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8. L’art 41-bis ord pen come espressione di un diritto penale del nemico? 105

8.2. La lotta alla criminalità organizzata come espressione del “doppio bina-

8.2.1. Il rapporto con i principi fondamentali del diritto penale

La riconducibilità dei delitti di associazionismo mafioso tra le forme di manifestazione di un diritto penale del nemico è dimostrata, del resto, dalla frizione che le corrispondenti norme incriminatrici registrano rispetto ai principi fondamentali del diritto penale, con conseguente possibilità di riscontrare i caratteri tipici di questo fenomeno giuridico . Anzi, se secondo lo stesso 304 Jakobs è difficile rinvenire forme pure di manifestazione del diritto penale del nemico, cosicché si avranno fattispecie che manifestano alcuni dei plurimi

Non stupisca questo accostamento, dal momento che è noto che il 6 dicembre 2017 il Comitato

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ONU contro la tortura, con rapporto CAT/C/ITA/5-6, abbia richiesto all’Italia di rivedere il regime speciale di cui all’art. 41-bis ord. pen. per allinearlo agli standard internazionali di protezione dei diritti umani, e, per quanto riguarda la questione dei decessi in carcere, il Comitato ha lamentato poca trasparenza, richiedendo informazioni dettagliate in merito a tali morti e l’adozione di misure volte a garantire che tutti i casi di decesso siano adeguatamente investigati. Sul punto, F. CANCEL- LARO, Pubblicate le osservazioni del comitato ONU contro la tortura sulla situazione italiana, in

Dir. pen. cont., fasc. 1/2018, pp. 301 ss. Con specifico riferimento, poi, ai decessi in carcere, si osservi che il numero di suicidi al regime differenziato è 3,5 volte maggiore rispetto a quelli regis- trati rispetto al regime ordinario. Al riguardo, cfr., D. ALIPRANDI, Al carcere duro ci si suicida di

più rispetto agli altri reclusi, in www.ildubbio.it, 16 giugno 2017. Si osservi infine come sia ormai nota la presenza nei reparti di isolamento dei penitenziari italiani delle cc.dd. “celle zero” ossia di celle prive di mobilio, letto, e qualsivoglia altro oggetto, ove i detenuti sono costretti a dormire sul pavimento, così come l’esistenza di processi ove sono imputati agenti della polizia penitenziaria accusati di maltrattamenti e pestaggi di vario genere nei confronti dei detenuti. Sul punto, cfr., G. DE MONTE, 41 bis, sovraffollamento, suicidi: viaggio nel carcere italiano, in www.osservatori-

odiritti.it, 21 novembre 2017.

F. PALAZZO, Contrasto al terrorismo, cit., p. 676, identifica, quali caratteri propri del diritto

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penale del nemico, elementi in parte sovrapponibili e in parte diversi rispetto a quelli sopra richia- mati, ossia, l’appartenenza dell’autore del reato ad una categoria soggettiva quale criterio fondante lo specifico trattamento punitivo; la de-giurisdizionalizzazione del processo; l’orientamento del trattamento sanzionatorio verso l’eliminazione del reo. Pur prendendo come parametro di riferi- mento questi elementi, è possibile sostenere la riconducibilità dei delitti associativi al concetto di diritto penale del nemico: gli autori sono certamente ascrivibili ad una ben determinata categoria soggettiva, ossia al gruppo criminale, che a sua volta coinvolge sovente soggetti provenienti da ceti bassi ed emarginati della società. La de-giurisdizionalizzazione del processo può intendersi sia in senso lato, alla luce dell’atteggiamento che spesso assume la magistratura nei confronti di espo- nenti delle consorterie criminali, sostanzialmente insensibili alle istanze della difesa e la con- seguente tendenza del processo a flettersi verso forme inquisitorie, sia in senso stretto, alla luce di alcune regole che limitano il contraddittorio, invertono l’onere della prova, a tutto discapito dei diritti di difesa (cfr. infra nel testo). La stessa procedura di applicazione del regime carcerario dif- ferenziato è tutt’altro che giurisdizionale: essa avviene sulla base di un decreto motivato del Min- istro della giustizia, anche su richiesta del Ministro degli interni, avverso il quale, entro venti giorni, può essere proposto reclamo da parte dell’interessato dinnanzi al Tribunale di Sorveglianza di Roma.

L’orientamento del trattamento sanzionatorio verso l’eliminazione e la neutralizzazione è, invece, criterio comune a quelli già richiamati.

caratteri in cui tale nozione giuridicamente si scompone, rispetto alle forme di criminalità organizzata di stampo mafioso, sono rinvenibili tutte quante le com- ponenti sopra descritte.

Innanzitutto, i reati associativi sono problematici dal punto di vista del rispetto dei principi di necessaria offensività, di materialità e di tassatività.

L’art. 416-bis c.p., infatti, ai fini della punibilità del soggetto agente, non richiede alcun comportamento che risulti funzionale al raggiungimento delle finalità criminose dell’associazione, per cui la condotta può risolversi anche nell’atto di mera adesione al gruppo , al quale viene attribuita idoneità lesiva 305 in quanto comportamento ritenuto capace di destabilizzare, mediante il medium associativo, l’ordine sociale . 306

Ne deriva il rischio di incriminare condotte lontane dalla lesione di uno specifico bene giuridico , atteso che non è possibile costruire per i reati asso307 - ciativi un oggetto di tutela del tutto indipendente dalle caratteristiche dei reati scopo . 308

E’ il mero accordo, di per sé neutro, a venire in evidenza, con con- seguente anticipazione della tutela rispetto alla commissione di condotte obiet- tivamente antigiuridiche. La ratio di tale tutela anticipata risiede, è noto, nella circostanza per cui la mera esistenza di un gruppo organizzato, dotato di un vin- colo associativo più o meno stabile, che adotta un programma criminale in-

S. MOCCIA, La perenne emergenza, cit., p. 40.

305

D. VALITUTTI, Il reato associativo come delitto penale del nemico: problemi e prospettive gius

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filosofiche, in Politica del diritto, 2016, p. 265.

S. MOCCIA, La perenne emergenza, cit., p. 40. L’A. osserva come, rispetto al reato di associ

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azione per delinquere di stampo mafioso, vi sia stata una confusione tra ratio e bene giuridico. La tutela dell’ordine pubblico sarebbe, più correttamente, la ratio della fattispecie, e non autonomo bene giuridico, proprio perché nozione incapace di delimitare con precisione l’oggetto della tutela e a svolgere una funzione delimitativa dell’intervento penale. Da ciò deriva il rischio di «favorire la proliferazione di oggetti di tutela fittizi, che avallano insostenibili scelte di criminalizzazione ipertrofica», oltre che gravi pericoli per le garanzie individuali, pervenendo alla criminalizzazione di condotte sicuramente contrarie all’ordine pubblico come ratio, ma che possono risultare lon- tanissime dalle effettiva lesione del bene che la condotta mira ad aggredire. D. VALITUTTI, Il reato

associativo come delitto penale del nemico, cit., pp. 271 s., individua il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 416 c.p. nella comunità, quale bene superindividuale che trascende il singolo e facente capo allo Stato.

G. DE VERO, Tutela penale dell’ordine pubblico, Milano, 1988, p. 274; G. SPAGNOLO, Crimi

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nalità organizzata e reati associativi: problemi e prospettive, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, p. 1165.

definito di stampo mafioso, è idoneo a mettere in pericolo l’ordine pubblico : 309 l’associazione costituirebbe una vera e propria “macchina” criminosa che funge da polo di aggregazione di potenzialità delittuose altrimenti diffuse . Tuttavia, 310 ciò non risolve il problema della frizione con il principio di materialità e offen- sività. Se è vero che ai sensi dell’art. 18 Cost. il diritto di associarsi può essere limitato in caso di perseguimento di fini vietati ai singoli dalla legge penale, sanzionare penalmente in modo particolarmente severo la mera condotta di ade- sione o di partecipazione ad un gruppo, senza attendere l’esecuzione, anche sot- to forma di tentativo punibile, di un delitto scopo, rischia di arretrare eccessi- vamente la tutela penale , e ad incriminare le mere intenzioni, in violazione 311 del principio di materialità (cogitationis poenam nemo patitur) o per la sem312 - plice appartenenza ad un gruppo (diritto penale d’autore o Täterstrafrecht) . 313

Invero, la possibilità di applicare una circostanza aggravante in caso di commissione dei reati scopo avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p., o comunque al fine di agevolare l’attività delle associazioni di cui al medesimo articolo (c.d. aggravante del metodo mafioso ex art. 7, d. l. 152/1991), sembrerebbe soluzione idonea ad assorbire il surplus di disvalore espresso dall’esistenza di un’associazione caratterizzata da un vincolo stabile e

F. MANTOVANI, Il diritto penale del nemico, cit., p. 482, ritiene che la mafia costituisce un vero

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e proprio «contrordinamento criminale», titolare di un potere esercitato su un «territorio» e su una «popolazione»; con un proprio «sistema normativo»; con un «governo stabile» e un «personale civile e militare»; con la prestazione di servizi illeciti; un efficiente «sistema fiscale» di riscossione del tributo e ingenti capitali immessi nell’economia ordinaria; con un sistema di «sanzioni penali» scarsamente differenziato e «processi a rito abbreviato» senza appelli e arretrato. In quanto tale rappresenterebbe un vulnus permanente dello Stato di diritto e dell’ordinamento democratico.

G. DE VERO, I reati associativi nell’odierno sistema penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, p.

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391.

Contra, G. DE VERO, I reati associativi, cit., p. 391, osserva come la sostanza criminosa del

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l’associazione per delinquere prescinde totalmente dalle attività preparatorie rivolte alla perpe- trazione dei reati fine e si risolve nella stessa esistenza di uno stabile apparato organizzativo suscettibile di essere ripetutamente utilizzato per la commissione di un numero indefinito di reati. Secondo l’A. la capacità offensiva dell’organizzazione criminale si sostanzierebbe nella proiezione di un pericolo diffuso nei confronti di una platea indefinita di titolari del bene giuridico protetto. Di qui, il rispetto del principio di materialità e offensività.

G. FIANDACA, Criminalità organizzata e controllo penale, in Evoluzione e riforma del diritto e

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della procedura penale, a cura di M. C. BASSIOUNI - A. R. LATAGLIATA - A. M. STILE, Milano,

1991, p. 49.

G. INSOLERA, Reati associativi, cit., p. 1326, osserva come nella lotta alla criminalità organiz

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zata non possono che esserci autori, e che il nemico è l’organizzazione, la sua rete, la struttura, motivo per cui tutti coloro che appartengono a siffatta struttura sono puniti come autori.

da un programma criminoso indefinito, così consentendo allo stesso tempo l’eliminazione della fattispecie di parte speciale senza che da ciò derivi una scappatoia o un trattamento più lieve per coloro che commettono reati nel con- testo di un’organizzazione criminale . Ciò consentirebbe, dunque, di rispettare 314 maggiormente il principio di materialità e di offensività dal momento che siffat- ta circostanza andrebbe applicata solo in seguito alla effettiva commissione di un reato fine, e dunque solo in seguito alla lesione di un bene giuridico di mag- giore consistenza e afferrabilità rispetto alla nozione di ordine pubblico. Inoltre, eviterebbe profili di ne bis in idem sostanziale laddove alla stessa persona 315

Lo stesso F. VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, cit., p. 691, riferendosi al terroris

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mo, ma formulando osservazioni sovrapponibili anche alla criminalità organizzata, ammette come la drastica soluzione di abolire le fattispecie di associazionismo condurrebbe a una perfetta armo- nizzazione con i principi costituzionali, anche se all’insostenibile costo di una impossibile efficace prevenzione. Non si condivide quest’ultima considerazione, dal momento che la funzione preven- tiva potrebbe comunque essere affidata a sanzioni amministrative (es. espulsione amministrativa dello straniero) che non creano problemi dal punto di vista del necessario rispetto dei principi di offensività e legalità, o a misure di prevenzione, che, essendo legate al sospetto, hanno esattamente la funzione di prevenire la commissione di reati, rappresentando, pur sempre, un quid minus rispet- to alle sanzioni propriamente penali.

Si consideri che un’aggravante corrispondente è prevista in tema di terrorismo: l’art. 1 del D. L.

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15 dicembre 1979, n. 625 prevede, infatti, l’applicazione di una circostanza aggravante ad effetto speciale e sottratta al meccanismo di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti per quei reati commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico. Tale fattispecie non pone però problemi di ne bis in idem con la corrispondente fattispecie associativa (art. 270-bis c.p.) dal momento che ne è stata esclusa l’applicazione rispetto a quei reati, come appunto l’art. 270-bis c.p., che già prevedono la finalità di terrorismo quale elemento costitutivo.

fossero contestati il reato presupposto e il reato fine aggravato dal metodo mafioso . 316

I reati associativi rappresentano, infatti, un esempio significativo di reati di sospetto a forte connotazione simbolica, cui spesso si ricorre quando manca la prova dei reati scopo . 317

Anche dal punto di vista del principio di tassatività la fattispecie presen- ta alcuni nodi problematici . Si è detto al riguardo come la norma, dalla chiara 318 connotazione casistica, sia redatta in modo impreciso a causa della commistione tra elementi descrittivi, elementi normativi e rinvii sociologici, con evidente pregiudizio delle esigenze di certezza e determinatezza . 319

Contra, G. DE VERO, I reati associativi, cit. p. 393, sostiene che la possibilità di contestare al

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l’imputato il reato presupposto unitamente al reato fine non determina una deviazione dal canone del ne bis in idem sostanziale, ma sottintende una precisa presa di posizione riguardo al significato offensivo della fattispecie, in quanto la realizzazione anche plurima dei delitti scopo non rius- cirebbe ad esaurire il potenziale offensivo del fatto associativo. Rispetto alla eventuale scelta di politica criminale di contestare il solo reato scopo aggravato dal metodo mafioso, l’A. risulta alquanto scettico, dal momento che si rischierebbe di incriminare solo coloro che svolgono un ruo- lo minore all’interno della compagine e che ne rappresentano il c.d. braccio armato. Nello stesso senso, G. SPAGNOLO, Criminalità organizzata e reati associativi, cit., p. 1162. Non si condivide tale impostazione, dal momento che i soggetti investiti delle più elevate funzioni di direzione e controllo potrebbero sempre essere incriminati sulla base dell’art. 110 c.p. quali concorrenti quan- tomeno da un punto di vista morale. Altra soluzione, meno radicale, potrebbe essere quella di con- sentire una contestazione alternativa tra reato associativo e reato scopo aggravato dal metodo mafioso, sulla scorta di quanto già svolto in tema di terrorismo dall’art. 1 del D. L. 15 dicembre 1979, n. 625. S. MOCCIA, La perenne emergenza, cit., p. 45, infine, propone di introdurre una fat- tispecie di parte generale parallela all’art. 110 c.p., che acceda ai reati scopo, pensata per incrim- inare le ipotesi di concorso stabile e non occasionale, o comunque di utilizzare, per incriminare i vertici delle associazioni criminali, la figura della reità mediata tramite apparati proposta da Roxin (c.d. mittelbare Täterschaft durch organisatorische Machtapparate), che vede l’autore immediato come semplice ingranaggio inserito nella complessa organizzazione di potere. In questi casi, infat- ti, a causa della mancanza di contatti tra autore mediato (Hintermann) e autore immediato (Vor- dermann), sarebbe molto difficile incriminare il primo a titolo di concorso morale. Del resto, a conferma della non indispensabilità di una fattispecie di parte speciale che incrimini le condotte di associazione per delinquere, molti ordinamenti, anche europei (ad esempio quello tedesco), non prevedono fattispecie corrispondenti a quelle di cui agli artt. 416 e 416-bis c.p., prevedendo, in- vece, o specifiche circostanze aggravanti, o norme incriminatrici dirette a colpire taluni compor- tamenti illeciti costituenti attività tipiche delle organizzazioni criminali. Sul punto, M. C. BASSIOUNI, Criminalità organizzata e terrorismo: per una strategia di interventi efficaci, in Ind.

pen., 1990, pp. 18 ss.; G. FORNASARI, Le strategie di contrasto alla criminalità organizzata: aspet- ti comparatistici nell’esperienza europea-continentale, in Le strategie di contrasto alla criminalità organizzata nella prospettiva di diritto comparato, a cura di G. FORNASARI, Padova, 2002, p. 175.

G. FIANDACA, Criminalità organizzata e controllo penale, cit., p. 47; S. MOCCIA, La perenne

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emergenza, cit., p. 41.

G. SPAGNOLO, L’associazione di tipo mafioso, Padova 1993, pp. 9 ss.; G. A. DE FRANCESCO,

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Associazione per delinquere e associazioni di tipo mafioso, in Dig. disc. pen., Torino, 1987, pp. 289 ss.

S. MOCCIA, La perenne emergenza, cit., p. 43. Anche, D. PULITANÒ, Lo sfaldamento del sis

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tema penale, cit., p. 756, manifesta seri dubbi circa il rispetto dei principi di determinatezza e of- fensività da parte dei delitti associativi.

In primo luogo, non si comprende cosa debba intendersi con l’espres- sione “fa parte”. Se si prende in considerazione la condotta partecipativa sem- plice, sembra in effetti riscontrarsi un vero e proprio deficit di determinatezza. Non è facile comprendere se con tale locuzione sia sufficiente, ai fini dell’in- criminazione, manifestare una semplice affectio societatis, che non si estrin- sechi nell’effettivo esercizio di un ruolo rilevante nell’economia del sodalizio criminoso, o se invece sia necessario fornire un contributo attivo all’esistenza del gruppo, al di là dell’esecuzione dei reati scopo . 320

In secondo luogo, sotto il profilo strumentale, nel descrivere quando l’associazione può considerarsi di tipo mafioso, l’art. 416-bis c.p. fa riferimento all’utilizzo della «forza di intimidazione del vincolo associativo e della con- dizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva». Si tratta, all’evidenza, di una formula alquanto indeterminata, che non consente di valutare con certezza, se non mediante un’analisi di tipo prevalentemente criminologico e sociologico — poco compatibile con le caratteristiche del processo penale —, la sussistenza o meno del relativo elemento.

Ci si è chiesti, al riguardo, se, ai fini dell’integrazione del reato, sia suf- ficiente che la forza intimidatrice del vincolo associativo possa rientrare nel programma criminoso astratto dell’organizzazione, interpretazione che finirebbe per configurare l’art. 416-bis c.p. quale reato meramente associativo; oppure se sia necessario che gli affiliati facciano effettivamente uso dell’intimi- dazione, interpretazione che renderebbe la norma in esame un «reato associati- vo a struttura mista», ossia caratterizzato dalla presenza di una attività strumen- tale esterna e ulteriore rispetto alla semplice associazione . 321

G. DE VERO, I reati associativi, cit., p. 410, propende per la seconda alternativa. Rispetto alle

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ipotesi di partecipazione qualificata, invece, l’A. non sembra avere dubbi circa il rispetto del prin- cipio di sufficiente determinatezza, trattandosi di condotte i cui profili concettuali e i corrisponden- ti referenti empirici sono agevolmente descrivibili. Anche la giurisprudenza propende maggior- mente per questa seconda alternativa. Al riguardo, cfr., Cass. pen. Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 33748, in Foro it., 2006, II, p. 86, con nota di G. FIANDACA - C. VISCONTI, Il patto di scambio

politico-mafioso al vaglio delle sezioni unite, che chiarisce come risponda di partecipazione colui che è organicamente inserito nel tessuto organizzativo di una associazione con un ruolo stabile e nel contempo esplichi dinamicamente tale ruolo compiendo attività funzionali all’associazione medesima.

G. FIANDACA, Criminalità organizzata e controllo penale, cit., pp. 55 s.

Tra le due, ha trovato maggiore riscontro una impostazione intermedia, secondo cui la forza di intimidazione non deve necessariamente consistere nella realizzazione di concreti atti intimidativi, sempre che l’associazione abbia ac- quisito una fama di violenza e abbia sprigionato intorno a sé una carica au- tonoma di intimidazione diffusa, tale da provocare assoggettamento e omertà anche a prescindere dall’attuale perpetrazione di concreti atti di violenza o mi- naccia . 322

In ogni caso, sono evidenti le difficoltà probatorie relative all’accerta- mento di siffatto clima diffuso di intimidazione, proprio in quanto esso risulta immanente ai rapporti che la mafia intrattiene con i propri interlocutori, spesso senza manifestarsi in atti esteriori accertabili . 323

In terzo luogo, il riferimento alla «forza di intimidazione e del con- seguente atteggiamento di assoggettamento e di omertà che ne deriva» sembra applicabile solo alle mafie tradizionali, con evidente rischio di esclusione delle cc.dd. nuove mafie che, per non essere già radicate nel territorio, appaiono per definizione carenti di preesistente forza intimidatrice . 324

Anche il principio della personalità della responsabilità penale può risultare compromesso. La possibilità di essere incriminati per il mero fatto del- l’associazione ingenera il rischio che ciascun associato venga chiamato a rispondere di risultati addebitabili ora all’intera associazione, ora ad altri com- ponenti individuali, piuttosto che alla propria condotta . 325

Dalla contrazione che incontrano i principi di offensività, materialità, tassatività e personalità della responsabilità penale, non può che derivare, poi,

G. TURONE, Le associazioni di tipo mafioso, Milano, 1984, p. 77 ss.

322

G. FIANDACA, Criminalità organizzata e controllo penale, cit., p. 58.

323

G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, I, Bologna, 2016, p. 485, chiariscono

324

che, ove si tratti di associazioni “nuove” che tentano di introdurre metodi mafiosi, non si vede come l’ambiente esterno possa già avvertire una carica intimidatrice autonomamente scaturente dal vincolo associativo, sicché, rispetto ai sodalizi mafiosi non in senso classico, si dovrebbe parlare, a rigore, non di «forza intimidatrice del vincolo associativo» ma di singoli e concreti atti di intimi- dazione. In modo simile, G. DE VERO, I reati associativi, cit., p. 405, il quale propone, per super-

are tale impasse, di interpretare la fattispecie nel senso di ravvisare un’associazione per delinquere di stampo mafioso in presenza di una pratica attuale e seriale dell’intimidazione, indipendente- mente dalla forza del vincolo associativo e del radicamento nel territorio del gruppo.

Ibidem, p. 49.

anche una attenuazione del principio di presunzione di innocenza di cui all’art. 27, co. 2, Cost. Considerate l’anticipazione della tutela penale, l’adozione di una presunzione di pericolosità derivante dalla mera adesione al gruppo crimi- nale, le limitazioni al contraddittorio e i meccanismi di inversione dell’onere della prova (soprattutto nella scelta di applicazione del regime ordinario o dif-