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8. L’art 41-bis ord pen come espressione di un diritto penale del nemico? 105

8.2. La lotta alla criminalità organizzata come espressione del “doppio bina-

8.2.2. La torsione delle regole processuali

Altro carattere del diritto penale del nemico, che può efficacemente es- sere riscontrato nell’ambito dei reati associativi di stampo mafioso, è rappresen- tato dalla distorsione delle regole processuali a danno dei diritti di difesa pre- visti dal nostro ordinamento nei confronti dell’imputato.

Va premesso che, se da un lato uno Stato ha il diritto e il dovere di tute- larsi nei confronti dei fenomeni criminali, d’altro lato ciò non deve avvenire con il pregiudizio delle garanzie del giusto processo, che rappresentano con- dizione vitale dello Stato di diritto.

Innanzitutto, in tema di attività di indagine, è stata introdotta con il D. L.gs 29 dicembre 2017, n. 216 la possibilità di svolgere attività di inter-

Sul punto, M. CATERINI, Il diritto penale del nemico presunto, in Politica del diritto, 2015, pp.

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cettazione mediante il c.d. captatore informatico. Si tratta di un sistema che consente di inviare da remoto un virus autoinstallante su qualsiasi apparecchio digitale al fine di ottenere la captazione dei dati in partenza e in arrivo sul dis- positivo; l’acquisizione di conversazioni; l’attivazione del microfono; l’atti- vazione della fotocamera; la perquisizione dell'hard disk, etc. . 327

Si tratta, da un lato, di un mezzo di ricerca della prova particolarmente invasivo e gravemente lesivo del diritto alla riservatezza e alla difesa, in quanto consente l’ispezione/perquisizione del dispositivo intercettato aggirando in toto le garanzie difensive previste per le tradizionali forme di ispezione, perqui- sizione e sequestro; dall’altro di un sistema, già di per sé invadente, che prevede un diverso binario rispetto ai delitti associativi . Inizialmente, infatti, la sen328 - tenza Scurato aveva ammesso l’utilizzabilità dei risultati acquisiti con il Tro329 -

jan solo ai reati di criminalità organizzata e non anche ai reati comuni, stante

l’impossibilità di coniugare la natura itinerante dello strumento investigativo con l’esigenza del Gip di predeterminare nel decreto autorizzativo eventuali lu- oghi di privata dimora. Con il decreto legislativo 216/2017, invece, nel modifi- care l’art. 266 c.p.p., è stato esteso l’ambito di applicabilità del captatore ai reati comuni, purché in luoghi diversi da quelli di cui all’art. 614 c.p., mentre, rispet- to ai delitti di criminalità organizzata, l’utilizzo del malware è sempre consenti- to indipendentemente dal luogo ove si debba svolgere la captazione.

Analogamente, possono intravedersi le logiche distorsive del “doppio binario” in tema di intercettazioni telefoniche e ambientali in genere. In primo luogo, non è richiesta la presenza di gravi indizi di reato e la assoluta indispens- abilità ai fini della prosecuzione delle indagini di cui all’art. 267, co. 1, c.p.p., ma è sufficiente, ai sensi dell’art. 13, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, che vi siano «sufficienti indizi» e che esse risultino anche solo «necessarie per lo svolgimen- to delle indagini in relazione a un delitto di criminalità organizzata». In secondo

L. PALMIERI, La nuova disciplina del captatore informatico tra esigenze investigative e salva

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guardia dei diritti fondamentali. Dalla sentenza “Scurato” alla riforma delle intercettazioni, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 2018, p. 60.

Ibidem, pp. 60 s.

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Cass. pen. Sez. Un., 28 aprile 2016, n. 26889, in Arch. nuova proc. pen., 2017, p. 76.

luogo, se le intercettazioni ordinarie sono ammesse nei luoghi di cui all’art. 614 c.p. solo se vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo attività criminosa, detto limite non sussiste nell’ambito di procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata. Pure la durata delle intercettazioni è maggiore, po- tendo essere disposte per un termine massimo di quaranta giorni, anziché quindici, prorogabili per ulteriori venti giorni, anziché quindici . 330

E’ chiara la disparità di trattamento investigativo tra delinquente comune e delinquente qualificato.

Con riferimento, invece, alla misura della custodia cautelare in carcere, che ha certamente un valore anche simbolico per il suo porsi in contrasto con il diritto alla libertà personale, si è passati dalla regola della extrema ratio, così come sancita nell’art. 275, co. 3, primo periodo, c.p.p., alla regola opposta . Il 331 secondo periodo del medesimo articolo sancisce, infatti, che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ad alcune fattispecie delittuose, tra cui l’art. 416-bis c.p., si applica la custodia cautelare in carcere salvo che siano ac- quisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, con evidente inversione dell’onere probatorio al riguardo.

Sul punto, A. BITONTI, Doppio binario, cit., pp. 405 s., ricorda, inoltre, come le proroghe delle

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intercettazioni, nell’ambito dei procedimenti in tema di criminalità organizzata, possano essere disposte direttamente dal Pubblico Ministero, e che questi, unitamente all’ufficiale di polizia giudiziaria, a differenza del regime ordinario, possano farsi coadiuvare da agenti di polizia giudiziaria.

S. MOCCIA, La perenne emergenza, cit., pp. 88 ss. Contra, F. VIGANÒ, Diritto penale del nemi

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co, cit., p. 142, secondo il quale la custodia cautelare in materia di contrasto alla criminalità orga- nizzata e del terrorismo dovrebbe svolgere non solo una funzione “servente” rispetto al processo ma soprattutto una funzione preventiva della futura commissione di fatti offensivi di beni giuridici primari, così consentendo la tempestiva neutralizzazione di soggetti pericolosi prima che essi pos- sano ancora accingersi a realizzarli. Sulla natura preventiva della custodia di sicurezza, già, G. JAKOBS, Diritto penale del nemico, cit., p. 20, secondo il quale, per l’imputato “persona” questa

misura rappresenterebbe un mero strumento di coazione fisica. Esso diventerebbe necessario, in- vece, nei confronti di un individuo che si comporti come nemico. Sul passaggio dal criterio della extrema ratio all’opposta regola in tema di custodia cautelare, vd. anche, A. BITONTI, Doppio bi- nario, cit., pp. 408 ss., il quale ricorda come siffatta disciplina sia passata indenne dal vaglio della Corte Costituzionale, la quale, con un’ordinanza di manifesta infondatezza, giudicata laconica e sbrigativa, ha chiarito che la previsione legale di adeguatezza della sola misura della carcerazione preventiva è cosa differente dal potere affidato al giudice di valutare, nel caso concreto, la sussis- tenza delle esigenze cautelari.

Ne discende un trattamento più severo nei confronti di soggetti che, quali imputati, devono vedere ancora accertata la propria responsabilità penale, ma che recano tuttavia lo stigma della presunzione di appartenenza ad una asso- ciazione criminale di stampo mafioso.

Con riferimento all’esplicazione del contraddittorio dibattimentale, momento che rappresenta il fulcro del processo di tipo accusatorio dato che ivi dovrebbe formarsi la prova nella dialettica perfettamente paritaria tra accusa e difesa, si osservi come all’art. 238 c.p.p. era stata inserita, da parte della legge 356/1992 , la possibilità di acquisire i verbali di prova provenienti da altri 332 procedimenti, a prescindere dal consenso delle parti, in rapporto a prove assunte nell’incidente probatorio o in dibattimento . Proprio l’esigenza di garantire il 333 contraddittorio delle parti, trattandosi di prove alla cui assunzione esse non hanno potuto partecipare, aveva indotto il legislatore a prevedere il diritto all’e- same dibattimentale dei testimoni e degli imputati che avessero rilasciato le dichiarazioni di cui ai verbali acquisiti. Una vistosa eccezione era prevista però, ai sensi dell’art. 190-bis c.p.p., in caso di fatti attinenti alla criminalità organiz- zata, dal momento che, in ipotesi siffatte, l’esame dibattimentale dei testimoni veniva ammesso solo se il giudice lo avesse ritenuto assolutamente neces- sario . 334

Era evidente l’inflessione che subiva il diritto al contraddittorio, e come, per i delitti di stampo mafioso, si potesse addirittura pervenire all’acquisizione e all’utilizzazione di prove formate in altri processi senza che i difensori avessero potuto, se non nel caso di una autorizzazione discrezionale e meramente even- tuale del giudice, esaminare coloro che avessero reso le dichiarazioni che com- ponevano quelle prove.

Cfr. P. RIVELLO, Commento all’art. 3 l. n. 356/1992, in Legisl. pen., 1993, pp. 46 ss.

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S. MOCCIA, La perenne emergenza, cit., p. 103.

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Sul punto, criticamente, G. D. PISAPIA, Il nuovo processo penale: esperienze e prospettive, in

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Riv. it. dir. proc. pen., 1993, p. 15; P. FERRUA, Contraddittorio e verità nel processo penale, in ID.,

Studi sul processo penale, II, Anamorfosi del processo accusatorio, Torino, 1992, pp. 258 s.; G. GIOSTRA, Pubblico ministero e polizia giudiziaria nel processo penale di parti, in Pol. dir., 1994,

p. 49; V. GREVI, Nuovo codice di procedura penale e processi di criminalità organizzata: un primo bilancio, in Processo penale e criminalità organizzata, a cura di V. GREVI, Bari, 1993, pp. 30 ss.

Al fine di circoscrivere la evidente contrazione del diritto al contraddit- torio, l’art. 190-bis c.p.p. è stato modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, grazie alla quale il potere del giudice di respingere la richiesta di nuova assun- zione del mezzo di prova perché non assolutamente necessario è stato circo- scritto al solo caso in cui il difensore avesse comunque partecipato all’assun- zione di tali dichiarazioni. La norma è stata, poi, interpolata dalla legge 1 marzo 2001, n. 63, attuativa del giusto processo, che ha consentito l’esame dei testi e delle persone imputate in procedimenti connessi che avessero già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in dibattimento nel contradditto- rio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni stesse vanno utilizzate, o i cui verbali sono stati acquisiti ex art. 238 c.p.p., non solo laddove ritenuto nec- essario, ma anche qualora l’esame riguardi fatti e circostanze diversi da quelli oggetto del giudizio in questione.

L’art. 238 c.p.p., parimenti, è stato modificato mediante l’introduzione di un comma 2-bis, ai sensi del quale i verbali di prova di altri procedimenti possono essere acquisiti al processo solo se il difensore dell’imputato ha parte- cipato all’assunzione della prova . 335

Si tratta di interventi che certamente hanno tentato di garantire un mag- giore rispetto del principio del contraddittorio, prima evidentemente eluso, sen- za però pervenire ad un suo pieno rispetto, considerato che, ai sensi dell’art. 190-bis c.p.p., l’esame dei testimoni e degli imputati di reato connesso, in de- terminati casi, potrà comunque non avvenire.

Il diritto alla difesa viene messo a dura prova, inoltre, dalla previsione di una presunzione assoluta di necessità di segretezza delle indagini legata alla natura del reato, rispetto ai delitti di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p., tra cui ap- punto i delitti di associazione mafiosa, per i quali le attività investigative pos- sono svolgersi fino al limite di due anni senza che l’indagato ne venga a conoscenza . 336

In questi termini, A. BITONTI, Doppio binario, cit., pp. 411 ss.

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Sui presenti rilievi critici, V. GREVI, Nuovo codice di procedura penale, cit., pp. 18 ss.; G.

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