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Il 41-bis come pietra del mosaico che raffigura il mafioso come

8. L’art 41-bis ord pen come espressione di un diritto penale del nemico? 105

8.2. La lotta alla criminalità organizzata come espressione del “doppio bina-

8.2.5. Il 41-bis come pietra del mosaico che raffigura il mafioso come

Si veda la nota n. 221.

Dalla presente disamina emerge come nei confronti degli appartenenti ad associazioni criminali di stampo mafioso vi sia un regime totalmente diverso rispetto a quello ordinario, a partire dalla formulazione legislativa del precetto penale fino alla disciplina del trattamento penitenziario, passando attraverso la gestione del processo, regime che, all’evidenza, si pone in netta antitesi rispetto al diritto penale del cittadino. La semplice adesione o partecipazione ad un’as- sociazione di stampo mafioso determina infatti un etichettamento del sogget347 - to agente, il quale acquisisce così uno status peculiare che legittima un tratta- mento differenziato secondo la logica del doppio binario, dell’esclusione, della lotta, della neutralizzazione.

Per questi motivi, l’art. 41-bis ord. pen. può essere ricompreso tra quegli istituti che concorrono a configurare, rispetto ai membri di un’associazione per delinquere di stampo mafioso, un diritto penale del nemico.

Alla base di tale regime differenziato vi sono sicuramente esigenze di contrasto a un fenomeno che denota particolare allarme sociale e che lede nelle fondamenta lo Stato di diritto. Ciò può dunque legittimare una anticipazione della tutela alla criminalizzazione di atti preparatori , anche astrattamente neu348 - tri, come la semplice adesione ad un gruppo organizzato, essendo condivisibile l’assunto per cui la mera esistenza di un’organizzazione stabile costituita al fine di realizzare un programma criminale indefinito, mette in pericolo l’ordine giuridico costituito. Del resto, il nostro ordinamento penale ammette di fre- quente l’incriminazione di atti preparatori: si pensi alle fattispecie di istigazione e cospirazione in materia di reati contro la personalità dello Stato (artt. 302 e 304 c.p.); alle fattispecie di pubblica istigazione e apologia (414 c.p.); alle con- dotte di arruolamento e addestramento con finalità di terrorismo (270-quater c.p.).

Anzi, è proprio la presenza nel nostro sistema penale di forme di antici- pazione della tutela che consente un’efficace prevenzione di quei reati che cos-

Sul concetto di etichettamento, A. BARATTA, Criminologia liberale e ideologia della difesa

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sociale, cit., p. 7.

F. VIGANÒ, Diritto penale del nemico, cit., p. 122.

tituiscono lo scopo delle forme più gravi di criminalità organizzata . Fino a 349 quando, dunque, la criminalizzazione anticipata sarà circoscritta alla protezione di beni giuridici di elevato rango costituzionale; fino a quando l’incriminazione sarà idonea allo scopo di tutela di quei beni — ossia quando la fattispecie astrat- ta è formulata in modo tale da abbracciare solo condotte inequivocabilmente pericolose —; fino a quando l’incriminazione sarà necessaria — e quindi insos- tituibile con strumenti differenti di prevenzione e controllo meno lesivi —, e dunque proporzionata alla finalità di tutela perseguita e alla gravità del fatto commesso, l’anticipazione de qua potrà essere considerata ammissibile e costi- tuzionalmente legittima . 350

Alla semplice anticipazione della tutela non possono, però, sommarsi indiscriminatamente strumenti di contrasto che rischino di giungere allo scardi- namento delle garanzie fondamentali della persona, soprattutto quelle processu- ali.

Se essere un nemico dello Stato può legittimare un trattamento deteriore in funzione di tutela della pubblica sicurezza, andrebbe esclusa, in primo luogo, una presunzione a priori di tale status, che viceversa va accertato nel corso del processo, nel rispetto del diritto di difesa e al contraddittorio, pena la di- mostrazione dell’interesse dello Stato di pervenire ad una condanna “costi quel che costi” dell’imputato, perché già ritenuto colpevole a partire dal momento dell’etichettamento come nemico. Sicché andrebbero eliminate tutte quelle pre- sunzioni di pericolosità connesse ai reati di criminalità organizzata, la presun- zione di adeguatezza della custodia cautelare, e tutte quelle norme processuali che incidono sul diritto al contraddittorio delle parti.

Allo stesso modo, l’esigenza di neutralizzazione del pericolo, se può legittimare modalità di trattamento penitenziario più severe rispetto ad un de- tenuto ordinario, facendo prevalere la funzione di prevenzione su quella di riso- cializzazione, non può legittimare l’avallo di prassi in palese contrasto con il

Ibidem, p. 123.

349

Ibidem, pp. 130 ss.

principio di dignità umana, come quei casi in cui la collaborazione processuale può assumere i caratteri di una “estorsione morale” ; o quell’interpretazione 351 che legittimava la progressiva restrizione delle ore d’aria fruibili (limite ormai superato); o la mancata predisposizione di percorsi trattamentali ritagliati sulla personalità del detenuto, costume che annulla senza riserve la funzione rieduca- tiva.

In conclusione, la strategia di politica criminale di contrasto alla crimi- nalità organizzata di stampo mafioso appare, in perfetta aderenza alle logiche del diritto penale del nemico, eccessivamente “costosa” in termini di tutela di principi e diritti fondamentali. Bisogna domandarsi, dunque, se sia la lotta, la guerra, la logica di contrasto e di esclusione, la migliore risposta che può essere data a fenomeni criminali che sicuramente con la guerra giuridicamente intesa non hanno nulla a che vedere. O se, al contrario, una simile risposta non possa sembrare un segno di debolezza, se non, persino, un atto di “abdicazione della ragione” . 352

Non è forse la risposta “ordinaria” del diritto penale ad avere la massi- ma efficacia e valenza simbolica?

Il diritto e la giurisdizione penale, da un lato, rappresentano il principale strumento per impedire possibili derive intollerabili dello Stato di diritto, quale strumento tendenzialmente trasparente, intessuto di controlli che assicura alla persona la possibilità di difendersi contro le accuse che le vengono mosse. D’al- tro lato, questo sistema giuridico, vista la possibilità di intervenire in via pre- ventiva grazie a fattispecie che, come visto, incriminano la commissione di atti preparatori, e di adottare approfonditi mezzi d’indagine, può essere considerato uno strumento pienamente efficace nella lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo, al punto da non far sorgere l’esigenza di costituire sistemi alter- nativi, degiurisdizionalizzati e lesivi dei diritti fondamentali della persona . 353

L. EUSEBI, Ergastolano non collaborante, cit., p. 1223; G. NEPPI MODONA, Ergastolo ostativo:

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profili di incostituzionalità e incompatibilità convenzionale, cit., p. 1510. L. FERRAJOLI, Il «diritto penale del nemico», cit., p. 807.

352

F. VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, cit., pp. 680 ss.

A fronte di forme gravi e diffuse di criminalità non va certo esclusa la possibilità di introdurre adeguati correttivi, che si possono porre in tensione con il sistema garantista e il rispetto dei diritti fondamentali per pressanti esigenze di prevenzione, sempre che tale tensione non pervenga mai ad una rottura.

Se, dunque, la reclusione ordinaria non è idonea a recidere i contatti tra esponente e consorteria di riferimento e ad impedire la commissione di reati da dentro il carcere, sarà adeguato e opportuno introdurre regimi detentivi ad hoc, il cui limite sarà però quello della tutela in concreto della dignità della persona e del diritto ad un percorso trattamentale, e sempre che siffatte limitazioni siano comunque applicate per il tempo strettamente necessario.

Del resto, il sistema della lotta al nemico, da un lato, non è efficace, e, dall’altro, presenta costi eccessivi. E’ evidente, infatti, come l’obiettivo di rag- giungere una sicurezza assoluta, di creare una società a “rischio zero” è un’u- topia, e i costi in termini di risorse impiegate e di diritti lesi sarebbero vera- mente insostenibili . 354

Riteniamo che lo Stato, nell’affrontare i delitti più gravi, debba garantire in ogni caso il rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona, senza poter per- venire alla costruzione di categorie soggettive che legittimano l’esclusione o la sospensione di determinate garanzie sostanziali e processuali. Diversamente si registrerebbe una contraddizione intrinseca nel fondamento democratico dello Stato che presuppone la tutela di siffatti principi e diritti, a fronte della legitti- mazione di pratiche elusive degli stessi, che rendono lo Stato non tanto diverso dai suoi antagonisti, al punto da perdere la propria legittimazione democratica,

W. HASSEMER, Sicherheit durch Strafrecht, in Höchstrichterliche Rechtsprechung zum

354

Strafrecht, 2006, p. 143, osserva come nemmeno un diritto penale orientato al paradigma della sicurezza è in grado di garantire sempre la sicurezza.

sociale e costituzionale . Sono, invece, le politiche sociali, prima, e un inter355 - vento penale rispettoso della sua funzione di sussidiaria e rigidamente anco356 - rato ai suoi principi e valori fondamentali, poi, a svolgere un ruolo, rispettiva- mente, preventivo e repressivo, che possano dirsi perfettamente in linea con uno Stato che riconosca indistintamente ad ognuno i diritti fondamentali, tra cui spiccano il diritto di difesa, il diritto ad un trattamento rieducativo, e il rispetto del principio di legalità nelle sue varie accezioni.

La lotta al crimine organizzato non deve avvenire tanto all’interno del processo derogando ai principi fondamentali e pregiudicando l’accertamento dei fatti, quanto al di fuori del processo, garantendo una maggiore presenza del- lo Stato nei territori e settori maggiormente esposti a rischi di infiltrazioni mafiose, nonché in fase pre-giudiziale, attraverso il potenziamento dei mezzi di indagine, sia perché la figura dell’indagato non è presidiata dalle medesime garanzie di quelle di cui gode la figura dell’imputato , sia per evitare che le 357 carenze probatorie si riverberino in un trattamento deteriore di questo.

Neanche la logica dello Stato di eccezione o di emergenza può valere, rispetto ai reati associativi, a legittimare deroghe a siffatti principi, dal momen- to che essa non può avere carattere strutturale, indefinito e potenzialmente perenne ma deve conoscere meccanismi di attivazione, controllo, verifica e 358 limitazione simili a quelli previsti dall’art. 15 CEDU o dall’art. 4 PIDU, e, so-

In un commento pubblicato on-line sulla pagina Facebook di Pietro Grasso, l’ex magistrato e

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politico italiano, riguardo l’atteggiamento che i rappresentanti delle istituzioni statali devono adottare nei confronti di coloro che hanno commesso crimini anche particolarmente efferati, scrive: «Quando arrestammo Bernardo Provenzano, o quando interrogai Giovanni Brusca, mi trovai davanti uomini che avevano commesso le stragi, fatto uccidere colleghi e amici, progettato il mio omicidio e il rapimento di mio figlio. Potete immaginare il mio stato d’animo. Ho sempre avuto chiaro però quale fosse il mio ruolo: quello di rappresentante dello Stato. A Provenzano, catturato dopo quarantatrè anni di latitanza, la prima cosa che chiesi fu: “ha bisogno di qualcosa?”; rispose che aveva bisogno di un’iniezione per curare la sua malattia, e rapidamente trovammo il modo di fargliela. Gli dimostrammo la differenza tra noi e loro: non ci si abbassa mai al livello dei criminali che si combattono, non ci sono e non devono esserci eccezioni. Questo significa essere uomini e donne al servizio dello Stato […]».

F. VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, cit., p. 686.

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A. BITONTI, Doppio binario, cit., p. 412, osserva come la diversificazione della normativa pro

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cessuale relativa ai delitti di criminalità organizzata deve essere confinata a un livello inferiore a quello presidiato da garanzie fondamentali, le quali, come tali, devono essere riconosciute a tutti gli imputati.

S. MOCCIA, La perenne emergenza, cit., passim.

prattutto, deve poter cessare venuta meno la situazione eccezionale. Deve essere individuato, in primo luogo, un nucleo duro di diritti fondamentali non negozi- abili, in quanto relativi al cuore dello Stato liberale di diritto e dunque sottratti a qualsivoglia bilanciamento , per poi consentire, entro il perimetro dei presup359 - posti temporali e situazionali sopra indicati, il restringimento di quegli altri diritti che oppongono minori resistenze al bilanciamento, e che ben potranno essere derogati in situazioni di emergenza . 360

Lo stesso concetto di “doppio binario”, sebbene si ponga quale carattere permanente dell’impianto punitivo, richiama l’affiancamento alla disciplina or- dinaria di un regime speciale che, in tanto può derogare ai principi del sistema, in quanto si ponga in relazione a fenomeni temporalmente circoscritti . 361

La risposta, in definitiva, è tanto più efficace, quanto più è asimmetrica rispetto al crimine. Se, invece, si imposta secondo logiche ad esso simmetriche, si rischia di intraprendere una “guerra infinita” che non può avere né vincitori né vinti .362

Si può prendere come punto di riferimento l’art. 15 CEDU che esclude qualsiasi deroga, persi

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no in tempo di guerra, al diritto alla vita, a non essere sottoposti a tortura, a non essere ridotti in schiavitù, e al principio di legalità della pena sotto i profili della irretroattività e della prevedibilità della pena.

F. VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, cit., pp. 687 ss.

360

A. BITONTI, Doppio binario, cit., p. 395.

361

L. FERRAJOLI, Il «diritto penale del nemico», cit., p. 808.

CAPITOLO II

Struttura e contenuto dell’art. 41-bis ord. pen.

SOMMARIO: 1. I destinatari del provvedimento. — 1.1. La posizione di detenuto o internato.