C
onsiderando la natura dei testi in Lineare B, non ci si aspetterebbe di trovare rife- rimenti alla gestione delle acque. Tuttavia, informazioni relative a questo aspetto dell’economia e della vita quotidiana dei palazzi sono presenti e sono pertinenti a oggetti e membri del personale connessi all’utilizzo dell’acqua.Le informazioni che se ne possono ricavare sono, per la natura dei documenti, frammen- tarie e parziali; tuttavia, il panorama di conoscenza sulle modalità di svolgimento di par- ticolari mansioni o rituali nei quali veniva utilizzata l’acqua viene completato e chiarito nei suoi meccanismi dalle informazioni contenute nei poemi omerici.
a-sa-mi-to; ke-ni-ka
I vocaboli sono presenti in KN Ws 8497: α AES *246 supra sigillum
β ke-ni-ka γ a-sa-mi-to
La cretula, proveniente dal Quartiere Nord del palazzo di Cnosso, probabilmente fun- geva da etichetta apposta al contenitore nel quale erano conservate le tavolette e quindi ne definiva il contenuto (Chadwick et al. 1998: 64; Gill 1965: 69; Olivier 1968: 179). Essa presenta tre facce: sulla faccia α è impresso un sigillo con la raffigurazione di un quadrupede, probabilmente un cervo o un bovide. Al di sopra sono stati incisi due ideo- grammi. Uno di questi è stato identificato con l’ideogramma *140/AES, che rappresenta il bronzo, che serviva a specificare il tipo di metallo con il quale erano realizzati gli og- getti menzionati (Gill 1966: 9; Olivier 1968: 177). L’altro ideogramma (*246), costituito da un piccolo rettangolo, ha determinato non poche difficoltà per la sua interpretazione: una delle ipotesi avanzate vede in esso un oggetto collegato con la pratica del bagno, probabilmente una vasca (Reece 2002: 705).
La faccia β reca inciso il termine ke-ni-qa/kernigwa, che può essere letto come no- minativo plurale neutro del termine antenato di χέρνιβον (Adrados-Aura Jorro 1999:
AKROTHINIA. Contributi di giovani ricercatori italiani agli studi egei e ciprioti, a cura di A.M. Jasink e L. Bombardieri, ISBN online 978-88-6655-766-1, CC BY-SA 3.0 IT, 2015 Firenze University Press
343; Aura Jorro 1996: 187; Grumach 1965: 174; Lejeune 1977: 230; Waanders 1996: 535) che ricorre nell’Iliade con il significato di «catino, bacinella», o come accusativo singolare di χέρνιψ (Chantraine 1933: 4) «acqua lustrale», presente nell’Odissea. Esso è composto da χείρ, «mano», e dalla radice del verbo νίπτω, «lavare». Il contesto della cretula, data la presenza dell’ideogramma indicante il bronzo, suggerisce che si tratti di un recipiente di metallo; sotto questo profilo si dimostrerebbe affine al lebete (Cunliffe 1924: 419).
Nei poemi omerici il termine χέρνιβον è inserito generalmente nella descrizione del lavaggio delle mani, azione caratterizzata da un aspetto sacrale, legata alla preghiera, alle libagioni o ai sacrifici; tuttavia il contesto nel quale il termine è utilizzato a Cnosso, come dimostra la faccia γ, riporta, piuttosto, a operazioni legate all’igiene personale.
Sulla faccia γ della cretula, infatti, è inciso il termine a-sa-mi-to (Aura Jorro 1999: 108; Gill 1966: 9; Grumach 1965: 174; Masson 1968: 182), corrispondente al nomi- nativo singolare del sostantivo ἀσάμινθος o al plurale ασάμινθοι (Aura Jorro 1996: 187; Chantraine 1983: 122; Ilievsky 1996: 53; Treuil et al. 1989: 408). Il vocabolo cor- risponde al termine omerico utilizzato per indicare la vasca da bagno (Hoffmann et al. 1969: 27) definito da Esichio (πύελος ἢ λίθος εἰς βάθος κεκολαμμένος, ἔμβασιν ἢ λέβης μέγας καὶ πᾶν τὸ κοῖλον ἣ κιβωτός) e negli scolii all’Odissea (Dindorf 1855: 166: «ἀσάμινθος significa anche πύελος, λεκάνη»). Il termine è stato considerato un prestito da una lingua pre-greca non indoeuropea. Secondo P. Chantraine (1933: 371) e A. Bourguignon (2011-2012: 235) rappresenterebbe un probabile prestito semitico (cf. anche Semerano 1994: 39) e sarebbe stato accolto nella lingua greca in occasione dell’introduzione e della diffusione nel mondo miceneo della vasca da bagno, filtrato dal mondo minoico, quivi arrivato in occasione di rapporti e scambi culturali con le civiltà del Vicino Oriente. La sopravvivenza di un tale vocabolo, molto raro, il cui utilizzo non divenne mai comune nella lingua correntemente parlata (si ricorda che il termine comu- nemente utilizzato per indicare la vasca da bagno presso gli autori greci è πύελος, che in Omero indica una vasca per l’abbeveraggio di animali: Od. XIX 553) sarebbe dovuta al suo ingresso nel linguaggio formulare dell’epos omerico (Reece 2002: 706).
a-te-re-e-te-jo; re-wo-te-re-jo; u-do-ro
I vocaboli sono presenti in PY Tn 996: 1 [ ]-ko a-te-re-e-te-jo, re-wo-te-re-jo *225ALV 2 2 u-do-ro *212VAS 3 pi-a
2-ra *219VAS[
3 [a-po]-re-we *209VAS 2 ka-ti *206VAS 1 a-te-we AES *205VAS 7 re-[ 4 […] *250VAS 3 po-ka-ta-ma, AUR *208VAS 1 AES *208VAS 3 [
Il primo vocabolo, mutilo all’inizio, è stato interpretato come δοχοί (Ventris- Chadwick 1956: 338). Esso è attestato solo nella glossa di Esichio: δοχούς˙ δοχεῖα, λουτῆρες. Il termine λουτῆρες, utilizzato da Esichio per la definizione, significa «va- sche da bagno»ed è forse questo il senso che δοχοί assume nella tavoletta.
Il secondo vocabolo, a-te-re-e-te-jo, è un aggettivo verbale che presenta una termina- zione –e-e-te-jo attestata nel greco classico (Adrados-Aura Jorro 1993: 116; Baumbach 1968: 146; Doria 1962: 433; Doria 1965: 65; Gallavotti-Sacconi 1961: 122; Morpurgo
1963: 41; Palmer 1963: 444; Ventris-Chadwick 1956: 338). Esso è etimologicamente collegato al verbo ἀντλέω, «attingere, togliere acqua», ed è stato trascritto ἀντλητεῖος, aggettivo di forma passiva con suffisso -τεος, che esprime necessità, tradotto con «svuo- tabile, che deve essere svuotato». Il termine è stato messo in relazione anche con l’ag- gettivo ἄτρητος, composto con α privativo e la radice del verbo τετραίνω, «forare, bucare» e, quindi, con il significato di «non perforate». È stato collegato anche con il verbo ἀντερείδω, quindi col senso di «che devono essere appoggiate» a qualcosa. (Cook 1959: 35; Doria 1965: 221; Palmer 1963: 452; Peruzzi 1956: 165; Ventris-Chadwick 1956: 339).
Il terzo vocabolo della prima riga, re-wo-te-re-jo, lewotreios, aggettivo o sostantivo, si riferisce alle vasche da bagno precedentemente registrate (Baumbach 1968: 229; Bou- rguignon 2011-2012: 230; Gallavotti-Sacconi 1961: 122; Peruzzi 1959: 165; Ventris- Chadwick 1956: 338). Il termine non ha una corrispondenza precisa nel greco storico, ma è messo in relazione con l’omerico λοετρόν-λουτρόν, originariamente *λοϝετρον, che significa «acqua per il bagno» (Chantraine 1984: 647; Ventris-Chadwick 1956: 338). L’inversione nell’ordine dei suoni vocalici (λεϝο- invece di λοϝε-) non incide sul significato del termine, pertanto l’aggettivo è da intendersi, secondo Ventris e Chadwick (1956: 160), nel senso di «pertaining to bath-water» (Aura Jorro 1996: 188; Bartoněk 1996: 14; Cunliffe 1924: 251; Doria 1965: 103). Esso può essere messo in relazione col termine lowetrokhowoi-lewotrokhowoi «coloro che versano l’acqua per il bagno», più avanti esaminato.
Sulle altre righe della tavoletta sono elencati altri tipi di contenitori: nella riga 2 u-do-
ro, ὑδροί, da confrontare con ὑδρίαι, nominativo plurale. Essi potrebbero consistere in vasi per l’acqua (Palmer 1963: 364), presumibilmente per contenerla e versarla, anche se non è escluso il suo trasporto. Racconta infatti Ateneo (II 45b), citando Erodoto e Ctesia di Cnido, che al re di Persia veniva portata l’acqua del fiume Coaspe, dopo essere stata bollita, in vasi d’argento caricati su carri. L’autore riporta anche il racconto di Polibio, secondo il quale Tolomeo Filadelfo, dopo aver dato in moglie ad Antioco II la figlia Be- renice, «aveva cura di mandarle l’acqua del Nilo, perché la figlia bevesse solo acqua di questo fiume».
Segue nella tavoletta pi-a2-ra, φιάλαι, nominativo plurale di φιάλη (Peruzzi 1959: 165). Quest’ultimo termine è stato considerato non indoeuropeo e connesso con temi semitici (Bourguignon 2011-2012: 239; Semerano 1994: 309). Analogamente al termine ἀσάμινθος, e contemporaneamente a quest’ultimo, il termine rappresenterebbe un pre- stito dall’accadico accolto nel vocabolario greco nel momento in cui, attraverso il canale minoico, fu introdotta presso le popolazioni greche del continente la pratica di effettuare il bagno in una vasca.
Dal momento che questo tipo di recipiente è menzionato nella tavoletta in associa- zione a una vasca da bagno, si è ipotizzato che esso fosse utilizzato per scaldare l’acqua destinata a essere utilizzata in seguito per le abluzioni; questa ipotesi troverebbe confer- ma, secondo A. Bourguignon (2011-2012: 239), nel fatto che nei poemi omerici (Il. XXIII 270) tra i premi per le gare in onore di Patroclo è menzionata una φιάλην ἀπύρωτον «non ancora messa sul fuoco» e, quindi, nuova.
Nella riga 3 sono menzionati a-po-re-we (amphorewes, *ἀμφορῆϝες) e ka-ti (kāthis, *κάθις), quest’ ultimo probabilmente da collegare a κάδος, termine con il quale si indica il vaso utilizzato per attingere acqua dai pozzi. Esso corrisponde all’ideogramma
*206VAS e potrebbe derivare dal semitico –kad (Baumbach 1968: 174 Morpurgo 1963: 135; Peruzzi 1959: 166; Ventris-Chadwick 1956: 338.). Il termine seguente a-te-we po- trebbe essere interpretato come *ἀρδέϝης, vocabolo messo in relazione con il verbo greco ἄρδω «innaffiare», e accostato al sostantivo ἀρδάνιον che significa «vaso per acqua» (Peruzzi 1959: 166).
Il termine po-ka-ta-ma, sulla riga 4, non indica un tipo di vaso, ma specifica la natu- ra dei vasi che vengono elencati alla fine (Ventris-Chadwick 1956: 339).
La prima riga della tavoletta, dunque, enumera oggetti collegati con l’utilizzo di va- sche da bagno, come chiarisce l’ideogramma (*225VAS) che segue: esso rappresenta una vasca di forma allungata, con una sponda più alta rispetto alle altre in corrispondenza di uno dei suoi lati corti (ALVEUS). L’ideogramma suggerisce che la vasca abbia due manici sui lati lunghi e uno sul lato corto, il quale, a sua volta, ha la sponda più alta. Sulla parte sinistra dell’ideogramma, infine, è tracciato un segno orizzontale, in corri- spondenza del lato corto più alto, che è stato interpretato come un tubo metallico. Ventris e Chadwick (1956: 338) identificano questo ideogramma con un esemplare di vasca da bagno proveniente da Cnosso, risalente al Medio Minoico III B o al Tardo Minoico IA. Per quanto attiene, infine, al materiale con il quale le vasche erano realizzate, i rinveni- menti archeologici suggeriscono che esse fossero realizzate in terracotta, anche se non si esclude l’esistenza di vasche metalliche (Chantraine 1984: 1152) sulla base delle infor- mazioni contenute nei poemi omerici, nei quali il termine ἀσάμινθος è spesso seguito dall’aggettivo ἐυξέστη «ben levigata, ben raschiata, finemente lavorata», e che conten- gono la menzione di vasche da bagno in argento (ἀργυρέας ἀσαμίνθους: Od. IV 128).
Il termine a-te-re-e-te-jo della riga 1, se inteso nel senso di «svuotabile, che deve es- sere svuotato», pone alcuni problemi di interpretazione per quanto riguarda il panorama delle testimonianze archeologiche. La necessità di svuotare le vasche, secondo Ventris e Chadwick (1956: 338), emergerebbe dal fatto che le vasche da bagno micenee non presentavano fori per il deflusso dell’acqua. Tuttavia, sia per il Tardo Elladico che per periodi più recenti, accanto a vasche di questo tipo, sono attestate nel mondo greco va- sche da bagno provviste di foro di scarico (Ginouvès 1962: 33; Karageorghis 2000: 266- 274). Inoltre, in relazione a questi oggetti, sorge una certa ambiguità sul loro utilizzo, dal momento che essi potevano essere usati in funzione primaria come sarcofagi (Vermeule 1964: 123) o essere utilizzati nelle sepolture dopo essere stati impiegati nelle pratiche legate all’igiene personale.
Il termine u-do-ro è probabilmente attestato anche in KN Uc 160 verso: 1 supra mutila
2 a-pi-po-re-we *209VAS 6̣[ 3 i-po-no *213VAS 14 [ 4 ]ṛọ *212VAS 17 [
infra mutila
Il primo termine della seconda riga, a-pi-po-re-we, è stato interpretato come am-
phiphorewes, nominativo plurale, da confrontare con ἀμφιφορεύς, «vaso con due manici»
(Adrados-Aura Jorro 1999: 83), presente nell’epos omerico e tradizionalmente destinato a conservare vino. Il termine è seguito dall’ideogramma corrispondente *209VAS (SITULA) e dal numero 6 (Chadwick et al. 1986: 77).
Del primo termine della terza riga i-po-no è stata proposta la lettura ἰπνός, inte- so come «vaso per cuocere» (Morpurgo 1963: 115; Palmer 1963: 364). Esso è seguito dall’ideogramma *213 e dal numero 14. Il vocabolo è presente nel greco classico per in- dicare il «forno» e, per estensione, la cucina, intesa come «locale dove si scalda l’acqua» (ἰπνών -ῶνος). Il primo termine della quarta riga, seguito dall’ideogramma *212VAS e del quale si indica la quantità con il numero 17 immediatamente seguente, potrebbe essere letto u-do-ro, ὑδροί (Adrados-Aura Jorro 1993: 385).
ke-ni-ke-te-we
Il vocabolo è contenuto in MY Wt 503: α sigillum
β ke-ni-ke- γ te-we
La cretula proviene dalla Casa delle Sfingi, probabilmente fungeva da etichetta per una raccolta di tavolette (Chadwick 1959: 1; Sacconi 1974: 45). Essa presenta inciso, sul- le facce β e γ, il termine ke-ni-qe-te-we nominativo plurale, inteso come khernigwetēwes, *χερνιγwε-τεϝες, *χερνιπτῆϝες (Adrados-Aura Jorro 1999: 342; Baumbach 1968: 175; Chadwick 1959: 4; Lejeune 1977: 230; Morpurgo 1963: 140), il quale a sua volta rimanda al greco χερνίπτομαι «mi lavo le mani» (Chadwick 1959: 4). Il sostantivo potrebbe essere collegato al sostantivo *χερνιπτεύς, formato dal tema verbale con l’ag- giunta del suffisso –ευς, tipico dei nomi di agente riferiti a individui che svolgono una particolare mansione, sono produttori o commercianti di beni, artigiani, funzionari che, in ogni caso, sono molto ben definiti nelle loro mansioni. Il suffisso è applicato anche nella formazione di nomi di utensili e oggetti, tra i quali sono presenti i vasi, come con- ferma il termine ἀμφιφορεύς sopra esaminato (Chantraine 1933: 126-128). L’oggetto indicato nella tavoletta potrebbe consistere in un piccolo bacile, del quale sono presenti raffigurazioni in alcuni documenti provenienti da Cnosso, peraltro in associazione ad altri recipienti, come si vede in KN K 93, sul quale sono raffigurati un bacino, al cui interno è posizionato un vaso tronco-conico contenente, a sua volta, una brocca (i segni corrispondono agli ideogrammi *226VAS, *205VAS e *200VAS: Bennett et al. 1956: 55; Chadwick et al. 1986: 47; Matthäus 1983: 71): come vedremo, l’associazione di questi due oggetti si ritrova in numerosi passi dei poemi omerici in scene nelle quali viene de- scritto il lavaggio di mani di un personaggio.
po-ro-ko-wo; a-ta-ra
Il vocabolo si trova in MY Ue 611.2 .1]pe-ra 4 a-po-re-we 2 pe-ri-ke 3
.2]ka-ra-te-ra 1 po-ro-ko-wo 4 a-ta-ra 10 .3]pa-ke-te-re 30 ka-na-to 5 qe-ti-ja 10 .4]q̣ẹ-to 2 ti-ri-po-di-ko 8 ka-ra-ti-ri-jo 7̣ .5] inf. mut.
.2 OLIV+TI 3 OLIV 1 NI 2 VIN S 2[ .3 vacat
inf. mut.
La tavoletta, rinvenuta nell’ambiente 6 della Casa delle Sfingi (Sacconi 1974: 60) pre- senta inscrizioni su entrambi i lati. Sul recto il testo è disposto su cinque righe orizzontali separate l’una dall’altra da una linea incisa; il verso presenta due righe orizzontali di testo separate da linee incise. Al di sotto della seconda riga la tavoletta è fortemente abrasa.
Il primo termine della riga 1, sul recto della tavoletta, è incompleto. Esso è stato integrato con il sillabogramma ku- in posizione iniziale: il termine risultante, ku-pe-
ra, è stato inteso come plurale di κύπελλον, «boccale, vaso», che in Omero indica la coppa, generalmente d’oro, con la quale si attingeva dal cratere il vino in occasione di un banchetto o di una libagione (Il. III 248; XXIV 304; Od. I 142). Senza l’integrazione potrebbe essere letto come πέλλα, che ricorre in Il. XVI 642 con il significato di «vaso per mungere, secchio».
Il secondo termine della prima riga, a-po-re-we è stato inteso come *ἀμφορῆϝες, duale di ἀμφορεύς (Adrados-Aura Jorro 1999: 87), seguito dal numero 2.
Il terzo termine della medesima riga pe-ri-ke è da intendersi come nominativo plurale da πέλιξ -ικος, da confrontarsi con πελίκη (Adrados-Aura Jorro 1993: 110); entrambi i termini indicano un boccale o una coppa. Il termine è seguito dal numero 3.
Nella seconda riga della tavoletta sono menzionati: 1 ka-ra-te-ra, confrontabile con il termine κρατήρ al nominativo singolare (Adrados-Aura Jorro 1999: 322) data la presen- za del numero immediatamente seguente; 4 po-ro-ko-wo, da intendersi come nominativo plurale del termine *πρόχοϝος-πρόχοος, sostantivo etimologicamente collegato al ver- bo χέω, «versare» (Chantraine 1984: 1255). Il termine ricorre in una formula omerica con il significato di «brocca» (Il. XXIV 304; Od. I 136; IV 52; VII 172; X 368; XV 135; XVII 91); 10 a-ta-ra: quest’ultimo termine è stato letto come nominativo neutro plurale di ἄντλον (Adrados-Aura Jorro 1999: 113; Chantraine 1983: 93), la cui etimologia ri- manda al verbo ἀντλέω, «attingere acqua». L’oggetto è descritto da Esichio, il quale lo definisce κάδον ἀντλητήριον, «vaso per attingere acqua» (Latte 1953: 190).
Nella riga 3 sono menzionati 30 pa-ke-te-re, nominativo plurale, termine probabil- mente derivato da *πακτήρ, etimologicamente collegato al verbo πήγνυμι, «conficca- re, piantare dentro»; probabilmente indica un tipo di utensile (Adrados-Aura Jorro 1993: 71; Chantraine 1984: 894).
Questi oggetti sono seguiti da 5 ka-na-to, termine di incerta traduzione, inteso come κάνασθον, κάναστρον «vaso a forma di cesta», termine etimologicamente legato a κάννα «canna» (Adrados-Aura Jorro 1999: 313) e affine alla cesta descritta in Od. I 147 denominata κάνεον. È inteso anche come γνάθος.
Subito dopo sono menzionati 10 qe-ti-ja, nominativo neutro plurale, diminutivo in -ιον di qe-to (Adrados-Aura Jorro 1993: 202), termine con il quale, probabilmente, ha inizio la riga 4 della tavoletta, tradotto a sua volta con πίθος, sostantivo maschile che indica un vaso di grandi dimensioni utilizzato per conservare derrate aride o liquide. Il termine probabilmente era caratterizzato dalla presenza di una labiovelare iniziale e avrebbe presentato alternanza vocalica e/i: esso costituirebbe un prestito (Chantraine 1984: 900). Segue la menzione, sulla medesima riga, di 2 ti-ri-po-di-ko e 7 ka-ra-ti-ri-
1993: 353; Chantraine 1984: 932), è il diminutivo di un sostantivo che indicherebbe un oggetto caratterizzato dalla presenza di tre piedi; dal punto di vista morfologico, questo oggetto sarebbe affine al tripode, dal quale si discosta, tuttavia, per le dimensioni più ridotte.
Il termine immediatamente seguente, ka-ra-ti-ri-jo, di dubbia interpretazione, eti- mologicamente rimanda al termine κρατήρ (Chadwick 1959: 2). Una delle probabili ipotesi prevede la traduzione *κράτριος, che indica un «vaso con il quale si attinge- va dal cratere» (Adrados-Aura Jorro 1993: 322), ma potrebbe essere letto anche come *κρατίριον, con un probabile errore di scrittura per κρατήριον, diminutivo di κρατήρ (Liddell-Scott 1968: 991).
La prima riga del verso della tavoletta contiene la raffigurazione dell’ideogramma *189, seguito dalla menzione dell’antroponimo maschile pi-ro-qe-mo, di incerta traduzio- ne (Φιλό-τιμος, Φιλό-χwερμος, Φιλο-τεῖμος) e la forma verbale a-ke, traducibile con ἄγει (3a persona singolare dell’indicativo presente di ἅγω), ἅγη (3a persona singolare dell’aoristo passivo di ἅζομαι) o, infine ἧκε (aoristo di ἵημι) (Adrados-Aura Jorro 1993: 127).
La seconda riga del verso, infine, contiene gli ideogrammi corrispondenti al vino, ai fichi e alle olive con le relative indicazioni delle quantità. La tavoletta, dunque, registra un elenco di vasellame oggetto di una transazione nell’ambito del palazzo, la cui funzio- ne non è definibile stando al testo della tavoletta presa singolarmente. Alcuni di questi contenitori, come il κρατήρ, sono utilizzati per mescere l’acqua e il vino in occasione di un banchetto, altri, come la προχόος, sono utilizzati per versare l’acqua.
Sappiamo che nel mondo greco, accanto al cratere di grandi dimensioni, era presente anche una versione di dimensioni minori, denominato κρατηρίσκος; la duplicazione della forma sembra attestata anche per i tripodi menzionati in PY Ta 641,1, che nei testi omerici sono inclusi nelle descrizioni di preparativi di un bagno in vasca accompagnati sempre dall’aggettivo μέγας. Di questi ultimi Ateneo specifica che, nell’antichità, erano noti due tipi: uno, definito λέβης, da porre sul fuoco per riscaldare l’acqua per il bagno, che già in Omero assumeva questa funzione, e l’altro utilizzato per mescere il vino con l’acqua (II 38a). I tripodi del primo tipo sono descritti come dei recipienti di bronzo provvisti di anse e con una base costituita da tre piedi e differiscono dai tripodi delfici (II 38b).
re-wo-to-ro-ko-wo
PY Aa 783:
re-wo-to-ro-ko-wo MULIER 38 ko-wa 13 ko-wo 15 DA 1 TA 1
PY Ab 553:
.A GRA 11 t 1 DA TA .B pu-ro, re-wo-to-ro-ko-wo 37 ko-wa 13 ko-wo 15 NI 11 t 1
PY Ad 676:
pu-ro re-wo-to-ro-ko-wo ko-wo VIR 22 ko-wo 11
La tavoletta PY Aa 783 contiene menzione di personale dipendente del palazzo (Bennett 1955: 114; Ventris-Chadwick 1956: 156). Il termine re-wo-to-ro-ko-ro (lewo-
trokhowoi, *λεϝοτροχοϝοι) nominativo plurale di un tema femminile in -ο, indica i membri del personale che ricoprivano il ruolo di attendenti al bagno (Adrados-Aura Jorro 1993: 249; Baumbach 1968: 229; Doria 1965: 234; Gallavotti-Sacconi 1961: 8; Mor- purgo 1963: 294; Palmer 1963: 119). Il termine è utilizzato in questa accezione anche nell’Iliade e nell’Odissea, dove è presente anche sotto forma di aggettivo in associazione al sostantivo τρίπους (Il. XVIII 346; Od. VIII 435) inteso come «tripode da bagno». Esso è un composto che nella prima parte (*λεϝοτρο-) ha la stessa radice del termine *λεϝοτρ-(ειοι) attestato nella tavoletta PY Tn 996, che contiene il riferimento all’«acqua per il bagno», mentre la seconda, -χοϝοι, è connessa alla radice del verbo χέω (origi- nariamente *χεϝω), «versare»(Aura Jorro 1996: 187; Palmer 1963: 120). L’aggettivo dunque è riferito a «coloro che versano l’acqua per il bagno» ed è l’antenato dell’omeri- co λοετροχόος, con lo stesso scambio di posizione delle vocali iniziali. L’ideogramma *102 MULIER che segue l’aggettivo specifica che si tratta di 38 ancelle che fungono da assistenti al bagno. Seguono i termini *κορϝαι e *κορϝοι: sono le forme antiche di κόραι e κοῦροι, «fanciulle» e «fanciulli»(13 fanciulle e 15 fanciulli). Seguono, infine, i termini da e ta seguiti da 1: questi ultimi, di incerta interpretazione, potrebbero indicare un supervisore delle attività svolte dalle ancelle (Palmer 1963: 116; Ventris-Chadwick 1956: 157).
Sulla tavoletta Ab 553 manca l’ideogramma *102 MULIER che specifica il sesso dei membri del personale. All’indicazione degli individui, 37 κόραι e 13 κοῦροι, segue la registrazione delle quantità di orzo e di fichi che sono loro destinate (Bennett 1955: 115; Ventris-Chadwick 1956: 155).
Per quanto riguarda le prime due tavolette, Ventris e Chadwick (1956: 155), consi-