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L. CESARIS, Sub. art. 41-bis. o.p., cit., p. 456.

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Ibidem, p. 456.

Il procedimento applicativo del regime detentivo speciale è dettato dal co. 2-bis dell’art. 41-bis ord. pen. , che attribuisce la relativa competenza al 70 Ministro della giustizia il quale dovrà seguire un procedimento d’ufficio con una delicata attività istruttoria finalizzata ad acquisire informazioni utili all’ac- certamento della capacità di collegamento del destinatario della misura.

Il provvedimento è un atto formalmente amministrativo che tuttavia reca con sé un evidente contenuto giudiziale, attesa la stretta connessione con l’ac- certamento giurisdizionale di una responsabilità penale relativa a determinati reati, nonché per le dirette conseguenze che esso produce sul regime peniten- ziario applicabile . 71

La scelta di riservare la competenza al Ministro della giustizia, anziché all’autorità giudiziaria, si spiega per le connesse esigenze di gestione e di orga- nizzazione penitenziaria: solo il Ministro — tra le cui prerogative rientra, tra l’altro, la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica — può avere una vi72 - sione a trecentosessanta gradi del panorama penitenziario per, così, regolare il flusso e la consistenza dei detenuti da assegnare al regime speciale , garanten73 - do tempestività di adozione e coordinamento delle informazioni necessarie . 74

La norma prevede che «Il provvedimento emesso ai sensi del comma 2 è adottato con decreto

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motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice proce- dente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva».

P. CORVI, Il Trattamento penitenziario, cit., p. 140; S. ARDITA, Il regime detentivo speciale 41-

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bis, cit., p. 81.

Cfr. Relazione finale sulle questioni emerse in sede di applicazione della normativa vigente in

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tema di regime carcerario speciale previsto dall’art. 41-bis o.p. nonché sulle proposte di modifica avanzate in materia, Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità orga- nizzata mafiosa o similare, 18 luglio 2002, in www.parlamento.it.

S. ARDITA, Il nuovo regime dell’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario, cit., p. 10, pur con

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dividendo l’attribuzione di competenza siffatta al Ministro della giustizia quale organo deputato istituzionalmente alla realizzazione di funzioni di sicurezza pubblica, manifesta alcune perplessità relative all’esercizio di tale potere, dal momento che gran parte della funzione preventiva volta al contrasto della criminalità organizzata è affidata all’autorità giudiziaria. Inoltre, l’Amministrazione penitenziaria, il cui vertice è rappresentato proprio dal Ministro della giustizia, tende a dispiegare la sua azione in funzione rieducativa e di recupero, in aderenza al dettato costituzionale. Le sue uniche competenze in tema di sicurezza sono quelle interne all’istituto, e qualsivoglia sanzione disciplinare dalla stessa emessa deve comunque tener conto del percorso trattamentale seguito dal detenuto.

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., p. 270.

2.1. La fase istruttoria.

Proprio per consentire il rispetto della finalità preventiva tipica dell’isti- tuto, è necessario che l’adozione del 41-bis sia preceduta da una approfondita raccolta di informazioni che riguardino, da un lato, la personalità e la peri- colosità sociale del proposto, dall’altro, lo stato e il livello di operatività del gruppo criminale di riferimento. A tal fine, il co. 2-bis sancisce che il Ministro della giustizia, prima di emettere il provvedimento, debba sentire l’ufficio del p.m. che procede alle indagini preliminari o quello presso il giudice procedente, e acquisire ogni ulteriore informazione necessaria presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di con- trasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze.

Alla luce della perentorietà della formulazione legislativa, l’attività istruttoria prodromica all’adozione del provvedimento rappresenta una con- dizione primaria di legalità del procedimento di applicazione, la cui assenza dovrebbe determinare l’inesistenza del potere ministeriale di attivazione e, con- testualmente, precludere al giudice, in sede di gravame, di deliberare circa i connotati sostanziali del provvedimento . 75

La norma in esame, nonostante la chiarezza letterale, ha posto alcuni dubbi interpretativi, in particolare con riferimento a due profili: la necessità, in caso di più procedimenti pendenti nei confronti del proposto, di acquisire il parere di ciascun p.m. presso ciascun giudizio; l’individuazione del p.m. con riferimento alla fase esecutiva.

Se la prima questione sembra potersi risolvere in senso positivo alla luce della formulazione perentoria della norma, così da richiedere in primo luogo l’individuazione di tutti i procedimenti pendenti per poi acquisire il parere da

M. MONTAGNA, Il regime carcerario differenziato, cit., p. 1290, osserva come, qualora si rilevi

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la mancanza di uno dei “dati condizionanti” dai quali dipende l’ortodosso esercizio della giuris- dizione, al giudice non rimane che arenare l’iter del procedimento in una pronuncia che esplicita- mente dichiari l’inefficacia, la non esecutività e la non eseguibilità della decisione nei confronti di quanti direttamente toccati dalla situazione di invalidità, rebus sic stantibus.

ciascuno dei relativi p.m. , maggiori problematiche, a causa anche di una 76 giurisprudenza contrastante sul punto, ha posto la seconda questione.

E’ stato ritenuto non necessario il parere del p.m. qualora fosse stata richiesta l’attivazione del regime derogatorio in corso di espiazione pena, in quanto la norma sembrerebbe fare riferimento al p.m. impegnato nelle indagini o a quello presso il giudice che procede (da intendersi con riferimento a un pro- cesso in fase dibattimentale), con conseguente esclusione della fase esecutiva . 77 Questi avrebbe, in ogni caso, a disposizione esclusivamente materiale probato- rio risalente nel tempo e, dunque, non più attuale . 78

A complicare ulteriormente la situazione è stato registrato anche un ori- entamento che escludeva la necessità del parere del p.m., perché ritenuto super- fluo qualora fossero state già acquisite le informazioni da parte della D.N.A., della D.D.A. e degli organi di polizia giudiziaria . 79

La dottrina, invece, ha privilegiato un’esegesi più letterale della norma, e dunque ha ritenuto come sempre obbligatorio il parere del p.m., anche in fase esecutiva, con la conseguenza che la sua eventuale mancanza rappresenterebbe una violazione di legge idonea a viziarne il procedimento e deducibile in sede di reclamo . 80

Del resto, il fatto che il p.m. debba avvalersi di informazioni più o meno datate è del tutto irrilevante, non potendosi prescindere da una valutazione della

Ibidem, p. 1290. L’A. ritiene che la mancanza del parere di ciascuno dei pubblici ministeri pres

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so il giudice procedente per ciascuno dei processi pendenti determina l’inesistenza del potere min- isteriale di attivazione e, contestualmente, preclude al giudice di deliberare circa i connotati sostanziali del provvedimento gravato.

Cfr., Cass. pen. Sez. I, 20 gennaio 2004, n. 1372, in Pluris, secondo la quale tale interpretazione

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sarebbe coerente con la ratio legis, in quanto allorché é pendente il procedimento o il processo, il pubblico ministero ha una cognizione diretta e non mediata degli elementi rilevanti ai fini del- l'adozione del provvedimento de quo, al contrario di quanto avviene dopo la pronuncia della sen- tenza definitiva. In quest'ultimo caso, infatti, le particolari regole dettate dall'art. 665 c.p.p. pos- sono comportare (nell’ipotesi di pluralità di sentenze esecutive) la competenza di un giudice diver- so da quello che ha emesso la condanna di riferimento per l’applicazione del regime differenziato, sicché del tutto incongrua risulterebbe l’attribuzione della funzione consultiva al pubblico minis- tero presso il giudice competente per l’esecuzione.

L. CESARIS, Sub art. 41-bis o.p., cit., p. 468.

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Cfr., Cass. pen. Sez. I, 27 gennaio 2005, n. 2658, in Pluris, secondo la quale la D.D.A. e la

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D.N.A., essendo organismi di raccordo investigativo, sono in grado di fornire tutte le informazioni necessarie in merito alla associazione mafiosa di appartenenza del ricorrente.

P. CORVI, Il trattamento penitenziario, cit., p. 145; L. CESARIS, Sub art. 41-bis o.p., cit., p. 468;

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persona del proposto che deve desumersi dal procedimento sfociato nella con- danna per il reato ostativo. Eventuali informazioni più aggiornate, soprattutto sullo stato di vitalità del gruppo criminale, potranno derivare, invece, dalla D.N.A., dalla D.D.A. e dagli organi di polizia penitenziaria.

In realtà, si è già osservato come l’individuazione del p.m. quale princi- pale referente informativo del Ministro sollevi qualche perplessità, essendo questi parte processuale, sicché le informazioni relative alla personalità del reo e ai reati già commessi potrebbero desumersi semplicemente mediante acqui- sizione degli atti dei relativi giudizi. Appaiono pertanto condivisibili quegli ori- entamenti giurisprudenziali che tendono a ritenere a volte superfluo il coinvol- gimento di tale soggetto.

Quale che sia il ruolo del p.m., emerge comunque un procedimento ap- plicativo formalmente caratterizzato da un’ampia attività informativa, che però non prevede alcun coinvolgimento dell’interessato: non è infatti previsto l’ob- bligo di dare avviso al proposto dell’avvio del procedimento, di comunicare a questi l’esito dell’attività istruttoria, né di consentirgli la presentazione di os- servazioni o elementi a proprio favore . 81

La giurisprudenza di legittimità non ha rinvenuto sul punto una vio- lazione del diritto di difesa in quanto, se da un lato viene escluso il contradditto- rio anticipato, d’altro canto è prevista la possibilità in capo al detenuto di pro- porre reclamo avverso il decreto di applicazione, cosicché il diritto al contrad-

L. FILIPPI, La “novella penitenziaria” del 2002, cit., p. 31; P. CORVI, Il trattamento peniten

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ziario, cit., p. 147. In giurisprudenza, cfr, Cass. pen. Sez. I, 27 gennaio 2005, n. 2658 cit., secondo cui la comunicazione dell’avvio del procedimento da parte dell’Autorità Amministrativa proce- dente deve ritenersi esclusa in subiecta materia ai sensi dell'art. 24, L. 241/1990. Infatti detta co- municazione presupporrebbe la possibilità da parte dell’interessato di accedere alle relazioni di polizia e ai documenti posti a base della proposta. In questa materia, trattandosi di provvedimenti diretti alla repressione della criminalità, tale accesso dovrebbe ritenersi, ad avviso della Corte, vi- etato ai sensi del regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso - approvato con decreto del Ministero dell'Interno del 10/5/1994 n. 415 in attuazione del- l'art. 24 della L. 241/1990 - che, all’art. 3 lett. a), include tra le categorie di documenti inaccessibili per motivi di ordine e di sicurezza pubblica ovvero ai fini di prevenzione e di repressione della criminalità “le relazioni di servizio ed altri atti o documenti presupposto per l'adozione degli atti o provvedimenti dell'autorità nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza….”. Conclude dunque la Corte che, essendo vietato all’interessato l’accesso alla documentazione posta a base del decreto ministeriale, in questa fase del procedimento non sarebbe pertanto possibile nemmeno instaurare un minimo di contraddittorio.

dittorio verrebbe recuperato ex post . Può parlarsi al riguardo, dunque, di un 82 provvedimento a contraddittorio differito ed eventuale.

E’ evidentemente una soluzione poco garantista, sia perché i principi del giusto processo devono trovare applicazione in ogni fase del procedimento, an- che in quella esecutiva , ivi compreso il procedimento di applicazione del 83 provvedimento ex art. 41-bis, sia perché la possibilità di proporre reclamo in un secondo momento non coincide con il coinvolgimento dell’interessato fin dalla fase applicativa.

A peggiorare la situazione, si pone poi la prassi di non consentire l’ac- cesso e il vaglio della documentazione informativa sulla base della quale è stato emanato il decreto, dal momento che la norma non ne prevede il deposito, 84 nonché il citato orientamento giurisprudenziale che non ritiene sempre neces- sario il coinvolgimento del p.m. Se già la mancanza di un contraddittorio antic- ipato rappresenta un profilo che stride evidentemente con il diritto ad un giusto processo, la ulteriore circoscrizione degli obblighi informativi in uno con la mancata messa a disposizione del detenuto a regime speciale di tutti gli atti su cui il procedimento applicativo si è fondato, si concretizzano in un contradditto- rio apparente, e i dubbi su una possibile violazione degli artt. 24 e 111 Cost. di- ventano eventualità piuttosto concrete . 85