3. La durata e la disciplina della proroga
3.2. Questioni interpretative in tema di proroga
L’istituto della proroga, ponendosi al crocevia tra esigenze di tutela del- l’ordine e della sicurezza, da un lato, e di garanzia della protezione dei diritti dei detenuti, dall’altro, rappresenta uno strumento particolarmente delicato, il cui abuso — conseguente a una reiterazione del regime detentivo in assenza di una attuale pericolosità dell’interessato — potrebbe sfociare in un trattamento inumano o degradante, giacché non vi sarebbe più giustificazione alcuna per una misura tanto gravosa, che perderebbe dunque il suo fondamento preventivo e acquisirebbe i connotati di mero aggravamento in senso meramente retributi- vo della sanzione.
Cass. pen. Sez. II, 24 gennaio 2017, n. 8461, Rv. 269121; Cass. pen. Sez. I, 7 novembre 2014,
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n. 46103, Rv. 261272; Cass. pen. Sez. II, 22 marzo 2011, n. 17100, Rv. 250021. Secondo questo orientamento, infatti, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo del soggetto non determina la necessaria e automatica cessazione della sua parteci- pazione al sodalizio, atteso che la relativa struttura - caratterizzata da complessità, forti legami tra gli aderenti e notevole spessore dei progetti delinquenziali a lungo termine - accetta il rischio di periodi di detenzione degli aderenti, soprattutto in ruoli apicali, alla stregua di eventualità che, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non ne impediscono total- mente la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attività e, dal- l'altro, non ne fanno venir meno la disponibilità a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento.
Cfr. Cass. pen. Sez. I, 12 dicembre 2007, n. 46271, in Pluris, secondo cui la valutazione della
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persistente pericolosità sociale del detenuto non può essere ridotta a un mero automatismo, ma deve tener conto che molteplici eventi — tanto più probabili con il trascorrere del tempo — pos- sono interrompere la detta capacità di interazione con il sodalizio criminale.
M. CANEPA - S. MERLO, Manuale di diritto penitenziario, cit., p. 216.
Tra i maggiori dubbi che la normativa in esame presenta, si pone, in par- ticolare, quello della dimostrabilità del venir meno della propria capacità di col- legamento laddove non ricorrano condizioni che, come si vedrà, prescindono 124 dalla volontà del detenuto o che addirittura siano idonee a coartarla . 125
Sembra infatti che la prova della dissociazione, o comunque del venir meno della capacità di collegamento, possa essere desunta solo dalle seguenti ipotesi: disgregazione del gruppo; estromissione del detenuto; collaborazione con la giustizia; dissociazione fattiva e concreta; stato di salute precario . 126
Se, però, la disgregazione del gruppo e l’estromissione dell’interessato, così come l’aggravamento delle sue condizioni di salute , sono circostanze 127 indipendenti dalla volontà di questi, sembra che solo attraverso la collabo- razione con la giustizia e la fattiva e concreta dissociazione egli potrebbe au- tonomamente manifestare l’abbandono delle logiche criminali.
Tuttavia, la fattiva dissociazione risulterebbe difficilmente dimostrabile o comunque non del tutto credibile se non attraverso una condotta chiara e in- equivoca di contrasto alle attività criminali precedentemente condivise. Atteso che l’unico modo per contrastare in modo effettivo ed efficace la criminalità organizzata sia quello di intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia, vista la sua connotazione auto ed etero-accusatoria, sembra questa l’unica alternativa concretamente perseguibile per dimostrare il venir meno del- la capacità di collegamento. In altre parole, il detenuto si troverebbe dinnanzi
L. CESARIS, Sub art. 41-bis o.p., cit., p. 471, ritiene, infatti, che l’onere motivazionale dell’Am
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ministrazione Penitenziaria possa essere facilmente aggirato, diventando pressoché impossibile per il detenuto dimostrare di non possedere più la capacità di mantenere collegamenti con le organiz- zazioni di riferimento.
La collaborazione con la giustizia è stata considerata spesso una forma di estorsione morale, nel
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senso che il detenuto per un reato ostativo sarebbe posto di fronte all’alternativa tra la concreta impossibilità di dimostrare la propria dissociazione in modo efficace, e la formulazione di dichiarazioni auto o eteroaccusatorie. In tal senso, cfr. L. EUSEBI, L’ergastolano «non collabo-
rante» ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1, ord. penit. e benefici penitenziari, cit., p. 1223; G. NEPPI
MODONA, Ergastolo ostativo: profili di incostituzionalità e incompatibilità convenzionale, cit., p.
1510. G. MARIA FLICK, Ergastolo ostativo: contraddizioni e acrobazie, cit., p. 1510.
P. CORVI, Il trattamento penitenziario, cit., p. 188.
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Cass. pen. Sez. I, 23 febbraio 2017, n. 32405, in Pluris, secondo cui in tema di proroga del
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regime penitenziario differenziato, l'aggravamento delle condizioni di salute fisiche del detenuto possono incidere sulla complessiva legittimità della proroga del predetto regime, sia con riguardo al divieto di realizzazione di un trattamento inumano o degradante sia con riferimento all'analisi della condizione di attualità della pericolosità del recluso.
all’alternativa secca tra scelta collaborativa (che precluderebbe la proroga del regime) e impossibilità di dimostrare altrimenti il venir meno della propria ca- pacità di collegamento, senza avere a disposizione una terza via (al di là di cir- costanze eventuali e del tutto casuali come il deterioramento del proprio stato di salute).
Al riguardo va però ricordato (come già osservato supra) che se la col- laborazione con il sistema giudiziario consente di presumere la dissociazione del reo e il suo più agevole reinserimento sociale, dalla mancata collaborazione non può trarsi una valida presunzione di segno contrario, quale indice univoco di mantenimento dei legami di solidarietà con l’organizzazione criminale . 128
La stessa Corte Edu, nel dichiarare il contrasto tra la disciplina dell’ergas- tolo ostativo e l’art. 3 CEDU, ha affermato sul punto che «la mancanza di col- laborazione non può essere sempre imputata a una scelta libera e volontaria, né giustificata soltanto dalla persistenza dell’adesione ai “valori criminali” e al man- tenimento di legami con il gruppo di appartenenza» . 129
Pertanto, come i Giudici di Strasburgo hanno riconosciuto in favore del- l’ergastolano ostativo il diritto di accedere ai benefici penitenziari anche in as- senza di collaborazione con la giustizia, parimenti si pone l’esigenza di consen- tire al detenuto a regime speciale di dimostrare autonomamente la propria resip- iscenza in modo diverso dalla sola scelta collaborativa, senza dover dipendere da circostanze del tutto avulse dai suoi poteri di controllo. Sarebbe opportuno, ad esempio, prendere in considerazione gli esiti del suo percorso trattamentale (req- uisito ricompreso tra gli indici di cui al co. 2-bis ma nella prassi sistematica- mente trascurato ), l’eventuale manifestazione di atteggiamenti di dissociazione 130
Corte Cost., 11 giugno 1993, n. 306, cit.
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Viola c. Italia (n. 2), cit.
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Cfr. Cass. pen. Sez. I, 19 luglio 2019, n. 32337, secondo cui l’accoglimento del ricorso avverso
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il provvedimento di proroga del regime detentivo differenziato di cui all'art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 implica l'individuazione di elementi specifici e concreti indicativi della sopravvenuta carenza di pericolosità sociale, che non possono identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, né essere rappresentati da un apodittico e gener- ico riferimento a non meglio precisati risultati dell'attività di trattamento penitenziario.
e di repulsione verso i contesti criminali, nonché eventuali condotte riparatorie verso le persone offese.
In caso contrario, si insinua il rischio di affiancare alla funzione di pre- venzione una funzione occulta, ossia proprio quella di sfruttare il regime detenti- vo speciale per incentivare la collaborazione con la giustizia . 131
Ciò premesso, atteso che il 41-bis determina una importante limitazione di diritti fondamentali della persona, già fortemente compromessi dallo stato di detenzione, sarà di particolare rilievo far sì che il giudizio di pericolosità ai fini della reiterazione della proroga risulti nel tempo sempre più approfondito e at- tuale.
Lo stesso Garante dei diritti dei detenuti ha riscontrato numerosi casi di persone sottoposte al 41-bis da oltre vent’anni e ha verificato la ricorrenza nei provvedimenti di proroga di motivazioni che sostanziano il fondamento della reiterazione nella «assenza di ogni elemento in senso contrario» al mantenimento di collegamenti con l’organizzazione criminale operante all’esterno. Questi ha riscontrato come, nei provvedimenti di proroga, si faccia troppo spesso riferi- mento al reato iniziale per cui la persona è stata condannata e alla persistente es- istenza sul territorio dell’organizzazione criminale all’interno del quale il reato è stato realizzato. Due elementi centrali, a parere del Garante, che tuttavia non configurano di per sé in senso assoluto quella richiesta di attualizzazione delle particolari esigenze custodiali espressa nei pronunciamenti della Corte costi- tuzionale . 132
Il Garante ha poi evidenziato come spesso le proroghe non considerano la temporaneità della pena, al punto da essere disposte anche per un periodo che va oltre l’estinzione naturale della sanzione punitiva, precludendo il fondamentale principio di progressività del trattamento penitenziario . Sicché, un detenuto 133 che non ha intrattenuto per anni alcun tipo di contatti con l’esterno, si ritro-
P. CORVI, Il Trattamento penitenziario, cit., p. 188.
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Rapporto tematico sul regime detentivo speciale ex articolo 41-bis dell’ordinamento peniten
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ziario del Garante dei diritti dei detenuti, cit., p. 9
Sull’esigenza di progressività del trattamento penitenziario, specie riguardo i detenuti al 41-bis:
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verebbe “catapultato” da un giorno all’altro nella società, senza avere avuto la possibilità di intraprendere un percorso trattamentale che lo funzionale a tenerlo lontano dalle reti criminali di provenienza . 134