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L’art 41-bis ord pen come misura di sicurezza ovvero come pena ac-

6. Natura giuridica e inquadramento sistematico della misura

6.3. L’art 41-bis ord pen come misura di sicurezza ovvero come pena ac-

Dalla premessa per cui l’istituto in esame non può essere considerato una mera modalità esecutiva della misura detentiva — dal momento che impor- rebbe un quid pluris di limitazione della libertà personale rispetto al regime or- dinario — né come una misura di prevenzione, della quale condividerebbe la funzione preventiva, ma senza poter giustificare la privazione della libertà per- sonale a causa dei limiti imposti dagli artt. 13 Cost. e 5 CEDU —, discende l’ulteriore ipotesi ricostruttiva del 41-bis ord. pen. quale sanzione penale au- tonoma.

Pur incidendo le restrizioni conseguenti all’applicazione del carcere duro sulla fase esecutiva della pena, è anche vero, però, che la tipologia e la severità delle limitazioni che possono essere ivi adottate sono idonee a modifi- care radicalmente la fisionomia della pena detentiva nella sua configurazione ordinaria . 206

Così ricondotto il regime detentivo speciale alla categoria delle sanzioni penali, va risolto il quesito del suo inquadramento formale nell’ambito dell’al- ternativa, propria di un sistema a c.d. doppio binario sanzionatorio, tra pene e misure di sicurezza.

Autorevole dottrina sostiene che il 41-bis, quale misura di prevenzione speciale volta a paralizzare una condizione di pericolosità soggettiva, andrebbe

Cass. pen. Sez. 6, 10 febbraio 1998, n. 464; Cass. pen. Sez. 1, 5 dicembre 2002 n. 1379; Cass.

205

pen. Sez. I, 4 marzo 2004, n. 19900; Cass. pen. Sez. I, 29 aprile 2014, n. 52054, in Pluris, es- cludono la qualificazione del 41-bis quale pena differenziata.

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., p. 374; M. RUOTOLO, Diritti dei detenuti e Costi

206 -

tuzione, cit., p. 214, secondo cui il regime 41-bis differisce evidentemente da quello ordinario. Cfr. anche S. ROMICE, Brevi note sull’art. 41-bis O.P. , cit., p. 27.

considerato, più correttamente, una misura di sicurezza . Tale qualificazione 207 viene rinvenuta da una pluralità di indicatori.

Sul piano della competenza, il provvedimento è imposto da un organo dell’Esecutivo sulla base di esigenze estranee alla meritevolezza della pena, e relative, invece, alla pericolosità sociale del detenuto e alla possibilità di man- tenere contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza.

L’applicabilità del regime, in caso di cumulo di reati, anche quando sia stata espiata la parte di pena relativa ai delitti di cui al 4-bis, spezza radical- mente il rapporto di razionalità retributiva delitto/pena, e ricollega evidente- mente l’inasprimento sanzionatorio alla pericolosità del detenuto, così compi- endo un decisivo passo verso la configurazione dell’istituto del “tipo d’autore” . 208

La stessa durata della misura, indefinibile a priori, ma soggetta al potere di proroga del Magistrato di Sorveglianza, è totalmente slegata dalla colpev- olezza del reo ma rigidamente ancorata ad una valutazione di persistenza della pericolosità sociale del detenuto . 209

Dal punto di vista contenutistico, infine, il provvedimento impositivo sembra innovativo del rapporto penitenziario, trasformando la pena inflitta dal giudice in una sanzione di tipo diverso, orientata essenzialmente a finalità di

M. RONCO, Riflessioni su una “nuova” sanzione: l’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario,

207

in Persona, pena, processo. Scritti in memoria di Tommaso Sorrentino raccolti sotto la direzione di M. Gallo, a cura di M. AMISANO - M. CATERINI, Napoli, 2012, pp. 220 ss., sostiene che la re-

strizione carceraria, laddove espiata nel regime definito dall’art. 41-bis o.p., si trasforma da pena a misura di sicurezza, al punto che, parlare di pena al riguardo costituirebbe una «truffa delle etichette».

M. RONCO, Riflessioni su una “nuova” sanzione, cit., p. 221.

208

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., p. 387, ammette che il regime detentivo speciale

209

potrebbe, a prima vista, essere ricondotto sistematicamente alla categoria delle misure di sicurezza sui generis, in quanto applicabile in presenza di una pericolosità sociale che discende non dalle caratteristiche soggettive del detenuto, ma dal contesto criminale di origine. Altri elementi di spe- cialità andrebbero ravvisati nei criteri di accertamento della pericolosità sociale, ricavabili dall’art. 133 c.p. per le misure di sicurezza ordinarie, fortemente ancorati all’accertamento di legami attuali con l’organizzazione di provenienza, desunta dagli indici delineati dal co. 2-bis dell’art. 41-bis ord. pen. La stessa nozione di pericolosità sociale appare più ristretta, dal momento che il giudizio prognostico circa il pericolo di commissione di reati va circoscritto alle fattispecie criminose de- lineate dall’art. 4-bis ord. pen. Infine, la generalizzata applicabilità del regime detentivo speciale anche agli imputati, e non solo ai condannati, consente di rinvenire ulteriori profili di specialità rispetto alla disciplina ordinaria delle misure di sicurezza, la cui applicabilità provvisoria va ristret- ta negli angusti limiti delineati dall’art. 206 c.p.

prevenzione generale e speciale nel senso di paralizzare le potenzialità criminali presenti e future del soggetto.

A tale ricostruzione si è tuttavia opposto che un inquadramento sistem- atico siffatto sarebbe ostacolato dalla necessità, legata alle citate esigenze di rafforzamento della funzione custodialistica, di esecuzione del regime speciale durante l’espiazione della pena, in contrasto con l’art. 211 c.p. che pospone, in- vece, l’applicazione delle misure di sicurezza all’intervenuta esecuzione della pena detentiva cumulativamente irrogata . 210

Ciò consentirebbe di ricondurre l’art. 41-bis nell’ambito delle pene vere e proprie . 211

Tra le species di pena configurabili, tale orientamento dottrinario propende maggiormente per l’inquadramento nell’ambito delle pene accessorie, preso atto che la detenzione in 41-bis, pur determinando una componente afflit- tiva ulteriore rispetto al regime ordinario, caratterizza la reclusione (o l’ergasto- lo) solo per il tempo ritenuto necessario dall’autorità giudiziaria — che cesserà di autorizzare la proroga del regime una volta ritenuta venuta meno la peri- colosità sociale del detenuto —.

Si tratterebbe, più precisamente, di una pena accessoria “anomala”, che presenta punti di contatto e, contemporaneamente, di novità rispetto alle pene accessorie tradizionali.

I due istituti avrebbero in comune la funzione di prevenzione: se è vero che le pene accessorie sono caratterizzate storicamente da una preminente final- ità di stigmatizzazione, sono state loro riconosciute anche funzioni di preven- zione generale e speciale . Più precisamente, esse svolgerebbero una funzione 212 di “incapacitazione” del condannato, che viene estromesso da situazioni e con- testi per lui potenzialmente criminogeni . 213

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., p. 389.

210

Ibidem, p. 390.

211

G. MARINUCCI - E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2015, p. 628;

212

P. PISA, Le pene accessorie. problemi e prospettive, Milano, 1984, p. 22.

F. MANTOVANI, Diritto penale, Milano, 2015, p. 760.

Analogamente, il regime detentivo speciale si propone di recidere i pos- sibili collegamenti tra detenuto e ambiente criminale di origine, intervenendo su quelle regole penitenziarie che, prestandosi a facili raggiri, diventano strumento di comunicazione con l’esterno.

Quanto ai profili di specialità rispetto alle pene accessorie tradizionali, va rinvenuto il carattere della applicazione discrezionale, che non manifesta el- ementi di incompatibilità con l’art. 20 c.p., considerata la natura tendenziale del principio della applicazione automatica ivi sancito, tra l’altro dichiarato più volte irragionevole da parte della Corte Costituzionale . 214

La discrezionalità riguarda i profili: a) dell’an, considerata l’esigenza di vagliare in concreto la sussistenza di attuali legami con l’associazione di prove- nienza; b) del quantum, attesa la delicatezza della questione attinente alla durata della misura, che impone un ancor più delicato giudizio di bilanciamento tra tutela dei diritti fondamentali del detenuto ed esigenze di prevenzione; c) del

quomodo, al fine di adeguare il rigore afflittivo della misura alle caratteristiche

soggettive del detenuto.

Ulteriore profilo di specialità va rinvenuto nell’applicazione contestuale all’esecuzione della pena. Carattere incompatibile con l’inquadramento tra le misure di sicurezza, esso risulta, viceversa, compatibile con la natura di pena accessoria, esistendo altri casi di esecuzione contestuale di questa specie di sanzioni . 215

Infine, anche l’applicabilità del regime detentivo speciale agli impu- tati non trova particolari ostacoli nella qualificazione di pena accessoria, dal 216 momento che il codice di procedura penale, agli artt. 288 e seguenti, disciplina

Cfr. Corte Cost., 23 gennaio 2013, n. 7; Corte Cost., 23 febbraio 2012, n. 31.

214

La dottrina citata indica, come esempi di pene accessorie di applicazione contestuale alla pena

215

principale, quelle dell’interdizione legale o della sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale ex art. 32, c. 3, c.p.

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., p. 399, ritiene tale carattere quale uno dei maggior

216 -

mente rappresentativi del regime detentivo speciale, dal momento che l’esigenza di interrompere il collegamento tra detenuto e associazione di appartenenza si manifesta già a partire dall’arresto, al fine di evitare il c.d. passaggio di consegne nei confronti di chi è rimasto in libertà, sicché anche di tale carattere deve essere vagliata la compatibilità con la nozione di pena accessoria.

specifiche misure cautelari interdittive che ricalcano il contenuto di alcune pene accessorie previste dal codice penale . 217

In definitiva, secondo l’orientamento dottrinale in parola, il regime de- tentivo speciale consiste in una pena accessoria speciale, a carattere dis- crezionale, da eseguirsi durante l’esecuzione della pena principale.