandiera di

In questo senso sembra essersi orientata, ancora di recente, la CIG, laddove, nel caso di una controversia sulla delimitazione della piattaforma continentale e della zona economica esclusiva tra Nicaragua e Colombia, ha osservato che

[i]t is a fundamental principle of international law that a treaty between two States cannot, by itself, affect the rights of a third State. As the Arbitral Tribunal in the Island of Palmas

case put it, “it is evident that whatever may be the right construction of a treaty, it cannot be

interpreted as disposing of the rights of independent third Powers”38.

La situazione, in particolare, riguardava alcuni accordi bilaterali della Colombia con la Giamaica e il Costa Rica, in base ai quali si riconosceva l’esistenza di una delimitazione delle aree sottoposte alla giurisdizione colombiana in parte coincidenti con quelle di spettanza del Nicaragua. La Corte, facendo applicazione del principio di inefficacia dei trattati verso i terzi così declinato, ha potuto concludere che

[i]n accordance with that principle, the treaties which Colombia has concluded with Jamai- ca and Panama and the treaty which it has signed with Costa Rica cannot confer upon Co- lombia rights against Nicaragua and, in particular, cannot entitle it, vis-à-vis Nicaragua, to a greater share of the area in which its maritime entitlements overlap with those of Nicaragua than it would otherwise receive39.

Dunque, stando all’interpretazione della Corte – che ci appare condivisibile – il principio opererebbe nel senso di rendere inopponibili nei confronti del terzo, perché inefficaci, i trattati conclusi con altri Stati, quando ciò si risolverebbe in un uno Stato terzo, si realizza nelle acque dello Stato costiero in cui questo esercita la propria giurisdizione. Diverso sarebbe se uno Stato parte delle convenzioni pretendesse di appli- carle a imbarcazioni di Stati terzi in alto mare, dove vige il generale principio della libertà di navigazione dei mari. Sul punto v. in generale G. handl, Regional Arrangements and

Third State Vessels: Is the pacta tertiis Principle Being Modified?, in H. ringBoM (a cura

di), Competing Norms in the Law of Marine Environmental Protection, Londra 1997, 217 ss. Un problema simile è stato sollevato anche dagli Stati Uniti con riferimento alla giuri- sdizione della Corte penale internazionale ai sensi dell’art. 12, par. 2 dello Statuto di Roma, che concerne le ipotesi di crimini commessi sul territorio di Stati parte allo Statuto da parte di cittadini di Stati non parte. L’argomento secondo il quale la norma violerebbe il principio di inefficacia dei trattati verso i terzi è all’evidenza priva di fondamento, poiché il diritto internazionale generale contempla il diritto di uno Stato ad esercitare la propria giurisdi- zione sul suo territorio, senza che la nazionalità dell’individuo assuma rilievo. Da questo deriverebbe, poi, il contestuale diritto dello Stato territoriale a rinunciare all’esercizio della propria giurisdizione in favore della Corte penale internazionale.

38 CIG, Territorial and Maritime Dispute (Nicaragua v. Colombia), sentenza del 9 no- vembre 2012, par. 227.

pregiudizio per i suoi diritti.

Naturalmente, la distinzione tra effetti sfavorevoli riflessi e pregiudizio per i diritti dei terzi potrebbe non essere sempre così agevole. La dottrina ha proposto di guardare all’intensità degli effetti negativi per valutare l’applicabilità o meno dell’art. 34 a determinate fattispecie. Si è sostenuto, inoltre, che l’inopponibilità del trattato nei confronti dei terzi si realizzerebbe soltanto quando siano pregiudicati i suoi diritti essenziali quale Stato sovrano, quali indipendenza, integrità territo- riale, esercizio della giurisdizione40. Per quanto ispirata da esigenze di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici, una tale interpretazione sembrerebbe restringere eccessivamente l’operatività del principio in esame.

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