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Le tombe della necropoli del Plemmyrion sono per la maggior parte del tipo a grotticella artificiale2. L’ingresso avviene mediante un pozzetto verticale a sezione quadrata o tra- pezioidale oppure tramite un piccolo dromos e ingresso a padiglione.

La camera funeraria ha pianta circolare o sub-circolare, e basso soffitto a calotta o in alcuni casi piano. Le pareti delle celle presentano quasi tutte dei nicchioni, che variano in numero da uno fino ad un massimo di otto, alcuni forniti di capezzale. Infine, alcune celle presentano intorno alle pareti una banchina.

La tomba a grotticella artificiale caratterizza la tradizione architettonica locale della Sicilia, a partire dalla prima fase dell’età del Rame (inizi III millennio a.C.). Le nicchie sono una novità nel panorama dell’architettura funeraria, ma subito divenute comuni in quasi tutte le necropoli del Bronzo Medio. Quello che è interessante notare è la presenza, nella necropoli del Plemmyrion, in alcune nicchie di corniciature a rilievo con estremità apicata3. La cella della tomba XLIII è il solo caso di camera a profilo tholoide, con apice della volta sottolineato. Dal modello egeo-miceneo si acquista il profilo ogivale della volta e la sottolineatura dell’apex della tholos (di solito circoscritto da un sottile appiattimento, oppure reso con un incavo cilindrico/conico o con una calotta emisferica ribassata), che resteranno costanti in tutte le tholoi siciliane. La presenza del capezzale nella nicchia non è poi così diffusa: questo perché inizialmente lo scopo di questi spazi non era l’allog-

giamento del defunto, bensì la disposizione del corredo. Solo in un momento successivo, anche all’interno delle nicchie si dispongono i defunti, con il chiaro intento di isolarli da quelli deposti sul fondo. Anche la banchina è una novità frutto dei contatti con il mondo egeo-miceneo, e lo conferma il fatto che in quasi tutti i casi essa è presente in tombe dal profilo tholoide.

Rimangono ancora oggi aperte numerose questioni, a cominciare dal rapporto tra tombe a grotticella e strutture tholoidi di ambito egeo, tema sul quale è tornato in tempi recenti F. Tomasello introducendo l’ipotesi di maestranze specializzate (2004: 212). Solo così è possibile giustificare la presenza di tombe tholoidi anche in zone dell’entroterra siracusano, in cui è difficile supporre contatti diretti con il mondo miceneo: sono i grandi siti costieri che assimilano modelli allogeni, li fanno propri e li ritrasmettono alle altre comunità locali.

L’assenza di tholoi ‘canoniche’, e quindi costruite, può giustificarsi come una forma di attaccamento alla tradizionale tomba indigena scavata nella roccia, una forma di as- similazione della novità orientale che testimonia processi di ricettività delle popolazioni locali e non di acculturazione passiva. E al Plemmyrion questa vivacità la vediamo anche nella varietà tipologica funeraria, nei piccoli dettagli che differenziano una sepoltura dall’altra, segno di distinzione e di volersi accostare al mondo egeo, ma sempre all’inter- no di un’unica ideologia funeraria.

I materiali

a. Ceramica

La produzione ceramica della necropoli del Plemmyrion rientra nel repertorio tipico della facies di Thapsos (Voza 1980: 25-42), ampiamente documentata in altri contesti del Bronzo Medio siracusano quali il sito eponimo, Cozzo Pantano, Floridia, Matrensa, Molinello, per citare i più noti. Si tratta di ceramica di impasto bruno, di manifattura grossolana, con un'argilla poco depurata e ricca di inclusi calcarei o vulcanici; alla cot- tura l’argilla è di colore grigio-avana, lisciata e in qualche caso lustrata, con a volte la presenza di un sottile strato di ingubbiatura, ottenuta con argilla diluita. Il repertorio comprende i noti bacini su alto piede, bottiglie monoansate, coppette, tazze attingitoio, ollette globulari, pissidi con coperchio (Figure 1-2). Sono principalmente ceramiche da mensa, che richiamano l’ideologia del banchetto funebre e del pasto simbolicamente consumato con il defunto (Orsi 1891). Assai rari sono i motivi decorativi, in genere ad incisione prima della cottura, con elementi a bande verticali, festoni, fasci di linee, zig- zag, ed elementi a spina di pesce.

Alcuni frammenti riferibili ad anse, contraddistinti da un impasto più scuro e con super- fici lucidate a stecca, potrebbero essere ricondotte alla facies di Rodì–Tindari-Vallelunga4 (RTV) della Sicilia centro-settentrionale, lasciando intuire un inizio della frequentazione dell’area in un momento di transizione tra Bronzo Antico e Bronzo Medio 1.

Lasciando da parte il problema delle produzioni della ceramica di Thapsos e della sua possibile articolazione interna (Alberti 2004), occorre soffermarsi su alcuni manu- fatti per i quali il tema delle relazioni con il mondo egeo risulta più marcato. In tale pro- spettiva un esemplare assai interessante è la bottiglia della tomba XVI, a corpo ovoidale e decorazione a festoni (Figura 3). Il vaso, ad un primo esame autoptico, per l’impasto e il trattamento delle superfici, può essere ritenuto di fabbrica locale, ma la forma e il sistema

decorativo potrebbero essere accostate alla produzione Red Polished Ware cipriota (Des Gagniers e Karag 1976, tav. XLII-XLIV).

Figura 1. Bottiglia monoansata con decorazione incisa, dalla tomba IX.

Figura 3. Bottiglia monoansata di imitazione cipriota, dalla tomba XVI.

La brocchetta del Plemmyrion potrebbe, pertanto, rientrare in quella classe di pro- duzioni «pseudo-cipriote» (Karageorghis 1995) già note in altri contesti del distretto siracusano, come le tre brocchette White Shaved Ware provenienti da Thapsos (Voza 1973: nos. 87, 118), due dalla tomba D e una dalla tomba A1, insieme ai due Base Ring

II Ware sempre dalla Tomba D. Le medesime classi si ritrovano nel corredo della tomba

a grotticella di Siracusa (Pelagatti e Voza 1973: 81-82): un vasetto White Shaved e uno

Base Ring II, associati a ceramica locale del Bronzo Medio, ad un alabastron TE IIIA2

e ad un sigillo in steatite5 per il quale è stata proposta una provenienza proprio da Cipro. Occorre, dunque, rivedere, anche alla luce dei nuovi dati dal Plemmyrion, il ruolo esercitato da Cipro e, più in generale, dal Mediterraneo orientale, nel sistema di trasmis- sione di modelli che ancora oggi continuiamo a classificare genericamente come ‘egei’ (D’Agata 2000; Vagnetti 2001).

Il discorso non può certo essere limitato alla costa orientale della Sicilia, ma deve essere esteso anche ad altri comprensori, in particolare l’area agrigentina, dove il sito di Cannatello offre inattesi spunti di riflessione per valutare, anche in termini quantitativi, la cospicua presenza di prodotti riconducibili a fabbriche del Levante (De Miro 1999)6.

Dalla tomba XXIII del Plemmyrion proviene una brocchetta monoansata con vasca globo-ovoidale schiacciata e fondo umbelicato (Figura 4). La superficie lisciata e lustrata, con ingobbio di vernice rosso scuro e l’argilla rossa depurata, uniformemente cotta, con- sentono di accostare l’esemplare siracusano ad una classe di brocchette d’importazione riconducibili alla classe maltese di Borg in-Nadur e largamente note in altre necropoli della costa orientale dell’isola (Tanasi 2008). In ambito maltese, inoltre, la brocchetta dal Plemmyrion trova un confronto con un esemplare di Ghar Dalam (Trump 2002: 253) e con due brocchette dal tempio di Borg in-Nadur (Murray 1923: tav. X-45). La brocchet- ta non è tra le tipologie ceramiche più rappresentative della cultura di Borg in-Nadur,

ma ben 14 esemplari sono stati trovati in Sicilia, e ciò la rende la forma più diffusa tra le ceramiche maltesi importate.

Figura 4. Brocchetta di importazione maltese appartenente alla facies di Borg in-Nadur, dalla tomba XXIII.

b. Metalli

La necropoli del Plemmyrion vanta una numerosissima documentazione relativa ad oggetti in bronzo, registrando un alto numero di armi, in particolare spade (Figura 5).

Per la struttura della lama, la costolatura e la foggia dell’elsa le spade del Plemmyrion rientrano nel tipo noto come Thapsos-Pertosa (Bianco Peroni 1970: 23), la cui cronologia è fissata dalla presenza di un esemplare nella tomba XXXVII di Thapsos (Orsi 1895), in associazione ad una brocca micenea (Taylour 1958: 23). Per le spade di tipo Thap- sos-Pertosa è stata proposta una derivazione da modelli egeo-micenei (Sandars 1961: 26-27). Nel suo studio sulle spade siciliane D’Agata mette in dubbio la derivazione del tipo Thapsos-Pertosa da modelli di origine micenea, a causa di alcune palesi differenze formali, per esempio la presenza in quelle siciliane della base a tre chiodi e la sezione romboidale della lama. La studiosa, propone, invece, una derivazione dall’ambiente ci- priota, in particolare con i pugnali tardo ciprioti di tipo 8 Maxwell-Hyslop e di tipo a Catling, anche se esistono delle differenze riguardo il diametro dei ribattini e nel profilo più rettangolare della lama (D’Agata 1986). Il centro di produzione di queste spade va ricercato nella Sicilia orientale, data la recenziorità di quelle nissene: nel comprensorio siracusano le spade sono associate a ceramica importata TE IIIA1-2, e questo colloca l’inizio della loro produzione alla metà del XIV sec. a.C.

Oltre alle armi da taglio, vanno annoverati tre piccoli strumenti di bronzo, di forma allungata a sezione rettangolare con un’estremità ricurva e l’altra lunata, che sono stati interpretati come scalpellini grazie ai confronti con strumenti simili dalla tomba XV di Ialysos (Benzi 1992: 180). Se guardiamo ai contesti del Bronzo Medio siciliano, quali Cozzo Pantano (Orsi 1893) e Thapsos (Orsi 1895), la foggia degli scalpelli risulta assai differente e, pertanto, i tre esemplari dal Plemmyrion risulterebbero al momento estranei alla tradizione metallurgica della Sicilia del Bronzo Medio e Tardo. Potrebbe trattarsi di manufatti di importazione ma, in attesa di più precise indagini archeometriche, non è possibile spingere il discorso più oltre.

Alcuni oggetti in bronzo come le fibule ad arco semplice, i rasoi, un vago di collana, i saltaleoni e gli anellini digitali si riferiscono alla fase di rioccupazione della necropoli nel corso del Bronzo Finale o Primo Ferro, come suggeriscono i confronti con le necro- poli di Cassibile (Turco 2000), Dessueri (Orsi 1913), Monte Finocchito (Frasca 1981) e Molino della Badia (Bernabò Brea-Militello-La Piana 1969).

c. Altri manufatti exotica

Dalla tomba XLVIII proviene un pettine in avorio, forse ricavato da una zanna di ele- fante, purtroppo non completamente integro, decorato con una spirale corrente (Figura 6). Nella Grecia micenea la lavorazione dell’avorio è una delle attività principali gestite dal Palazzo, come testimoniano le tavolette in Lineare B e i reperti provenienti ad es. dalle «Case degli Avori» di Micene. In Sicilia le prime sporadiche attestazioni di oggetti in avorio importati si datano proprio al Bronzo Medio, e sono i due pettini in avorio prove- nienti dal Plemmyrion e da Marcita di Castelvetrano (Tusa 1986) e l’impugnatura di lama dalla tomba XXIII di Cozzo Pantano (Orsi 1893). A queste bisogna aggiungere l’inedito pettine dall’area centro settentrionale dell’abitato di Thapsos7.

L’esemplare dal Plemmyrion appartiene, secondo la classificazione tipologica pro- posta da Bettelli e Damiani, ai pettini a contorno rettangolare: in questa categoria rien- trano anche il pettine di Marcita, quello di Madonna del Piano (tomba VI) e due pettini da Frattesina (Bettelli e Damiani 2005: 17-28) . Il pettine del Plemmyrion e quello di Marcita hanno, però, prototipi diversi: se l’esemplare di Castelvetrano richiama modelli ciprioti e levantini del Bronzo Tardo (Tusa 1986; Vagnetti 1986: 212 n. 42), per quello

del Plemmyrion Vagnetti ha ipotizzato una provenienza da ambiente miceneo, soprattutto per il motivo decorativo della spirale corrente. Ma lo stesso motivo decorativo si può ri- scontrare anche in un manufatto proveniente da Cipro, precisamente dalla tomba XI di Kalavassos-Aghios Dhimitrios: si tratta di un coperchio di pisside in avorio, che presenta nel bordo proprio l’identica spirale corrente contornata da fasce parallele (Karageorghis 2001: 28).

Figura 6. Pettine in avorio dalla tomba XLVIII.

Dal Plemmyrion provengono ben 165 perline in pasta vitrea (centoventuno solo dalla tomba XLVIII), che insieme alle più numerose documentate a Thapsos, costituiscono un’altra importante testimonianza del commercio con il mondo egeo-miceneo (Figura 7).

Le perline sono tutte di forma geometrica (biconiche, sferiche/ovoidali, a disco, glo- bulari, cilindriche, amigdaloidi) e rientrano nella tipologia di importazioni attestate a Milocca (Orsi 1903: 147) e soprattutto a Thapsos8 (Pelagatti e Voza 1973: 40, nn. 107- 112, 44, nn. 133-137). Le perline rientrano per forma e tipologia nei più comuni e dif- fusi vaghi d’ambra che circolano in tutto il Mediterraneo tra il TE IIIA-IIIC. Confronti puntuali per tutte le forme attestate al Plemmyrion si possono stabilire con le numerose e varie perline provenienti dalla necropoli di Ialysos, a Rodi (Benzi 1992: 195-197), in particolare la tomba LIII, in cui sono documentate perline di forma sferica (semplice e con striature), biconica con scanalature, anulare, discoidale e cilindrica con decorazione a reticolato9.

Di notevole importanza sono alcuni vaghi in ambra: due amber spacer beads dalla tomba X, sette perline di diversa forma dalla tomba XLVIII (Figura 8) e un altro vago di collana dalla tomba LIII. Nell’età del Bronzo Medio, con l’apertura dei mercati egeo-mi- cenei nel Mediterraneo Occidentale, anche il commercio dell’ambra subisce un notevole incremento. Oltre alle perline dal Plemmyrion, una buona documentazione offrono Thap- sos (Orsi 1895; Pelagatti e Voza 1973: nn. 105-106), Valsavoia (Orsi 1902b), Cava Cana Barbara (Orsi 1902c), Molinello (Orsi 1902a), Portella di Salina presso Lipari (Bernabò Brea e Cavalier 1968: 163-167), e le recenti acquisizioni di Monte San Paolillo presso Catania (Tanasi 2010).

Figura 8. Perline in ambra dalla tomba XLVIII.

Rimane aperto il problema della provenienza dell’ambra impiegata nella produzione di ornamenti di prestigio nella Sicilia pre-protostorica (Cultraro 2007; Bellintani 2010). A fronte di discreti giacimenti di ‘simetite’ nella Sicilia orientale (Stoppani 1886), M. Cultraro, analizzando il problema di un distanziatore di collana dal Plemmyrion, oggi

perduto (Cornaggia Castiglioni e Calegari 1987), propone una provenienza dall’area cen- tro-europea, forse dalle coste meridionali francesi (Cultraro 2007: 381-382). L’oggetto, su cui erano montate le perline di pasta vitrea ma di origine egea, confermerebbe quella tendenza locale a mescolare manufatti di provenienza differente, che venivano percepiti come exotica e destinati a personaggi di rango elevato.

Conclusioni

All’interno di un quadro abbastanza omogeneo tra le tombe che compongono la necro- poli del Plemmyrion, possiamo isolarne alcune che ‘emergono’ rispetto alle altre per la concentrazione di oggetti importati, in particolare le tombe X e XLVIII. La prima non ha restituito alcun materiale ceramico, ma in compenso si dimostra una delle più ricche per la presenza di diverse perline, grumi di bronzo e di ambra, un pugnale in bronzo e una lunga spada di probabile importazione. La tomba XLVIII è sicuramente la più ricca di tutte, poiché documenta non solo l’associazione di forme ceramiche quali il bacino, le tazze, la pisside e le ollette, importanti per la ricostruzione del rituale funerario, ma è proprio da questa sepoltura che provengono la maggior parte delle perline in pasta vitrea, gli unici vaghi di ambra, un piccolo gruppo di grumi di bronzo e il bellissimo pettine in avorio.

La necropoli del Plemmyrion si sviluppa contemporaneamente con gli altri insedia- menti costieri che interessano la fascia litoranea siracusana nel passaggio dal Bronzo Antico al Bronzo Medio 1.

La produzione ceramica locale risulta scarsamente caratterizzata e rientra tra le tra- dizionali fogge della classe di Thapsos, sia per morfologia che per sistemi decorativi.

Il continuo riuso di alcune tombe e soprattutto il saccheggio e/o distruzione di alcune di esse nel corso della spedizione ateniese (Orsi 1899) non consentono di definire con maggiore chiarezza le modalità di composizione dei corredi. Tuttavia, un dato appare assai certo: la modesta quantità, in quelle tombe non violate, di prodotti ceramici a cui si contrappone una ricca ed articolata presenza di manufatti in metallo o di altro materiale. Se osserviamo i dati relativi alla necropoli eponima di Thapsos (Orsi 1895), i corredi risultano dominati da fogge ceramiche, mentre assai limitati appaiono i ma- nufatti in metallo. Pur non escludendo anche per Thapsos fenomeni di depredazione o di differenti modalità di recupero dei corredi, l’abbondanza di materiale ceramico non trova alcun confronto al Plemmyrion. Quest’ultima evidenza troverebbe maggiori punti di contatto solo con alcune tombe della necropoli di Thapsos, le ricche strutture A e D che, non solo si distinguono per la significativa concentrazione di importazioni dall’area egeo-levantina, ma anche per una diversa disposizione topografica delle medesime strut- ture funerarie. Si potrebbe pensare, pertanto, anche per il Plemmyrion che le tombe più ricche fossero concentrate in specifiche porzioni della necropoli, forse in rapporto con eventuali divisioni e assegnazioni di lotti in base alla struttura interna dei gruppi sociali.

Appare sin da subito evidente come gli exotica (perline in pasta vitrea e ambra, pet- tine in avorio), in quanto categoria riservata a quegli individui di rango che avevano la possibilità di partecipare al meccanismo dello scambio, connotino tombe appartenenti ad una fascia della popolazione più ricca, una élite; alla stessa maniera, le spade con- tribuiscono a connotare una classe guerriera, certamente al vertice dell’organizzazione sociale, la stessa che gestisce i traffici commerciali e destinataria di tali beni.

Non vogliamo proporre una tesi con un argumentum ex silentio, ma sicuramente la comunità che abitava il Plemmyrion potrebbe essere stata uno dei partner diretti del commercio egeo-miceneo, al pari di Thapsos per l’area siracusana e del più complesso

emporion di Cannatello sulla costa centro-meridionale della Sicilia (De Miro 1999).

Note

1 Il presente lavoro nasce come approfondimento dell’argomento della tesi di laurea per il corso magistrale in Archeologia,

presso l’Università degli Studi di Palermo (anno 2013-2014), sotto la guida del prof. Massimo Cultraro (insegnamento di Archeologia Egea), con il quale è in preparazione l’edizione organica e completa dell’intero complesso. La mia gratitudine va, insieme al prof. Cultraro, anche alla dott.ssa Beatrice Basile, già direttore del Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi» di Siracusa, e alla dott.ssa Anita Crispino della medesima istituzione, per le agevolazioni nel lavoro di ricerca, identificazione e catalogazione del materiale. Un ringraziamento, infine, alla Prof.ssa Anna Margherita Jasink, per aver voluto accogliere il lavoro nel presente volume.

2 I dati relativi alle architetture delle necropoli si basano esclusivamente sulle notizie riportate da P. Orsi nei suoi due

saggi di scavo (Orsi 1891; 1899), mentre i materiali sono conservati al Museo Archeologico Regionale P. Orsi di Siracusa.

3 Per questa particolarità architettonica, che ritroviamo altrove solo nella tomba D di Thapsos e nella tomba XXIX di

Cozzo Pantano, Tomasello propone un confronto, anche se più tardo, con un modellino fittile di capanna proveniente da Polizzello (Tomasello 1995-96: 156).

4 Questa cultura si sviluppa nella Sicilia Nord-Orientale sul finire del BA, e mostra precoci caratteri di derivazione egea.

La cultura di RTV costituisce parte del background su cui si forma la successiva cultura di Thapsos; infatti, alla tradizione RTV si richiamano la superficie grigia e lustrata e alcune fogge ceramiche, in particolar modo le tazze.

5 Su quest’ultimo si può dire molto poco: di forma cilindrica (e questo forse renderebbe plausibile una provenienza da

ambiente cipriota o levantino), inedito. Non sembrano esserci prove di un suo utilizzo sfragistico; probabilmente aveva funzione di amuleto.

6 In merito a questo problema interessanti sono alcune affinità tra la produzione cipriota documentata a Cannatello

e alcuni ritrovamenti nella costa del Nord Africa: in particolare mi riferisco ad alcuni pithoi con decorazione wavy

grooves, attestate oltre che nel sito siciliano e a Cipro anche a Creta, nelle Isole Eolie (Portella di Salina), in Sardegna

(Nuraghe di Antigori) e sul litorale africano presso Marsa Matruth. Purtroppo il sito di Cannatello è ancora in parte inedito, ma l’inserimento della costa africana nel sistema di contatti che dall’Egeo raggiunge la Sicilia e la Sardegna è stato recentemente sottolineato da Cultraro, e potrebbe costituire una nuova frontiera di ricerca sul tema dei traffici egeo- micenei nel Mediterraneo centro-occidentale (Cultraro 2009).

7 Non esiste alcuna documentazione relativa a questo pettine, conservato al Museo Paolo Orsi di Siracusa. È a presa

rettangolare, mancante dei denti e purtroppo in pessimo stato. Le incrostazioni terrose sulla superficie non permettono di rilevare la possibile presenza di una decorazione incisa.

8 Dalla tomba XXIX provengono due perline, una in terracotta e una in vetro (Orsi 1895: 36); dalla tomba LXI un altro

gruppo di perline biconiche costolate, a dischetti e una amigdaloide, in pasta vitrea, osso e pietra dura (Orsi 1895: 53-54); dalla tomba D provengono duecentosettantadue perline anulari in osso, quarantotto biconico costolate in pasta vitrea azzurro-grigia, undici anulari in pietra rosso scuro e trenta in pasta vitrea color marrone, giallo e grigio (Pelagatti e Voza 1973: 40, nn. 107-112); infine dalla tomba A1 provengono ottantanove vaghi anulari in osso, trentasei in pasta vitrea con solcature verticali, un grano biconico in pietra verde scuro, un perla ovoidale in osso e un grano cilindrico in pietra dura