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Le condizioni di applicabilità: titolo di reato o pericolosità sociale?

3. L’interpretazione evolutiva fornita dalla Corte Costituzionale

3.2. Le condizioni di applicabilità: titolo di reato o pericolosità sociale?

Con la sentenza 376/97 la Corte si è interrogata, invece, circa la com123 - patibilità dell’art. 41-bis o.p. con l’art. 3 della Costituzione. Il dubbio di costi- tuzionalità concerneva la sussistenza o meno di una disparità di trattamento tra detenuti ordinari e quella categoria di reclusi, imputati o condannati che, sulla base di uno specifico titolo di reato, potevano essere sottoposti ad un regime di esecuzione differenziato. In altri termini, ci si è chiesti se l’art. 41-bis potesse essere applicato solo in virtù del reato commesso, indipendentemente da situ- azioni di eccezionalità ed emergenza, dettagliatamente motivate, nonché da

S. F. VITELLO, Brevi riflessioni sull’art. 41-bis O.P. cit., p. 2866. Cfr. anche, A. MARTINI,

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Commento all’art. 19 d.l. 306/92, in Legisl. pen., 1993, p. 213. Secondo l’A. viene, così, ratificato l’indirizzo ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa di un assoluto difetto di giuris- dizione del giudice amministrativo nella materia della sindacabilità giurisdizionale dei decreti im- positivi del regime detentivo speciale. Già con riferimento all’art. 90 ord. pen., il TAR Lazio, sezione prima, sent. 13 settembre 1984, n. 771, aveva affermato che, agli effetti del riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, ciò che acquisiva rilevanza non era la qualificazione giuridica che l’istante conferisce alla posizione soggettiva di cui chiede tutela, ma la reale consistenza di detta posizione così come risulta disciplinata dalle fonti di normazione, non potendo dubitarsi che i provvedimenti ministeriali che dispongono nei confronti dei detenuti la sospensione delle regole del trattamento carcerario incidono in via immediata e diretta su posizioni giuridiche soggettive qualificabili come diritti e libertà costituzionalmente garantiti. Nei confronti delle determinazioni impugnate i detenuti si presentano quindi come titolari di diritti soggettivi inviolabili, suscettibili di tutela dinnanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.

Tribunale di Sorveglianza di Milano, ord. del 7 aprile 1993, n. 396. Condivide i medesimi prin

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cipi di diritto, Corte Cost., 5 novembre 1993, n. 410.

Corte Cost., 5 dicembre 1997, n. 376, in Giur. cost., 1997, fasc. 6, con nota redazionale di R.

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ogni previsione temporale e da una verifica costante degli sviluppi della situ- azione, con il rischio, dunque, di pericolosi automatismi.

Rischio siffatto conseguiva alla eccessiva vaghezza dei presupposti ap- plicativi dell’istituto, la cui lettera si limitava ad estendere il regime detentivo speciale a soggetti detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell’art. 4-

bis ord. pen., laddove ricorressero gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica.

Quali fossero tali motivi non era, tuttavia, meglio precisato nella norma, così potendosi consentire un aggravamento del regime carcerario anche per ques- tioni estranee a profili di eccezionalità ed emergenza.

La Corte Costituzionale, dopo aver dichiarato che il regime ex art. 41-

bis ord. pen. si manifesta come strumento di intervento efficace di fronte ai ben

noti e pericolosi caratteri della criminalità organizzata, ha affermato che l’istitu- to non potesse constare di misure diverse da quelle riconducibili con rapporto di congruità alle finalità di ordine e sicurezza proprie del provvedimento ministe- riale.

Vero è che la disposizione normativa, con il riferimento a generici “mo- tivi” ed “esigenze” di ordine e di sicurezza pubblica, sembrava consentire, in relazione al solo titolo del reato, l’applicazione di un regime derogatorio inde- terminato e dunque non vincolato a specifici contenuti né a specifiche finalità congruamente perseguibili nei limiti delle competenze attribuite all’amminis- trazione carceraria. Tuttavia, la Corte ha ritenuto doverosa una diversa e più re- strittiva interpretazione della norma, secondo cui essa avrebbe potuto applicarsi non tanto per aggravare la posizione detentiva di soggetti colpevoli di aver commesso reati particolarmente gravi, quanto per far fronte a specifiche esigen- ze di ordine e sicurezza enucleabili e desumibili dalla necessità di prevenire ed impedire i collegamenti fra detenuti appartenenti a organizzazioni criminali,

nonché fra questi e gli appartenenti a tali organizzazioni ancora in libertà : 124 collegamenti che avrebbero potuto realizzarsi, appunto, attraverso l’utilizzo delle opportunità di contatti che l’ordinario regime carcerario consente e in cer- ta misura favorisce.

Dunque, i motivi di ordine e sicurezza, secondo la Corte, andavano rin- tracciati, in senso specifico, in quei casi in cui vi fosse un effettivo pericolo di permanenza di collegamenti con gli ambienti criminali esterni, di cui i fatti di reato concretamente contestati costituiscono solo una logica premessa, e non certo mero presupposto giuridico di applicazione della norma.

Ulteriore delicato profilo, affrontato con particolare cautela, è stato quel- lo dell’applicabilità del regime detentivo speciale anche a soggetti ancora impu- tati, e ciò in possibile contrasto con la presunzione di non colpevolezza ex art. 27, comma 2, Cost. La Corte ha risolto la questione, ritenendo che le misure in oggetto non avessero e non potessero avere natura e contenuto di anticipazione della sanzione penale, bensì solo funzione cautelare in relazione a pericoli at- tuali per l’ordine e la sicurezza collegati in concreto alla detenzione di detenuti imputati per delitti di criminalità organizzata.

In effetti, la soluzione prospettata dalla Consulta pare quella maggior- mente coerente con le finalità perseguite dal provvedimento ministeriale, ossia la tutela della pubblica sicurezza mediante la neutralizzazione della pericolosità del soggetto in vinculis. Una diversa soluzione sarebbe stata, invero, lesiva delle predette finalità, in quanto avrebbe consentito ad un soggetto, per tutto il tempo in cui è imputato, di compromettere esigenze siffatte, godendo dei meccanismi

L. CESARIS, In margine alla sentenza costituzionale n. 376 del 1997, cit., p. 3179, ricollega,

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secondo il medesimo ragionamento fatto proprio dalla Corte Costituzionale, l’adozione del provvedimento ministeriale alla sussistenza di specifiche esigenze di ordine e sicurezza, nonché alla necessità di impedire collegamenti tra detenuti e organizzazioni criminali di riferimento. Infat- ti, la necessità di un regime differenziato da quello ordinario deriva dalla circostanza che le nor- mali modalità di esecuzione del trattamento penitenziario, al fine di favorire la finalità rieducativa della pena, incentivano i collegamenti con il mondo esterno, che, viceversa, vanno in tali casi nec- essariamente esclusi, mentre quelle attività trattamentali che non possono essere definitivamente compromesse, devono comunque essere organizzate con modalità idonee ad impedire tali contatti.

di contatto con l’esterno che il regime ordinario — come già detto — fa- vorisce . 125

Nel primo periodo di vita dell’art. 41-bis, caratterizzato ancora da es- trema vaghezza, le pronunce appena esaminate hanno svolto un ruolo determi- nante nel delimitarne il volto e specificarne i contenuti, elementi che poi sono stati fatti propri dall’Amministrazione penitenziaria, per essere, infine, cristal- lizzati dal legislatore, mediante tipizzazione del contenuto del decreto ministe- riale.

3.3. Ulteriori pronunce della Corte Costituzionale successive alle