Le pratiche relative all’igiene personale e i rituali legati ad aspetti religiosi che impli- cavano l’uso di acqua, nei poemi omerici, sono descritti con precisione. Gli ambiti di pertinenza, che trovano riscontro nelle informazioni contenute nei testi in Lineare B, riguardano principalmente il bagno di un personaggio in una vasca e il lavaggio delle mani prima di un banchetto, di una libagione o di una preghiera.
a. Il bagno effettuato in una vasca (ὕδωρ, ἀσάμινθος, χέρνιψ, λοετροχόος, ἀπονίπτω, λούω)
Il bagno effettuato in una vasca è attestato nell’Iliade e nell’Odissea. Di norma, il bagno in una vasca si svolge secondo uno schema ben preciso descritto dettagliatamen- te, a partire dal riscaldamento dell’acqua fino alla vestizione del personaggio. Il bagno prevede, tranne poche eccezioni determinate da circostanze straordinarie, la presenza di un’ancella, chiamata λοετροχόος e, quasi sempre, precede un banchetto. Il ruolo della λοετροχόος si ricava da alcuni versi dell’Odissea che descrivono le attività svolte all’interno del palazzo di Circe (X 352-359): «bei tappeti purpurei una d’esse metteva sui troni, di sopra; e metteva panni lisci di sotto; davanti ai troni un’altra stendeva argentee tavole, e su di esse canestri d’oro poneva; nel cratere d’argento mischiava il vino soave, dolce, la terza, e le coppe d’oro distribuiva; portava l’acqua, la quarta, e sotto a un gran tripode molto fuoco accendeva: l’acqua bolliva». A ogni ancella è riservato un compito: la prima stende un drappo di protezione presso i posti occupati dagli ospiti del banchetto; la seconda sistema il tavolo di servizio per ogni ospite; la terza si occupa di mescere il vino con l’acqua e di versarlo nelle coppe degli ospiti, mentre la quarta, la λοετροχόος, aiuta l’ospite che fa un bagno in una vasca (Heubeck 1987: 244). Il compito di lavare i nobili di stirpe regale è tradizionalmente affidato a una giovane fanciulla, nella maggior parte dei casi si tratta di una vergine (Dindorf 1855: 198: «presso Omero è compito delle fanciulle lavare gli ospiti») dal momento che, come ricorda Ateneo (I 18f), «Omero rap- presenta le ragazze e le donne mentre lavano gli ospiti, ritenendo che esse non suscitino né eccitazione né intemperanza in coloro che sono vissuti con equilibrio e moderazione». L’autore ribadisce, inoltre, l’antichità di questa usanza ricordando l’episodio nel quale le figlie di Cocalo lavarono Minosse allorquando egli giunse in Sicilia.
Fare il bagno è, quindi, un aspetto molto importante già nella cultura descritta da Omero, come atto di rispetto nei confronti dell’ospite. L’importanza di tale pratica conti- nua a essere valida molto tempo dopo Omero, come rilevato da Ateneo (V 178ef) il quale, citando il poeta, racconta della necessità di «curare l’igiene del corpo e prendere un ba- gno» prima di recarsi a un banchetto e riporta l’opinione di Aristotele, secondo il quale «era sconveniente recarsi al simposio coperti di sudore e di polvere».
Altre circostanze nelle quali un personaggio è lavato sono: la detersione di un eroe dal sangue raggrumato dopo una battaglia, il lavaggio del corpo di un eroe ucciso in guerra prima del rito funebre, il bagno in un fiume allo scopo di lavare via l’eccesso di sporcizia prima di immergersi in una vasca o di presentarsi al cospetto di un re.
Il momento in cui un personaggio riceve un bagno è definito da un’apposita formula: ἔς ῥ’ ἀσαμίνθου βάντες ἐϋξέστας λούσαντο, «s’immersero in vasche ben levigate e fecero il bagno» (Il. X576; Od. IV 48; XVII 87). Appena terminato il bagno, l’ospite viene sempre vestito con indumenti puliti; questa operazione è indicata con la formula ἀμϕὶ δ’ ἄρα χλαίνας οὔλας βάλον ἠδὲ χιτῶνας, «gli gettarono un morbido manto e una tunica indosso» (Il. XXIV 588;Od. IV 50; 8, 456; X 365; XVII 89; XXIII 155;
XXIV 367) e rispecchia l’aspetto più gradevole per il personaggio che ha ricevuto tali cure, testimoniato dalla formulaἔκ ῥ’ ἀσαμίνθου βῆ δέμας ἀθανάτοισιν ὁμοῖος, «egli uscì dalla vasca simile agli immortali nel corpo» (Od. III 468; XXIII 163).
La vasca da bagno poteva costituire anche un dono di una certa importanza, quando era realizzata in un materiale prezioso come il metallo. Generalmente essa è accompagnata dall’aggettivo ἐϋξέστη («ben levigata, finemente lavorata») e ciò permette di ipotizzare
che questi oggetti fossero particolarmente preziosi; tuttavia, determinare il materiale con il quale erano realizzati non è sempre possibile. In un caso Omero cita vasche da bagno realizzate in argento: in Od. IV 120-129, Elena fa dono a Telemaco di oggetti straordi- nariamente preziosi i quali, come racconta il poeta, giungevano dall’Egitto. Purtroppo la provenienza di questi doni, come nel caso della cesta d’argento menzionata al v. 125, potrebbe non rappresentare la realtà (Hope Simpson-Lazenby 1970: 2; Kirk 1964: 18) e potrebbe non costituire il retaggio di una tradizione risalente all’età micenea dal momen- to che, secondo Heubeck-West (1981: 333) «una volta interrotti i contatti tra i Micenei e l’Egitto sarebbe stata dimenticata la condizione della città che i Greci avevano chiamato con quel nome, e i viaggiatori greci del VII secolo non avrebbero avuto alcun aiuto da- gli Egiziani del luogo per identificarla, perché per loro il nome non avrebbe significato nulla». Tuttavia, già nell’antichità, per definizione, la vasca da bagno, in particolare l’og- getto definito ἀσάμινθος, era tradizionalmente identificato con un manufatto in pietra. Inoltre, nell’ambito dei rinvenimenti archeologici riferibili, anche, a contesti palaziali, le vasche da bagno sono comunemente realizzate in pietra e, soprattutto, terracotta; inoltre sono sia fisse, come l’esemplare di Pilo, che mobili. Il personaggio che doveva essere la- vato si sistemava, seduto, nella vasca, mentre l’attendente, in piedi al suo fianco, gettava l’acqua sul suo corpo: le modalità di espletamento di questa pratica sono descritte da Omero e rappresentate su alcuni modellini fittili di età arcaica (Ginouvès1962: 3 n. 8). Gli scolii confermano che il personaggio, chiaramente, era nudo, anche se si può ipotiz- zare una qualche forma di protezione visiva del personaggio nella vasca (Dindorf 1855: 166: «stando nella vasca erano coperti perché si vergognavano»).
Nell’Iliade il bagno in vasca è descritto in X 566-579: Odisseo e Diomede, di ritorno da una sortita nel campo troiano, presso la tenda di quest’ultimo, effettuano un bagno «in vasche ben levigate» (v. 576) e, dopo essersi unti d’olio e vestiti, si apprestano a con- sumare un banchetto. In questo caso, il bagno nella vasca è preceduto da un lavaggio preliminare effettuato nelle acque del mare, allo scopo di eliminare l’eccessiva sporcizia presente sui loro corpi (vv. 572-573). Ciò, in qualche modo, rende l’operazione di lavarsi in una vasca un gesto non solo pratico, di detersione della persona (in Omero la cura di sé è sempre molto importante), ma anche rituale; infatti, lavarsi nel fiume prima di entrare nella vasca migliora la condizione fisica e l’aspetto di chi sta per fare il bagno. L’agget- tivo ἐϋξέστας, «ben rifinite, ben levigate», riferito alle vasche in questo passo, sembra piuttosto fuori luogo, dal momento che designa oggetti particolarmente lussuosi per un accampamento militare. Hainsworth (1993: 209) ipotizza che esse fossero collegate a un sistema di tubi che permettevano di trasportare acqua calda, benché non sia menzionato in questi versi il riscaldamento dell’acqua, di norma descritto nelle scene domestiche che prevedono un bagno. I due personaggi, inoltre, non sono assistiti dalla λοετροχόος, come avviene nelle altre scene di abluzione contenute nei poemi (Arend 1933: 124; Treuil et al. 1989: 408).
Le scene che prevedono un bagno, proprio per la loro natura di pratica legata al ban- chetto, a un momento conviviale e, generalmente, domestico, sono più frequenti nell’O-
dissea e riguardano personaggi differenti. L’unica menzione di un bagno da effettuare
all’interno di un palazzo contenuta nell’Iliade consiste nell’ordine che Andromaca dà alle ancelle di riscaldare l’acqua affinché Ettore, di ritorno dalla battaglia, possa lavarsi (XXIII 442-446).
In Od. III 464-469 Telemaco, prima del banchetto, riceve il bagno nel palazzo di Nestore, dove è appena giunto alla ricerca di notizie su Odisseo: in ciò è assistito dalla figlia di Nestore, Policasta. In IV 48-56 il figlio di Odisseo viene lavato e unto d’olio dalle ancelle, prima che la dispensiera disponga sulle mense le vivande che saranno consumate nel banchetto, mentre in XVII 85-93 egli riceve il bagno appena dopo il suo ritorno a Itaca.
Odisseo riceve un bagno in diverse circostanze. Presso i Feaci, Alcinoo dispone di preparare un bagno per Odisseo prima che l’eroe si sieda al banchetto offerto in occa- sione della sua partenza (VIII 424-429) e accompagna questa offerta con doni preziosi. Quest’ultimo si compiace del bagno rammentando che, da quando ha lasciato l’isola di Calipso, non ha potuto prendersi cura della sua persona.
Odisseo e i suoi compagni sono oggetto di simili cure anche presso Circe. In X 360- 370 l’eroe è assistito dalla λοετροχόος, la quale si occupa di mescolare le adeguate quantità di acqua calda e fredda per ottenere un effetto piacevole per l’ospite. Questa sce- na è particolarmente significativa per il dettaglio, contenuto nella descrizione, grazie al quale veniamo a conoscenza che Odisseo viene fatto sedere all’interno dell’ἀσάμινθος: ciò lascia supporre che tali oggetti potessero presentare dimensioni ridotte, sufficienti a ospitare al loro interno solo un individuo seduto.
Una menzione generica del lavaggio di un eroe e della successiva vestizione è pre- sente in Od. IV 252-256, laddove, nel palazzo di Priamo a Troia, Odisseo è lavato e assistito nella pulizia del suo corpo da Elena. In quest’ultimo episodio, analogamente a quanto avviene nella scena di bagno effettuato presso Calipso, non è menzionata alcuna ancella che possa svolgere la funzione di λοετροχόος: si suppone, quindi, che questa operazione potesse essere svolta direttamente dalla padrona di casa. Ciò, tuttavia, non è ipotizzabile se non per personaggi di un rilievo tale da meritarlo: infatti, con riferimento a Od. X 449-450, nei quali viene genericamente menzionato il lavaggio dei compagni di Odisseo all’interno della casa di Circe, lo scoliasta specifica che furono le ancelle a svolgere questo compito (Dindorf 1855: 473).
Odisseo riceve il bagno anche a Itaca, nella sua reggia. Nel libro XXIII l’eroe, dopo aver fatto strage dei pretendenti, ordina a Telemaco di fare il bagno e di vestire indumenti puliti. Anche lui si laverà per poter essere riconosciuto da Penelope: infatti, la moglie non è sicura della sua identità poiché, come lo stesso eroe afferma: «sono sporco e ho indosso misere vesti» (v. 115). Il bagno e la vestizione hanno in questo episodio il duplice scopo di ripulire i personaggi dal sangue del quale sono ricoperti e quello di simulare la festa per il fittizio matrimonio di Penelope con uno dei Proci, in modo da ingannare gli abitanti della città ed evitare di essere puniti per l’uccisione dei giovani nobili di Itaca.
Il bagno è riservato anche a Laerte e ha uno scopo ben preciso: rendere dignità a un eroe che è molto trascurato nell’aspetto, come afferma Odisseo, il quale ha appena visto il padre nella vigna, meravigliandosi per l’incuria e la sporcizia dell’uomo, che contrastano con le buone condizioni nelle quali si trovano le sue piante di vite (XXIV 248-255). Per questo, Laerte riceve un bagno nella sua casa, ritrovando il vigore fisico e migliorando il suo aspetto. Lo stesso Odisseo, vedendolo «lo guardò con stupore» (v. 370).
L’azione rigenerante del bagno, vista come necessaria cura di sé e come forma di rispetto per la propria persona, è ravvisabile anche negli Inni.
Nell’Inno a Demetra, viene sottolineato il fatto che la dea, per nove giorni, non si è nutrita adeguatamente e ha trascurato di detergere il suo corpo, vinta dall’afflizione per
la perdita della figlia Persefone (vv. 47-50). Questo aveva lasciato supporre che il rituale eleusino trovasse rispondenza nell’atteggiamento della dea, tuttavia il digiuno e la man- cata pulizia della propria persona non duravano nove giorni, dal momento che i parteci- panti ai riti si gettavano in mare tre giorni prima della cerimonia (Cassola 1988: 470).
Nell’Inno ad Afrodite, infine, è contenuta una scena di detersione del corpo della dea. In questo caso il bagno, che si deduce essere avvenuto dall’utilizzo del termine λοῦσαν (da λούω, «lavare il corpo», ma anche «purificare»), viene effettuato con l’aiuto delle Cariti e avviene all’interno del tempio dedicato ad Afrodite a Paphos (vv. 60-63).
La menzione di tale rituale in contesti religiosi come i templi, oltre che in quelli domestici rappresentati dai palazzi, è particolarmente significativa: l’uso di vasche da bagno a scopo purificatorio è documentato, infatti, a Palaepaphos nel santuario di Afro- dite, il culto della quale, secondo Karageorghis (2002: 113), potrebbe risalire già al XII secolo a.C.
b. Il lavaggio delle mani in occasione di un banchetto, di un sacrificio, di una libagione e di una preghiera (ὕδωρ, χέρνιψ, νίπτω, χερνίπτω).
Il lavaggio delle mani viene effettuato di norma prima di un banchetto. A differenza dell’Iliade, dove gli eroi non sono descritti nell’atto di lavarsi le mani prima di sedersi a un banchetto, questa pratica è molto comune nell’Odissea, nella quale si compie questo gesto anche se, in precedenza, l’ospite ha ricevuto un bagno caldo (IV 45-56; X 360-370; XVII 90-93). La detersione delle mani viene effettuata prima del banchetto e non dopo poiché, non essendosi gli ospiti serviti di cibi grassi come la carne, non necessitano di un’ulteriore pulizia (Erbse 1969: 125: «Perché dopo il banchetto non fa lavare le mani agli uomini? Perché non si servivano di carni tali che fosse necessario lavarsi le mani e perché, desistendo dal banchetto, compivano libagioni»). Si può ipotizzare che si tratti di un rituale di natura religiosa (Heubeck-West 1981: 325). Il lavaggio delle mani, infatti, viene effettuato anche in occasione di una libagione, di un sacrificio e di una preghiera, gesti connotati da un carattere sacrale e connessi con la sfera religiosa.
La formula di riferimento è contenuta nell’Odissea: χέρνιβα δ’ ἀμϕίπολος προχόῳ ἐπέχευε ϕέρουσα καλῇ χρυσείῃ, ὑπὲρ ἀργυρέοιο λέβητος νίψασθαι παρὰ δὲ ξεστὴν ἐτάνυσσε τράπεζαν, «un’ancella venne a versare dell’acqua, da una brocca bella, d’oro, in un bacile d’argento perché si lavassero: vicino stese una tavola liscia». In questo caso il termine χέρνιψ indica l’acqua che era versata dalla brocca nel baci- no. Il χέρνιβον, inteso come bacino nel quale è raccolta l’acqua lustrale è menzionato nella formula contenuta nell’Iliade (XXIV 303): ἡ δὲ παρέστη χέρνιβον ἀμφίπολος πρόχοόν θ’ ἅμα χερσὶν ἔχουσα, «accorse la donna tenendo in mano un bacino e insieme una brocca». In entrambe le formule sono menzionati dei contenitori che erano utilizzati nei palazzi e che potrebbero costituire il set di oggetti normalmente utilizzati nel lavaggio delle mani.
L’ancella che versa l’acqua nel bacile d’argento è definita ἀμφίπολος e, oltre a svol- gere mansioni di altra natura, figura in numerosi episodi nei quali è versata l’acqua sulle mani dei personaggi.
Questa operazione è descritta in Od. I 136-138, laddove ad Atena, giunta a Itaca per indurre Telemaco a partire in cerca di notizie del padre, sono lavate le mani da un’an- cella prima di un banchetto. Nella stessa scena (vv. 146-147) è descritta l’aspersione di acqua sulle mani dei pretendenti da parte degli araldi.
In IV 51-53 a Telemaco e Pisistrato, figlio di Nestore, dopo che sono stati lavati nella vasca, sono lavate le mani prima del banchetto con il quale Menelao li accoglie nel suo palazzo. Durante il banchetto l’operazione viene ripetuta in seguito a un’interruzione del pasto, dovuta alla commozione di Telemaco, il quale si è soffermato sul ricordo paterno. Menelao invita gli ospiti ad abbandonare i ricordi dolorosi («lasciamo ora il pianto, che prima fu fatto, e pensiamo di nuovo alla cena: sulle mani versino l’acqua»: vv. 212-214). In XV 135-137, infine, prima di congedarsi dal loro ospite, Pisistrato e Telemaco sono invitati a un banchetto, preceduto dal lavaggio delle mani. Anche a Odisseo sono lavate le mani in VII 172-174, prima che l’eroe si sieda al banchetto offerto da Alcinoo e Arete. L’aspersione delle mani con l’acqua avviene anche in contesti meno formali di un ban- chetto organizzato in un palazzo: ciò conferma l’importanza attribuita a questo gesto nella mentalità del mondo descritto da Omero.
In Od. X 181 sgg. Odisseo, sbarcato insieme ai suoi compagni da tre giorni sull’isola Eea, va in cerca di cibo e cattura un cervo. Prima di cibarsi della preda i personaggi «dopo aver lavato le mani prepararono lo splendido pasto» (v. 182).
Il lavaggio delle mani che precede di solito una libagione è descritto nell’Iliade. In IX 171-178 gli Achei si preparano a una libagione presso la tenda di Agamennone. Dopo che gli araldi hanno gettato acqua sulle mani dei partecipanti si effettua la libagione con il primo vino versato nella coppa. I versi contengono una preghiera e descrivono un rituale, anche se è incerto se ciò fosse seguito da un sacrificio. Il lavaggio delle mani rappresenta l’operazione preliminare di tali rituali (Il. VI 266-268: «mi faccio scrupolo di libare a Zeus il vino scintillante senza avere lavato le mani: non si può certo pregare il Cronide adunatore di nembi, se si è imbrattati di sangue e di fango»). Nell’Iliade, tuttavia, non è utilizzato il termine χέρνιψ, «acqua lustrale» per lavare le mani, come, invece, avviene nell’Odissea (Hainsworth 1993: 83). Nel già citato Il. XXIV 299-307, Priamo, prima di pregare e di offrire una libagione di vino a Zeus, fa gettare acqua sulle sue mani da un’ancella. Il contesto di riferimento è un dialogo tra il re ed Ecuba che ha luogo prima che l’anziano re si rechi nell’accampamento acheo per riscattare il corpo di Ettore. Per specificare che l’acqua utilizzata è pura si utilizza il termine ἀκήρατος,«puro, non con- taminato», a sottolineare l’importanza del rituale (Richardson 1993: 304). Normalmente Omero chiama λέβης e non χέρνιβον il recipiente nel quale era raccolta l’acqua lustrale ma, a livello terminologico, già gli antichi commentatori divergevano nell’identificazione e nella denominazione di questi oggetti, accostando, di volta in volta, il termine χέρνιψ/ χέρνιβον all’acqua o al recipiente (Erbse 1977: 574; Dindorf 1855: 161).
In un’occasione nell’Iliade è menzionato il lavaggio di una coppa prima di una liba- gione la quale, a sua volta, precede il lavaggio delle mani. La coppa è definita δέπας e, in genere, è utilizzata sia nelle libagioni sia nell’ambito del banchetto. In XVI 225-230 Achille, in procinto di effettuare una libagione, prende la coppa e la pulisce con lo zolfo per poi sciacquarla con acqua pulita: in questo caso si tratta di una preghiera molto solenne, che prevede un rituale di preparazione ben preciso. Ciò è confermato anche dalla preziosità della coppa, della quale è specificato essere bellissima e dalla quale so- lamente l’eroe, nessun altro, può bere. Probabilmente si tratta di una coppa realizzata in materiale prezioso, forse oro, come si evince da Il. XXIII 196, laddove Achille è descritto mentre offre libagioni da un calice d’oro presso la pira ardente sulla quale viene bruciato il corpo di Patroclo (Richardson 1993: 192). Il rito del lavaggio delle mani seguito da una libagione, in alcuni casi, è effettuato in occasione di un sacrificio; il gesto è ritenuto
necessario, dal momento che coloro i quali vi prendono parte devono rendersi simili agli dei (Erbse 1969: 125). Esso è descritto nell’Iliade e nell’Odissea.
In Il. I 446-449, dopo che Agamennone ha restituito a Crise sua figlia, fino a quel mo- mento tenuta schiava, gli Achei preparano un’ecatombe da offrire ad Apollo, per placare l’ira del dio: prima di dare inizio al sacrificio, mentre i partecipanti disponevano intorno all’altare le vittime sacrificali, i re «si lavavano quindi le mani e prendevano i chicchi di orzo» che avrebbero gettato nel fuoco immediatamente dopo. In questi versi non è menzionato l’inserviente che si occupa di gettare l’acqua sulle mani e non è specificata la natura dell’acqua utilizzata, come in Il. XXIV 303, tuttavia, il termine utilizzato per descrivere l’azione del lavaggio delle mani (χερνίψαντο) rimanda, semanticamente, a quello con il quale viene definita l’acqua lustrale.
In III 268-270, mentre si prepara il duello tra Menelao e Paride, con il quale si dovrà stabilire chi dei due avrà diritto di portare con sé Elena, tra i preparativi al sacrificio propiziatorio per la buona riuscita dell’evento, c’è anche il rito di versare acqua sulle mani dei re (ἀτὰρ κήρυκες ἀγαυοὶὅρκια πιστὰ θεῶν σύναγον, κρητῆρι δὲ οἶνον μίσγον, ἀτὰρ βασιλεῦσιν ὕδωρ ἐπὶ χεῖρας ἔχευαν, «i nobili araldi portavano le vittime sacre del giuramento, nel cratere mescevano il vino, ai re versavano l’acqua sopra le mani»). Il sacrificio è seguito dalla libagione che viene effettuata attingendo dal cratere il vino con le coppe.
In Od. III 338-341, gli araldi gettano acqua sulle mani di Nestore e Telemaco in occasione di una libagione che avviene dopo un sacrificio offerto in onore di Poseidone.