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Caratteristiche nautiche dell’approdo di Efestia

La penisola di Efestia domina il lato orientale del Golfo di Pournià e protegge, piegando ad est per più di un chilometro, uno specchio acqueo che è stato probabilmente usato come porto dalla media età del Bronzo fino alla piena età classica (Pavlopoulos, K., et

al.: 8-9). L’approdo meridionale di Koukonisisembrerebbe essere in stretto rapporto con il Golfo di Pournià e con l’area di influenza di Efestia (Figura 3a). I due abitati, infatti,

costituiscono gli estremi di un collegamento terrestre che taglia l’istmo dell’isola (la pia- na di Atsikì) e che consentirebbe di evitare una circumnavigazione dell’isola alquanto impegnativa, in particolare in presenza dei venti etesi (Agouridis 1997: 3-6; Papaghe- orgiou 1997: 425-427, fig. 2β; Neumann 1991: 94-97, fig. 1; Broodbank 2000: 92-94), sfruttando un percorso terrestre di poco più di 9 km, anche meno se si considera il tratto più corto che misura appena 3,8 Km (per una descrizione approfondita delle dinamiche di percorrenza marittima delle acque intorno all’isola di Lemno e sulle ipotesi di evolu- zione delle stesse, cfr. Coluccia 2012: 10-15).

Figura 3. Aspetti tecnico nautici della navigazione da/per/intorno Efestia (a) e Roca (b).

L’isola di Lemno, insieme a quelle di Imbro e Samotracia realizza un collegamento diretto all’area dello stretto dei Dardanelli (Chersoneso Tracico e Troade) separate, come sono, da tratti di mare modesti che non superano le 15 Miglia Marine (MM). Nel perio- do estivo le correnti muovono da est ad ovest consentendo una connessione marittima agevole dall’Anatolia in direzione di Lemno anche con canoe a remi (Papagheorgiou 1997: 424-442, fig. 5-7; Boulotis 1997: 258; Boulotis 2009: 178, fig. 2). Nelle altre di- rezioni, invece, Lemno risulta isolata da uno dei due «sea deserts»che caratterizzano i limiti settentrionale e meridionale del Mare Egeo (Broodbank 2000: 288, fig. 94). Solo la piccola Ag. Eustratios, si interpone alla via per le Sporadi settentrionali, restando comunque, così come il Monte Athos a NW, fuori dalla portata di un eventuale collega- mento ad uso di imbarcazioni a remi. Con l’introduzione della vela nel corso del Tardo Bronzo, (Georgiou 1991: 62-70; Georgiou 1993: 360-362; Roberts 1991: 56-57; Gioir- gianni 1999: 333), invece, nuove rotte prima non praticabili furono acquisite a discapito

di altre. Potrebbe in tal modo motivarsi la scelta di abbandonare un sito come Poliochni che, insieme a Koukonisi e a Richa Nerà aveva costituito il capolinea di una tratta est- ovest dall’Anatolia all’Egeo fino alla metà del II millennio a.C. Da questo momento in poi, l’approdo di Efestia in associazione allo scalo meridionale di Koukonisi, proiettano Lemno verso Taso, la Penisola Calcidica, e la Grecia del Nord, creando i presupposti per la nascita di un circuito che avrà grande rilevanza in età protogeometrica.

Roca

Il sito di Roca, ubicato sul versante adriatico del Salento nel punto più stretto del Canale d’Otranto, da oltre un ventennio è oggetto di ricerche multidisciplinari e di scavi siste- matici e rappresenta una fonte di documentazione primaria nel panorama degli studi sul popolamento antico dell’Italia meridionale, in particolare in ambito protostorico. Le più antiche testimonianze di occupazione antropica dell’insediamento si possono far risalire approssimativamente ad un orizzonte maturo del cosiddetto BM 2, corrispondente al XVI sec. a.C. secondo la cronologia tradizionale, al XVII secondo quella rialzata. Fin da queste prime fasi l’abitato era protetto verso terra da una possente e articolata opera di fortificazione (cfr. Scarano 2012) che aumentava ulteriormente le difese di una già stra- tegicamente valida posizione naturale. Tale muraglia, il cui sviluppo originario doveva essere plausibilmente maggiore, si conserva attualmente per circa 200 m di lunghezza, interrotta alle estremità di settentrione e di meridione dai crolli della bancata rocciosa, causati dall’avanzamento del mare nelle due insenature che delimitano il promontorio di Roca. Le mura del BM restarono in uso per un lasso di tempo relativamente breve, considerato che i dati raccolti consentono di datarne il drammatico smantellamento ad un periodo tardo del BM. I contatti con l’Egeo in questa prima fase di occupazione sono testimoniati da manufatti ceramici e da pochi altri oggetti importati, databili tra il TE II e il TE/TM IIIA (Guglielmino 2005: 637). La fortificazione ridotta in macerie venne ripristinata nel corso del Subappenninico (o BR), attraverso una preventiva e massiccia opera di bonifica che prevedeva la stesura di enormi quantità di calcarenite locale fran- tumata. Gli ingombri delle rovine vennero rivestiti da muri di contenimento adoperando una tecnica edilizia nuova, molto diversa da quella impiegata nell’epoca precedente. Per la prima volta, infatti, vengono adoperati blocchi squadrati di calcarenite locale rifiniti ad ascia e allettati a secco in ricorsi ordinati (Pagliara 2005: 631-632, tav. CLXII a-b; Scarano 2012: 26, fig. 1.23).

I piani d’uso o gli strati di riporto riferibili a questo periodo hanno restituito, oltre ad abbondante suppellettile locale d’impasto, anche percentuali rilevanti di ceramica di tipo egeo (TE IIIB-TE IIIC Antico) assieme ad altri manufatti riconducibili a quella stessa sfera culturale (ad es. un sigillo in pietra tenera; Iacono 2010), a conferma di rap- porti particolarmente intensi in questo scorcio cronologico tra i siti costieri salentini ed i naviganti provenienti dal Mediterraneo orientale. Da segnalare, infine, il rinvenimento di uno spesso deposito comprendente reperti ceramici più o meno frammentari e numerosi resti scheletrici in connessione anatomica di quarti di animali interi (soprattutto cervi e tori): questo materiale era stato con ogni probabilità sepolto intenzionalmente e risultava sigillato da un potente strato di battuto in calcarenite. Tali evidenze, ancora in corso di studio e pubblicazione, sono probabilmente da interpretare in chiave preminentemente collettiva rituale (Iacono 2015).

Oltre a Roca, un altro importante scalo marittimo della Puglia sembra essere stato l’abitato di Scoglio del Tonno presso Taranto, i cui materiali di tipo egeo non datano prima del TE IIIA (Fisher 1988: 47-120). Tra i due siti, però, esistono delle differenze sostanziali in quanto la presenza di materiale ceramico della fine del Bronzo Medio di Roca non presenta le stesse quantità registrate per il sito tarantino. Inoltre, mentre a Sco- glio del Tonno vi è una predominanza di vasi da stoccaggio, a Roca sono maggiormente rappresentate le forme aperte (Figura 2b; dati su Scoglio del Tonno da Fisher 1988). Bisognerà aspettare il Bronzo Recente (secoli XIII-XII a.C.) per assistere ad un incre- mento significativo delle presenze ceramiche di tipo egeo, con un picco di attestazioni corrispondente al periodo immediatamente successivo alla caduta dei palazzi micenei. È interessante notare che, durante questo periodo, i find-spots di questa ceramica che erano stati precedentemente limitati all’Italia meridionale e alla Sicilia, ora trovano delle attestazioni anche nell’Adriatico centrale e nel Nord Italia. Nello stesso arco cronologico, inoltre, se è vero anche per Roca quanto accade in varie zone dell’Italia meridionale (cfr. Vagnetti et al. 2009), la maggior parte delle ceramiche di tipo egeo viene prodotta localmente.