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La portata dell’art 41-bis ord pen alla luce dei suoi limiti “esterni” e

3. L’interpretazione evolutiva fornita dalla Corte Costituzionale

3.1. La portata dell’art 41-bis ord pen alla luce dei suoi limiti “esterni” e

La disamina degli interventi correttivi della Corte Costituzionale prende le mosse dalla sentenza 349/1993 , con la quale il giudice delle leggi ha af103 - frontato la questione del contenuto del 41-bis , norma che, nella sua originaria 104 e scarna formulazione, prevedeva genericamente la possibilità di «sospendere l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge», vale a dire di consentire nei confronti dei detenuti per i reati di cui al primo comma dell’art. 4-bis, per non meglio precisati motivi di ordine e si- curezza, la disapplicazione delle regole di trattamento introdotte nel ’75 per fa- vorire il mantenimento dei contatti con l’esterno e il loro progressivo reinseri- mento, ai fini — dichiarati — di precludere qualsivoglia contatto con gli ambi- enti di origine nonché — taciti — di reprimere con maggiore vigore reati parti- colarmente gravi . 105

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., pp. 116 s.

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Corte Cost., 28 luglio 1993, n. 349.

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S. F. VITELLO, Brevi riflessioni sull’art. 41-bis O.P. nel più vasto contesto del sistema peniten

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ziario, in Cass. pen., 1994, p. 2855. Cfr. anche G. LA GRECA, L’applicazione “dell’art. 41-bis”

sotto costante verifica, in Dir. pen. proc., 1997, p. 755.

Per un accenno alle finalità esplicite ed implicite del neo-introdotto art 41-bis, cfr., A. DELLA

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La disposizione si prestava soprattutto ad interpretazioni estensive, dal momento che non erano previsti limiti alle deroghe al trattamento carcerario ordinario, al punto da indurre la magistratura di sorveglianza ad interrogarsi sul- la compatibilità costituzionale di tale norma, in particolare in relazione agli artt. 13, 15, 27 e 97 Cost.

Con la sentenza in esame, la Corte, dopo aver premesso che la tutela costituzionale dei diritti fondamentali dell’uomo, ed in particolare la garanzia della inviolabilità della libertà personale sancita dall’art. 13 della Costituzione, opera anche nei confronti di chi è stato sottoposto a legittime restrizioni della libertà personale durante la fase esecutiva della pena, ha affermato che la sanzione detentiva non può comportare una totale e assoluta privazione della libertà, in quanto, pur costituendone una grave limitazione, non può mai deter- minarne una definitiva soppressione.

Ne conseguiva, secondo il ragionamento della Corte, che l’Amminis- trazione penitenziaria, da un lato, potesse adottare provvedimenti volti ad in- cidere sulla modalità di esecuzione della pena che non eccedessero quel coeffi- ciente minimo di sacrificio già fisiologicamente imposto al detenuto con la sen- tenza di condanna, e che fossero naturalmente soggetti ai limiti ed alle garanzie previsti dalla Costituzione in ordine al divieto di ogni violenza fisica e morale (art. 13, quarto comma, Cost.), o di trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27, terzo comma, Cost.), ed al diritto di difesa (art. 24 Cost.). La stessa, dall’al- tro, non poteva adottare misure di natura sostanziale che ricadessero sulla qual- ità e quantità della pena, e dunque suscettibili di gravare sul grado di privazione della libertà personale imposto al detenuto . 106

Invero, qualsiasi ulteriore intervento che, oltre tale limite, avesse potuto incidere sulla libertà personale del recluso, andava necessariamente soggetto alla duplice riserva di legge e di giurisdizione ai sensi dell’art. 13, co. 2, Cost., secondo cui ogni forma di detenzione ovvero di restrizione della libertà person-

M. CANEPA - S. MERLO, Manuale di diritto penitenziario, cit., p. 211.

ale sono ammesse solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

Venivano, così, individuati i cc.dd. “limiti esterni” all’applicazione 107 dell’art. 41-bis, che impongono di lasciar salve dal provvedimento sospensivo quelle misure che, corrispondendo a diritti inviolabili della persona, non pos- sono essere compresse senza violare il senso di umanità che deve presiedere all’esecuzione della pena , o possono incidere indirettamente sulla concedibil108 - ità dei benefici penitenziari.

I provvedimenti ministeriali che impongono il regime differenziato non potevano, secondo la valutazione della Corte, prescindere dalla considerazione specifica della condizione del singolo detenuto, in forza del principio, richiama- to dalla sentenza, di personalizzazione della pena . D’altro canto, tali misure 109 non dovevano essere ostative dei residui ambiti di libertà personale, non poten- do più incidere (dopo la modifica dell’art. 41-bis attuata con la riforma peniten- ziaria dell’86 - cfr. par. 2) sui cc.dd. “istituti” del trattamento penitenziario, os- sia su quelle modalità di trattamento che comportano un’esecuzione anche ex- tra-muraria e che affievoliscono, in forza del principio di progressività, le limi- tazioni imposte dallo stato di detenzione. Ne conseguiva che un eventuale inter- vento limitativo dell’Amministrazione penitenziaria rispetto a tali “istituti” avrebbe violato il principio di riserva di legge imposto dall’art. 13, co. 2, Cost . 110

La norma, però, non si atteneva unicamente alla previsione di un regime detentivo le cui modalità di esecuzione fossero interamente predeterminate per legge, ma provvedeva ad affidare comunque all’Amministrazione penitenziaria un’ampia discrezionalità sull’effettivo svolgimento del regime derogatorio in relazione al singolo caso concreto. E proprio al fine di arginare e delimitare

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., 122 s.; ARDITA S., Il regime detentivo speciale 41 bis,

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cit., 51.

T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare, cit., p. 188, ricollega tali indicazioni della

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Corte Costituzionale alla volontà di ricondurre l’art. 41-bis entro gli argini del regime di sorveg- lianza particolare, perlomeno nei punti nevralgici della disciplina.

S. F. VITELLO, Brevi riflessioni sull’art. 41-bis O.P., cit., p. 2865.

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Ibidem, p. 2866.

questo potere, la Consulta — nel consentire il sindacato giurisdizionale sul provvedimento impositivo (vd. infra) — ha individuato ulteriori limiti all’ap- plicazione dell’istituto, che si affiancano a quelli volti a precludere l’eventuale lesione di situazioni non comprimibili (i citati “limiti esterni”), e che concer- nono la necessaria congruità delle misure in concreto disposte rispetto ai fini per i quali la legge consente all’Amministrazione di disporre un regime in dero- ga a quello ordinario.

Con una sentenza di poco successiva la Corte Costituzionale, svilup111 - pando ulteriormente la sua interpretazione adeguatrice già avviata con la sen- tenza 349/1993, dall’esigenza di rinvenire una stretta congruità tra l’adozione della misura e i fini che essa si propone di realizzare ha enucleato i cc.dd. “limi- ti interni” al 41-bis. In particolare, la Corte ha affermato che: «non possono cioè disporsi misure che per il loro contenuto non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza, o siano palesemente inidonee o in- congrue rispetto alle esigenze di ordine e di sicurezza che motivano il provved- imento. Mancando tale congruità, infatti, le misure in questione non rispon- derebbero più al fine per il quale la legge consente che esse siano adottate, ma acquisterebbero un significato diverso, divenendo ingiustificate deroghe all’or- dinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non ricon- ducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale» . 112

Fermi i principi stabiliti dal Giudice delle leggi, ne è derivata la illegit- timità consequenziale di quelle misure restrittive irrogate a scopo dimostrativo o esemplare, volte, non tanto alla limitazione delle forme di collegamento con l’esterno e alla compressione della pericolosità del detenuto, quanto a privare

Corte Cost., 28 luglio 1996, n. 351, in Foro it., 1997, I, c. 2785.

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G. LA GRECA, L’applicazione “dell’art. 41-bis”, cit., p. 755, ricorda come la Corte Costi

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tuzionale, con la sentenza in commento, nel sancire la sindacabilità giurisdizionale del provvedi- mento impositivo, l’ha estesa, come visto, non solo alla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento, ma anche al rispetto dei limiti posti dalla legge e dalla Costituzione in ordine al contenuto di questo, al fine di precludere la eventuale lesione di situazioni non comprimibili, e garantire la congruità della misura rispetto ai fini per i quali è previsto il regime derogatorio. Nello svolgere sindacato siffatto, la legittimità dei provvedimenti va verificata anche in relazione alle conseguenze indirette che possono discendere sulla concedibilità di benefici incidenti sullo stato di libertà, e alle esigenze di ordine e sicurezza che consentono di sospendere il regime penitenziario ordinario.

una categoria di internati delle cc.dd. “manifestazioni di potere reale” e delle occasioni per aggregare intorno ad essi “consenso” traducibile in termini di potenzialità offensive criminali, proprio in quanto irrispettosi dei “limiti interni” dell’istituto, strettamente ancorati all’esigenza di tutelare l’ordine e la sicurez- za . 113

Veniva così delineato e ricondotto nell’alveo dei principi costituzionali il contenuto del provvedimento impositivo del regime detentivo speciale, in un momento legislativo in cui la fattispecie, vista la sua genericità, si prestava a facili abusi.

Il giudice delle leggi è intervenuto, altresì, come si è avuto modo di an- ticipare, sul diverso versante della tutela giurisdizionale conseguente all’appli- cazione dell’istituto . Sul punto, nonostante la legge nella sua formulazione 114 originaria non avesse previsto alcunché al riguardo, la Corte ha riconosciuto, in funzione additiva, la sindacabilità dei provvedimenti impositivi da parte del- l’autorità giudiziaria , la quale, in caso di reclamo, e salvo il rispetto del115 - l’onere motivazionale da parte dell’Amministrazione penitenziaria , avrebbe 116 potuto esercitare su di essi il medesimo controllo giurisdizionale che l’Ordina- mento penitenziario gli attribuisce in via generale sull’operato dell'Amminis- trazione penitenziaria e sui provvedimenti comunque concernenti l’esecuzione delle pene . Affinché il giudice potesse esplicare al meglio il proprio control117 - lo, era necessario, secondo la Corte, che venisse assolto l’obbligo moti-

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., p. 123.

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Cfr. sul punto, anche Corte Cost., 23 novembre 1993, n. 410, in Cons. Sato, 1993, II, p. 1879.

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Corte Cost., 28 luglio 1996, n. 351, in Giust. pen., 1997, p. 118 ss., con nota di G. POSCIA, ri

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corda che la Corte di Cassazione (ex multis, Cass. pen. Sez. I, 31 marzo 1995, n. 425), prima che intervenisse la Corte Costituzionale, aveva ritenuto di limitare il potere del Tribunale di Sorveg- lianza al solo controllo di legittimità delle disposizioni contenute nel decreto ministeriale senza potere in alcun caso sostituirsi all’amministrazione, integrando, eventualmente, le scelte dalla stes- sa operate o dichiarando inefficaci alcune delle disposizioni fissate dal Guardasigilli.

T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare, cit., p. 188.

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S. F. VITELLO, Brevi riflessioni sull’art. 41-bis O.P., cit., p. 2866, osserva che, nonostante l’af

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fermazione da parte della Corte Costituzionale della sindacabilità dei decreti impositivi, la norma nulla prevedeva al riguardo. Per colmare vuoto siffatto è intervenuta, allora, la magistratura di sorveglianza la quale ha applicato in via analogica l’art. 14-ter ord. pen. che prevedeva la possibil- ità di reclamo avverso i provvedimenti impositivi del regime di sorveglianza particolare ex art. 14- bis ord. pen. Il legislatore, recependo le indicazioni provenienti dal giudice delle leggi e anche dalla magistratura di sorveglianza, ha introdotto, con la riforma del 2002, il principio della reclam- abilità dei provvedimenti impositivi e di proroga del regime di detenzione speciale.

vazionale, sia riguardo ai presupposti di applicazione della misura sia riguardo ai contenuti, nel costante rispetto dei principi di proporzionalità e legalità.

Circa l’estensione del sindacato giurisdizionale, la Corte ha ritenuto che esso potesse riguardare non solo l’esistenza dei presupposti e la congruità della relativa motivazione, ma anche il rispetto dei limiti interni ed esterni al potere ministeriale, e ciò in quanto nessuna restrizione poteva essere imposta al sinda- cato del giudice ordinario sulla legittimità degli atti dell’amministrazione . Ne 118 conseguiva che il controllo del Tribunale di Sorveglianza, nel tenere quale costante tertium comparationis la tutela dell’ordine e della sicurezza (contem- poraneamente finalità e limite delle misure derogatorie al regime detentivo or- dinario), doveva estendersi anche al contenuto dispositivo dei provvedimenti dell’amministrazione, e, dunque, alla legittimità in concreto delle singole mis- ure con essi disposte . 119

La soluzione adottata dal giudice delle leggi non si è sottratta, tuttavia, a critiche da parte della dottrina.

E’ stato osservato che il potere del Tribunale di Sorveglianza di sin- dacare il decreto ministeriale avrebbe legittimato un vaglio giudiziale sulle scelte di tipo politico che sottostanno al 41-bis ord. pen. e ai singoli provvedi- menti impositivi, di competenza esclusiva del Ministro della Giustizia. Il provvedimento ministeriale avrebbe dovuto riflettere, infatti, l’indirizzo politico del Parlamento, e il Guardasigilli, a sua volta, con l’emanazione del decreto di

S. ARDITA, Problematiche di prevenzione, cit., p. 15, individua la ragione del giudizio di con

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gruità rimesso al Tribunale di sorveglianza esclusivamente nel fatto che venisse affidato un ampio spazio di scelta all’amministrazione riguardo al concreto atteggiarsi del regime derogatorio. L’A. contesta però il diffondersi nella giurisprudenza dei Tribunali di sorveglianza di una nozione di “congruità soggettiva”, che induceva gli stessi ad annullare, anche in modo parziale, i provvedi- menti impositivi sulla base di una valutazione soggettiva e personale del soggetto che veniva sot- toposto al regime derogatorio. L’A. non condivide, infatti, la possibilità di formulare un giudizio individualizzante, alla luce delle specifiche esigenze di prevenzione connesse all’applicazione del- l’istituto e della necessità di tener conto dell’obiettivo di recidere i contatti con le organizzazioni di riferimento, che rischia di essere eluso da una applicazione parziale delle misure derogatorie di cui al comma 2-quater dell’art. 41-bis.

Corte Cost., 28 luglio 1996, n. 351, cit., p. 124, osserva che giurisprudenza contemporanea del

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la Corte di Cassazione aveva già riconosciuto la pienezza del sindacato giurisdizionale sui decreti de quibus, ammettendo la disapplicazione totale e parziale dei provvedimenti illegittimi da parte del Tribunale di Sorveglianza, e ciò in esecuzione della norma di carattere generale secondo cui il giudice applica i regolamenti e gli atti amministrativi solo se ed in quanto legittimi.

applicazione, avrebbe dovuto assumersi la responsabilità delle proprie decisioni di fronte al Parlamento . 120

Tuttavia, essendo stato inserito nel sistema uno strumento di natura emi- nentemente politica, che però incide parimenti sulle modalità di esecuzione del trattamento penitenziario del detenuto, e, di riflesso, sulla sua libertà personale, ne conseguiva — in modo apparentemente paradossale, ma giuridicamente in- evitabile — la necessità di subordinare le scelte, politiche appunto, del Ministro della Giustizia ad un vaglio di legittimità di un organo giudiziario, e ciò in- dipendentemente dalla possibilità di considerare i diritti dei detenuti come “affievoliti” o “compromessi” dalla sentenza di condanna.

Il carattere politico-amministrativo dell’atto di imposizione del regime carcerario differenziato aveva posto, poi, il problema della riconducibilità al giudice ordinario del sindacato giurisdizionale di legittimità sull’atto impositi- vo. La Corte, come già anticipato, non solo ha risolto il contrasto dottrinale sul- l’impugnabilità astratta del provvedimento ministeriale, ma ha conferito al mag- istrato di sorveglianza il potere di effettuare tale controllo, così dirimendo alla radice la questione. Il dubbio interpretativo era sorto proprio perché il provved- imento aveva una evidente natura amministrativa e, a dimostrazione di ciò, veniva emanato da un’autorità ministeriale, motivo per cui il giudice amminis-

L. CESARIS, In margine alla sentenza costituzionale n. 376 del 1997: l’art. 41-bis comma 2 ord.

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penit., norma effettiva o virtuale, in Cass. pen., 1998, p. 3189, sostiene, tra l’altro, che la ricon- ducibilità del Tribunale di Sorveglianza e del Ministro di grazia e giustizia a differenti poteri dello Stato, incide inevitabilmente sul sindacato del primo sul provvedimento adottato dal secondo, dal momento che l’organo giudiziale potrebbe, nel caso concreto, ritenere insussistente quel presup- posto applicativo ritenuto invece sussistente, sulla base di valutazioni diverse, da parte dell’organo amministrativo, che persegue un interesse pubblico ben preciso.

trativo ne deduceva, prima facie, la propria giurisdizione . In realtà, la magis121 - tratura di sorveglianza, sulla base di considerazioni condivise dalla stessa Corte Costituzionale, aveva ritenuto che il regime penitenziario speciale non incidesse su posizioni tutelabili in via amministrativa, bensì su diritti essenziali della per- sona (come la libertà personale, la libertà di espressione e di comunicazione) la cui compressione non avrebbe mai potuto determinarne l’affievolimento ad in- teresse legittimo, e il cui vaglio giurisdizionale sarebbe inevitabilmente spettato all’autorità giudiziaria ordinaria . 122

3.2. Le condizioni di applicabilità: titolo di reato o pericolosità so-